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Autore: Lost In Donbass    06/01/2019    1 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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CAPITOLO QUINDICI: SAN PIETROBURGO

My only hope is the light that’s shining from inside you
Cause you believe in what we are
You believe in what we’ll be
Give me strenght, so I can stand beside you
[t.A.T.u. – You & I]
 
Era tanto che Marina non metteva piede a San Pietroburgo, da quando era ancora sposata con Elvira, e sicuramente non si sarebbe aspettata di tornarci in compagnia di Lera. Quando la ragazza le aveva espressamente chiesto di accompagnarla a seguire quello stage universitario, non aveva perso tempo a dare la sua disponibilità. Yurij l’aveva presa in giro, ma lei era sicura che Lera era diventata una nuova protagonista della sua vita. Non sapeva perché, ma si sentiva bene quando vedeva quegli occhi di tenebra, o quando sentiva quella risata argentina – c’era qualcosa, custodito dentro la rossa, che le faceva battere il cuore. Anche in quel momento, impegnate a passeggiare per le Prospettive, gioiva segretamente del bel sorriso che Lera aveva stampato sulle labbra. Ancora innocente, in quel vestitino con i teschi, si guardava in giro con gli occhi luccicanti, le lunghe trecce che luccicavano scarlatte e un’espressione delle più benevolmente misteriose. Erano già tre giorni che erano lì e che Marina la aspettava alla fine delle lezioni per portarla a passeggiare. Si chiese come facessero ad essere così in sintonia, due giovani donne del Blocco apparentemente diversissime ma in realtà molto sole e incomprese. Quanto una cercava di ricostruire la sua vita dopo un divorzio dei peggiori, quanto l’altra si stava affacciando in un mondo che non la comprendeva e la scartava. Erano entrambe appese sul baratro, e sapevano che bastava un passo falso per l’annientamento – eppure, da quando si erano incontrate, sembrava che entrambe le loro corde si fossero rinsaldate. Si tenevano per mano, come due sorelle, e ridevano per ogni piccola cosa, incuranti delle occhiate stranite della gente. Erano le ragazze del Blocco, ed erano scandalosamente perfette nella loro imperfezione di periferia.
-Marinoch’ka, ci fermiamo a fare merenda? Ho fame.- trillò Lera, tirandola per il polso verso una pasticceria dall’aria signorile e deliziosa. Un profumo di croissant appena sfornati e di torta uccello invadeva l’ingresso e le ragazze si guardarono con un risolino affamato.
-Perché no, Leroch’ka. Offro io!
Entrarono, in un tripudio di risate e mani intrecciate, nel locale più rosa che avessero mai visto. Tutte le tonalità del colore preferito di Lera sfumavano in poltroncine con le nappe, in tavolini perfetti, in morbidi tendaggi, e in oggettistica varia, insieme a qualche dolce canzone classica passata per radio. Era un bel posto, pensò Marina, abbastanza tranquillo e abbastanza estroso per due come loro. Sollecitò la rossa verso uno dei tavolini più in disparte, proprio quello sotto una foto autografata di Alla Pugacheva, e si ritrovò a pensare che fosse perfetta in un ambiente del genere, con quei capelli, quel viso di incredibile dolcezza, quei vestitini da bambolina. Lera era perfetta nella sua follia, nella sua imperfezione, nel suo mondo incantato. Più la guardava, più vi vedeva dentro molto più che l’adolescente geniale ma ancora bambine che vedevano gli altri – no, Valerya era molto di più: era una ragazza di estrema sensibilità, buon gusto e dolcezza. Sapeva come convivere con i suoi demoni e come stare a galla, anche a fatica, sapeva come destreggiarsi nella sua follia senza perdere il senno ma anche senza perdere quella magia che le faceva brillare gli occhi di tenebra di splendide supernove.
Più la guardava e la sentiva parlare, più Marina pensava che fosse perfetta. Più toccava quelle manine lentigginose, più sentiva il cuore battere appena più veloce. Le comunicava una calma e un piacere interiore che non provava dai tempi del matrimonio con Elvira – si chiese pigramente se forse non si stesse innamorando. Beh, anche se così fosse stato, non se ne preoccupava perché innamorarsi di Lera non poteva che essere una bella cosa dopo quel divorzio drammatico che aveva dovuto subire. Lera era follia, sì, ma anche stabilità. Era stranezza, ma anche amore. Marina aveva spesso desiderato baciare quelle labbra a cuore, intrecciare quei lunghi boccoli rossi, accarezzare quelle guance lentigginose: sì, forse era innamorata di Lera, ma non se ne preoccupava. Era un sentimento tanto perfetto che anche covato così la faceva sentire bene.
-Marin’ka, cosa ne dici? Pensavo di prendere un chai latte e una fetta di torta d’uccello.
La voce allegra della ragazza la distolse dai suoi pensieri. Annuì, e sorrise, stringendo ancora la manina lentigginosa.
-Perfetto, cara. Io andrò con i bliny al miele e … sì, dai, un chai latte anche per me.
Le due ragazze si guardarono e risero, di un bel riso fresco e affettuoso, una di quelle risate che solo due ragazze innamorate senza un pensiero possono avere. Marina e Valerya si amavano ancora senza saperlo, di un amore un po’ così, tenero come due rose appena sbocciate, infantile eppure già adulto, un legame stretto e legato nelle stelle, che aspettava solamente di essere rivelato. Una col cuore spezzato che non riusciva a rappezzarsi, l’altra isolata dal resto del mondo: erano perfette per stare insieme, perché si accettavano, si guarivano, si salvavano in un mondo che non aspetta nessuno. E che sicuramente non aspetta i cuori infranti e i matti poeti.
-Marinoch’ka … so che forse è una domanda indelicata, ma … posso sapere come mai indossi una fede? Sei stata sposata?- chiese timidamente Lera, intrecciando le dita con quella della donna bionda.
Marina sospirò, assottigliando le labbra, e aumentò la presa sulle dita della rossa.
-Sì, Lera. Aveva una moglie, Elvira, ma abbiamo divorziato l’anno scorso. O meglio, lei ha chiesto il divorzio, e io … beh …
-Oh. Mi dispiace così tanto, non avevo intenzione di … - interruppe subito Lera, ma venne interrotta di nuovo da Marina.
-No, hai ragione a voler sapere. Ormai è una cosa passata, e dovrò ben parlarne prima o poi, no?- scosse un po’ la lunga coda di cavallo e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra – Io e Elvira ci conosciamo da quando eravamo bambine. Siamo cresciute insieme, io, lei e Yurij. Sai, eravamo un po’ come la Banda del Blocco. Più stupidi ancora, forse. Eravamo innamorate … e alla fine, compiuti i venticinque anni ci siamo sposate. Per me Elvira è sempre stata tutto; con lei ho fatto tutto. La prima sigaretta l’avevamo fumata insieme al Parco Mayakovsij, la prima ubriacatura è stata con lei, la prima esperienza del sesso, il primo bacio, le prime paure: lei ha costituito tutto quello che può costellare la vita di una ragazza. Eravamo inseparabili, tanto che il matrimonio era stato il finale adeguato per una storia che andava avanti sin dall’adolescenza. Io ho dato tutta me stessa per lei; il nostro era più che amore, era … tutto. Era la vita. Ma poi lei si è stufata di me. Aveva un’altra donna, e mi ha obbligata a firmare le carte del divorzio. Aveva campato su una marea di stupidi motivi per i quali non mi voleva più nei piedi, perché diceva che ero diventata noiosa, appiccicosa, mentre tutto quello che io volevo era mandare avanti quella storia scritta nelle stelle. E così alla fine ha vinto. Ho firmato quelle carte e lei è volata via da me, con quell’altra. Mai più incontrata, mai più una lettera, una chiamata, un saluto: è scomparsa dalla mia vita e io non ci sono ancora passata totalmente oltre. Ti capisco se mi dai della penosa.
-Marinoch’ka, non è affatto così.- Valerya le prese entrambe le mani, e nei suoi occhi c’era tanta comprensione. Tanto affetto. Tanto amore. – Se tu ed Elvira avevate questa storia decennale alle spalle, è ovvio che tu ci soffra disperatamente. È lei che ha sbagliato, è lei che ti ha spezzato il cuore, è lei che ha lasciato andare qualcosa di così importante. E sono sicura che dovunque sia, anche lei si sta pentendo di quello che ha fatto, perché tu sei una donna fantastica. Sei divertente e sfacciata, certo, ma sai anche come fare sentire una persona a casa. Sei dolcissima, e allo stesso tempo decisa. Sei fantastica, Marina, perché mi hai aiutato quando nessun altro sembrava in grado di farlo. Mi hai fatto sentire normale, e per una come me non è così scontato. Quando mi hai aiutato, fuori dal locale, e tutte le volte che mi hai tenuto compagnia, mi hai trattata come una principessa, ma non di cristallo, bensì una principessa guerriera. I miei stessi amici certe volte sono troppo solerti nel trattarmi come una bambola, ma non è quello che cerco: io voglio essere una ragazza come tutte le altre, e con te, con te lo sono stata e continuo ad esserlo. Quindi qui non sei tu che sbagli, ma è stata Elvira a trattarti malissimo. Capisco quanto può essere dura recuperare dopo una vita passata insieme, ma lei non ti merita e tu devi capire che a questo mondo ci sono molte altre persone che hanno bisogno di te, del tuo sorriso, della tua positività. E io sono una di quelle, Marinoch’ka.
Marina non si rese conto di star piangendo se non quando vide il sorriso dolce di Lera e sentì le sue manine asciugarle il pianto dalle guance. Piangeva in silenzio, perché non avrebbe mai pensato di sentirsi dire cose così belle da una matta ragazza del Blocco di Ekaterimburg. Non pensava nemmeno di poter essere così importante nella sua vita, e questo non faceva che renderle il cuore sempre più leggero. Soffocò un singhiozzo nel fazzoletto, e lasciò che Lera si avvicinasse a lei sul divanetto e la stringesse, facendosi coccolare da quel gioiello di ragazza dai capelli scarlatti.
-Oddio, Lera … io … scusa, sto piangendo come una deficiente …
-Piangere fa bene, tesoro. Me lo dice sempre Denisoch’ka.- Valerya le sorrise, baciandole una guancia con una tenerezza tutta sua. – E lui, anche se vuol fare il duro, piange sempre. Tutti noi piangiamo, ma la Banda del Blocco è fatta per consolarci in qualunque momento. Lo facciamo quando Ylja scappa dalla sua famiglia violenta. Lo facciamo quando Valya non regge più il peso della sua depressione. Lo facciamo quando Sasha non mangia. Lo facciamo quando Denis pensa a sua madre, che è morta. Lo facciamo quando io cado a pezzi. Lo facciamo sempre, ed è per questo che siamo così amici: conosciamo le nostre debolezze e ci sappiamo curare.
Marina annuì, sorridendo tra le lacrime
-Siete forti, Banda del Blocco.- rise un po’, tirando su col naso – Ma … come mai non hai menzionato Kuzma?
Lera rimase un attimo in dubbio, aggrottando le sopracciglia, e poi scosse la testa
-Kuzma … non piange mai. Ci consola, ma dagli anni che lo conosco non l’ho mai visto versare una sola lacrima. Non so, Marin’ka. A volte è così riservato, così …
-Tesoro, cerca di farlo piangere. Avete ragione a dire che piangere fa bene, ma capisco anche lui che vuole sembrare forte. A volte però è una lama a doppio taglio, non vorrei che gli succedesse qualcosa di brutto.- commentò la donna, asciugandosi il trucco sciolto con un fazzoletto.
-Lo farò. Ma ora come ti senti?- Lera l’abbracciò stretta, affondando il nasino in quei morbidi capelli tinti di biondo.
-Grazie a te, meglio.- Marina si sistemò un attimo e poi tornò a sorridere, stringendo forte la mano della ragazza. Poi indicò con la forchetta il cibo che era stato loro servito ed esclamò – Vogliamo favorire?
Risero entrambe, e cominciarono a mangiare, commentando qua e là, dandosi affettuosi schiaffetti e ridendo allegramente. Sì, forse era vero: Marina era davvero innamorata di Valerya. In lei c’era una purezza della quale la donna aveva disperatamente bisogno, c’era tutto quello di cui aveva bisogno dopo l’abbandono di Elvira. Perché Lera era capace di smuovere i suoi sentimenti più profondi, capace di consolarla nella sua disperazione inconsolabile, capace di farla sentire utile a qualcuno e solo dio poteva sapere quanto Marina avesse bisogno di una spalla in quel momento, qualcuno a cui dedicarsi anima e corpo, qualcuno da proteggere e da amare. E sembrava che la giovane Lera fosse caduta dal cielo proprio per lei: voleva amarla, la voleva per sé, voleva tenersela stretta e non lasciarla mai andare.
Fu proprio in quel momento, quando Lera le porse la forchetta per farle assaggiare un pezzo della sua torta che lo fece. Spostò delicatamente la forchetta, e la baciò. Senza fretta, un bacio casto sulle labbra, con tanto affetto e tanto amore, senza affrettare nulla. La baciò, e sentì un peso levarsi dal suo cuore. Quando Lera si staccò da lei, rossa in viso ed incredula, non si sentiva in colpa. Si limitò a prenderle la mano e a dire, con tutta la calma possibile
-Scusami, Leroch’ka, ma dovevo farlo. Spero che non ti abbia dato fastidio, è solo che …
Non fece in tempo a finire la frase che Valerya le prese il viso tra le mani e la baciò a sua volta, lasciando che questa volta Marina avesse pieno accesso alla sua bocca, intrecciando delicatamente le loro lingue in un gioco pacifico e dolce, un po’ melenso, forse, ma sempre d’effetto. Si baciarono a lungo, sedute su quel divanetto della deliziosa pasticceria di San Pietroburgo, le mani intrecciate, e quando si staccarono entrambe sorridevano, le fronti poggiate le une contro le altre
-Non ti scusare mai più per baciarmi.- mormorò Lera, posandole ancora un bacio a stampo sulle labbra.
Marina sorrise, e le posò un bacio sul naso. Abbassò un attimo gli occhi e poi sussurrò
-Lera, ti amo. Sappilo, ti amo, ti amo tantissimo, ma … - indugiò un attimo, incerta su come affrontare l’argomento, ma Lera fu più rapida di lei e completò la frase al posto suo.
-Lo capisco se ancora non riesci a toglierti la fede. Non ti voglio fare pressione, la toglierai solo quando sarai pronta. Ma ti amo lo stesso, Marinoch’ka. Ti amo, perché mi hai accettata per quello che sono, e il mio amore per te non tramonterà. Né ora, né mai.
  
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