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Autore: LeanhaunSidhe    03/01/2019    11 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Una forte energia si era manifestata all'improvviso. Una miriade di macchie, chiare e scure, erano apparse all'orizzonte. Sembravano uccelli che volavano in un poderoso stormo e lottavano contro un vento impetuoso. Poi, le macchie avevano cambiato forma, ingrandendosi, allungandosi, mostrando le sembianze di animali che mai gli uomini erano avvezzi a scorgere in cielo. Quando gli immensi e numerosi lupi arrivarono sopra al villaggio, le luci che segnalavano i quattro angoli dell'accampamento si spensero all'istante. Mnemosine e Zalaia si bloccarono di scatto, come se i loro corpi fosseo stati percorsi da una scossa.

All'unisono, si avvicinarono alla porta. Zalaia corse fuori, gridando al cielo. I più inesperti, che si allenavano in una piccola arena di terra battuta, erano rientrati in fretta nei loro alloggi. Mu aveva trattenuto il fiato mentre Zalaia aveva alzato le braccia al cielo e veniva coperto da una pioggia di sangue, insieme a lui, capanne e terreno. I Dunedain, ormai a una decina di metri da terra, latravano furiosi nelle loro forme animali. Solo allora, quando avevano occupato tutto lo spazio visibile, Mu si rese conto che quel sangue, in realtà, colava dalle ferite profonde inferte alle loro forme animali. Mnemosine l'aveva spinto da una parte, per lasciare libero il passaggio. I primi a trasformarsi, furono i due esemplari più magnifici, identici in tutto, tranne che nel colore delle iridi e del manto, bianco sporco uno, nero come la pece l'altro. Una donna, umana, minuta, in mezzo a quel pandemonio, era uscita da chissà dove e si reggeva un neonato al petto. Mu, tremando, era deciso ad andarle incontro per bloccarla e portarla al sicuro. Invece, fu trattenuto da Zalaia, che lo aveva afferrato e lo bloccava coi suoi fuochi fatui, come a dirgli "sta tranquillo. E' tutto a posto. E se intervieni ti sbrano."

 

Solo quando quella fragile creatura raggiunse i piedi del lupo nero e lui si accuciò quatto al tocco della sua mano, Mu capì che il mito prendeva vita sotto ai suoi occhi. Una luce potente avvolse l'animale, alto una decina di metri, restituendo poi le sembianze del cavaliere in armatura scura che aveva riportato alla vita tutti i cavalieri d'oro. Allora, Mu realizzò che doveva essere l'ancella per cui, secoli prima, Imuen era impazzito di dolore e aveva trucidato diverse persone a Rodorio. Era lo stesso essere che in quel momento stringeva a sè quelle creature fragilissime come le due uniche cose importanti e preziose. Mu si rese allora conto della reale fascino quei singolari esseri potessero esercitare sugli umani, se erano davvero disposti ad amare, perdersi ed odiare come solo i mortali sono capaci. Non faticava a credere che le divinità potessero temere i Dunedain: loro erano la testimonianza vivente che la potenza degli dei poteva essere convivere tranquillamente con la mortalità, acquistare senso da essa, essere superiore alla perfezione divina, fino a distruggerla.

Era perso in quei pensieri quando Dunedain dai capelli chiari e le iridi azzure avevano raggiunto invece Haldiar. Il viso del cavaliere bianco era teso in un'espressione altera, del tutto diversa dal sollievo che si leggeva sul viso del gemello. Si faticava a credere che fosse Haldir a domare le anime dei viventi. Tra il gruppo che lo aveva raggiunto, persa perchè più piccola, c'era anche Seleina. A Mu sembrò di scorgere un baluginio particolare nelle iridi del gigante bianco quando quella sua figlia mal riuscita si inchinò davanti a lui, a differenza degli altri, che si erano avvicinati per sostenerlo, nel caso ce ne fosse stato bisogno. Seleina restava un passo indietro rispetto agli ai compagni. Haldir fissò i suoi figli uno a uno, principessina compresa. Forse, per lei ebbe un'attenzione particolare. Mu lo ravvisò nel cenno di alzarsi che le fece. Nell'elmo che le pose tra le mani ed il cenno col capo che le fece, superando tutti i presenti. Mnemosine, a quella scena, chinò il capo.

"A quanto pare i figli di Haldir devono intevenire senza passare per l'infermeria."

Spiegò a Mu Mnemosine, serrando i pugni. Mu ripenso alle parole di Zalaia e capì che c'erano state vittime. D'altra parte non ebbe molto tempo per dispiacersi per loro: presto, l'infermeria fu riempita fino a scoppiare di feriti: tutte le brande e gli spazi disponibili erano stati occupati, parecchi distesi a terra. Era stato lasciato solo un passaggio per loro tre. Non era semplice, con quella carenza di guaritori.

Il primo che portarono a Mu fu un omore che aveva una gamba trapassata da quella che doveva essere una freccia. L'infortunato lo annusò appena e ringhiò, non seppe se più per lui, che riconobbe umano, o perchè, adagiandolo sulla branda, gli avevano fatto sbattere la gamba. Zalaia, allora, che non perdeva di vista nessun angolo dell'infermeria, l'aveva scansato in fretta, poggiato un panno con una sostanza odorosa a coprire la bocca ed il naso dell'infortunato ed estratto con una maestria che lo lasciò basito l'oggetto conficcato nelle carni di quel poveretto, senza svegliarlo.

"Vedi se puoi sanarlo."

Gli aveva quasi ordinato il ragazzo, tornando poi a svolgere un compito simile su almeno altri tre. Mu si concentrò e finì in fretta, esterrefatto. Mentre Mnemosine poteva contare su poteri simili ai suoi ma si affaticava in fretta, Zalaia era instancabile, ma poteva curare solo con pozioni, medicamenti, aghi e bende. Il dubbio che avesse sviluppato quella maestria nelle arti cerusiche fra gli uomini lo toccò parecchie volte, soprattutto quando lo vedeva fasciare e mettere punti come uno dei tanti chirurghi che operavano nelle prestigiose cliniche su cui poteva contare la reincarnazione di Athena della sua epoca. Dovette ammettere a se stesso che era bravo ed era strano sapere che fosse anche un guerriero di quel livello. Dopo circa tre ore, Mnemosine era ormai al lumicino. Si era seduta su una sedia in una stanza attigua. Mu e Zalaia la guardarono nello stesso momento. Fu allora che Imuen, abbassando la testa per entrare, perchè era troppo alto, si presentò da loro.

Senza dire nulla, mesto, aveva raggiunto Mnemosine nell'altra stanza e chiuso la porta.

Zalaia aveva sospirato.

"Se non altro, mia madre riprenderà un po' le forze grazie a Sire Imuen."

Mu non ci aveva capito molto. Aveva sentito il l'aura potente di Imuen esplodere e poi chetarsi. Lui e la guaritrice erano usciti insieme, pronti il primo a riprendere la sua strada e la seconda a terminare il suo lavoro.

 

Il gigante in nero, poi, si era rivolto a Mu. Gli aveva poggiato la mano sulla spalla. Guardandolo negli occhi, l'aveva ringraziato per l'aiuto che stava prestando.

"Se puoi, controllami quella testa calda."

Gli comunicò telepaticamente, prima di andare. Si riferiva chiaramente a Zalaia. Doveva tenere molto anche a quel ragazzo, si disse il cavaliere d'ariete, non solo come allievo e doveva riporre parecchia fiducia in lui, probabilmente perchè cavaliere di una dea che il capo dei Dunedain chiaramente rispettava e a cui voleva bene.

 

Imuen si era fatto forza, prima di avvicinarsi alla casa del villaggio che avevano preposto alla cura, se così si poteva definire, di coloro che stavano per passare a miglior vita.

La maggior parte dei figli di Haldir, rigorosamente tutti con gli occhi rossi e le guance rigate, iniziavano a dare segni di cedimento. Per celia o segno del destino, l'unica che ancora non cedeva era il loro ultimo acquisto, che agli allenamenti era leggermente sopra il livello di guardia, ma in quell'aspetto si poteva apertamente definire un portento. Il gemello gli aveva spiegato che la cosa fosse dovuta al fatto che si era allenata, se così si poteva dire, per anni, con quel cavaliere lemuriano potentissimo che si rifiutava ancora di vestire un'armatura. Seleina stava aiutando un suo guerriero ferito mortalmente, la cui piaga aperta si infettava rapidamente. Era già un miracolo che Haldir fosse riuscito a purificarlo perchè non si unisse ai perduti, che li avevano praticamente maciullati, in quello scontro. La principessa aveva aperto le mani ai lati delle tempie di quel disgraziato e piangeva silenziosa, rivivendo, certamente, più e più volte, il colpo mortale che quel poveretto aveva ricevuto. Non sapeva, fino a che punto, i figli di Haldir sentissero anche il dolore dei loro "protetti", ma certo in una gran bella misura. Difficilmente, altrimenti, si spiegava la resistenza al dolore fisico di quella scriteriata. Perchè bisognava essere matti parecchio per cercare rogna come la cercava lei, con avversari così oltre la propria portata. Poi, osservò il modo attento in cui Haldir la studiava minuziosamente, come quando erano cuccioli, e Haldir era meno il domatore delle anime dei viventi e solo una mente vivace e brillante che studiava la natura e ne carpiva gli intimi segreti. Suo fratello sapeva qualcosa che gli aveva taciuto, qualcosa che aveva accettato a fatica, perchè non lo sopportava, ma che aveva già trasformato in un vantaggio, invece che in una sconfitta. Glielo leggeva nelle palpebre abbassate, le gote rigate anche lui, le lacrime a perdersi nella barba che era ora di tagliare. Perchè se Haldir leniva più persone alla volta, i suoi figli uno solamente. Haldir che aveva mutato zanne e artigli nella durezza del diamante per non essere contaminato lui stesso dall'oscurità che dissolveva ed era diventato così duro anche nell'animo, apparentemente, da non essere più in grado di ridere di una battuta o legarsi neppure ad una persona, per non essere schiacciato dal suo potere, poichè, se ti leghi a uno, poi ti leghi a tutti, e sei perduto.

 

C'era stato, nelle ere passate, solo un attimo in cui Haldir si era permesso di essere un folle, prima ancora che un emarginato? Dopotutto, emarginato o no, lui era stato liberato, la sua donna riportata alla vita, perchè suo fratello l'aveva voluto.

Si destò dai suoi pensieri, rendendosi conto che Haldir lo fissava cupamente. I fuochi fatui delle anime dei suoi figli caduti reclamavano la pace che gli spettava. Imuen si sbrigò ad espandere la propria aura ed indicare loro la strada da seguire. Presto, in quella stanza ci fu solo silenzio.

Vennero fatte entrare delle femmine anziane che recavano vasi con sostanze odorose, per comporre i corpi. I figli di Haldir che avevano aiutato furono condotti anche loro in infermeria. Avevano tutti più o meno bisogno di un tonico per riprendere le forze.

 

Imuen, invece, volle restare da solo con suo fratello. Dopotutto avevano un legame di sangue. Era ora che gli spiegasse qualcosa, o provarci, almeno.

   
 
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