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Autore: ineedofthem    22/01/2019    5 recensioni
Anita, un metro e sessanta di dolcezza e allegria, è una specializzanda in pediatria. Adora il suo lavoro, sa che è quello che deve fare perché ci crede da sempre e, spinta dalla passione per questo lavoro, comincia a passare le sue giornate in ospedale.
Qui conosce Lucia: una bambina rimasta orfana, con una grave disfunzione cardiaca, ricoverata nel reparto di pediatria.
Anita sente di provare per lei un affetto profondo e il loro diventa un rapporto viscerale.
Tutto procede bene, finché non arriva lui: Luca Franzese, il nuovo cardiochirurgo dell'ospedale, e Anita capisce che la sua vita non sarà più la stessa. Riconoscerebbe quella zazzera di capelli castani e quei lucenti occhi verdi tra mille. Sa che il ritorno in città del ragazzo porterà solo guai per lei. Il rapporto con Lucia li accomuna entrambi e la piccola sembra l'unica in grado di sciogliere il suo sguardo da duro e quel carattere burbero che lui si porta dietro.
Anita crede di averci messo una parola fine su quel capitolo, ci ha avuto a che fare in passato e non intende ripetere lo stesso errore. Ma se Lucia ci mettesse il suo zampino, cosa potrebbe succedere?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricominciare'
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Capitolo 44
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Capitolo 44



Il weekend passa così velocemente che quando si ripresenta l'ora di tornare al lavoro, quasi non me ne rendo conto.
Dire se mi sento pronta? No, non lo sono affatto, eppure non è qualcosa che posso rimandare.

Ora o mai più.

Mi preparo lentamente, scegliendo con cura cosa indossare e come truccarmi. Come se questo non potesse farmi sfigurare.
Fino a poco tempo non mi sarebbe importato cosa la gente mormorasse o dicesse su di me, eppure, adesso è tutto diverso, perché, oltre alla mia persona, viene giudicata la mia professionalità.
Tiro un respiro profondo, socchiudendo gli occhi, come a voler placare l'agitazione che si sta impossessando di me e mi chiudo la porta del mio appartamento alle spalle.

Nonostante mancassi da una settimana, sembra che sia passata un'eternità dall'ultima volta che abbia messo piede qui dentro. Mi faccio spazio tra queste quattro mura, a disagio, piano, come se in realtà questo posto non mi fosse familiare per nulla.
Stringo il maniglione della porta antipanico del reparto tra le mani, con forza, con il cuore che, improvvisamente, mi batte così forte. Pochi passi mi dividono da quella che è stata la mia seconda casa per mesi e che adesso si sta per rivelare il mio peggior incubo.
Lucia non sarà più qui quando avrò bisogno di passare del tempo con lei per svagarmi dal carico di lavoro e questo comporta un cambiamento nella mia quotidianità e nella mia vita stessa. Sono sempre stata poco incline ai cambiamenti, lo ammetto: li ho vissuti spesso con paura e avversione. Quando qualcosa andava ad intaccare la mia metodicità, era capace di destabilizzarmi, così come è successo con Lucia. Ma ho fatto una promessa a me stessa, riuscire a dimostrare che sia in grado di superare quello che è successo e lo farò.
Ora o mai più.
Apro la porta, che produce un suono quasi sinistro e sembra che io viva questa scena a rallentatore.
Faccio un passo in avanti, poi un altro, stando attenta a non incespicare nei miei passi; ma lo vedo, come improvvisamente, distogliendosi dalla loro attività, tutti si voltino a guardarmi, impietositi, con dei sorrisi di scherno ad affiorare su i volti di molti, i mormorii, i pettegolezzi che sembrano riaffiorare mentre mi faccio strada per il corridoio. Io sento e vedo tutto, nonostante cerchi di mantenere il mio sguardo alto e fisso davanti a me, ed è  a quel punto che avverto qualcosa dentro di me sgretolarsi.
E mentre mi ripeto: respira, Anita, continua a camminare, mi viene da pensare se io sia forte abbastanza da sopportare tutto questo.
Poi, come se avessero percepito la mia richiesta di aiuto, vedo sbucare dal corridoio Maria e Arianna e, prima che possa solo rendermi conto del loro avvicinamento, mi ritrovo stretta in un abbraccio; la capigliatura riccia della mia amica ad offuscarmi anche la vista.
"Anita, che bello rivederti" pronuncia Arianna, euforica, artigliando la mia maglia tra le sue mani.
"Ci sei mancata, Anita" aggiunge Maria, accarezzandomi una spalla. Premurosa e composta come è sempre.
Arianna scioglie il nostro abbraccio, tenendomi per le spalle. Sembra puntare ogni minimo dettaglio del mio viso alla ricerca di una sofferenza nascosta.
"Ho saputo tutto, Anita, e mi dispiace tantissimo, davvero. Ma come stai?" ammette, con uno sguardo costernato.
Maria rimane un po' più indietro rispetto a noi ma riesco quasi a notare che sia sollevata di avermi qui.
"Va tutto bene, Arianna, sul serio. Grazie per l'interessamento" le faccio presente, sciogliendomi in un sorriso.
A quel punto Maria prende la parola, facendo un passo nella nostra direzione. "Sono stata io a raccontare tutto ad Arianna: è venuta da me, una sera, preoccupata sul perché non le rispondessi, aveva capito che la tua non fosse solo influenza e ho pensato che dovesse sapere. Siamo state davvero in pensiero per te, ma adesso questo posto ha bisogno di te" ammette, tesa in volto, come se avesse paura di aver sbagliato.
"Sta' tranquilla, Maria. Hai fatto bene" le replico, facendo scivolare ogni tensione dal suo viso.
"Allora?" ammette Arianna, colpendomi scherzosamente alla spalla "sei pronta per il tuo nuovo primo giorno di lavoro?"
Rilascio un sospiro profondo: "Sì, sono pronta".

"Ah, bene, vedo che finalmente ci degna della sua presenza. L'aspetto nel mio studio, e mi raccomando lasci questi convenevoli a più tardi, non ho tutta la giornata" la voce aspra e irriverente del professore Visconti arriva a destabilizzare il sereno equilibrio che le mie colleghe erano state capaci di ricreare.
Il mio sguardo incrocia il suo, infondo al corridoio: Visconti se ne sta lì, con gli occhi piccoli e fieri, le mani nelle tasche del camice, ostentando una certa padronanza della situazione.
Maria e Arianna si voltano in allerta nella sua direzione, con la preoccupazione a perturbare le loro espressioni.
"Arrivo..." sussurro, ma lui ci ha già voltato le spalle, chiudendosi, di nuovo, nel suo studio.
Ho sbagliato e adesso ne devo affrontare le conseguenze, è giusto che sia così.

"Anita, andrà tutto bene, tranquilla ok?" Maria cerca di rassicurarmi prima che io possa allontanarmi per raggiungere il mio tutor. Nonostante  sia consapevole e pronta ad assumermi le mie responsabilità, niente rende meno doloroso questo confronto.
Lancio loro un ultimo sguardo, cercando di infondermi più sicurezza possibile e busso.
"Buongiorno, dottore" esordisco quando entro.
Ritrovarmi in questa stanza, da sola, con Visconti mi crea una certa agitazione. È una persona con cui mi sono sentita poche volte a mio agio, in quanto mio superiore ho sempre vissuto la sua vicinanza come un'occasione per dimostrare del mio meglio, attenta a fare qualsiasi cosa potesse conquistare la sua stima, e sapere di aver rovinato tutto dopo che questo fosse successo, mi distrugge. Dal confronto con lui non so che aspettarmi, adesso. Delusione, irriverenza, rabbia? Nessuna di esse mi fa ben sperare.
"Ah, signorina, venga, prenda posto" replica lui, con lo sguardo rivolto ad alcuni fascicoli, il tono da cui non traspare nessuna emozione.
Mi ha chiamata signorina e non dottoressa...come se non fossi degna di tale appellativo.
Arrivo alla sua scrivania, trascinandomi come se fossi una condannata a morte, mi siedo, incrociando le mani davanti a me e aspetto.
Visconti non sembra voler distogliere l'attenzione da qualsiasi cosa stia controllando, e mi viene da pensare se abbia intenzione di dirmi qualcosa, così, schiarendomi la voce, inizio a parlare per prima.
"Dottore, sono a conoscenza dell'errore che ho commesso, il mio comportamento è stato a dir poco inaccettabile e me ne dispiace..."ammetto, abbassando lo sguardo.
Finalmente, il mio tutor rialza lo sguardo, aggiustandosi gli occhiali che gli sono calati sul naso e prende a scrutarmi con sufficienza.
"Le dispiace, signorina? È solo questo che sa dirmi?" mi domanda in modo retorico.
"Dottore..."
Lui assottiglia lo sguardo, ruotando il capo leggermente di profilo: "Faccia parlare me, adesso" mi interrompe con saccenza.
Sussulto lievemente al suo tono e mi appoggio allo schienale della sedia, tesa in volto.
"Lei non si rende conto di quanto il suo comportamento sia stato poco professionale e insolente. Rispondere così ad un'assistente sociale che era qui per compiere il suo dovere, e poi, come se non bastasse, ha valicato l'autorità di un suo superiore. Non ha idea di quanto abbia compromesso la sua immagine. Io mi fidavo di lei, signorina, ho riposto in lei la mia stima e ne sono stato ricompensato con un'immensa delusione. Sa, ho sempre notato che lei avesse una poca inclinazione a reagire con la dovuta freddezza alle situazioni che la circondano, ma non ho mai pensato che questo potesse crearle un problema, potesse creare problemi a tutti noi. Mi sbagliavo, immensamente".
Abbasso lo sguardo, incassando il colpo e cercando di trattenere la tristezza da cui sento invadermi. Tutto quello per cui ho studiato, ho lavorato, non riesco a pensare di vedere sgretolare tutto questo davanti ai miei occhi.
"Mi dispiace tanto, davvero io...so di aver sbagliato e me ne assumerò le conseguenze...quindi accetterò qualsiasi provvedimento lei abbia intenzione di adottare per il mio comportamento..." proferisco, a bassa voce.
Il dottor Visconti incrocia le braccia al petto, scuotendo il capo, con una risata derisoria ad arricciargli le labbra sottili.
"Se avessi voluto punirla, quell'ordine di servizio glielo avrei fatto già da tempo!" esclama, concitato. "Io non so cosa la leghi al dottor Franzese, Dio solo lo sa e, per carità, non ci tengo nemmeno a sapere perché lui sembri così ben disposto nei suoi confronti. Ma se ho deciso di essere clemente con lei, lo deve solo a lui!"
Sospiro di sollievo, ma dura solo per poco, almeno fino a quando il dottor Visconti non riprende a parlare.
"Non faccia quella faccia, signorina, questo non significa che io l'abbia perdonata, non posso rimanere indifferente davanti alla sua negligenza" mi fa presente, in tono accusatorio, corrucciando la fronte.
"Quindi ho pensato che se lei non riesce a risolvere questo grande problema che l'affligge e che potrebbe crearle complicazioni sul lavoro, è bene che si faccia supportare da qualcuno. La dottoressa Bianco potrà fornirle la giusta terapia".
Deglutisco un amaro boccone, artigliando la sedia sotto di me, forte, tra le mie mani.
"Dottore?" domando, incrociando il suo sguardo, spaurita."Mi sta consigliando di farmi seguire da una psicologa? Hai idea di quanto questo possa compromettere la mia carriera?".
Ok, mi ero detta pronta alle conseguenze, ma non pensavo che potesse succedere questo. Al pensiero di non poter esercitare la mia professione, mi sale il magone.
"Non mi pare che lei se ne sia preoccupata tanto, una settimana fa, quando ha fatto quella sceneggiata. Al mio fianco e nel mio team, voglio medici professionali e che abbiano una stabilità mentale e mi dispiace dirle che lei adesso ne è sprovvista!".
"Dottore" ritento, unendo le mani a mo' di preghiera. "Io glielo giuro, non succederà mai più, ma la prego, non mi faccia questo. Se lei mi esonerasse da questo compito, mi toglierebbe una delle cose a cui tengo di più, il mio lavoro. La prego, glielo dimostrerò, farò di tutto, ma non mi tratti così" confesso, con il cuore in mano, cercando di scalfire la sua espressione di pietra.
Il dottor Visconti abbassa lo sguardo; sembra si stia prendendo del tempo per pensarci su. Aspetto la mia condanna, in silenzio, battendo nervosamente un piede a terra.

Ho paura, paura, paura...

Poi lui rialza gli occhi, puntandoli nei miei, e fissandomi con aria di sfida. Mi ritrovo ad essere agitata da una sua risposta, cercando di captare ogni inclinazione del suo tono.
"E va bene! Ma adesso esca immediatamente da qui prima che io possa cambiare idea!" esclama perentorio.
Vorrei poter saltare di gioia ma mi rendo conto che risulterebbe inopportuno, quindi mi limito a sorridere colma di gratitudine e ad alzarmi veloce dal mio posto per raggiungere l'uscita.
"Dottoressa" mi richiama, un po' prima che io apri la porta, il suo tono mi rendo conto che malceli un'inclinazione quasi malefica, "da oggi in poi non si aspetti più un comportamento di preferenza nei suoi confronti, lei, da adesso, è come tutti gli altri".
Abbasso lo sguardo, annuendo e  chiudendomi la porta alle spalle.
Delusione, irriverenza,rabbia? Visconti mi ha dimostrato di provare ciascuna di queste emozioni nei miei confronti.
Eppure, quando sono fuori dal suo studio, mi permetto di tornare a respirare, rendendomi conto di aver ancora il mio posto qui, in ospedale. Questo pensiero, al momento, però, non mi rende pienamente tranquilla, perché ho il brutto presentimento che la mia permanenza qua, da oggi, non sarà più tanto serena.

"Allora, come è andata?" mi domanda Arianna, prendendomi a braccetto.
Mi volto nella sua direzione, cercando di accennare un sorriso. "È arrabbiato con me ma è andata anche meglio di come mi aspettavo" le confesso, senza scendere in tanti particolari.
"Meglio così!" replica lei, trionfante "non avrei sopportato di perdere l'unica amica che ho, qui dentro".
Annuisco, sorridendole, mentre prendiamo a farci spazio nel corridoio.
"Devo andare nello studio a cambiarmi, ci vediamo, dopo, in giro?" le faccio presente, cercando di mostarmi meno tesa possibile.
Arianna sembra non rendersi conto che, in realtà, non stia così bene come voglio farle credere, oppure sta solo cercando di ignorare l'evidenza, perché mi scocca un sonoro bacio sulla guancia, allontanandosi, successivamente da me.
"Sì, ok, magari ci prendiamo un caffè in pausa" replica, allontanandosi e facendomi un  occhiolino.
Non sono sicura che avrò diritto a una pausa ma anche se l'avessi, ci rinuncerei. Non voglio distogliermi dal lavoro.

Avvisto la porta del mio studio come se fosse un miraggio e mi appresto a raggiungerlo, veloce.
Ma non ho proprio idea della brutta sorpresa che trovo ad aspettarmi.
Giorgio è nel mio studio, seduto alla mia scrivania; sembra a suo agio, come se questo posto fosse di sua proprietà.
Sobbalzo alla sua vista.
Lui alza lo sguardo, puntellando le mani sul legno della scrivania, accarezzando con un'indice la superficie, un'espressione di scherno ad arricciargli le labbra.
"Cos'è, non si usa più bussare? Caspita, Anita, hai proprio dimenticato cosa siano le buone maniere..."
Assottiglio lo sguardo, fissandolo di sbieco, le mani strette in due pugni: "Semmai, sei tu che le hai dimenticate. Ti sei appropriato di uno studio che non è tuo" esclamo, concitata.
Giorgio esplode in una risata grossa, rumorosa. "Il tuo studio? Ti sbagli, non lo è più, Anita. Ormai ho preso il tuo posto".
Mi volto a guardare l'ambiente, sospettosa, scoprendolo ormai spoglio dei miei pochi effetti personali, riposti ora in uno scatolone sopra la scrivania.
Deglutisco, cercando di trovare una spiegazione a tutto questo, ma non ci riesco. Deve trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto...
"Vattene via, adesso!" gli urlo contro, puntellando un piede a terra, cercando di darmi una certa autorità. "Tu menti, ti sei appropriato di tutto questo senza permesso, come hai osato toccare..."
"Calma, calma, Anita..." replica lui, tranquillo, sistemandosi comodamente con i piedi sulla scrivania.
Spalanco gli occhi, inorridendo alla scena.
"Non ho fatto niente di tutto ciò. Ho preso il tuo posto, quando non ci sei stata. Chiedilo a Visconti, adesso sono io il suo preferito" aggiunge, con un sorriso sardonico a nascondere un ghigno malefico.
No, non è possibile, non è possibile. Non posso credere che i miei più spaventosi sospetti si stiano rivelando essere la realtà.
"Togli i tuoi piedi da lì..." gli replico cercando di sembrargli irremovibile ma mi rendo conto che  il mio tono abbia perso,ormai, ogni sfumatura.
Sopporta, Anita, sopporta...
Giorgio scatta in piedi, facendo il giro della scrivania, per fronteggiarmi, un finto broncio dispiaciuto ad increspare le sue labbra.
"Oh, povera, Anita. Come è brutto fare i conti con la realtà e scoprire di non essere più la favorita, vero?" mi fa presente con un tono puramente derisorio.
"Che stronzo..." ammetto, facendo un passo indietro, per cercare di allontanarmi da lui.
Giorgio, a quel punto, risentito, scatta in avanti, dilatando le pupille.
"Cosa hai detto?!" domanda, macchiando la sua voce di rabbia.
"Sei uno stronzo!"ribatto con più convinzione, spingendomi verso di lui, come in un affronto.
Noto la vena sul suo collo ingrossarsi in segno di tensione e mi rendo conto che forse abbia giocato con il fuoco. Ma è ormai troppo tardi per rimediare ai miei errori.
Giorgio fissa il suo sguardo nel mio, sostenendolo con altrettanta sfida, poi prima che possa solo ripararmi da una sua reazione furiosa, mi afferra per le braccia, stringendomi, forte, fino a farmi male.
I suoi occhi sono diventati scuri e minacciosi e percorrono il mio corpo, malvagiamente.
Rabbrividisco al contatto, perché, improvvisamente, ho paura di lui. I comportamenti di Giorgio, purtroppo, non sono più così sottovalutabili e sono spaventata all'idea delle conseguenze che questo potrebbe comportare.
"Lasciami stare!" gli urlo, dimenandomi tra le sue mani, ma lui stringe forte, sempre di più, avvicinandosi pericolosamente al mio viso.
"Ripetilo se ne hai il coraggio" digrigna tra i denti. "Tu non hai più voce in capitolo, Anita, e presto, quando meno te lo aspetti, quel posto di capo specializzando sarà mio".
Smetto di divincolarmi, arrendendomi all'evidenza, colpita nel segno, e, proprio in quel momento, la porta si spalanca.
Luca compare sulla soglia, scrutandoci sospettoso. Gli sono immensamente grata per avermi salvato da questa situazione, ma non riesco né a muovermi, né a pronunciare parola.
Giorgio mi libera, velocemente, dalla sua stretta, ostentando un sorriso fin troppo tranquillo.
"Anita, va tutto bene?" domanda, allora, Luca, nella mia direzione, facendo passare gli occhi sul mio viso, come a constatare che sia a posto.
Abbasso lo sguardo, annuendo, spogliata di ogni forza e determinazione. Quando ti accorgi che, piano, piano, tutto si stia sgretolando sotto le tue mani, è difficile reagire.
"Sei sicura? Ho sentito urlarvi fin da fuori e sono certo di non essermi sbagliato" aggiunge lui, guardingo,  voltandosi verso Giorgio.
Lui intreccia le mani dietro la schiena, ricambiando lo sguardo con sfida.
"Può star tranquillo, dottor Franzese, la sua protetta sta bene" ammette, sfoderando un sorriso brillantemente falso.
Tengo lo sguardo basso, incapace di incrociare gli occhi di Luca. Anche lui sembra stupirsi di questa situazione, sicuramente all'oscuro dei dettagli che ne concernono. I suoi occhi non fanno che alternarsi da me a Giorgio, e poi alle mura di questo studio che non mi appartiene più.
"Anita, andiamo" mi fa presente, allora, con un tono che non ammette repliche, appoggiandomi una mano sulla spalla. Sussulto al contatto, rialzando lo sguardo di colpo e riscuotendomi dal mio stato di catalessi. Luca mi accompagna all'uscita, la sua mano sembra voler imprimere una carezza sulla mia schiena, dandomi un forte senso di protezione. Mentre ci allontaniamo mi rendo conto che lui non smetta di puntare Giorgio.
"Ah, Anita" mi richiama proprio quest'ultimo un po' prima che siamo usciti. Mi volto nella sua direzione, corrucciando la fronte.
Lui afferra tra le mani lo scatolone posto sulla scrivania e si avvicina per adagiarlo tra le mie mani.
"Questo è tuo. C'è anche il tuo camice. Buon lavoro" aggiunge con soddisfazione, chiudendosi la porta alle spalle.
Continuo a fissarla per secondi, forse minuti, cercando di mantenere in equilibrio l'ingombrante scatolone che ho tra le mani. Lo stringo poi con forza, sentendo la presenza costante di Luca alle mie spalle.
Così, senza dire una parola, prendo a muovermi in direzione dello spogliatoio, battendo i piedi a terra, con stizza.
Luca rimane in silenzio, prendendo a seguirmi: "Anita".
"Devo andare al lavoro" ammetto, perentoria. Ma lui persiste nella sua impresa, continuando a restarmi accanto.


Non mettevo piede in questo spogliatoio da mesi, almeno da quando mi ero riuscita a guadagnare uno studio tutto mio. E, invece, adesso mi ritrovo a fare i conti con questo spazio piccolo e maleodorante, come se fossi una specializzanda del primo anno, come una qualunque. D'altronde è questo quello che ha detto Visconti, no?
Lei, da adesso, è una come tutti gli altri.
Apro il primo armadietto libero e, con rabbia, comincio a sistemare tutti i miei effetti personali, richiudendo poi l'anta con forza e indossando il camice con altrettanta stizza.
Mi sento colpevole di tutto questo.
"Anita, vuoi calmarti, per favore?!" sbotta Luca, infastidito dal mio comportamento.
Sbuffo, appoggiandomi le mani ai fianchi. Avverto la sua presenza alle mie spalle, ma non riesco a voltarmi nella sua direzione.
"Io non ne sapevo niente, Anita..." sussurra lui, respirando sul mio collo.
Socchiudo gli occhi, imponendomi di non piangere. Non posso dimostrarmi debole e indifesa, non con lui, non quando mi sono promessa di affrontare le conseguenze.
"Devo andare. Ho del lavoro da sbrigare. Non posso perdere altro tempo..." lo sorpasso, ferma sui miei passi e sorda a qualsiasi cosa lui voglia dirmi ancora.
Luca mi afferra per un polso, cercando di arrestare il mio cammino, ma mi dimeno, provando a svincolarmi dalla sua stretta. Lui, allora, allenta la sua presa, lentamente, arrendendosi all'idea di lasciarmi andare.
"È questo che vogliono farti, Anita. Vogliono privarti di ogni tua sicurezza, di ogni tuo punto di riferimento. Non permetterglielo...dimostragli che sei forte e hai la grinta per affrontare tutto questo" .
Le sue parole arrivano a farmi immobilizzare sulla soglia, segnando uno squarcio dentro di me.
Asciugandomi una lacrima silenziosa e solitaria, mi ripeto che sarò forte, sì, lo sarò.
Poi, senza dire una parola, mi chiudo la porta alle spalle.

Raggiungo l'ambulatorio del pronto soccorso velocemente, pronta ad affrontare la giornata che mi aspetta. Trovo che sia contraddittorio da parte del mio superiore affidarmi una mansione di tale responsabilità quando mi ha riferito di aver perso tutta la fiducia in me riposta.
Eppure, cerco di svolgere questo compito al meglio.
Devo fare i conti con un virus intestinale che, purtroppo, sembra aver debilizzato parecchi piccoli pazienti che, nel corso della giornata, mi si presentano. Così prescrivo sali minerali e appositi medicinali mediante il ricettario rosa dove appongo il mio timbro e la mia firma, indirizzandoli poi alla dottoressa strutturata che dovrà procedere facendo lo stesso.
Peso e misuro alcuni bambini per il controllo mensile e dispenso caramelle ai miei pazienti più grandi che non sembrano propensi a farsi visitare.
Alla fine della giornata, sono esausta, ma mi sento improvvisamente grata e soddisfatta del mio lavoro. Nonostante non abbia avuto un attimo di tempo, mi sono resa conto di quanto stare a contatto con i bambini mi fosse mancato. Ho ritrovato lo spirito giusto e la vocazione che mi hanno spinto ad intraprendere questa professione.

Così, alla fine del mio turno, saluto la dottoressa a cui sono affidata per la giornata e mi appresto a raggiungere gli spogliatoi per cambiarmi e tornare a casa.
Eppure sembra che il destino, stasera, mi giochi brutti scherzi, perché proprio non può essere Federico, il ragazzo sofferente che stanno trasportando in barella.
Velocemente e senza che me ne renda conto, afferro il cellulare tra le mie mani, digitando, distrattamente, il numero di Carlotta, ma senza perdere di vista Federico che sembra non aver perso, nemmeno nelle condizioni in cui versa, la sua lingua biforcuta.
"Sto bene, voglio scendere da questa cazzo di barrella!" si lamenta, cercando di divincolarsi dalla presa dei medici.
E stai un po' zitto, oh...ringrazia che tu sia vivo e vegeto!
Roteo gli occhi al cielo, che sborrone...

"Anita?" Carlotta risponde dopo poco squilli e sembra molto sorpresa di sentire la mia voce dall'altro capo del telefono.
"Ehi, Lottie..." sospiro a disagio senza riuscire a trovare il giusto tatto per darle una notizia del genere. Nonostante sia ovvio che le condizioni di Federico non siano preoccupanti, non so come non ci si possa allertare sapendo che il proprio ragazzo sia in ospedale.
"Devi dirmi qualcosa, Anita?" la mia amica comincia a sospettare qualcosa.
"Sì, beh, Lottie, Federico è in ospedale, credo che abbia avuto un'incidente, ma sta ben..."
"Arrivo sùbito." è la sua riposta secca prima che lei riattacchi.
Mi passo una mano sul viso, scuotendo il capo; Lottie starà per arrivare e ho bisogno di accettarmi che Federico stia bene.
Prima, però, mando un messaggio alla mia amica. Sembra che una forte pioggia si stia abbattendo sulla nostra città e sono in pensiero per lei.
Per favore, vai piano, sii prudente.
Federico viene portato in una stanza del pronto soccorso e la raggiungo, velocemente, trovando il ragazzo, dolorante, disteso su uno dei lettini. Un'infermiera è al suo fianco, mentre compila la sua scheda.
"Come sta?" domando, facendomi spazio nella stanza.
Federico sbarra gli occhi alla mia vista, rivelandosi sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
L'infermiera, invece, si volta nella mia direzione, accennando ad un sorriso di circostanza: "È stato fortunato, dottoressa. Dopo l'impatto con quel tir, poteva anche andargli peggio. Con questa pioggia è pericoloso mettersi in strada, è stato bravo a frenare senza far slittare l'auto. Se l'è cavata con una frattura alla spalla e qualche escoriazione al viso" mi spiega, in modo diligente.
"La mia macchina è un rottame, un sacco di soldi spesi al vuoto..." borbotta lui, imbronciato.
"Signor Bianchi non faccia così, non è niente che non si possa sistemare" cerca di rincuorarlo, l'infermiera, accennando a un piccolo sorriso.
"E adesso stia fermo che le devo disinfettare il viso" aggiunge, sistemando dell'acqua ossigenata e alcuni batuffoli di ovatta su un carrello.
A quel punto, Federico storce il naso, ritraendosi impaurito.
"Su, non faccia così".
"Che bambino" mormoro tra me e me, sogghigando divertita.
"Ehi!" esclama lui, nella mia direzione. "Pensi sia divertente?".
"Non sai quanto, Federico" gli replico, portandomi una mano alle labbra per nascondere le mie risate.
L'infermiera si volta nella mia direzione, scrutandoci confusa, poi deve rendersi conto che tra di noi ci sia una certa confidenza perché trattiene un risolino, divertita.
Eh beh, non sarebbe professionale prendersi gioco di un paziente.
A quel punto, mentre lei indossa un paio di guanti, pronta a medicare le sue ferite, un altro infermiere sopraggiunge nella stanza, allarmato.
"Con questo tempaccio gli incidenti proliferano a bizzeffe, ho bisogno che tu venga di là, con me, siamo in carenza di personale!" fa presente alla sua collega.
Lei apre le braccia, confusa. "Ma il signor Bianchi?".
"Il signor Bianchi può aspettare, non è così grave!" le replica lui, perentorio. Così lei è costretta a seguirlo.
"Ci penso io, qui. Non c'è niente di più semplice che disinfettare qualche ferita" ammetto, sorridendo per rassicurla.

Allora mi volto in direzione di Federico, scoprendolo a fissarmi con un cipiglio in viso.
"Non sarai tu a disinfettarmi!" mi fa presente, impuntandosi.
Incrocio le braccia al petto, osservandolo di sbieco. "Hai per caso paura di me, Federico?" gli replico, divertita.
Lui esplode in una risata, bassa e roca, tossendo successivamente per lo sforzo. Nonostante non abbia ferite visibilmente importanti, il suo corpo ha risentito il colpo e sembra che ogni  movimento gli provochi un forte fastidio.
"Andiamo, fai silenzio, e lasciati curare".
Federico è costretto ad arrendersi e farmi spazio sul letto, al suo fianco.
Sistematicamente, indosso i guanti in lattice e mi avvicino per avere una visione più chiara sulle condizioni del mio viso. Lo volto, lentamente, prima da una parte e poi dell'altra, con attenzione.
"Allora?" chiede lui, spazientito, sporgendosi per attirare la mia attenzione.
"Puoi star tranquillo, Bianchi, niente che non si possa rimarginare nel giro di pochi giorni, al massimo una settimana" gli faccio presente, abbassando lo sguardo per prendere ovatta e acqua ossigenata.
Il suo viso, infatti, è meno tumefatto di quanto mi aspettassi: ha qualche escoriazione sulle guance e sulla fronte, un taglietto visibile sul sopracciglio, dove si sono accumulati dei grumi di sangue raffermo, ma niente che davvero non possa andare via velocemente.
Lui sospira di sollievo, felice che il suo bel faccino non abbia subito danni permanenti.
"Bene, allora, posso andare a casa?" domanda, facendo leva per alzarsi.
"Ehi, dove pensi di andare!" gli appoggio una mano sul petto, accompagnandolo verso lo schienale, ma lui si divincola, gemendo di dolore.
Ben ti sta!
"Qualcuno deve vederti quella spalla e dovrai fare una tac, sai, per escludere un trauma cranico. Sono sicura che decidano di tenerti qui, sotto osservazione".
Lui sbuffa, massaggiandosi la spalla dolorante: "Ok, avanti, disinfettami, fai presto!"
"Ohi, sta un po' calmino" ribatto a tono, infastidita dalla sua reticenza; nemmeno i bambini oppongono tutta questa resistenza. "Tu sei proprio l'ultimo che dovrebbe dare ordini, qui!".
Federico sembra colpito dalle mie parole perché abbassa lo sguardo, dispiaciuto.
Approfittando della sua distrazione, allora, intingo un po' di ovatta con il disinfettante e appoggio il batuffolo sul suo zigomo, massaggiando la zona delicatamente.
"Mi dispiace..." ammette lui, contraendo il viso in una smorfia di dolore.
Ammetto che il pensiero di fargli volontariamente più male mi abbia sfiorata, ma sarebbe davvero troppo poco professionale.
"Cercherò di farti meno male possibile, ok?" gli replico, a bassa voce, fingendo una certa sicurezza. Non che poi questa procedura sia difficile. Fare prelievi e suturare ferite è una delle prime cose che ci insegnano a fare.
"Anita" ritenta lui, appoggiando una mano sul mio braccio.
Involontariamente, colpita dal suo gesto, premo sul suo sopracciglio più forte, facendolo contorcere dal dolore.
"Oh, ma sei stronza forte tu!" grugnisce lui, allontanandosi spaventato. "Io ti dico che mi dispiace per quello che ho fatto e tu mi fai male?".
Getto il batuffolo di ovatta, ormai sporco di sangue raffermo, stizzita, nel cestino al mio fianco.
"Non l'ho mica fatto a posta, sai? E poi non sono io la persona a cui devi chiedere scusa, non c'è bisogno che te lo dica, giusto?" gli replico, risentita.
Federico annuisce, in aria di sfida: "Giusto".
Nel frattempo, gli applico un cerotto sul sopracciglio per evitare che riprendi a sanguinare e butto nel cestino tutta l'ovatta utilizzata, ormai sporca, e i guanti.
"In ogni caso, credo che Lottie sarà qui a momenti, ci ho pensato io ad avvertirla" aggiungo, non degnandolo più della mia attenzione. Io ci ho provato ad essere gentile, ma Federico riesce ad innervosirmi anche in queste condizioni.
"Mi auguro che tu abbia una scusa soddisfacente per quello che hai fatto" ammetto, perentoria. Poi, senza aspettare una sua reale risposta, lascio la stanza.

La mia amica, Carlotta, mi vede uscire e si avvicina frettolosa, smaniosa di ricevere notizie.
"Oh, Anita, che bello tu sia qui! Ho dovuto aspettare che smettesse di piovere, ma ho fatto il prima possibile!" ammette, abbracciandomi. "Come sta?".
Le lascio qualche carezza sulla schiena per confortarla. "Federico sta bene, mi sono occupata di disinfettargli qualche ferita. Puoi vederlo, è in quella stanza" le faccio presente, indicandole la direzione da seguire.
Carlotta annuisce, asciugandosi qualche lacrima silenziosa che le ha solcato il viso stanco e mi sorpassa, frettolosa di raggiungerlo.
La guardo allontanarsi acquistando sempre più velocità e rilascio un sospiro.

Che strana giornata è stata questa, mi viene da pensare, mentre mi siedo su una delle sedie della sala d'attesa. Potrei definirla con una sola parola: sfiancante.
Ora come ora, vorrei solo poter andare a casa, ma voglio aspettare Carlotta e offrirle un passaggio per tornare a casa.

Nel frattempo, però, schiaccerò un pisolino. Credo di meritarmelo, no?.

ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio a tutti! Come state?
Approfitto di questa giornata di freddo e neve, per postare il nuovo capitolo. Ammetto che l'aggiornamento non fosse previsto per oggi, avevo intenzione, infatti, di pubblicare in questi giorni, quando sarei riuscita a terminare una one-shot che ho in mente da un po'. La one-shot arriverà, probabilmente in giornata o nei prossimi giorni, e non avrà come protagonisti Anita e Luca, bensì Carlotta e Federico, in modo tale da saperne di più su quest'altra coppia.
Intanto, veniamo a noi: Anita, finalmente, torna a lavoro e, purtroppo, la sua giornata non è delle migliori.
Anita è proprio triste e lo sono anche io per lei :(
Purtroppo il suo gesto ha portato grosse conseguenze e, al momento, la situation può solo peggiorare. E a proposito di ciò, cosa ne pensate? Come pensiate andrà a finire?
Intanto io ringrazio le dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo; senza il vostro supporto questa storia, probabilmente, sarebbe rimasta inconclusa ahahah! Un grazie anche a chiunque l'abbia aggiunta nelle sue liste e ai lettori silenziosi.
Io vi saluto, promettendovi, nonostante lo studio, di trovare ancora tempo per scrivere e aggiornare. In ogni caso, se dovessi sparire, saprete che sia per la sessione invernale ahahah!
Ci risentiamo presto con la one-shot che mi auguro abbiate voglia di leggere :) ❤
Un abbraccio❤




  
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