Titolo: Ainnir Fuil
Fandom: Pirates of the Caribbean
Paring: none
Note: Il nome "Ainnir Fuil" è la traduzione in
irlandese di "fanciulla di sangue". Grammaticalmente avrei dovuto
scrivere "fola" per significare di sangue, ma mi sembrava che la
parola non declinata avesse un suono migliore.
Disclaimer: Questa storia è
scritta per il solo divertimento di me che scrivo e di coloro che saranno tanto
gentili da leggerla: non ha quindi scopo di lucro. Il personaggio di Jack
Sparrow appartiene alla Walt Disney Pictures e non a me (purtroppo).. La
canzone brevemente citata a inizio fic è The Islander dei Nightwish: opera del
genio di Tuomas Holopainen, e non opera mia.
The albatross is flying making him daydream
The time before he became one of the world`s unseen
[...]
This is the long forgotten light at the end of the world
horizong crying tears he left behing long ago
The Islander - Nightwish
Il mio nome è Deirdre McLachlan,ma
nessuno mi chiama così da tanto tempo ormai.
Tanto,troppo tempo....
Sono nata nella verde Irlanda,la
stupenda isola di smeraldo forgiata da arcana magia e del fuoco di
mille antiche battaglie, la terra dove il verde del mare e della terra baciano
un cielo color dell'argento carico di pioggia sottile. Ho un ricordo dolce e vago di
questa terra magica sospesa fra la realtà e il sogno; qui ho speso i primissimi
anni della mia infanzia prima che mio padre decidesse che era il tempo di
cercare fortuna altrove.
Mio padre era un pescatore,
un'uomo di mare. Decise che le coste rocciose dell'Irlanda non avevano più
niente da dare a lui ne a sua figlia, orfana di madre dalla nascita; perciò
decise che saremmo partiti per i Caraibi.
Fu durante il viaggio che
cominciai ad amare il mare. Stavo sul ponte della nave per ore ed ore ad
osservare quel blu profondo ed infinito, e sentivo le
onde cantare per me sola canzoni antiche come il mondo, sussurrandomi dei
luoghi segreti dove le megattere cantano ai confini del mare; mi saziavo del
vento che frusciava fra le vele e che sembrava soffiare da un posto nascosto
fra le stelle, dicendomi che dovevo andare, andare, andare....
Credo che fu allora che decisi che la mia vita sarebbe appartenuta al mare,
anche se ero troppo piccola per poter capire davvero. Ma il mio spirito di
bambina già allora anelava per la libertà sfuggente, e già allora sapeva che se
c'è davvero un posto sotto questo cielo in cui un'uomo può sentirsi libero
allora quel posto deve senz'altro essere una nave a vele spiegate che solca
tutti i mari del mondo.
Ad ogni modo quel lunghissimo
viaggio ebbe infine termine e giungemmo così nei Caraibi, a Port
Royal, dove mio padre mi trovò un lavoro in una locanda chiamata The ; Trim
Sword. Ero una bambina strana: silenziosa e sognatrice, ma anche
alacre e perciò i padroni mi tennero con loro di buon grado
Mio padre non rimase
con me ancora a lungo: qualche mese dopo il nostro arrivo in una
mattina tanto giovane che la nebbia della notte ancora non era svanita
accompagnai papà al porto. Li lui mi abbracciò, mi diede un bacio, mi
disse che mi voleva bene e che un giorno forse avrei capito; quindi
salì su una piccola scialuppa con due uomini che non conoscevo, e prese il
largo con loro diretto agli ancoraggi oltre la scogliera.
Non rividi mai più mio padre,ma di
tanto intanto alla vecchia Trim Sword arrivava qualche uomo dall’aspetto
tanto sinistro da far rabbrividire i miei padroni e gli avventori ,portando
qualche pacco di chincaglierie e dei soldi che mio padre mandava per me
dai più disparati luoghi del mondo. Sono una che ascolta molto e pensa anche di
più, e perciò non mi ci volle tanto tempo per capire che mio padre
era diventato un pirata.
Quando realizzai, ricordo che non provai assolutamente niente. Nonostante
sapessi che avrei dovuto provare orrore per i pirati, come tutta la popolazione
di Port Royal non mancava di dimostrarmi, scoprii invece che non riuscivo a
condannare quei figli ribelli del mare. Si, certo, uccidevano e rubavano -- ma
chi non lo fa in questa vita, apertamente o meno? No, per come la vedevo io i
pirati erano soltanto persone che cercavano di sopravvivere. Come mio padre.
Come me.
Gli anni scorrevano lenti fra le
mura scrostate della locanda, e dentro di me cresceva altrettanto lentamente
uno spirito ribelle. Sentivo dentro di me un tormento senza nome,un’angoscia
opprimente che mi spingeva a passare ore ed ore alla finestra della mia stanza
a guardare il mare. Negli ultimi anni, la voce delle onde era diventata sempre
più forte divenendo quasi assordante; e continuava a ripetermi che dovevo
andare, andare, andare e andare. Non importava dove, ma dovevo andare.
A Port Royal mi sentivo soffocare:
giorno dopo giorno,mese dopo mese,anno dopo anno cominciavo a prendere la
consapevolezza che quella non era la vita che faceva per me. Non volevo essere
come le altre donne,non volevo lavorare per sempre in quel lurido buco,non
volevo sposarmi e dipendere per sempre da un uomo,non volevo avere figli e
doverli crescere per poi magari finire per abbandonarli come mio padre aveva
fatto con me. In effetti non volevo nulla di quello che le altre persone
ritenevano rispettabile e buono.
Ciò che io volevo era libertà,
gloria e leggenda.
Questo almeno fu ciò che dissi a
un forestiero che si era fermato alla Trim Sword per una sera. Era un uomo
grande e imponente,con un codino di capelli castani che gli pendeva sulla
schiena e la traccia di una sciabolata sul viso,che ancora conservava traccie
di una giovanile bellezza. Agli altri avventori non piaceva,ma io mi trovavo a
mio agio con quello Sputafuoco Bill.
Una sera che ero particolarmente
stanca e scoraggiata, Sputafuoco Bill mi invitò a sedere con lui per bere un
po' di rum. Non ricordo neppure come mai ci mettemmo a parlare del mare, ne
tantomeno ricordo cosa avesse detto per indurmi a parlargli di ciò che mi
infuriava dentro. Ricordo solo quella frase che dissi, una frase quasi patetica
nella sua vuota epicità: ma non avrei saputo trovare altre parole per
descrivere quello che anelavo. E ricordo anche il sorriso del gentiluomo di
ventura a quelle parole, il modo in cui sputò per terra la presa di tabacco che
stava masticando e le parole che mi disse:
<< Tu dovresti essere un
pirata, ragazzina. >>
Probabilmente l'avevo sempre
saputo e l'avevo sempre voluto, senza neppure rendermene conto, ma quelle
parole furono per me come la scintilla divina che fece divampare le fiamme
dell'inferno. Mi fu assolutamente chiaro che non mi restava altro che la
pirateria: come altrimenti avrei potuto essere assolutamente e totalmente
libera, una figlia del mare che non ha altro dio se non le onde, altro volere
se non il proprio?
Decisi che non solo sarei
diventata un pirata ma che sarei anche diventata la più grande,la più
terribile,la più temuta e che avrei calmato i tormenti del mio animo con le
onde, con l’oro e con il sangue.
Per prima cosa, mi procurai una
spada. Volevo una lama unica e inconfondibile, e c'era soltanto un modo per
ottenerla: forgiarla io stessa. Fortuna volle che il fabbro di Port Royal,
Mr Smith, avesse una non troppo segreta passione per i liquori: mi fu
sufficiente rubarli nella cantina della Trim Sword, e promettere a
quel vecchio rimbambito oceani di rum se mi avesse insegnato come si
forgiava una spada. Quella lama, destinata ad accompagnarmi per
tutto il resto della mia vita, me la costruii di stampo medievale: era
grande, pesante e tagliente. Proprio sotto l'impugnatura di ferro battuto e
pelle nera incisi una frase: do what thou want, so mete thou be.
Fa ciò che vuoi, così potrai
essere.
Imparai ad usare quella spada da
sola, nella mia stanza: il lavorare alla Trim Sword, una delle locande più
malfamate di Port Royal, mi aveva dato la possibilità di vedere e
spesso anche di partecipare a numerose risse e infine, passando ore ed ore
ad imitare i muovimenti che avevo visto fare agli uomini, imparai ad usare la
spada perfettamente.
La pistola invece la rubai ad un
militare che si fermò alla locanda. Era un'arma superbamente bella, ebano nero
e dettagli argento, e quell'uomo grasso e indolente che sedeva al tavolo a
riempirsi di rum blaterando stupide volgarità su guerre in cui probabilmente
non aveva neppure combattuto decisamente non la meritava. Non mi sentii
minimamente in colpa per l'aver rubato, e mentii con estrema facilità per
discolparmi quando il furto fu scoperto; per me non furono altro che ulteriori
prove del fatto che potevo essere e sarei stata un'ottimo pirata.
Quando compii sedici anni già da
tempo nessun pirata mi portava più notizie di mio padre e la locanda dove avevo
sempre lavorato stava per chiudere. Decisi che era il momento buono per
lasciare dietro di me le fila di una vecchia vita. Mi tagliai i capelli come un
uomo, mi strizzai in un bustino e indossai dei vestiti da marinaio che avevo
rubato da qualche parte, dopodichè mi diressi al porto e mi imbarcai su una
nave mercantile come mozzo.
Sapevo che tutte le navi venivano
prima o poi attaccate dai pirati,e così avvenne anche a quella dove mi ero
imbarcata. Come ho già detto non sono stupida e mi ero premurata di informarmi
a dovere sul Codice dei Pirati; così quando mi catturarono invocai il
parley e venni portata davanti al Capitano. La sua faccia quando mi
rivelai per quello che ero e gli chiesi di essere arruolata nella ciurma è un
qualcosa che difficilmente dimenticherò: sarebbe stato più stupito solo se il
demonio in persona si fosse presentato al suo cospetto. Dapprima quell'idiota
mi rise in faccia, ma quando continuai ad insistere e gli dimostrai che sapevo
navigare, combattere e sparare forse meglio di tutti i suoi uomini messi
insieme allora il Capitano decise che meritavo una possibilità e mi
accolse come mozzo
La nave del Capitano Marshall si
chiamava Jolly Round, e non era in condizioni migliori di quelle del suo inetto
Capitano e di quella sgangherata ciurma. Si trattava di pirati della più bassa
lega ,ma comunque utili ai miei scopi. All'inizio quei cani bastardi non
facevano altro che tormentarmi, ma bastarono pochi duelli e ancor meno
arrembaggi per insegnare loro a trattarmi con il dovuto rispetto. Uomini come
loro capivano solo il linguaggio della spada e la voce della pistola, ed io li
parlo benissimo entrambi; quanto al loro rispetto, quello lo si guadagna
macchiandosi di sangue e ricoprendosi d'oro, un'arte che imparai altrettanto
velocemente.
Non avevo detto a nessuno il mio
nome nè da dove venissi, ma c'erano parecchi fra quella
disgraziata ciurma che venivano dall'Irlanda come me: riconobbero
immediatamente l'accento anche in quelle poche parole che mi degnavo di dirgli,
e furono loro che cominciarono a chiamarmi "Ainnir Fuil", la fanciulla
di sangue. In parte era perchè mi ero rivelata più violenta e spietata di
quanto io stessa sapessi di poter essere, e in parte era invece per i miei
capelli, una lunga cascata setosa di un rosso tanto intenso da sembrare
sangue.
Ero e sono perfettamente conscia
che i miei capelli sono di fatto la mia unica bellezza: sono infatti una donna
piccola e ben piantata, irrobustita dai lunghi anni di lavoro prima e da quelli
di battaglie poi. Non ero e non sono bella, insomma, e purtuttavia gli uomini
mi riconoscono un certo fascino oscuro; dicono sia per i miei occhi verdi e
perciò che vi si può leggere dentro, quelle promesse di libertà e ricchezza e
gloria che ogni pirata vuole sentirsi fare.
Dunque non bella abbastanza per
sedurre gli uomini, ma abbastanza carismatica per guadagnarmi la loro
lealtà: infatti in capo a qualche mese la ciurma del Jolly Round mi
elesse secondo del Capitano Marshall.
Al Capitano questo non piacque:
non era un uomo di carisma né di polso e si rendeva conto della facilità con
cui il mio sempre crescente prestigio lo stava appannando agli occhi dei suoi
uomini. Tuttavia non poteva fare niente contro di me o avrebbe scatenato un
ammutinamento: non era stupido e si rendeva conto di essere di fatto un uomo
condannato, firmatario della sua stessa sentenza di morte nel momento in cui mi
aveva ammessa a bordo. O si difendeva da me e moriva per mano della ciurma o
non si difendeva e perdeva il comando e molto probabilmente la vita. Non era
stupido ma era codardo,così scelse la seconda opzione.
Deposi il Capitano Don Marshall
dopo che imprudentemente ci diede ordine di attaccare una nave della
Marina Britannica, nel disperato tentativo di mostrare alla sua scontenta
ciurma che era ancora un valido capitano grazie al quale potevamo vincere persino
i nostri nemici giurati, guadagnando notevoli ricchezze. Naturalmente si
sbagliava: fu uno scontro dal quale uscimmo decisamente malconci. Appena fummo
in salvo dissi a Marshall che aveva dimostrato dando ordine di
attacco contro quella nave che non potevamo vincere di non essere per niente
adatto a fare il Capitano. Ciò che restava della ciruma, furioso per la
sconfitta e per aver dovuto fuggire, si dichiarò completamente d'accordo:
impiccarono Marshall all'albero maestro, ed elessero me Capitano.
Bastarono pochi mesi perché il
nome del Capitano Ainnir Fuil diventasse famoso, e non era una buona
fama. Si parlava di me e della mia ciurma come un gruppo di demoni maledetti
senza pietà per nessuno, interessati solo al potere e al sangue. Prendevamo ogni
nave che incrociasse il cammino della nostra nave, ribattezzata Hammer of the
Gods; che fossero mercantili, della Marina o persino altri pirati, noi andavamo
all'arrembaggio e prendevamo ogni cosa. Non facevamo mai prigionieri, dando
fuoco alle navi dopo che le avevamo razziate, saziandoci delle ricchezze appena
conquistate, della morte che avevamo causato, del potere e del terrore che
ammantavano la nostra crescente fama.
Al Capitano Ainnir e alla sua
ciurma di dannati importavano solo la gloria, l’oro e il sangue; e la morte e
il diavolo camminavano al loro fianco.
Attorno a me, alla mia nave e ai
miei uomini creai una vera leggenda: nessuno conosceva i nostri veri nomi ma
soltanto i soprannomi che ci davamo, nessuno sapeva dove si trovasse il nostro
covo né dove mettessimo alla fonda la Hammer of the Gods, oppure dove
nascondessimo il nostro tesoro bagnato del sangue di mille innocenti.
Credo che persino molti degli
altri pirati avessero in realtà paura di noi, e devo dire che non facevamo
niente affinchè così non fosse. Se non a scopo di bere, attaccar briga e
andare per bordelli i miei uomini scendevano di rado a terra, ed io ancor meno
di loro.
Personalmente mi recavo a
Tortuga molto di rado, non trovando nella chiassosa isola dei pirati alcuna
attrattiva eccezion fatta per qualche buona pinta di rum. Ma fu a Tortuga che
incontrai Jack Sparrow.
*****
Il Capitano Jack Sparrow era al
comando della Perla Nera, la nave più veloce e più bella di tutti i mari. Se
non c'era pirata che non avesse terrore di me e dei miei era altrettanto vero
che non c'era pirata che non ammirasse il brillante e geniale Jack Sparrow, un
pirata davvero unico nel suo genere. Su di lui si raccontavano storie
incredibili, storie di fughe rocambolesche dalla morte, di interi plotoni della
Marina beffati, di imprese magnifiche per ogni gentiluomo di ventura. Era
un'uomo che mi sarebbe piaciuto conoscere, oserei dire che lo ammiravo; e
tuttavia fu lui a riconoscermi quella sera a Tortuga, mentre sedevo a bere
rum in un'angolo in penombra.
Jack Sparrow urlò il mio nome
senza alcuna paura nel bel mezzo della locanda:
<< Hei, ragazza!Tu,con quei
capelli color del sangue,non sei mica il Capitano Ainnir Fuil della Hammer
of the Gods? >>
Non mi voltai a guardare
quell’impertinente che non conoscevo e mi limitai ad annuire mettendo bene in
evidenza il muovimento con cui estrassi parzialmente la spada dal fodero. Ma
Jack è Jack: non ci fece alcun caso e improvvisamente mi vidi seduto
davanti il famoso Capitano della Perla Nera.
Era molto più affascinante di
quanto l’avevo immaginato, e aveva degli occhi davvero stupendi. Brillavano
come lucenti diamanti scuri e percorsero la mia figura lasciandomi un
brivido sulla pelle bruciata dal sole.
<< E così, tu sei il
Capitano Ainnir. >> tese la mano sopra il tavolo,verso di me
<< Io sono il Capitano Jack Sparrow. >> si presentò
coincisamente.
Se fosse stato un altro non credo
che l’avrei fatto,ma gli strinsi la mano con un cenno d’assenso,rabbrividendo
impercettibilmente al contatto.
Jack si fece portare da bere da
una cameriera,e dopo aver preso un sorso mi guardò con quei suoi brillanti
occhi scuri:
<< Non sei un tipo che parla
molto,Capitano. >>mi disse sogghignando << Spero che almeno quando
si tratta di affari tu esca dal tuo mutismo. >>
<< Solo se sono affari molto
interessanti. >>lo rimbeccai infine.
<< Sono interessanti,
Ainnir, sono interessanti. >> replicò Jack, sorridendo beffardo. Si
sporse verso di me sul tavolo e cominciò a parlare a bassa voce, con aria da
cospiratore. << Tu sei diventata un grande pirata,Capitano Ainnir. Il tuo
nome provoca ondate di terrore,e in molti luoghi la gente ha paura persino di
dirlo. Si arrendono a te e ai tuoi prima ancora che spariate il colpo di
cannone d'avvertimento. Ma anche io e la mia Perla non ce la caviamo male,non è
vero? >> constatò, pizzicandosi i baffi con la punta delle dita. Poi si
rifece serio: << Io lo so cosa cerchi tu, Capitano Ainnir. Tu vuoi la
fama, vuoi il potere, vuoi l’oro. E io posso aiutarti ad ottenere tutto questo.
>>
Lo guardai pigramente da sopra
l’orlo del mio bicchiere quasi vuoto:
<< Ti ascolto. >>
<< Eccellente. >>
esclamò Jack battendo le mani, per poi rifarsi subito serio: << Avrai
notato anche tu, Capitano, che i tempi per noi gentiluomini di ventura si sono
fatti piuttosto difficili. Comprendi? Questi mari ultimamente pullulano di navi
della Marina, penso che ci siano più inglesi qui che in Inghilterra; e
credo che diventeranno sempre meno teneri nei confronti di noi
pirati. Giugono voci di truppe della Marina che battono a tappeto le coste
e gli ancoraggi, e di intere ciurme giustiziate. Quindi è meglio per
un disonesto gentiluomo di ventura accompagnarsi a degli alleati altrettanto
disonesti, affinchè ci si guardi la chiglia a vicenda per
continuare a guadagnarsi disonestamente da vivere. Comprendi? Io ti
propongo un accordo, Capitano:la Perla Nera e la Hammer of the
Gods insieme, come una flotta. Naturalmente tu comandi la tua nave e io la
mia e si divide a metà il bottino. >> mi spiegò << Nessuno oserà
opporsi a noi, e potremo attaccare anche le navi più grandi e più ricche. Fama,
oro e sangue, proprio come piace a te,mia cara Ainnir! >>mi disse in un
sussurro.
<< Ci vogliono molto
oro,molta fama e molto sangue per me,Sparrow. >>mi limitai a dire.
<< Questo significa che
accetti? >>rispose lui senza scomporsi.
Gli gettai un’altra occhiata e poi
piegai le labbra in un lieve sorriso; Jack battè le mani entusiasta e urlò a
pieni polmoni: << Perfetto!Cameriera,due pinte di rum e naturalmente pago
io....la padrona ed io siamo piuttosto -- direi intimi. >>concluse,
strizzandomi l’occhio.
Più tardi in quella stessa notte
mentre ritornavo alla Hammer of The Gods, non feci altro che chiedermi il
perchè avessi accettato quell'accordo. Non era da me. Io ero sempre stata sola,
e da sola avevo costruito la mia leggenda. Avevo davvero voglia e bisogno di un
alleato? Indubbiamente la situazione nei mari dei Caraibi si era fatta
piuttosto delicata ultimamente, con la Marina che ci dava giù duro con quelli come
noi....però avrei potuto - o forse dovuto - cavarmela anche da sola.
Ma è difficile dire di no ad un
alleato con gli occhi come quelli che aveva lui....occhi scuri e lucenti,
illuminati da impertinenti scheggie d'oro. Occhi che non sapevo dimenticare, e
che erano arrivati fino in fondo all'anima che ormai avevo dimenticato di
avere.
I miei dubbi alla fine si
rivelarono fondati: l'accordo con il Capitano Jack Sparrow si rivelò molto più
vantaggioso per lui che per me: a Jack non piaceva dover uccidere, ed in
effetti cercava di farlo il meno possibile. A lui interessavano l'oro e la
fama, e quando ce n'erano le donne; se gli succedeva di dover combattere si
limitava a ferire i suoi opponenti. Non uccideva a meno che non fosse
assolutamente necessario, e anche allora più di una volta era accaduto che
dovessi essere io a finire il suo lavoro.
In poche parole, Jack era tutto
quello che io non ero. Eppure lo capivo perfettamente, e forse fu per
questa tacita complicità che si cementificava ad ogni saccheggio e ad ogni
arrembaggio che nonostante tutto io non sicissi l'accordo.
Jack, la sua ciurma, i miei uomini
ed io diventammo la squadra più letale e temuta di tutti gli oceani: la Marina
Britannica si accaniva vanamente su di noi, che eravamo troppo veloci e troppo
furbi, e ormai le navi mercantili e le città costiere si arrendevano
incondizionatamente non appena vedevano la Perla Nera e la Hammer of the Gods.
Il rapporto che c’era fra me e
Sparrow era quanto di più simile ad un amicizia io avessi mai vissuto: come ho
detto eravamo molto diversi, ma riconoscevo in lui la stessa tempesta interiore
che spingeva me e sentivo che anche lui aveva dei demoni nascosti sotto
quell’aria beffarda, dei demoni che di tanto in tanto uscivano e gli facevano
male.
<< Perché lo fai Jack?
>> gli chiesi una volta a bruciapelo. Eravamo ormeggiati in un’isoletta
sperduta da qualche parte ad est di Tortuga, a contare il bottino dell’ultimo
assalto. Io stavo pulendo la mia spada dal sangue e sedevo con Jack,intento a
sorseggiare del rum,sulla sabbia bianca e fine.
Doveva essere già abbastanza
sbronzo,perché mi rispose con la sua solita risata sguaiata ma questa
volta priva di ogni traccia di allegria.
<< Andiamo Ainnir, lo sai
benissimo perché. E’ lo stesso motivo per cui lo fai tu. >> mi disse.
<< No che non lo so. Avanti,
dimmelo. >> lo esortai,voltandomi a guardarlo.
Un lampo passò in quegli occhi
scuri ed infiniti, e Jack rivolse al nulla un sorriso tagliente:
<< Fa paura dirlo,vero? Sia
io che te Ainnir l’abbiamo fatto perchè abbiamo sentito il richiamo del
mare. Per cercare la libertà totale. Perchè dovevamo assolutamente andare, non
si sa dove ma dovevamo andare. Solo che poi abbiamo scoperto che
neanche questo alla fine ci basta… >> si voltò verso di me, e il suo
sguardo mi bruciava sulla pelle mentre parlava lentamente << Noi
due, Ainnir, lo facciamo per dimenticare noi stessi e la nostra anima spezzata.
>>
Dopo quel pomeriggio, Jack e io
cominciammo a dividere tutto.Tutto. Penso sia inevitabile, quando si scopre di
avere lo stesso animo, quando si realizza di essere uguali infondo, anche se si
affronta la vita in maniera completamente diversa. Gli rivelai cose che
nessun’altro al mondo sapeva, gli dissi del mio vero nome da tempo dimenticato,
della mia infanzia, di mio padre, di com’ero diventata quello che ero. Gli
dissi dov’era la fonda della Hammer of the Gods e per qualche tempo i
nostri tesori giacquero in quel luogo insieme. La sera bevevamo insieme e
parlavamo a lungo,raccontandoci tutte quelle cose per cui il dio dei pirati non
ci avrebbe mai accolti nel suo paradiso.
Cominciai a spaventarmi quando mi
accorsi del modo in cui lo guardavo, quando realizzai che in nessun'altro posto
mi sentivo a casa come nel profondo dei suoi occhi dorati e di come la sua
voce morbida lasciasse un brivido sulla mia pelle.
La situazione smise
decisamente di piacermi quando realizzai che ero innamorata di Jack
Sparrow.
Non nutrii mai nemmeno la più
piccola speranza per quel mio amore vano. Sapevo che forse Jack mi voleva bene,
ma che non ci sarebbe mai stato niente più di questo. Noi due avevamo
scelto di essere totalmente e assolutamente liberi, e questo vuol dire non
possedere null'altro se non la propria stessa libertà. Per quelli come noi non
c'è spazio per i sentimenti, per i rimorsi, per i rimpianti. Avevo scelto io di
essere libera, avevo scelto io anche di essere sola.
Dopo che mi accorsi di amarlo, fu
molto più dura. Stargli così vicina da sentire il calore del suo respiro e il
profumo della sua pelle ma senza mai poterlo nemmeno sfiorare…guardarlo in
silenzio mentre spariva in qualche bordello di Tortuga con la sua ultima
fiamma…fingere davanti a lui e davanti ai miei uomini che non ci fosse niente
che non andava…faceva male, ma riuscii a sopportarlo. Sono troppo
orgogliosa per fare altrimenti….
Tuttavia non avevo la forza di
scindere il nostro patto: restare con lui mi faceva male, ma non avevo il
coraggio di provare a stare senza di lui.
Poi…poi una sera…eravamo nel mio
posto segreto,nel luogo fuori dal mondo in cui la Hammer of the Gods stava
alla fonda dondolandosi pigramente fra le onde, e dove il nostro tesoro giaceva
nel buio e nel silenzio di una grotta antica come il tempo stesso.
Io non riuscivo a dormire quella
sera, e camminavo silenziosa in riva al mare ascoltando il lamento del mio
animo. Lontano da li vedevo i fuochi accesi dagli uomini che festeggiavano
sulla spiaggia, mangiando capre selvatiche e bevendo rum. Continuai a camminare
per ore intere, senza pensare, ascoltando solo il mare. Ma questa volta non
c'era nessuna voce a cantare per me in quelle onde.
Mi spaventai quando vidi la
pistola di Jack abbandonata sulla sabbia insieme alla sua giacca,ai suoi
stivali e alla sua camicia. Freneticamente poi mi guardai intorno e
lo vidi disteso sul bagnasciuga, con lo sguardo perso fra le mille stelle del
cielo tropicale.
<< Non ti senti mai strana,
Ainnir? >> mi chiese improvvisamente, avendo in qualche modo registrato
la mia presenza.
Non riuscivo bene a capire a cosa
si riferisse,così mi limitai ad alzare le spalle: << A volte.
>>
<< Beh,anch’io. >> mi
rispose Jack << Come se…se ti mancasse qualcosa.E tu sapessi cosa ti
manca,sapessi dove trovarlo ma per qualche motivo non potessi prenderlo.
>>disse distrattamente.
Io non sono davvero il tipo
di donna che piange o ha crisi di nervi,ma in quel momento tutta la mia forza
venne meno. Lui aveva descritto esattamente il modo in cui mi sentivo, e nel
sentirlo parlare così qualcosa dentro di me si era spezzato. Mi lasciai cadere
in ginocchio sulla sabbia, sentendo il suo sguardo stupito addosso, e glielo
dissi.
<< Lo so anche troppo bene
da quando ti ho conosciuto,Jack. >>sussurrai,quasi volessi
scusarmi.Sentivo le lacrime scorrere veloci sulle mie guancie e cadere
andandosi ad unire alle onde del bagnasciuga. Jack si teneva sollevato sui
gomiti e mi guardava.
<< Perché non me l’hai
detto? >>mi chiese stupito.Per lui era tutto così ovvio,così semplice.
Risi amaramente: <<
Guardami, Jack; guardati. Cos’altro avrei potuto fare? Guarda chi siamo, cosa
siamo! >> risposi rabbiosamente << Non hai neanche idea di
quanto ti abbia disperatamente desiderato…ma anche la sola idea è assurda. Come
potresti tu desiderare una come me? >> conclusi tristemente.
Jack mi prese le mani fra le
sue,dolcemente.C’era infinito affetto in quel gesto, c'era comprensione....ma
non c’era amore.
<< Mi dispiace, Ainnir. Mi
dispiace così tanto. >> sbagliavo o sentivo del rimpianto nella sua voce?
<< Non.... Ainnir, maledizione, tu mi capisci. Tu sei come me – noi abbiamo
scelto di essere liberi per sempre, di non avere niente se non la nostra
libertà. E questo vuol dire essere soli. >>
Rimasi seduta lì, in silenzio, a
guardarlo mentre si alzava. Non avevo mai provato niente di tanto devastante; e
ciò che mi feriva di più era che sapevo perfettamente che lui aveva ragione.
Quelli come noi non sono fatti per l’amore: noi rifuggiamo ogni cosa, siamo in
eterna lotta con il tutto, e ci sentiamo davvero vivi soltanto quando
assecondiamo la voce del mare e spieghiamo le vele, pronti ad andare e andare;
andare anche ai confini del mondo, ma andare ed essere liberi da tutto e da
tutti. Lo sapevo, l’avevo sempre saputo: e mai come in quel momento avevo
odiato il mio spirito.
Mi alzai dalla sabbia e mi gettai fra le braccia di Jack,
stringendo quel corpo che avevo perdutamente desiderato a me, sentendo la forza
del suo abbraccio mentre mi sosteneva.
<< Non lo sopporto più Jack.
>> singhiozzai,le mie lacrime che bagnavano i suoi capelli scuri <<
Non ce la faccio più a provare tutta questa rabbia, tutto questo dolore, questa
maledetta disperazione. Io ho bisogno di amarti, io devo amarti. >> gli
presi il viso fra le mani e lo sguardo dei miei occhi verdi si scontrò con il
suo; vidi lo sgomento nelle sue iridi castane al vedere quella disperazione che
non riusciva a capire. << Posso amarti Jack? Ti prego, posso amarti?
>> lo supplicai infine.
E quell’uomo
misterioso,affascinante,immerso nella sua leggenda,quell’uomo mille volte
spezzato ma mai vinto mi offrì l’immenso dono del suo sorriso e l’immenso
dolore della sua risposta.
<< No. >>
*****
L’accordo del Capitano Ainnir
Fuil e del Capitano Jack Sparrow fu scisso la mattina dopo
.
Non furono date spiegazioni alle
ciurme, principalmente perchè il loro dovere era di obbedire senza fare storie
ma soprattutto perchè quanto era successo la notte precedente sotto le
stelle lontane delle notti caraibiche riguardava soltanto Jack e me. Un
amaro segreto con il sapore della vergogna che riguarda solo lui e me.
Io non mi presentai sul molo
a salutare Jack, ma guardai la Perla Nera allontanarsi insieme a quello che
restava della mia anima dalla più alta scogliera della mia isola. Intravidi
Jack a poppa,e per un momento credetti che fosse voltato verso di me e che
avesse intravisto la mia figura stagliarsi contro il cielo mentre la Perla nera
veleggiava verso il mare aperto, allontanandosi per sempre da tutto quello che
era mio. Non credo che mi abbia vista davvero comunque; Jack era troppo
lontano. Forse è sempre stato troppo lontano.
E poi?
E poi la Hammer of the Gods, la sua ciurma e il suo Capitano continuarono a
solcare i mari e a scrivere con il sangue la loro leggenda.
*****
E ora che si avvicina la fine,
caro Jack, ti chiederai perché uno dei miei uomini ti abbia lasciato questo
plico alla tua locanda preferita, a Tortuga, e perché io abbia scritto tutto
questo.
La risposta è molto semplice:
volevo che sapessi davvero tutto prima che io muoia.
La mia ciurma si è ammutinata
questo pomeriggio, sotto il comando del mio quartiermastro Hollander
Gies.Quando mi hanno destituita hanno detto che sono stata un buon Capitano, ma
che ora non sono altro che il ricordo di ciò che ero un tempo. Non so se
abbiano ragione oppure no, ma non nego che molte delle cose che mi hanno tenuta
viva per tutti questi anni ormai hanno perso molto del loro sapore.
Decisamente, credo di non sapere
più dove cercare per trovare la gloria, il potere e il martello degli dei.
Mi uccideranno con un colpo di
pistola su un’isola all’alba di domani, non so dove. Come ultimo desiderio ho
appunto chiesto che portassero questa mia a te.
E’ strano sai? Non ho nemmeno
paura! Non credo che il colpo di pistola farà troppo male, e anche se farà male
non sarà mai un dolore più grande di tutti quelli che ho sofferto nel corso
della mia vita.
Credo che starò bene
dopo,all’Inferno …tanto niente può essere peggio di qui,no?
E adesso è davvero giunto il
momento di dirti addio, Jack. Sento la voce del mio ufficiale in seconda che mi
urla di muovermi, sento le grida del resto della ciurma…devo proprio andare.
Non so dove, ma devo andare.
Andare. Andare. Andare....
Ainnìr