Alessandra Feodorovana era furiosa.
Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, ai concerti erano stai espunti musicisti come Wagner e Beethoven, abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica, ed i tedeschi erano i nemici.
La guerra, cominciata nell’agosto 1914, con la sicurezza di una sicura vittoria, era presto mutata in un pantano di rovine, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di pastrani, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere armi e cappotti.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, Rasputin, le cui preghiere parevano tenere in vita il principe ereditario.
Le truppe russe combattevano le forze della Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, incommensurabili le perdite.
Il generale Denikin, ritirandosi, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, i reggimenti finiti a colpi di baionette, i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia.
Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia del cugino tedesco, il Kaiser.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del governo si erano dimessi per protesta e non era servito.
Rasputin, nelle more, aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, esibendo en plein air i suoi genitali, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze, aveva ribattuto che era intoccabile. Uno scandalo più grande dei soliti, pardon, che si aggiungeva a quelli che creava con monotona regolarità.
Un poco come quando il pazzo re di Baviera, Ludwig aveva ospitato Wagner in Baviera, per poco non aveva mandato in bancarotta l’erario statale per le sue follie.
Il silenzio cadde sulla furia di lei, lui accese una sigaretta e le serpentine si innalzarono tra loro, li divideva lo scrittoio, i libri, i ritratti degli antenati.
Era invecchiato, distava anni e minuti scintillanti dal giovane principe ereditario che l’aveva ammaliata, il coscienzioso zar di quei tempi. Marito di una moglie che, dopo la nascita di Alessio, emofiliaco e fragile, si puniva per averlo generato, richiudendosi in lacrime, isteria e preghiere, per riscontare quel peccato, arroccata nella sua disperazione, la loro esistenza era un reciproco calvario.
Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, ai concerti erano stai espunti musicisti come Wagner e Beethoven, abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica, ed i tedeschi erano i nemici.
La guerra, cominciata nell’agosto 1914, con la sicurezza di una sicura vittoria, era presto mutata in un pantano di rovine, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di pastrani, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere armi e cappotti.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, Rasputin, le cui preghiere parevano tenere in vita il principe ereditario.
Le truppe russe combattevano le forze della Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, incommensurabili le perdite.
Il generale Denikin, ritirandosi, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, i reggimenti finiti a colpi di baionette, i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia.
Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia del cugino tedesco, il Kaiser.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del governo si erano dimessi per protesta e non era servito.
Rasputin, nelle more, aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, esibendo en plein air i suoi genitali, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze, aveva ribattuto che era intoccabile. Uno scandalo più grande dei soliti, pardon, che si aggiungeva a quelli che creava con monotona regolarità.
Un poco come quando il pazzo re di Baviera, Ludwig aveva ospitato Wagner in Baviera, per poco non aveva mandato in bancarotta l’erario statale per le sue follie.
Il silenzio cadde sulla furia di lei, lui accese una sigaretta e le serpentine si innalzarono tra loro, li divideva lo scrittoio, i libri, i ritratti degli antenati.
Era invecchiato, distava anni e minuti scintillanti dal giovane principe ereditario che l’aveva ammaliata, il coscienzioso zar di quei tempi. Marito di una moglie che, dopo la nascita di Alessio, emofiliaco e fragile, si puniva per averlo generato, richiudendosi in lacrime, isteria e preghiere, per riscontare quel peccato, arroccata nella sua disperazione, la loro esistenza era un reciproco calvario.