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Autore: Lost In Donbass    19/01/2019    1 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO SEDICI: SEGRETI SCOMODI, MOLTO SCOMODI

The wasted years,
The wasted youth,
The pretty lies,
The ugly truth
[Marina & The Diamonds – Teen Idle]
 
-E così ci sei andato a letto.
-Non vi dico, ragazzi, è una bomba. Penso di non aver mai urlato così tanto.
-Si sente, non hai praticamente più voce, zoccola che non sei altro!
-Avrei voluto vedere te, con lui, in quel letto, e mi diceva di quelle cose …
-Tipo? Dai, cosa ti diceva?
-Mi vergogno a ripeterle … ma erano efficaci, credetemi.
-Così stretto e così bagnato per me …
-Piantala! Non sei divertente!
-E’ arrossito, vuol dire che hai colto nel segno!
-Illazioni a parte, spero di uscire con lui stasera, mi manca già.
-Mi fai venire il diabete, ragazzo.
Denis, Kuzma e Valentina risero di cuore, stravaccati nella camera del biondo. Con Valerya ancora a San Pietroburgo, Ylja perso chissà dove e Aleksandra impegnata, non era rimasto loro che starsene al calduccio in una casa. Al Covo faceva veramente troppo freddo, e si erano dimenticati la stufetta elettrica. Era uno di quei tranquilli pomeriggi autunnali dove la Banda del Blocco se ne stava pacificamente ricantucciata in un angolo, a godere delle loro stesse risate e della compagnia anche silenziosa. Erano amici per quello, quegli strani ragazzi. Sapevano godere anche dei loro silenzi, dei loro sorrisi timidi, delle loro lacrime di cristallo. Si erano spalleggiati in una periferia che non aspetta nessuno, si erano salvati a vicenda dal vortice che li avrebbe soffocati tutti e tre. Senza gli altri, non esistevano, erano fatti per creare un gruppo solido come un plotone, pronto ad uccidersi per il bene superiore della Banda. Nati per combattere fianco a fianco, dove sarebbero finiti senza l’appoggio sempiterno dei propri amici? Probabilmente tossici, suicidi, spacciatori del sottobosco del Blocco. E invece erano lì, più forti che mai, pronti a sbranare chiunque per mantenere viva la banda. Corriamo, amici, aveva detto una volta Denis, quando il tramonto calava su Ekaterimburg e l’ultimo treno per Saratov lasciava la stazione. E avevano corso, tutti e sei, dietro ad un treno che probabilmente non sarebbero mai riusciti a prendere, urlando, tenendosi per mano, avevano corso fino a cadere stravolti sul bordo delle rotaie e avevano riso, come mai in vita loro, stravaccandosi per terra, le casse con qualche canzone strappalacrime dei Green Day. Erano rimasti lì a guardare l’ultimo treno scomparire all’orizzonte, quel corriamo amici che ancora risuonava nelle orecchie. Kuzma ci stava pensando proprio in quel momento, seduto ai piedi del letto, impegnato ad accarezzare distrattamente la caviglia nuda di Denis. Sì, Denis, il ragazzo contemporaneamente più vicino e lontano che aveva.
-Ragazzi, vi ricordate? Corriamo, amici.
-Il treno per Saratov.- Valya annuì , spegnendo la sigaretta nel posacenere ormai ricolmo. Si appoggiò allo schienale della sedia girevole e sorrise beata. Per una volta in vita sua sembrava che le cose stessero andando perfettamente bene. Lei e Sasha pronte a combattere insieme. Denis di nuovo felice. Una nuova vita da vivere e da affrontare.
-Avevamo corso fino a star male.- continuò Denis, accarezzando distrattamente i capelli di Kuzma – Sulle rotaie.
-Inseguendo un sogno migratore.- Kuzma sospirò, e chiuse gli occhi per un attimo – Quanto avevamo? Quindici anni?
Gli altri due annuirono, e si presero un momento per pensare a quel giorno, all’emozione devastante che li aveva travolti, al coraggio scanzonato che era loro e solo loro, a quella canzone dei Green Day a tutto volume nelle vecchie casse. A quella voglia di fuga che li aveva da sempre caratterizzati.
-Mi chiedo perché non ci eravamo saliti davvero, su quel treno per Saratov.- commentò Valya, mordicchiandosi il labbro inferiore – Perché c’eravamo limitati a seguirlo e poi a fermarci quando ormai aveva preso velocità. Avremmo potuto scappare veramente, quel giorno.
-Non ne abbiamo mai davvero avuto il coraggio.- disse lapidario Kuzma, stringendo i denti. Si era chiesto moltissime volte come mai non erano scappati davvero, e non era mai riuscito a trovare una risposta che lo soddisfacesse. Per paura del cambiamento? O per troppo coraggio, troppa voglia di combattere a casa loro, nel loro Blocco? O forse per tutti e due i motivi. – Ci siamo tirati indietro all’ultimo perché in fondo siamo una manica di codardi.
-Oppure perché sapevamo che tanto siamo gente del Blocco, e che avremmo dovuto finire la nostra formazione nella nostra periferia.- intervenne Denis, rotolandosi un po’ sul letto – Quindici anni, fuori di testa, ma abbastanza furbi da capire che dal Blocco non se ne esce così facilmente.
-Lo rimarremo per sempre, mi sa.- sussurrò Valya, accavallando le gambe magrissime – E’ come una malattia congenita.
-Di cui non ti puoi liberare se non con la morte.- concluse tombale Kuzma, alzandosi dal pavimento e andando ad aprire la finestra.
Guardò fuori, e vide i soliti palazzi sovietici del Blocco di Ekaterimburg, grigi, distrutti, enormi e sorrise amaramente. Lui odiava quella città, odiava essere uno di loro, odiava non potersene andare perché in fondo i suoi amici avevano ragione, non ti liberavi del Blocco, del suo odore, della sua violenza. Ti marchiava l’anima e non potevi farci nulla, saresti rimasto uno di loro fino alla fine dei tempi. C’erano ragazzi come Denis, come Sasha, che non davano particolare peso alla cosa, si erano aggrappati disperatamente a questa appartenenza e non sembrano essere in grado di allontanarsi anche solo un giorno dalla loro città. C’era gente come lui invece che provava un’insofferenza incredibile contro quella periferia soffocante. Sospirò, fissando la distanza col terreno. Non lo nascondeva a sé stesso, aveva meditato il suicidio. A volte, ci pensava a come sarebbe stato buttarsi giù dalla finestra e non doversi più preoccupare di nulla. Dormire, dormire per sempre, senza dover più languire per Denis, senza dover salvare Valentina da sé stessa, senza dover sempre fare da padre a tutti, senza dover più sopportare una famiglia che aborriva. Tutti dicevano che Kuzma Lukjanen’ko era forte, era d’acciaio, ma lui pensava di non essere altro che una povera bambola bistrattata. Lui non si considerava forte, si sentiva solamente stanchissimo, debole, solo come nessun ragazzo di dicott’anni dovrebbe esserlo. Avrebbe tanto voluto che qualcosa nella sua vita andasse nel verso giusto ma sembrava che niente lo aiutasse ad affrontare una vita che ormai non riusciva più a reggere. La pressione, la tensione, l’insofferenza, tutto questo si stava facendo largo nel cuore del biondo ragazzo e lo distruggeva, lo divorava, lasciandolo spossato e distrutto. Forse era depresso, sì, molto probabilmente lo era, ma era così bravo a nascondere il suo dolore da chiudere meccanicamente tutti gli altri fuori dal suo castello di menzogne e devastazione. Avrebbe solo voluto essere felice, almeno una volta nella vita. Ridere di cuore, avere Denis tutto per sé, poter permettersi di sbagliare, non dover esaudire i desideri di tutti, non dover essere il ragazzo perfetto che la gente credeva fosse. Appoggiò la fronte al vetro freddo, osservando le foglie secche involarsi nel cielo color perla e pensò a quanto avrebbe voluto volare anche lui come le foglie. Andare lontano. Lasciarsi tutto alle spalle. Scappare lontano mille miglia dalla Russia e dal Blocco.
-Kuzja, ce l’hai ancora la foto che avevamo scattato sulle rotaie quel giorno?
La vocina di Valya lo distrasse dalla sua crisi contemplativa. Si voltò verso di lei e indicò la libreria
-Quinto raccoglitore, c’è scritto 2015-2016.
-Sapevo di poter contare su di te.
La piccola Valentina scattò in piedi e cercò di recuperare il quinto raccoglitore, dove Kuzma aveva diligentemente tenuto il diario di tutto quello che era accaduto alla Banda del Blocco. Da quando erano bambini, non c’era cosa che il biondo non avesse raccolto, catalogato e riportato nei suoi immensi raccoglitori.
La ragazza si alzò sulle punte dei piedi, tendendo le braccia, ma, ovviamente, non ci arrivava. Sbuffò sonoramente, agitando impotente le piccole manine callose
-Dai, gnomo, ti aiuto io.- rise Denis e si alzò.
-No! Ce la faccio!- strillò lei, continuando a saltellare invano.
-Sicuro, Tolokonnikova, stanga come sei.
-Ti ho detto che ce la faccio, Shostakovich!
Ora, che Valya e Denis insieme fossero un danno, Kuzma avrebbe potuto prevederlo, esattamente come avrebbe potuto prevedere che tra spintoni e finti schiaffi, i raccoglitori sarebbero rovinati al suolo. E se lo comprese, oramai era troppo tardi, perché un rumore sordo rimbombò nella stanza, insieme a tre raccoglitori che caddero al suolo, spandendo in giro tutto il loro contenuto e facendo finire per terra Denis. I ragazzi cacciarono un  urlo, prima di ritrovarsi circondati da fogli, foto, documenti, biglietti dei concerti usati.
-Ma che cazzo, ragazzi!- abbaiò esasperato Kuzma, mettendosi le mani tra i capelli – Ma stiamo scherzando?!
-Porca … scusa, Kuzjen’ka … - Denis allargò comicamente gli occhi, togliendosi qualche foglio dalla testa.
-Ops, non volevamo.- borbottò Valya, passandosi una mano tra i capelli scuri, osservando dispiaciuta il disastro.
-Oh dio, c’ho messo secoli a farli! Perché dovunque andate fate casino?- sbottò il biondo, chinandosi per terra a raccogliere disordinatamente alcuni fogli.
-Ti aiutiamo a rimettere a posto.- si offrirono gli altri due, con smorfie colpevoli.
-Mi ci manca, fareste solo altri danni.
Valentina e Denis si guardarono mogi, cercando di raccapezzarsi in quel delirio di fogli e quaderni volati dappertutto. Cominciarono in silenzio a prendere qualcosa e a depositarlo sul letto e sulla scrivania, i Bullet For My Valentine che ignari continuavano a pompare metal dalle casse. Continuarono il loro lavoro per quelle che parvero ore, mentre forse erano stati solo alcuni minuti, di sezione, di ordine, di vecchi fiori secchi contenuti in buste. Tutti sapevano quanto Kuzma ci tenesse all’ordine e alla precisione, e quanto odiasse quando qualcuno gli rovinava quel famoso ordine. E allo stesso modo tutti sapevano quanto fondamentalmente Denis e Valya fossero disordinati e imbranati. Nel frattempo, Kuzma continuava a pensare a quel corriamo, amici. C’erano momenti in cui era stato tentato di fare uno zaino e scappare, anche da solo, prendere il primo treno e fuggire lontano da quella vita che gli andava sempre più stretta. Ricostruirsi un’esistenza all’estero, cercare di cambiare, di seppellire il Kuzma del Blocco sotto strati di nuovi ricordi, di nuove avventure, di nuove adolescenze, ma ogni volta si era bloccato. Non sapeva perché, ma qualcosa lo legava indissolubilmente a quella città, al suo gruppo di amici, a quei palazzi immensi e semidistrutti. Scappare, scappare via, scappare da sé stesso. Sistemò con cura i sei biglietti del concerto dei Tokio Hotel e quelli di qualche festival hip-hop, cercando di spiegare a Valya come catalogare le pagine del diario dell’anno prima, quando la musica si spense di colpo e la voce di Denis ruppe il silenzio
-Ragazzi, ma che roba è questa?
I due si voltarono, e, non appena si resero conto di cosa stesse tenendo in mano, ebbero un tuffo al cuore. Kuzma sbiancò, e Valentina si mise la manina davanti alla bocca, indietreggiando. No. Non era possibile che l’avesse trovato. La ragazza sentì il terreno sotto i piedi spalancarsi, e trattenne a stento un urlo. Quei fogli … quel segreto … la sua vita …
-Dammeli subito!- strillò, saltando verso l’amico, ma Denis li sollevò in alto, dove lei non sarebbe mai potuta arrivare.
-Denis, lasciali stare.- sbottò Kuzma, fulminandolo.
-Che cazzo di roba è.- ripeté il capobanda, scostandosi il ciuffo dal viso.
-Niente che ti interessi.- continuò a strillare Valya, sentendo gli occhi pungerle dal pianto. Non poteva stare succedendo veramente, doveva essere un incubo.
-Invece sì che mi interessa!- urlò Denis, sbattendo il piede per terra – Sono documenti di un aborto! Ma che razza di storia è!?
A sentire quella parola, il silenzio calò nuovamente nella stanza. Aborto. Quella parola che Valentina non riusciva più a pronunciare da quella fatidica notte di un anno prima, quando si era ritrovata con Kuzma in quell’ospedale, le manine intrecciate sulla pancia appena rigonfia e lacrime già pronte a scioglierle il trucco. La ragazza cadde seduta sul letto, la bocca spalancata e la respirazione accelerata. Non voleva che il suo segreto fosse riportato alla luce così brutalmente, non voleva ritornare a pensare a quel giorno maledetto nel quale aveva scoperto di essere incinta, non voleva tornare a sentire quello spiazzante senso di colpa e quel dolore soffocante alla gola. Non voleva e basta.
-Den, per piacere … - iniziò Kuzma, ma anche lui aveva capito benissimo che adesso era arrivato il momento tanto temuto. Rivelare il segreto più oscuro della Banda. Fare i conti con la spaccatura a cui avrebbe inevitabilmente portato. E tutto si sarebbe come al solito rovesciato su di lui, portandolo ad agonizzare sempre di più nella sua depressione devastante e assassina.
-Cos’è. Vi chiedo solo questo. Cos’è.- Denis li guardò entrambi con i grandi occhi ambrati spalancati. Aveva suborodato qualcosa, i ragazzi se n’erano perfettamente accorti. Ma cosa fare, a quel punto? Continuare a mentire? Inventarsi una bugia? O dire tutta la verità, e guardare come li avrebbe massacrati? Kuzma non sapeva quale male scegliere.
-Ho avuto un aborto.- la voce di Valya si fece sentire, improvvisamente fragile come quella di una libellula – Ero rimasta incinta l’anno scorso.
-Incinta?! E come mai non ne sapevo nulla? Perché avete tenuto nascosto una cosa del genere alla Banda?- sbottò Denis, passandosi una mano tra i capelli. – Cristo, il nostro motto è proprio non avere segreti e voi due ve ne uscite con una cosa del genere!
-Non te l’abbiamo detto perché … - cominciò Kuzma, per essere interrotto brutalmente dall’urlo di Valya
-Perché eri tu il padre di quel dannatissimo bambino!
La frase rimase per un secondo sospesa nella stanza, insieme agli sguardi che i tre si scambiarono. E c’era tanto, in quegli sguardi. Dolore, sorpresa, tradimento, amicizia, sconvolgimento, c’era tutto quello su cui era fondata la Banda del Blocco. Perché ora che quel segreto malsano era venuto alla luce, col suo marcescente olezzo, era arrivato il momento di testarsi: avrebbero resistito all’urto, come erano soliti dire, o sarebbero caduti a pezzi, senza nessuna possibilità di risalita? Era tutto da vedere, ma si stavano chiedendo se veramente fosse valso la pena di buttare tutto all’aria per una cosa del genere.
-Eh?- Denis sbatté le lunghe ciglia, alzando un sopracciglio – Com’è possibile, io e te non abbiamo mai scopato, Valya!
-E invece sì! Fai mente locale: l’anno scorso, festa a casa di Sasha. Ylja si sente male, ha un attacco d’asma, non sappiamo come fare. Kuzja, Sasha e Lera lo caricano in macchina e lo portano all’ospedale. Rimaniamo io e te, a guardare la casa. Continuiamo a bere quel che resta della vodka. Eravamo ubriachi marci, e pieni di cannabis da stare male. Beh, in quelle condizioni lì, sì, abbiamo fatto sesso. E io sono rimasta incinta. E ho abortito.
Denis e Valentina si guardarono a lungo negli occhi, ambra dentro blu notte, prima che lui scoppiasse istericamente a ridere.
-Non ci credo. Non ci posso credere. Non ci credo.- si accese nervosamente una sigaretta, prima di sbattere il pugno sul muro – Ma perché cazzo non me lo avete detto?! Perché?!
-Perché avevo paura, okay?!- abbaiò lei, scoppiando in lacrime – Avevo paura, avevamo entrambi tradito Sasha nel suo stesso letto, ero incinta, Denis! Incinta!
-Ma avrei avuto il dannato diritto di saperlo!- urlò lui, spedendo un po’ di cenere sul pavimento – Cristo, che cazzo di casino!
-Rimarrà tra queste quattro mura.- intervenne Kuzma, tranquillamente. Gli altri lo fissarono con tanto d’occhi – Abbiamo sbagliato, Den, forse avremmo dovuto dirtelo subito, ma ormai quel che è fatto è fatto. Ma ora basta, questo non dovrà mai più saperlo nessuno. È passato un anno, e ne passerano altri mille prima che qualcuno scopra questo disastro.
-Perché non me l’avete detto?- insisté Denis, lasciandosi cadere sulla poltrona – Mi considerate davvero così stupido?
-Non è per quello, ma avresti potuto sclerare, come hai fatto adesso, e Valya non aveva bisogno di altri problemi in quel momento.- rispose Kuzma, accarezzandogli delicatamente i capelli scompigliati. – Scusaci, Denisoch’ka.
Denis si scostò dalla mano dell’amico e inspirò il fumo della sigaretta. Era tutto un disastro, un fottuto disastro, e come al solito loro ne finivano immersi fino al collo. Si chiese perché alle fine finissero sempre per dover combattere come matti nella loro vita disastrata e disturbata. Perché dovessero sempre esserci problemi, perché non potevano essere degli adolescenti normali come tutti i loro coetanei, ma essere sempre sotto pressione, sempre avvolti dalla devastazione e dal dolore. Guardò Valentina, raggomitolata sul letto, che singhiozzava e Kuzma, accanto alla finestra, che li guardava con quei suoi tristi occhi celesti. Sospirò rumorosamente e si alzò, andandosi a sedere accanto all’amica, toccandole delicatamente la spalla gracile
-Valya …
-Io non volevo, non …
-Respira, Valyoch’ka. E raccontatemi. Voglio sapere tutto. Ma questa volta, per favore, non mentite. Se dobbiamo portare il peso di questa cosa, vorrei che almeno fossimo in tre. Passatemi un po’ del vostro bagaglio di dolore, perché forse riusciremo a portarlo meglio. Dai, racconta. E, per favore, non piangere più.
  
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