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Autore: I n n e r Ebony    17/07/2009    1 recensioni
Una macchia bianca e nera attraversa il cielo plumbeo, celere. Una gazza. Fugge anche lei. Brava, scappa. Vola via. E poi? Cosa conti di fare? Arrivata in un’altra città, smetterai di nasconderti? Smetterai di spiare le vite degli altri, di volerle rubare solo per il gusto perverso di giocarci e poi buttarle?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gazze


È morta, la mia città.

La pioggia cade, e accarezza tutto quel pezzetto di mondo che i miei occhi riescono a scorgere.

Poggio la fronte calda al finestrino, lo sguardo perso di chi non vede.

Il pullman è vuoto, lo è da tempo ormai. Da mesi, o forse da anni.

Il volante si muove da solo mentre il mezzo avanza, rallentando all’approssimarsi di ogni fermata o alle richieste di passeggeri invisibili.

Da quanto tempo non li vedo? Ho l’impressione che sia trascorsa una vita intera...

Rivolgo la mia attenzione alla strada, dove le auto sembrano avere vita propria, così come biciclette e carrozzine.

Non voglio scendere, non voglio fermarmi qui. Non di nuovo...

È morta, la mia città. E io voglio solo andare via.

La pioggia lava via tutti i colori, la terra bagnata soffoca ogni profumo.

Una macchia bianca e nera attraversa il cielo plumbeo, celere. Una gazza. Fugge anche lei.

Brava, scappa. Vola via. E poi? Cosa conti di fare? Arrivata in un’altra città, smetterai di nasconderti? Smetterai di spiare le vite degli altri, di volerle rubare solo per il gusto perverso di giocarci e poi buttarle?

È morta, la mia città. E tutti i suoi abitanti sono fantasmi, spettri che si costruiscono l’illusione di un’esistenza.

Lascio il mio posto senza alzare lo sguardo. Sarebbe inutile.

Avverto una pressione sulla mia spalla, come se avessi urtato qualcuno.

“Scusa”

Ma scusa a chi, poi?

Non giunge risposta. Da tempo le voci sono svanite. Il silenzio mi avvolge completamente, togliendomi il respiro.

Schiaccio con forza il bottone, chiamando la mia fermata. In pochi istanti il pullman rallenta e le porte si aprono lentamente, senza produrre rumore.

All’aperto  avverto solo lo scrosciare monotono della pioggia.

Mi chiedo se sia in grado di sciogliere anche i miei colori. Tiro su il cappuccio, giusto per non rischiare.

È morta , la mia città. E tutto si è fatto immobile.

La auto sono ferme in mezzo alla strada, le porte dei negozi restano aperte a metà.

La pioggia stessa resta sospesa in aria.

Luci, luci tra la pioggia. Mi blocco, una mano sollevata come a cercare di afferrarle, il respiro trattenuto dai denti, che non lo lasciano uscire.

È morta, la mia città. O forse ad essere morta sono io.

Non lo so più, non lo capisco da troppo tempo.

Inseguo le luci, che appaiono e scompaiono come lampi. Corro, cercando di afferrare questi  angeli isterici ed iridescenti, e ogni sforzo è vano.

Più tento di avvicinarmi e  più veloci diventano, più si allontanano da me.

Sola, tra i capricci del cielo. O forse del mio cervello stanco.

“Ma andate un po’ a farvi fottere”

Sbotto, ma senza rinunciare alla mia corsa insensata.

Urto le gocce di pioggia, che si spaccano in mille frammenti, bagnandomi il viso e i vestiti già zuppi.

Riesco ad avvertire sussurri lontani, eppure in grado di sovrastare il rumore delle mie scarpe che picchiano con forza il terreno.

Mormorio inumano di angeli isterici.

I bagliori diminuiscono lentamente, in una sinfonia di strane risate che mi fanno rabbrividire.

Rimango col viso rivolto verso il cielo, per quella che mi sembra un’eternità, avvolta dal silenzio e da una pioggia che non vuole realmente cadere.

Scuoto con forza la testa, cercando di svegliarmi.

Illusa, è da mesi che ci provi.

Sempre più amara, dannata voce, continui a riempirmi la testa delle tue inutili ciance.

Chi sei?

Sono te.

Già... e io chi sono?

Nessuno.

È morta, la mia città. Ma la gente per la strada cammina come al solito, col suo gran vociare.

Le auto e i pullman hanno conducenti, sulle biciclette siedono bambini e signore attempate.

Guardo di sfuggita il mio riflesso su una vetrina. Non c’è. E se c’è, non lo vedo.

Raggiungo la fermata del pullman e aspetto in silenzio, le mani in tasca, gli occhi fissi davanti a me.

L’attesa dura solo un paio di minuti. Salgo, prendo posto inosservata e poggio la testa al finestrino.

È freddo. Fuori continua a scrosciare la pioggia, mangiandosi i colori.

Il viaggio riprende, come se nulla fosse accaduto.

Già...  in fondo, non succede mai nulla...

Allora zitta, chiudi la bocca e vola via.

Da brava gazza, me ne andrò da un’altra parte... Magari dove non piove.

 

  
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