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Autore: Isara_94    21/01/2019    0 recensioni
La vita di John Watson è al servizio dell'Impero Britannico. Una notte incontra per caso uno strano pirata e lo arresta. Il famigerato capitano pirata Sherlock Holmes, invece, lo trascina nel suo mondo fatto di tesori, avventura e leggende.
John comincia a dubitare: è lui ad aver catturato capitan Holmes, oppure il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Edit: il testo è stato rimaneggiato aggiungendo un ulteriore paragrafo. Mi scuso profondamente, mi sono accorta in corso d'opera che si sarebbe trattato di un'errore di continuità con ciò che intendevo inserire nel prossimo capitolo.

Giornale di bordo:
9 febbraio
Vento nord-nord est
La navigazione procede a rilento, tempo bizzoso con frequenti bonacce da dieci giorni a questa parte. I più superstiziosi fra l’equipaggio sostengono sia grazie alla presenza a bordo del già noto W. S. S. Holmes, attualmente in mia custodia fino al nostro arrivo in Giamaica dove sarà consegnato alle autorità, ipotesi affatto sensata ma incredibilmente popolare data la quantità di leggende e racconti sul suo conto. Aggiungo che il prigioniero non fa assolutamente nulla per smentire o confermare alcunchè, al contrario mostra un certo diletto nel crogiolarsi in questo suo alone di mistero in quanto una discreta percentuale degli uomini vedendolo passare s’affretta a fare tre o quattro passi indietro e per buona misura si segna pure con una devozione mai riscontrata prima d’ora.
Per quanto concerne la sua salute, il dottor Stamford al quale ho affidato le cure riporta con soddisfazione che le sue condizioni migliorano ogni giorno di più nonostante la gravità delle ferite riportate e il suo rifiuto di mostrare il minimo buonsenso rinunciando almeno temporaneamente alle sue discutibili abitudini. Fuma non appena ne ha l’occasione indipendentemente da dove si trovi con sprezzo dei regolamenti, cito la sua idea di provarci nelle immediate vicinanze del deposito munizioni adducendo in sua difesa scuse poco probabili; e ha il detestabile vezzo di masticare foglie di coca alla maniera degli Indios così da non sentire fatica o fame. Debbo notare gli effetti analgesici di tale pratica; di fatto però noto soprattutto quanto gli sia deleteria essendo di personalità melanconica e dunque propenso al digiuno, e riporto come con una singola assunzione non abbia toccato cibo nei giorni immediatamente successivi al suo imbarco né chiuso occhio se non per brevi periodi. “Rimedio” prontamente sequestrato e gettato in mare. Conservarlo avrebbe, temo, costituito una tentazione tale da indurre Holmes a qualche irruzione notturna nei miei alloggi.
Detto pirata dimostra inoltre un generale malanimo nei confronti dell’autorità: manca di rispetto al medico, agli ufficiali, al sottoscritto e quando vuol star zitto lo fa senza preavviso. In silenzio poi ci resta così a lungo da far credere abbia fatto fioretto.
Aggiungo inoltre come non sembri concepire lo scopo di una porta chiusa e cosa ci si aspetta da lui quando si trova dal lato serrato della medesima. Apparentemente, considera il concetto di reclusione equivalente a quello di sfida per passare il tempo. Alle volte ho perfino motivo di credere che la sua presenza a bordo sia da ricondurre a una scelta personale piuttosto che
 
.:O:.
 
Tirò una riga decisa sulla frase incompleta.
-Cosa stai scrivendo?-
Ignorò la domanda, arricciando il naso non appena arrivò una zaffata di fumo acre.
-Un po’ presto per aggiornare già i registri…-
-Tengo un diario personale- rispose laconico, volendo chiudere il discorso sul nascere –Ci scrivo quello che mi capita nel privato-
-Quindi stai scrivendo di me-
-Non hai del tabacco con cui tornare a causarti del danno fisico, Holmes?- sbottò infine il biondo, snervato dal costante sarcasmo del pirata correntemente appollaiato sulla fila di armadi che correva sotto alle grandi finestre che inondavano la cabina di luce. Aveva dovuto concedergli il privilegio di restare nei suoi alloggi privati per assicurarsi che gli uomini decidessero di farsi passare il prurito alle mani dopo aver ricevuto non meno di due o tre caustici insulti ciascuno per tutta la mezz’ora appena trascorsa. Aveva ovviamente dovuto acconsentire e concedere anche l’implicito permesso di spalancare per bene almeno un’anta per non appestare la cabina essendo chiaro che, senza fornirgli qualcosa per passare il tempo, il pirata si sarebbe messo a ficcanasare ovunque essendo evidente che non riusciva affatto ad astenersi dal dedurre finanche il più insignificante dettaglio di chiunque destasse la sua curiosità. Ma se il vento tirava nella direzione giusta per far andare avanti la nave sicuramente non giovava a lui che con sommo scorno si ritrovava puntualmente affumicato.
Pur non volendo voltarsi, aveva ormai una certa immagine mentale del trentenne alle sue spalle. Ci aveva convissuto abbastanza da poter interpretare correttamente i suoi silenzi. Ad esempio, nulla l’avrebbe indotto a credere che su quelle labbra così assurdamente ben disegnate non ci fosse stampato quell’accenno di sorrisetto divertito che Holmes aveva più o meno tutte le volte in cui riusciva nell’impresa di fargli perder la pazienza in qualche modo.
Non che si sforzasse poi molto per rendersi più amabile. Eppure John lo lasciava fare, sempre.
Avrebbe potuto chiuderlo sottocoperta e assicurarsi che non ne uscisse più, per quanti trucchi potesse conoscere in qualità di scassinatore sarebbe difficilmente andato lontano una volta che gli fossero stati sottratto fino all’ultimo attrezzo, e invece lo tollerava a gironzolare per il ponte a contemplare l’oceano. Poteva sedere nella sua cabina a godere della cena in santa pace e finiva invece con l’interessarsi, o con l’insistere, che il pirata non avesse saltato il pasto come tendeva a fare quando aveva qualche pensiero per la testa. Cosa che accadeva più frequentemente di quanto John s’era aspettato.
Con suo sommo stupore si era quasi assuefatto all’idea di Holmes a bordo come ci si abitua alla presenza di una creatura esotica da tenere per compagnia, pure se mordace. Quando non faceva del suo peggio per rendersi insopportabile, era l’unico lì in grado di offrirgli un valido aiuto contro la noia delle giornate sempre uguali. Magari involontariamente, con qualche deduzione che contribuiva ad attirargli le antipatie dell’equipaggio ma che guadagnava invece il suo puntuale e sincero apprezzamento. Altre volte con quei suoi modi sempre così elegantemente noncuranti che stonavano con il suo trovarsi lì, accusato di un crimine che così poco si addiceva all’evidente passato di promettente rampollo di buona famiglia.
Scosse la testa, riponendo il diario nel cassetto e rinunciando a scrivere avendo non proprio serenamente accettato che qualunque sciocca ipotesi personale doveva restare ben lontana da pennino e calamaio. E poi… se quello che voleva era la conversazione, l’avrebbe avuta, ma certamente non godendo dell’imbarazzo in cui amava mettere gli altri.
-Illuminami, perché avrei spedito nella stiva tre dei miei uomini da te accuratamente selezionati?- domandò mentre armato di straccio puliva il pennino dall’inchiostro.
Della boccata di pipa avvertì unicamente lo sbuffare quieto –Mi sono sembrati i meno ottusi di tutta la compagnia, non che ci fosse poi una gran scelta- il mobile scricchiolò sotto il peso del giovane, sportosi fuori per qualche motivo fuori dalla finestra, a scrutare il mare con un piglio inspiegabilmente perplesso –E sono quelli che hanno un buon orecchio-
-Buona questa- ribattè John, comodamente sprofondato nello schienale alto della sedia senza far caso all’orizzonte nuvoloso che invece pareva interessare l’altro a tal punto da rischiare un serio volo giù di sotto nella bianca spuma della scia che la nave si stava lasciando dietro, se solo si fosse sporto appena più in là –Ero convinto servisse la vista sana per trovare un clandestino. E perché dovrebbe essere diverso dalle altre volte? Abbiamo già cercato, senza risultati-
-L’altra volta non avete fatto cercare me-
John ridacchiò sardonico –Oh, ora abbiamo anche il dono dell’ubiquità?-
Ebbe la soddisfazione di vederlo esibirsi in un gesto impaziente –Non sono ancora così annoiato da scomodarmi per un problema banale come questo-
Doveva essere onesto, non si aspettava affatto che Sherlock riuscisse a cavare un ragno dal buco: non poteva fisicamente essere in grado di trovare un clandestino, e per giunta senza muoversi da dov’era, quando un intero equipaggio non era riuscito ad acciuffarlo. Provare però non costava nulla. Per male che fosse andata avrebbero potuto escludere quell’ipotesi una volta per tutte e cercare il vero responsabile altrove.
Si era esposto, e parecchio. Alla sola idea di esser comandati e giudicati consoni o meno da un pirata ben più di uno dei presenti aveva espresso il proprio disprezzo malcelato da dissenso, almeno finchè non era intervenuto in ruolo di capitano zittendo tutti quanti e ordinando di lasciargli fare un tentativo, e aveva preso a scrivere più per avere qualcosa da fare mentre pensava a come riconquistare il favore dei suoi uomini più che per dovere di cronaca.
Ormai erano in troppi a sostenere che si stesse lasciando stregare da Holmes, voci e pettegolezzi mezzi mormorati durante il lavoro quando gli ufficiali e il nostromo erano troppo lontani per ascoltare. Baggianate di marinai ignoranti, ovviamente, non c’era stregoneria in quel giovane che non fosse la logica acuta e tagliente quanto lo era la sua lingua. Ma nondimeno, baggianate estremamente pericolose quando condivise da una maggioranza malcontenta stipata in pochi metri quadrati in mezzo al mare senza alcuna terra in vista da giorni.
La conversazione, come i pensieri di John, s’interruppe dal brusco bussare alla porta.
-Avanti- fece, senza dare il tempo a chiunque fosse dall’altra parte di battere sul legno una seconda volta. La vista che gli si presentò lo lasciò lì, derubato fin dell’ultima parola.
In braccio a uno dei sottufficiali, c’era un fagotto di stracci che solo dopo una lunga occhiata si rivelava essere il famigerato clandestino: un ragazzino dai riccioli arruffati che dava l’idea di non aver visto il sole da un bel pezzo, scalzo e tremante.
Scottava di febbre che dopo un esame veloce si rivelò la prevedibile conseguenza di un morso di ratto, John ordinò subito che fosse portato in infermeria senza perdere altro tempo. Prima Stamford gli avesse somministrato le giuste cure, più possibilità c’erano che il piccolo superasse la nottata.
-Ma signore…-
-Non sono stato abbastanza chiaro, tenente?- domandò con tutta l’autorità di cui disponeva, interrompendolo. Ebbe la strana, per nulla spiacevole, sensazione di essere osservato da un inaspettato paio d’occhi cangianti che tornarono a posarsi veloci altrove prima che potesse voltarsi. Un’altra stranezza, che sarebbe stata perfettamente spiegata se solo avesse voluto ammettere che era un qualcosa che accadeva ogni volta in cui ricorreva in modo piuttosto spiccio ai suoi gradi per farsi rispettare.
Cosa fare dei clandestini inoltre era a totale discrezione del capitano, e poco importava quello che la maggior parte dei suoi pari grado avrebbe fatto se fossero stati lì al posto suo. Era pericoloso imbarcarsi di nascosto su una nave, peggio ancora se la nave apparteneva alla Marina di Sua Maestà, solo un disperato si sarebbe preso un simile rischio. E quanto poteva esserlo un ragazzino che non poteva avere più di dieci anni?
-Cristallino, signore- mormorò a denti stretti quello, scoccando un’occhiata velenosa al pirata ancora intento a fumare, per poi girare i tacchi portando il febbricitante fardello sottocoperta.
 
.:O:.
 
Quella sera diede ordine che il pirata fosse portato nuovamente nei suoi alloggi.
Notò come nessuno si sognò di mettere in discussione alcunchè, anzi, ebbe quasi la certezza di aver sentito certi sghignazzi da parte delle due giubbe rosse che aveva convocato e qualche commento su quanto pure loro avrebbero trovato piacevole della compagnia in una nottata fredda come quella, così insolita per la latitudine in cui si trovavano.
L’orologio posato sullo scrittoio aveva appena battuto le nove quando i due soldati si annunciarono, solo per mostrare di esser tornati a mani vuote. A detta loro “non era dove l’avevano visto l’ultima volta”. Li congedò sbuffando, incredulo di come fosse possibile perdersi quella pertica d’uomo con la stessa facile casualità con cui ci si perde un bottone. Non fosse stata sufficiente l’altezza era ben difficile non notare l’unico che se ne andava bardato con vesti così scenograficamente appariscenti in mezzo a decine di uniformi tutte uguali, aggiunse mentre andava formandosi un’esilarante ma quanto mai azzeccata immagine mentale di un pavone che tenta inutilmente di mescolarsi a uno stormo di corvi.
Nel suo girovagare infruttuoso, capitò nell’infermeria che s’era inventato insieme a Stamford una volta compreso che la Corona non aveva poi veramente a cuore di riservar spazio per i feriti. Sacrificando quel già minimo spazio che i marinai avevano a disposizione per stendere le amache e consumare i pasti, con un paio di paratie commissionate al carpentiere di bordo con quel che c’era disponibile, lui e l’amico avevano improvvisato quella stanzetta piccola, stretta e comunque inservibile quando c’era più di un paziente a cui dover badare.
Mike era intento a riordinare, ripulendo il tavolo che serviva quando c’era da operare e affaccendandosi qua e là per riporre strumenti e medicinali al loro giusto posto. Era sempre qualcosa di a dir poco comico per John, le forme paffute del vecchio compagno di studi proprio non si addicevano all’esiguo spazio di quel ristretto spazio lavorativo.
Scambiò appena un saluto non senza notare come il compare fosse di ottimo umore, rivolgendo poi la sua attenzione alla branda nell’angolo più scuro dove era stato sistemato il loro giovane ospite. Il ragazzino era ancora preda della febbre, e dei sogni che essa procura. Sarebbe stata una nottata d’inferno per quel piccoletto, pensò scostandogli i riccioli madidi di sudore per posargli sulla fronte una pezza imbevuta d’acqua fredda in un tentativo di abbassargli la temperatura.
-Certo non una cosa che si vede tutti i giorni…-
John voltò sui tacchi, improvvisamente interessato -Come?-
-Holmes. Certamente è uno dei pirati meno convenzionali che si siano mai visti, ne convieni?-
Il biondo diede un’alzata di spalle. Come se si fossero visti poi tutti quei pirati a bordo con cui fare un degno confronto, rispose, per lo più si era trattato di pesci piccoli. Sprovveduti con più alcol in corpo che cognizione, come li avrebbe probabilmente definiti il loro ben più accorto collega, convinti di potersi arricchire in poco tempo mettendosi al servizio di capitani che erano quel poco più istruiti da riuscire a indovinare da che parte puntava una bussola e poca o inesistente lungimiranza che li spingeva a mosse azzardate come darsi ai festeggiamenti appena dopo una razzia bevendo fino all’incoscienza e rendendosi una facile preda per la Marina.
-Troppo di buon umore per aver appena messo a letto un ragazzino mezzo morto- considerò osservandone l’atteggiamento serafico –Sputa il rospo, voglio sapere che ha combinato ancora- non si degnò nemmeno di trovare un soggetto nella frase, il sottinteso che si riferisse proprio a Sherlock era dolorosamente evidente.
Cominciava a notare un certo schema ricorrente negli ultimi avvenimenti. Si partiva con problemi, strani al limite dell’assurdo, a cui il moro decideva spontaneamente di applicarvisi una volta raggiunto un livello di intrattabile irritabilità inaccettabile perfino per i suoi stessi gusti. Che poi ci riuscisse pure, a sbrogliare quei grattacapi, era un piacevole effetto collaterale a beneficio di chi gli stava attorno perché lui dal canto suo perdeva immediatamente ogni interesse una volta trovata la soluzione.
E Stamford non potè che cantare le lodi di quel giovane che con poche occhiate aveva suggerito una possibile cura per quella che altrimenti sarebbe stata trattata come una comune febbre a seguito di un morso infetto.
-Dice di aver visto sintomi identici durante uno dei suoi viaggi in Estremo Oriente- riferì il corpulento medico, sbuffando una risatina –Alcuni medici sembra siano in grado di contrastare l’infezione con certe misture, come sia riuscito a farselo rivelare e come si sia procurato poi quell’intruglio temo lo sappiano solo lui stesso e il demonio!-
-Ma non mi dire…- commentò John, a sua volta spiazzato. Non tanto dalla prevedibile nuova, sospettava che l’inchiostro sotto la pelle alabastrina non fosse l’unica cosa che il giovane aveva riportato dalle sue frequentazioni asiatiche, quanto dall’apparente infinita sete di conoscenza che doveva averlo portato non solo a interessarsi della medicina locale ma pure della lingua e delle maniere di quella gente se quel che intendeva era ottenere spiegazioni: quel che meno ci si sarebbe aspettati da qualcuno che traeva il proprio sostentamento da quel che toglieva con la forza ad altri.
C’era un solo modo per risolvere la sua, di curiosità insaziabile: scoprire dove diamine s’era andato a cacciare quel maledetto pirata.
 
.:O:.
 
Per il tempo che gli occorse a perlustrare il resto dei ponti sottocoperta arrendendosi all’evidenza che Holmes non si trovasse da nessuna parte, il freddo era andato peggiorando considerevolmente. Infide raffiche gelide spazzavano il ponte infilandosi in fessure e colletti, le vele schioccavano a ogni nuova folata facendo vibrare scotte, cime e sartie ad una maniera che, a un marinaio con più immaginazione, sarebbero sicuramente parse dotate di volontà propria. Il canto, poi, non faceva che rendere ancor più lugubre l’atmosfera.
Non tanto che chiunque fosse proprio non vi fosse portato, tutt’altro era sorprendentemente… e il pensiero gli si fermò lì. Gli risultò complicato trovare al primo colpo un aggettivo che fosse adeguato. Certamente non era la canzone migliore che gli fosse capitato di ascoltare, chi stava cantando era evidente che lo faceva per piacer suo. Doveva aver accettato di non avere l’estensione vocale né la tecnica che si richiedevano a uno che cantasse per mestiere.
Eppure, notò il capitano, era ammaliante. Ecco, probabilmente era quello il termine che stava cercando: ammaliante. Perché nonostante il testo della canzone, una ballata conosciuta per essere stata scritta in risposta a una attribuita a suo tempo a uno degli innominati poveri diavoli che avevano avuto il dubbio onore di soggiornare fra le famigerate mura di Bedlam o che così sostenevano; contenesse rime prive di senso che evocavano spesso in chi le ascoltava sensazioni di inquietudine il ritmo cantilenante dei versi, un costante su e giù che seguiva il beccheggio della nave sulle onde lo rendeva qualcosa di difficile da ignorare. Una melodia che penetrava nella testa e che vi restava distogliendo l’attenzione da qualunque altro pensiero.
Realizzò di aver passato alcuni minuti lì, fermo nel mezzo del ponte con lo sguardo perso nel vuoto senza aver fatto altro che ascoltare. Si riebbe scuotendo la testa, non trovando però lo stesso sollievo che il gesto gli avrebbe fornito in una situazione diversa. Nel suo caso, fu utile appena quel tanto che bastava da permettergli di capire quale direzione prendere per trovare il responsabile e ricordargli l’originario motivo per cui un marinaio, di notte, avrebbe dovuto far silenzio.
La superstizione voleva che come l’atto del fischiare equivalesse a sfidare il vento, e che dunque fosse raccomandabile farlo unicamente quando le circostanze richiedevano qualche nodo in più, nominare in una volta sola spiriti, demoni, fate e chissà che altre creature della medesima sorta a quell’ora della notte era praticamente come chiedere di incappare in qualche disgrazia.
Ma lui amava ritenersi un uomo di scienza, e aveva imparato in gioventù che intrattenersi a quella maniera di giorno poteva rendere difficile capire ordini e comandi durante la navigazione e a notte fonda era perfettamente utile ad attirare non tanto l’attenzione di malasorte e spiriti maligni quanto piuttosto di chiunque navigasse nelle vicinanze e avesse intenzioni meno che onorevoli. Il vento era capace di portar con sé i suoni allo stesso modo in cui spostava le nubi e la polvere dalla terraferma, a beneficio di chiunque si trovasse nella direzione giusta per ascoltare. Inoltre era quasi impossibile avere la certezza di dove fosse una certa imbarcazione, se a bordo venivano spente le luci, e tantomeno identificarne le bandiere e capire se chi si stava per incrociare era un amico oppure no.
Nel salire i gradini che portavano al ponte di comando sul cassero di poppa notò il timoniere di turno con lo stesso sguardo trasognato che sicuramente doveva aver avuto lui stesso poco prima, e se ne sarebbe stupito se non avesse finalmente riconosciuto la voce come quella dell’uomo per cui aveva dovuto letteralmente setacciare tutta la nave da prua a poppa.
-Davvero un personaggio dai mille talenti, prima medico e ora pure cantore- ironizzò seccamente, lasciando trasparire un po’ della sua irritazione. La risposta non fece altro che alterarlo maggiormente.
-Dubito sinceramente di poter impressionare un impresario teatrale- rispose pacatamente Holmes appoggiato alla murata di babordo ad osservare il mare com’era sua consuetudine –O di poter operare con la stessa precisione che avete mostrato a Santo Domingo- aggiunse infine, quasi intendesse sinceramente schermirsi.
-Non voleva essere un apprezzamento-
Gli occhi del giovane si sgranarono per un secondo, un chiaro segno di comprensione insieme al “oh” appena mormorato. E per un istante, un singolo istante, John si detestò nel vedere con che espressione era tornato ad interessarsi delle onde. Considerò pure di non far cenno al fatto che salire lì dove a parte gli ufficiali e il timoniere nessun altro poteva stare avrebbe avuto conseguenze sul privilegio che aveva di potersi muovere a suo piacimento, perché pareva che negare di aver apprezzato quel suo sfoggio di conoscenze fosse già stata una punizione sufficiente.
Ma appunto, fu solo per un istante: quello aveva già ripreso con un’altra nenia forse pure meno indicata della precedente, decise dopo una veloce analisi del testo.
-E allora?!- sbottò senza curarsi delle maniere, avvertendo ancora una volta la testa farsi curiosamente più leggera.
Ottenne di fargli chiudere la bocca, e la considerò comunque una vittoria. Poteva vantarsi di conoscerlo quanto bastava da sapere che avere l’ultima parola con lui era un’impresa estremamente difficile.
-Non poterà sfortuna, ma è una di quelle cose che fa comunque male alla salute quando si è ancora così vicini a un dominio spagnolo-
-I galeoni sono lenti. Più di un man-o-war come questo. Piuttosto, a preoccupare dovrebbe essere questo freddo dal momento che se non vado errato siamo ancora in una zona tropicale- rispose tranquillo l’altro, dando però spettacolo di non curarsi eccessivamente nemmeno delle folate gelide –E trovo che se cominciaste a considerare di spegnere tutte le luci per non dare nell’occhio e di spiegare un altro paio di vele per sfruttare la situazione sarebbe una splendida idea…-
-Oh ma davvero? E sentiamo perché-
Sherlock aveva volto le spalle all’oceano, concedendogli la sua piena attenzione. Pareva alquanto divertito -È ovvio- cominciò con quella sua voce che sapeva essere snervante e al tempo stesso piacevole –Chiaro come il sole che ora non c’è, oserei dire-
John sbuffò –Non è ovvio per me-
Il mezzo sorriso si allargò mostrando una fila di denti bianchi come perle –Allora vedrò di spiegarmi in termini semplici- e nel farlo tolse di mezzo un po’ della distanza che c’era fra loro –Perché mio caro John, questo tempo indica che qualcuno non mi ha dato ascolto. Siamo seguiti, e chi sta per arrivare mi pare alquanto infuriato-
Ecco che tutti quei dettagli apparentemente insignificanti assunsero tutto un altro senso nella mente del militare. Il continuo osservare l’orizzonte ma mai da prua, come se si stesse guardando le spalle da qualcuno, quella reazione davvero curiosa accaduta proprio nel pomeriggio quando aveva osservato le prime nubi scure addensarsi dietro di loro…
Sapeva chi li stava seguendo dalla distanza. Gli venne una sola domanda intelligente da porre prima di dare l’allarme e svegliare l’equipaggio.
-Quello che sta arrivando, è un altro come te?-
Sherlock parve apprezzare. Ovviamente chi lo seguiva era un suo degno complice, l’unica cosa di cui aveva senso preoccuparsi era quanto pericoloso potesse essere quello con cui avrebbe avuto poi a che fare.
-Secondo Lestrade, a confronto mi si potrebbe quasi considerare un santo- ridacchiò dirigendosi a passi svelti verso le scale –Secondo Sally invece non potremmo essere più simili-
John annuì, nonostante con quella risposta avesse in mano meno di prima sul loro inseguitore –Così per curiosità, chi è dei due che ha ragione?-
Nello scendere sottocoperta ebbe il lieve presentimento di catastrofe imminente al vedere che il pirata invece di domandare prevedibilmente di tornare in possesso perlomeno della spada, prendeva la via della cambusa rovistando dappertutto in cerca di sale. “O sabbia, fa lo stesso” come aveva sbrigativamente aggiunto per poi accontentarsi del primo in quanto più facile da trovare.
-Non saprei, preferisco lasciare che tirino a indovinare- assaggiò un paio dei grossi cristalli bianchi raccolti da uno dei barili di carne salata, e dovette ritenersi soddisfatto dal momento che ne riempì due pentole per poi passargliene una –Veloce, va’ su e comincia a spargerlo sul ponte-
Che il sale di tanto in tanto fosse utile, John lo sapeva bene, quante volte era servito per riuscire a non scivolare malamente in inverno quand’erano costretti in porto in attesa di ordini… ciò che veramente lo preoccupò, era il motivo per cui Sherlock pareva così sicuro che sarebbe stata una mossa intelligente premunirsi contro il ghiaccio mentre navigavano in acque caraibiche.
 
   
 
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