Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Crystal Rose    30/12/2018    2 recensioni
Ho provato ad immaginare cosa accadrebbe se una ragazza con un succoso segreto dovesse incappare nei Germa 66 e nell'armata rivoluzionaria, quanto caos potrebbe creare una ragazzina con straordinarie e improbabili capacità nascoste?
"Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna."
Genere: Avventura, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Emporio Ivankov, Famiglia Vinsmoke, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fu una settimana davvero molto impegnativa, avevo lavorato alla Raid Suit numero due, cenato con il re, tentando di convincerlo della validità del mio lavoro, e costruito il mio congegno. Più di una volta avevo fatto saltare la corrente ed ogni volta il raggio d’azione era un po’ più ampio e la durata del blackout un po’ più lunga della precedente. Doveva essere tutto perfetto, non dovevano esserci errori. Durante il giorno ero completamente concentrata sul lavoro e non riuscivo a pensare ad altro se non alla mia fuga, sebbene non mancassero le volte in cui mi voltavo a cercare qualche attrezzo aspettandomi di trovare un bestione sorridente dai capelli verdi pronto a passarmi ciò che mi serviva. Tuttavia il momento più duro era senza ombra di dubbio la notte, quando restavo sola con i miei pensieri ed iniziavo ad avvertire la sua mancanza, non credevo sarebbe mai successo, non a me, non con lui.
 
Quello che era successo tra noi si era impresso nella mia mente come un marchio ed anche dopo cinque giorni continuava ad essere così vivido da sembrare reale. Mi capitava di sentire le sue labbra sulle mie o di sentire i polpastrelli formicolare per il bisogno di toccarlo. Alcune notti mi ero svegliata di soprassalto in un bagno di sudore e con il respiro corto, con la sensazione che lui fosse lì, sopra di me. Mi sembrava di impazzire, mi sembrava di essere andata in cortocircuito da quella notte. Nella testa continuavano a vorticarmi le sue parole, sarebbe tornato e mi avrebbe tenuto con sé. Mi sentivo una stupida a pensarci, probabilmente per lui era stata una notte come tante altre, probabilmente neanche particolarmente interessante visti gli standard a cui era abituato di solito. Probabilmente mi aveva già sostituita e dimenticata.
 
Uno come lui non era in grado di amare e la cosa più stupida che si potesse fare era innamorarsi di uno così e credere alle sue parole. Mi aveva voluta solo perché non mi aveva avuta ancora, ora le cose erano cambiate, si era tolto lo sfizio e non gli sarebbe importato più niente di me, mi avrebbe dimenticata, gettata via come un giocattolo con cui si era stancato di giocare e per me ci sarebbe stata solo la follia di Niji ad attendermi. No, non potevo vacillare, non potevo avere ripensamenti o esitazioni. Era stato bello ma dovevo sforzarmi di considerare chiuso il capitolo.
 
La tuta di Niji era praticamente ultimata, avevo dato tutti i progetti agli scienziati Germa in modo che la ultimassero loro mentre io mi dedicavo al mio dispositivo. Era il sesto giorno da quando i ragazzi erano partiti ed era arrivato il momento che anche io facessi altrettanto, avrei ultimato il congegno e sarei fuggita quella stessa notte, dirigendomi con la nave in direzione opposta a quella da cui sarebbero rientrati i Vinsmoke. Nessuno avrebbe dubitato visto che con la scusa della tuta di Niji si erano abituati ai continui ed improvvisi blackout.
 
Quando mi svegliai di soprassalto per l’ennesimo sogno in cui il dannato bestione dai capelli verdi mi faceva sua, decisi di averne avuto abbastanza. Scesi dal letto, mi vestì alla meno peggio con abiti comodi e me ne andai in laboratorio. Mancava poco all’alba ed il regno non si era ancora messo in moto, il laboratorio era vuoto e terribilmente tranquillo, il posto ideale dove potersi calmare. Sbadigliai stiracchiandomi e mi misi subito all’opera e come sempre il lavoro ebbe un effetto calmante, ora dovevo solo cercare di mantenere quella calma fino al momento della fuga e soprattutto cercare di non avere ripensamenti.
 
Stavo lavorando già da un bel pezzo quando sentì la porta aprirsi alle mie spalle, la solitudine era finita.
 
- Finalmente! Stamattina ve la siete presa comoda! Dobbiamo finire la tuta in tempo e non posso fare tutto da sola! – ormai comandavo a bacchetta quei poveri uomini che mi temevano quasi quanto i loro padroni. Ovviamente non avevano paura di me ma dei principi, temevano solo che io potessi lamentarmi con loro circa il loro operato. Devo dire che questa situazione mi faceva davvero comodo.
 
- Quando mi hanno detto che eri qui non potevo crederci. – sgranai gli occhi e sbiancai, lasciai cadere l’attrezzo che stavo usando. – Vedo che anche tu sei felice di vedermi, non sai quanto abbia aspettato questo momento. – non riuscivo a respirare. Cosa diavolo ci faceva lui qui?! Sarebbe dovuto tornare il giorno successivo. Mi voltai lentamente e quasi ebbi un mancamento. Niji, sotto l’arco della porta del suo laboratorio, ad occupare l’unica uscita da quella stanza.
 
- Dov’è Yonji? – chiesi con la voce che iniziava a tremare.
 
- In viaggio, non è ancora tornato. – entrò nella stanza ed io indietreggiai fino ad urtare il tavolo olografico alle mie spalle. Era inutile indietreggiare, non avevo via di fuga. – Non preoccuparti, ci penserò io a tenerti compagnia, in fondo abbiamo ancora una conversazione in sospeso noi due. – Chiuse la porta del laboratorio alle sue spalle. Anche se Yonji fosse arrivato, non c’era modo di aprire quella porta senza autorizzazione, non poteva aiutarmi, eravamo solo io e lui in una stanza sigillata.
 
Avanzò nella sala con calma, quasi evitandomi, si vedeva che non aveva nessuna fretta, nessuno lo avrebbe disturbato stavolta. Reincapsulò la sua vecchia tuta tornando a vestire i suoi soliti abiti, pantalone scuro, camicia bianca a maniche lunghe, cravatta allentata blu.
 
- E così sei andata a letto con mio fratello. Dimmi, ti è piaciuto? – non risposi, non avrei fiatato. Mi limitavo a tenergli gli occhi incollati addosso mentre si rimboccava le maniche. Era meno grosso di Yonji e un po’ meno alto ma era comunque molto più alto e forte di me. – Non te ne faccio una colpa sai, sei umana, tendi ad essere imperfetta per natura, tu non sei come noi. – spostai lo sguardo sulla porta chiedendomi che possibilità avessi di raggiungerla, riuscire ad aprirla e scappare. – Cosa c’è? Vuoi già andare via? – intercettò il mio sguardo. – Ma stiamo solo conversando, non ho neanche ancora cominciato a farti delle domande, non abbiamo ancora iniziato a divertirci. – ero piuttosto sicura di non volere iniziare. – Non sei curiosa di scoprire se sono meglio di lui? – ero piuttosto sicura anche di non volerlo sapere.
 
Mi sorrise e mi indicò la porta con un invito, come se volesse darmi il permesso di andarmene, solo che non ero stupida, avrei fatto esattamente il contrario di ciò che mi suggeriva. Mi voltai di scatto cercando di afferrare il guanto della sua nuova Raid Suit, era il momento di testare la potenza della sua scarica elettrica su di un super-uomo. Fu veloce, velocissimo, un vero e proprio lampo, mi afferrò per la testa e spinse giù con forza fino a farmela sbattere contro il tavolo. Continuò a tenermi la testa premuta contro il piano per non farmi muovere. Per fortuna avevo impattato con la guancia o mi avrebbe di sicuro rotto il naso.
 
- Cosa volevi fare? Attaccarmi? Pensi di poter essere in grado di reagire ad uno come me? – premeva con forza la mia testa al tavolo, credevo l’avrebbe fatta esplodere sotto le sue mani. – È divertente che tu lo creda e che ci provi. Mi piacciono molto di più quelle che reagiscono. – Mi lasciò andare la testa, mi faceva davvero male ed ero stordita per l’impatto. – Voglio farti qualche domanda, ma prima di iniziare voglio rivelarti un mio segreto. – Mi afferrò il braccio e me lo torse dietro alla schiena poi si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmelo e mi diede i brividi, ma stavolta era terrore, niente a che vedere con quelli che mi dava Yonji.
 
- Mi eccita tantissimo sentire le donne urlare, piangere, supplicare e disperarsi. E spero che tu non mi deluderai. – un po’ per il colpo alla testa e un po’ per la confessione ma mi veniva da vomitare. – E con te mi impegnerò parecchio per rendere l’esperienza indimenticabile. Adesso sei tutta mia e nessuno verrà a salvarti. – quello che era peggio è che aveva ragione, ma mi sarei impegnata a tenere la bocca chiusa, se si aspettava collaborazione da me poteva scordarselo.
 
Mi tirò su senza però lasciarmi andare il braccio, sempre restando dietro di me. Alzarmi così di scatto mi fece girare la testa, mi veniva da vomitare.
 
- Chi sei tu? – serrai le labbra. – Guarda che non rispondendo rendi solo tutto più divertente. – non gli risposi. Mi voltò di scatto e mi diede uno schiaffo talmente forte da spaccarmi il labbro, colpendo lo stesso punto che aveva impattato contro il tavolo. Persi l’equilibrio e dovetti aggrapparmi al tavolo olografico per non cadere. – Vogliamo riprovare? Chi sei tu? – cercai di afferrare qualcosa da poter usare contro di lui, qualsiasi cosa, ma lui mi vide e mi colpì di nuovo, stavolta facendomi finire a terra insieme a quello che c’era sul piano olografico. – Non ho nessuna fretta, prenditela con calma. Posso continuare per tutto il giorno. Allora, chi sei tu? –
 
- Lea… - risposi sputando il sangue che avevo in bocca. – Lea Vincius. – mi arrivò un calcio nello stomaco che mi tolse il fiato.
 
- Riprova. –
 
Cercai di riprendere fiato e sollevarmi sulle braccia. – L… Lea… Lea Vin… - mi arrivò un altro poderoso calcio che mi fece impattare contro il tavolo ribaltato. Iniziavo a sentire male ovunque e mi mancava l’aria. Tossivo in cerca di aria. Lui si accovacciò vicino a me.
 
- Vorrei dirti che mi dispiace a farti tutto questo, ma non è così. – fingeva rammarico, ma ero sicura non avesse quel sentimento nel suo bagaglio di emozioni, mi stava solo prendendo in giro. – Vuoi che cambiamo un po’ domanda mentre pensi a chi sei? – mi portai una mano allo stomaco, mi faceva proprio male.
 
- Tanto non te lo dirò… - avevo il fiato corto. – Puoi picchiarmi fino a farmi perdere conoscenza… ma non l’ho detto a lui… cosa ti fa credere che lo dirò a te? – si accigliò, lo avevo infastidito. Mi colpì di nuovo al viso poi tornò a sorridere.
 
- Perché io sono migliore di lui, in tante cose. – Si rialzò in piedi. – Non ti lascerò andare via di qui senza ottenere quello che voglio da te, tutto quello che voglio da te. Tieni i tuoi segreti quanto vuoi ma alla fine parlerai. –
 
- Tuo padre vi ha ordinato di non “rompermi”. –
 
- Ti ha già rotta Yonji, senza tra l’altro ottenere niente, per lo meno io otterrò qualcosa. – riprese a prendermi a calci, ancora e ancora e ancora, sentivo un dolore fortissimo, non riuscivo a raddrizzarmi, me ne stavo a terra raggomitolata su me stessa. – Perché non ti decidi a urlare?! – non gli avrei dato soddisfazione, ma stavo soffrendo parecchio. Mi afferrò per il collo per tirarmi su e sentì come uno strappo nel fianco che quasi mi fece perdere conoscenza. – Adesso ci penso io. Quando avrò finito con te mi dirai tutto quello che voglio sapere e nel frattempo urlerai parecchio. – Mi sbattè su di una superficie di appoggio in modo che fossi piegata in avanti, con la guancia ferita premuta sulla superficie e lo sentì strapparmi il vestito.
 
- Lasciami! Ti prego! – iniziavo a piangere ed ero tutta un dolore, stavo malissimo.
 
- Lo vedi che inizi già a migliorare? Allora, me lo dici chi sei? – stava trafficando con la fibbia della cintura mentre mi teneva ferma. Iniziai a provare a dibattermi, ma le fitte al fianco mi toglievano il respiro e quasi mi facevano perdere conoscenza. La testa mi ronzava. Provai in tutti i modi a dibattermi ma era impossibile, per fortuna lui era occupato a trafficare con i suoi pantaloni e non si era reso conto che con la punta delle dita ero arrivata al guanto della sua Raid Suit. Fu un’esplosione pazzesca che scaraventò lui attraverso la porta e me a terra, facendo saltare ovunque la corrente. Cercai di rimettermi in piedi come meglio potevo, non riuscivo a restare dritta e mi costava una gran fatica non svenire e non vomitare.
 
Uscì da quel maledetto laboratorio. Il colpo era stato fortissimo, non riuscivo a vedere dove lo avesse sbalzato e non mi importava, dovevo allontanarmi di lì prima che tornasse a prendermi. Niji aveva ragione, avrebbe continuato così anche per giorni, fino a farmi confessare, fino a prendersi tutto quello che voleva, fino a distruggermi completamente e dopo lo scherzetto del guanto sarebbe stato anche peggio. Il mio piano di fuga era saltato, le mie speranze erano saltate, ero a pezzi sia fisicamente che psicologicamente. Ed in quell’istante mi tornò alla mente l’unico consiglio che in quel momento mi sembrasse sensato.
 
Mi sforzai di mettere un piede dietro l’altro per trascinarmi, camminavo piegata con le mani strette sul fianco ed il lato sinistro del volto gonfio e tumefatto, i vestiti strappati e sporchi di sangue. Non mi aveva ancora inseguita, sapeva bene che non potessi scappare e non potessi nascondermi e d’altronde così ridotta dove potevo andare? Mi avrebbe ripresa con calma e trascinata indietro nel suo palazzo per seviziarmi. Per lui era solo un gioco e più avessi avuto la sensazione di averla scampata più si sarebbe divertito nel riacciuffarmi. Si sbagliava, avevo ancora un’alternativa, l’ultima carta da giocare. Fu davvero estenuante trascinarmi a destinazione, più di una volta ero sul punto di perdere conoscenza ma avevo tenuto duro e resistito ed ora ero lì, sulla torre più alta di Germa.
 
Respiravo a fatica ed il dolore mi stava facendo impazzire. Guardai dritto davanti a me, era una bellissima giornata ed il regno era davvero meravigioso da quella prospettiva. Mi trascinai sul bordo, non stavo piangendo, cercavo solo di continuare a respirare. C’era un bel venticello piacevole. Cercai di espirare e calmarmi, solo un passo e sarebbe tutto finito, addio dolore, addio paura, addio segreti, addio tutto, solo pace.
 
- Ma che diavolo ci fai qui sopra? Ti ho vista da lontano che venivi in questa direzione, si può sapere cosa stai combinando? – la voce di Yonji, l’avevo sentita così tante volte nei miei sogni che non sapevo se fosse reale o fosse la mia mente a suggerirmela prima della fine, mi voltai con le lacrime agli occhi o almeno ci provai perché una fitta al fianco mi fece mettere il piede in fallo ed iniziai a precipitare nel vuoto. L’ultima cosa che vidi fu la sua capigliatura verde, corta e spettinata, poi solo il cielo sul regno di Germa. Sembra assurdo, ma chi non ci è passato non lo può sapere, il momento in cui ci si sente più vivi in assoluto è quello in cui si sta per morire. Percepì una fortissima scossa di adrenalina, non la pace e la serenità che mi aspettavo ma solo la pura e semplice voglia di vivere, di vedere ancora una volta quegli occhi azzurri e stringerlo a me. Chiusi gli occhi preparandomi all’impatto, distrutta dalla consapevolezza di non avere più tempo.
 
Sentì un gran rumore dal basso, come se il lastricato di pietre sotto di me si sgretolasse per l’impatto con qualcosa di molto pesante. Il contraccolpo si riverberò in tutte le ossa del mio corpo accentuando il dolore al fianco. Quando aprì gli occhi non stavo morendo, non ero stata io a schiantarmi ma Yonji. Era saltato dietro di me e mi aveva afferrata al volo prima che potessi sfracellarmi al suolo. L’atterraggio formò un cratere sul lastricato, sotto i suoi piedi, dovuto alla violenza dell’impatto.
 
- Ma vuoi stare un po’ più attenta?! Che diavolo ci faceva li su un’imbranata come te? Se non fossi arrivato in tempo saresti… - solo in quel momento si rese conto delle mie condizioni e prese a guardarmi allarmato. – Che cosa ti è successo? – scoppiai a piangere sul suo petto stringendo convulsamente la tuta, tremavo e singhiozzavo. – È stato Niji? – al solo sentirlo nominare mi venne una crisi isterica ed iniziai a tremare senza freno con il viso tumefatto nascosto sul suo petto.
 
Non mi mise giù. Non cercò di calmarmi. Non cercò di scusarsi o giustificarsi. Non disse niente. Solo mi strinse a sé delicatamente, provando a non farmi ulteriormente male e si incamminò. Non vidi la strada, non riuscivo a fermare la crisi che stavo avendo. Mi portò al chiuso, non so dove, ma quando sentì quella voce agghiacciante per poco non mi sentì male. Mi strinsi a lui convulsamente piangendo a dirotto.
 
- Ecco dove eri finita! Ti ringrazio per avermela riportata fratello, mi ha sfasciato mezzo palazzo questa piccola strega. – Yonji cercò di staccarmi da lui ed io ebbi una fortissima crisi isterica, non volevo tornare da quel sadico bastardo, perché non mi aveva lasciata cadere? Il bestione mi poggiò a terra ed io mi rannicchiai contro la parete, incapace di reggermi in piedi e continuando ad essere scossa da tremori. – Finalmente è il mio turno con lei, le insegnerò come si tratta un principe di Germa. – Niji ghignò sadico e Yonji caricò un pugno colpendolo in pieno viso. Il fratello non stava indossando la Raid Suit per cui risentì non poco del possente colpo del ragazzo dai capelli verdi, al punto da sfondare la parete. – Ehi, ma sei impazzito?! – chiese senza rialzarsi, tramortito dal colpo. Yonji non gli rispose, lo guardò arcigno e poi tornò verso di me per prendermi di nuovo tra le braccia, appena mi fu vicino gli strinsi le braccia intorno al collo e affondai il viso sulla sua spalla continuando a piangere.
 
Arrivammo alla sua camera, non ricordo molto di come ci arrivammo tanto ero scossa, ricordo solo un gran via vai di domestici nei corridoi che correvano in ogni direzione. Provò ad appoggiarmi sul letto ma io mi aggrappai a lui irrazionalmente, come se avessi paura che lasciandolo potesse sparire di nuovo e potessi ritrovarmi di nuovo tra le mani di Niji. Mandò tutti via in malo modo dopo aver dato ordine di chiudere le tende in modo che la stanza fosse in penombra. Si sedette sul letto con indosso ancora la sua tuta, continuando a tenermi tra le braccia. Sapeva che avevo bisogno di cure ma non se la sentì di forzarmi, mi lasciò starmene lì aggrappata a lui a sfogarmi, limitandosi solo a stringermi delicatamente e ad accarezzarmi la testa e la schiena all’occorrenza.
 
Non gli piaceva vedere la gente frignare e piagnucolare, lo sapevo bene, ma non potevo farci niente ed apprezzai non poco il fatto che stesse andando contro sé stesso in quel momento. Poco alla volta iniziai a calmarmi e a respirare con calma, ero tutta un dolore e la sfuriata aveva solo peggiorato le fitte al fianco. Quando mi calmai la tuta di Yonji era zuppa di lacrime così come il mio viso. Mi mise una mano sotto il mento per sollevarlo e potermi guardare. Ero uno spettacolo pietoso, lo sentivo sulla mia pelle e lo vedevo riflesso nei suoi occhi. Sopracciglio e labbro inferiore erano spaccati, guancia e tempia escoriate e livide, zigomo spaccato, collo segnato da lividi così come il polso ed il braccio sinistro, i miei vestiti erano strappati e non osavo immaginare come dovesse apparire il mio fianco.
 
Il bestione sfiorò i segni sul mio viso delicatamente ed io chiusi gli occhi e trattenni il fiato, facevano male.
 
- Razza di bastardo! – disse a bassa voce ammirando l’opera d’arte di suo fratello. Era nervoso, lo vedevo bene, faceva una gran fatica ad essere delicato con me. Avrebbe di certo preferito spaccare qualcosa o qualcuno. – Devo curarti. – mi disse mantenendo un tono serio. – Posso appoggiarti un attimo sul letto? – feci con la testa un gesto di assenso e lui mi posò delicatamente, come se stesse maneggiando un vaso scheggiato che rischiava di rompersi.
 
Prese il kit medico che i domestici avevano portato e si mise a trafficare per prendere il disinfettante.
 
- Togliti prima la tuta. – gli dissi in un sussurro fissando il vuoto. – Io posso aspettare. – avevo un tono piatto, come se in quel momento mi trovassi lontana da lì.
 
- No, non puoi. Me la toglierò quando avremo finito. – Alzai lo sguardo su di lui.
 
- Quando ci siamo conosciuti non ti importava. –
 
- Non è la stessa cosa. – era infuriato, ma stava cercando di non dare di matto, aveva capito che ero assolutamente fragile in quel momento e credo volesse evitare un’altra crisi di pianto da parte mia.
 
- Cosa cambia? – guardavo il pavimento sconfortata, mi sentivo talmente vuota da non avere più neanche le lacrime da versare.
 
- IO NON SONO NIJI! – alzò la voce, era furioso. – IO NON TI AVREI MAI FATTO DEL MALE! Io… - alzai gli occhi su di lui e tremai leggermente quando mi urlò contro. – Non volevo alzare la voce. – si passò una mano sulla faccia e sui capelli e poi disattivò la tuta. – Non pensavo sarebbe arrivato prima di me. – non aveva la tristezza nel suo bagaglio di emozioni, per cui mostrava una insofferenza mista a nervoso, ma era tristezza. Gli dispiaceva e non sapeva come fare a dispiacersi. Cercava di provare un sentimento che non aveva idea di come provare. Era in tilt. Gli poggiai una mano sul petto e lo guardai, lui distolse lo sguardo e tornò a trafficare con il kit fino ad estrarre una garza imbevuta di disinfettante, con cui mi pulì i tagli, e la maschera bianca che settimane addietro gli avevo poggiato io sul viso.
 
Si avvicinò a me per farmela indossare ed io lo fermai, volevo che guardasse cosa aveva fatto di me suo fratello, non volevo nascondere tutto dietro ad una maschera. – Non voglio nascondermi. – gli dissi semplicemente. – Non ho fatto niente di cui debba vergognarmi. –
 
- Che cosa ti ha fatto? – mi chiese lui. Forse non voleva saperlo davvero ma credo che il dubbio lo facesse sentire ancora di più come una tigre in gabbia.
 
- Ha tentato di tirarmi fuori la verità e punirmi per quello che avevamo fatto. – non lo guardavo.
 
- Non è stata colpa tua, non hai fatto niente di sbagliato. È solo colpa sua. – mi sollevò il viso e sentì di nuovo pizzicarmi gli occhi. Lui mi abbracciò per evitare che mi mettessi di nuovo a piangere facendomi lamentare per il dolore. Mi piegai e mi portai le mani al fianco appena mi lasciò andare, con il respiro spezzato. – Che cos’hai? – mi premevo le mani al fianco ma il dolore era fortissimo. Persi i sensi.
 
Mi risvegliai non so quanto tempo dopo, ero nel suo letto e lui era lì vicino a me, sebbene stesse da sopra le coperte, si era addormentato tutto scomposto. Mi sentivo decisamente meglio, non avvertivo più il dolore al fianco. Mi tirai su a sedere e mi portai una mano allo zigomo, non c’era più né escoriazione, né gonfiore, né livido, anche il labbro non era più spaccato. Non serviva un genio ad indovinare che doveva avermi messo in una capsula. Chissà perché i nostri primi incontri finivano sempre così.
 
Sentendomi muovere si svegliò stropicciandosi gli occhi con due dita e appoggiò il viso su una mano mettendosi su un lato. – Come ti senti? – mi chiese puntandomi gli occhi addosso.
 
- Meglio. Mi hai messa in una capsula? – chiesi restituendogli lo sguardo.
 
- Eri ridotta male. – si stese sbuffando un sospiro. Gli dispiaceva, esattamente come prima che perdessi conoscenza e ancora aveva problemi a capire cosa succedesse.
 
- Non è colpa tua. – gli puntai gli occhi addosso.
 
- Ti avevo promesso che non ti avrebbe più fatto del male. –
 
- Non potevi evitarlo. –
 
- E invece si! – sbuffò con un qualcosa di simile allo sconforto. – Potevo arrivare prima, potevo convincerti a svelarmi la tua identità… Non lo so! So solo che ti avevo fatto una promessa e non l’ho mantenuta. Che uomo è uno che non è in grado di rispettare la parola data?! –
 
- Che ti importa, sono solo un giocattolo, mi ha danneggiata e tu mi hai aggiustata, tutto risolto, no? – mi guardò male. – Se lo rifarà mi aggiusterai ancora. – ero arrabbiata, gli avevo detto che non era colpa sua ma ero arrabbiata.
 
- Non lo rifarà. –
 
- E chi glielo impedirà? Tu? – ero fuori di me, era stato davvero troppo tutto quello che avevo dovuto sopportare. – Fino a quando? Fino a quando non partirai per la prossima missione? Fino a quando ti stancherai di me? –
 
- Non mi stancherò di te. –
 
- Perché siamo andati a letto insieme? Scommetto che se ci fosse stata un’altra al mio posto non avresti notato la differenza. –
 
- Non è vero! Io volevo te! – si era tirato su a sedere per avermi di fronte, il suo tono era nervoso ma provò a calmarlo. – E ti voglio ancora. – cercai di sostenere il suo sguardo ma non ce la feci e lo distolsi. Lui mi poggiò il dorso delle dita sul mento per farmi voltare a guardarlo. – Niji non ti farà del male, gli ho dato una bella lezione. Non dico che non ci riproverà, ma non glielo permetterò più. – non mi sentivo meglio, non so cosa volessi sentirmi dire da lui, ma non mi sentivo meglio.
 
Il mio piano di fuga era fallito, ero loro prigioniera e quello che era successo era solo l’anticipo di un destino inevitabile.
 
- Perché volevi farlo? – sollevai lo sguardo su di lui riscuotendomi. – Non avevo capito cosa ci facevi sulla torre, ma Reiju mi ha detto che volevi buttarti e farla finita. Perché? – era stata proprio lei a suggerirmelo.
 
- Perché credevo di non avere altra via di uscita. – confessai triste. Quando avevo perso l’equilibrio cadendo mi ero resa conto di non voler morire, di avere ancora tante cose da fare, avevo pensato a lui, al fatto che non avrei più potuto rivederlo e stringerlo. Cominciarono a scendermi le lacrime e strinsi il lenzuolo fino a farmi sbiancare le nocche. Ero quasi morta per proteggere un segreto che mi avevano imposto e sebbene credessi di essere pronta a farlo, il pensiero di lui mi aveva bloccata.
 
- Eri disposta davvero a morire pur di non rivelare chi sei? – lui non aveva paura della morte, stava tentando di capire, si stava impegnando ma erano concetti a lui estranei, tutto quello che mi riguardava lo era per lui. Non riusciva a capirmi e più ci provava più andava in confusione, ma continuava a tentare. Ero disposta davvero? Credevo di si, credevo sarebbe stato semplice e invece non ci ero riuscita perché… gli saltai letteralmente addosso stringendo le braccia intorno al suo collo e singhiozzandogli sul petto. Era stupito, non riuscivo a capire cosa mi prendesse.
 
- Credevo di non rivederti più. – biascicai tra le lacrime. Lui mi guardò stranito per qualche attimo, le mie manifestazioni di emotività lo mettevano sempre a disagio, non sapeva come affrontarle, ma iniziava a capire che in linea di massima un abbraccio risolveva sempre tutto, quindi dopo il primo momento di confusione mi strinse, forte, che quasi mi mancò il respiro, anche se non fossi sicura fosse solo per la sua forza.
 
Quando smisi di piangere mi lasciò andare ed io mi asciugai gli occhi e le guance sul dorso della mano. Non mi riuscì neanche di finire che mi trovai la sua mano dietro la testa e le labbra sulle mie. Non me ne rendevo conto ma mi era mancato proprio tanto. Gli poggiai le mani sul viso per accarezzarlo e ricambiai il suo bacio con parecchio trasporto. Aveva ragione, ne aveva sempre avuta, sarei stata io a cercarlo, sarei stata io a volerlo, ad aver bisogno di lui e non solo per essere protetta, ma perché, ad ora, era stato il motivo che mi aveva trattenuta dal salto nel vuoto. Stavo facendo un altro errore, forse ancora più grave del precedente ed invece che scappare non facevo altro che corrergli incontro.
 
Mi voleva, non c’erano dubbi, me lo aveva detto e me lo stava dimostrando, nonostante non fossi all’altezza delle donne che frequentava di solito, nonostante non avessi nessuna capacità, nonostante fossi una qualunque, nonostante non valessi niente rispetto a lui. Inspiegabilmente mi voleva… ed io volevo lui. I baci si fecero sempre più audaci ed aggressivi, aveva bisogno di me ed io di lui, tanto per il tempo in cui eravamo stati lontani quanto per quello che era successo con Niji. Dopo aver rischiato la morte mi sentivo viva come non mai e con lui quelle sensazioni si amplificavano a dismisura. Sentivo le sue mani cercarmi allo stesso modo delle mie. Non aveva bisogno di trattenersi come aveva dovuto fare la prima volta e non ne aveva neanche intenzione. Mi sfilò rapidamente la camicia da notte e la biancheria mentre provavo a togliergli la maglietta. Mi diedi della stupida a pensare che non avevo voluto guardarlo, era perfetto e le mie dita bramavano il contatto con la sua pelle.
 
Mi spinse giù e mi baciò in modo piuttosto violento prima di prendermi senza troppi preamboli ed in quel momento mi sembrò di impazzire. Lo avevo sognato nelle notti successive al nostro primo incontro, ma averlo lì, solido, caldo, reale, travolgente, era tutta un’altra storia. Fu meno complicato e imbarazzante della volta precedente, anche perché stavolta riuscivo ad ammettere con me stessa ciò che volevo e lui, come al solito, era davvero bravo a leggere i miei pensieri. Fu incredibile e aveva ragione, era capace di fare anche meglio di quanto avesse fatto la prima volta. Se quello non era un dio, ci andava davvero molto vicino. Se la prima volta sentivo di sbagliare per essere andata contro ciò che mi avevano insegnato, stavolta ero sicura di star commettendo il più grande errore della mia vita perché, che fossi disposta ad ammetterlo a me stessa oppure no, mi stavo lentamente ed inesorabilmente innamorando di un Vinsmoke.
   
 
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