CAPITOLO TRENTASEI
Lavorai con vigore, felice e soddisfatta. Era incredibile
quanto il morale potesse volare alto, quando tutto sembrava andare per il verso
giusto.
Virginia con me era uno zuccherino, anzi, pareva ancor più
rispettosa di prima, e questo stava attirando su di me l’astio delle povere
altre dipendenti, tutte trattate con una durezza inconcepibile. Anche la
giovane Ilenia, alla quale ero sempre stata molto affezionata, ormai stentava
anche solo a rivolgermi un saluto.
Mi dispiaceva davvero tanto, soprattutto perché non avevo
fatto nulla per ingraziarmi la proprietaria, e quella era una situazione che io
non avrei mai desiderato. Soprattutto, attirare l’astio altrui quando non avevo
fatto nulla per provocare tale reazione.
Quel giorno non volevo importarmene di ciò che stava
diventando una spiacevole realtà, e nonostante tutto mi sforzai, come mio
solito, di essere molto gentile con i colleghi, anche quando loro sembravano
più restii ad accettare una mano da me.
Quando giunse mezzogiorno, finalmente, non ebbi neppure
bisogno di uscire dal locale, giacché fu il mio George a spaccare il secondo,
entrando con il sorriso sulle labbra. Per qualche istante tentennai, poi,
realizzando il fatto che oramai ci eravamo dichiarati al mondo intero, mi
lasciai trasportare dal mio istinto naturale, e finii tra le sue braccia.
Come sempre, era impeccabile; ovunque fosse stato, si era
risistemato alla perfezione i capelli, con i vestiti nel più perfetto ordine.
Finì per baciarmi nuovamente.
“Dio mio, che bella coppia che siete!”, esclamò un’estasiata
Virginia, alla sua solita postazione.
Ci separammo.
“Anche per te sarebbe ora di trovare l’amore”, disse
Piergiorgio, in modo un filino ironico, come suo solito, ma che sul momento mi
parve un po’ provocante.
Mi venne da dargli una gomitata, poiché non era così che si
parlava a una signora, però parve ancora che tra i due ci fosse comprensione,
quindi nessuno se la prese. Anzi, Virginia sorrise; con un po’ di amarezza, ma
si concesse comunque un’increspatura sulle labbra.
“Eh, magari! Il fatto è che non ci credo neanche più”,
ridacchiò, infine.
“Non si deve demoralizzare, signora. Purtroppo, di veri
principi azzurri in giro ce ne sono molto pochi”, fu la mia volta di
esprimermi, gentilmente.
“Mah, non è neanche quello. Il problema è che sono vecchia
ormai. Vecchia e brutta”, mormorò la signora, molto demoralizzata.
Mi fece pena, per un attimo, poiché la vidi così triste… poi,
in fondo, per una donna il desiderio di avere un compagno a fianco a volte si
faceva impellente. Immaginavo la sua frustrazione. Anche se non avevo mai
saputo troppo sulla sua vita privata, immaginavo nitidamente che fosse single
da tutta la vita, come tutto quello che stavo udendo finiva per confermare.
“Non si è mai troppo vecchi, per queste cose. Guarda me, mia
cara amica! Abbiamo la stessa età, come ben sai, eppure… la vita riserva sempre
delle sorprese. Mai scoraggiarsi”, provò a consolarla George, con la sua solita
e simpatica enfasi, tuttavia senza riscontrare troppi risultati, se non quello
di donare un sorriso generale a noi che lo stavamo ascoltando.
“Oh, Piergiorgio, tu sei sempre così ottimista… questo amore
è stato il premio che la vita ti ha fatto per aver sempre creduto in lei”,
disse la signora. Il mio amante si fece improvvisamente serio.
“Non ci ho creduto per molti mesi, invece. Un periodo di
tempo buio, in cui esistevo solo io e la mia voglia indiscussa di farmi del male.
Volevo solo sparire, ma…”, s’interruppe un attimo, portandosi la mano destra
alla fronte, “… per fortuna mi sono ripreso. Ho ritrovato la voglia di esistere
che avevo perduto”.
Abbassò subito la mano e cercò la mia, per stringerla forte,
ed io ero molto commossa e colpita da quell’ennesimo discorso che testimoniava
il profondo e luttuoso dolore che il mio tenero amante aveva provato prima che
mi incontrasse e che tra noi ci fosse una scintilla ancestrale, in grado di
attrarci l’un l’altra, e viceversa.
Virginia, notando che aveva sfiorato una ferita ancora fresca
ed appena guarita, seppur involontariamente, scelse in fretta di cambiare
discorso, senza rigirare il coltello nella piaga.
“Avrete indubbiamente fame, ragazzi”, proclamò, infatti,
sorridendoci ed osservando le nostre due mani unite.
“Puoi starne certa”, asserì George, sciogliendo la nostra
stretta e portando le mani al ventre, solo leggermente prominente, per poi
sferrargli un paio di piccole pacche.
La signora rise, con cortesia.
“Vi servo immediatamente qualcosa. Chiedo allo chef se può
preparare una pizza, o magari essendo mezzogiorno preferite altro?”, ci chiese
poi, sempre con una gentilezza divina.
“Sicuro, per me non c’è problema”, disse George, per poi
volgersi verso di me, “tu cosa preferisci, Isa?”.
“Anche a me, una pizza va benissimo. Semplice… margherita,
magari”, risposi, interpellata.
Virginia annuì, prendendo nota sull’apposito listino.
“Vi ringrazio molto. Accomodatevi pure dove volete”, ci
disse, per poi recarsi lei stessa nelle cucine a consegnare l’ordine. Ero
esterrefatta di fronte al suo modo di fare così remissivo, di una bontà che
andava oltre l’immaginabile, siccome ero sa sempre stata abituata a vedere la
proprietaria del locale come una persona molto burbera, anche scontrosa, se
qualcosa non era di suo gusto. Eppure, con noi era davvero squisita.
Andammo a sederci in un tavolino un po’ appartato, così da
avere il giusto spazio per noi, immersi in qualche metro di rara tranquillità.
“Sono andato a preparare tutto, questa mattina”, esordì il
mio amato, quando ancora mi stavo sedendo.
“Cosa?”, gli chiesi, leggermente sovrappensiero. Non ero
riuscita a comprendere subito quel che mi stava dicendo.
“Sono andato a sentire per il matrimonio…”, mi ripeté allora,
alzando di poco il tono della voce e facendosi per un attimo titubante.
Comprendendo, finalmente, gli sorrisi, e fu la mia volta di andare alla ricerca
delle sue mani, stringendole sul tavolino.
“Hai fatto bene, ne sono felice”.
“Uno di questi giorni dovresti venire anche te, c’è bisogno
di entrambi. In comune poi prepareranno la burocrazia, e c’è anche da scegliere
la chiesa”, proseguì.
Annuii, piano.
“Ehi”, mi disse, stringendo con più vigore le mie mani tra le
sue, “c’è forse qualcosa che non va?”.
“Perché dovrebbe?”, domandai a mia volta, sforzandomi di
riprendere a sorridere, come un’ebete.
“E’ che… non mi sembri tanto felice come invece affermi”.
Ci fu un attimo di pesante silenzio.
“Lo sono, invece. Te lo giuro sulla mia stessa vita”,
affermai, risoluta.
Quello che non volevo ammettere era che, per qualche istante,
mi era parso così strano il fatto che davvero stessi per sposarmi. Se durante
la passione della notte tutto ciò mi era sembravo assolutamente fantastico e
favoloso, alla luce del giorno mi offriva anche un retrogusto di non sapevo
bene neanch’io cosa. Così, di vago.
Tuttavia, questo non doveva affatto far pensare al mio buon
innamorato che io non fossi convinta di quel passo avanti molto deciso; dovevo
solo abituarmici all’idea, e quello dipendeva solo da me.
Piergiorgio mi fissò per un po’, poi annuì a sua volta,
leggermente, e abbassò lo sguardo. Era serio, forse un po’ ferito. Non volevo
facesse così, poiché mi faceva sentire troppo male.
“Ti amo, George”, allora ripresi a dire, con enfasi
crescente, “ti amo, ti amo! Io voglio che noi costruiamo qualcosa assieme,
credo sia proprio destino. Mi sono sentita legata a te fin dal principio, da
quando ti ho visto per la prima volta. Non voglio che tu pensi neppure per un
minuto al fatto che non vorrei sposarti”.
Lui parve riprendersi un po’.
“Ti avevo visto turbata. Ecco, l’unica cosa che non vorrei è
che tu mi avessi accordato il permesso di sposarti solo in una notte piena di
passione, poi sfumata. Vorrei quindi soltanto ricordarti che non siamo
obbligati a farlo; nel nostro caso, il matrimonio sarebbe solo la ciliegina
sulla torta, ma non abbiamo l’obbligo di metterla, capisci?”, spiegò la sua
perplessità, analizzandola per bene. Capivo eccome, sicché io stessa provavo a
mia volta quello che aveva appena inserito nel discorso equo che mi aveva
fatto.
“E’ solo che…”, provai a mia volta a spiegarmi, cercando le
parole giuste per farlo, “… mi risulta così strano pensarmi sposata con
qualcuno. Mi ero ormai convinta che avrei sempre convissuto in maniera
precaria, senza sapere quel che mi sarebbe accaduto, non sapendo neppure se
avrei mai potuto, un giorno, coronare il mio desiderio di maternità. Adesso
devo solo convincermi per bene che le carte in tavola sono state cambiate in
fretta dal destino, e che quelli che erano sempre stati sogni, fin da quando
ero bambina, sono prossimi a diventare una realtà effettiva”.
George, che mi aveva ascoltato con grande interesse, sembrava
molto più rilassato e comprensivo, meno disposto a lasciarsi ferire per un
nonnulla o una riflessione decisamente di troppo.
“Anche per me è così, non temere. Ci abitueremo entrambi alla
realtà dei fatti, naturalmente se lo vorremo davvero”, provò a confortarmi, per
mettermi maggiormente a mio agio. Tornai a sorridere con tranquillità.
“Io lo voglio. Te lo giuro”.
Strinsi di nuovo le sue mani, con vigore.
Mi riservò uno sguardo profondo e dolcissimo.
“Non c’è bisogno che mi giuri ancora queste cose, ormai le
so”, mi strizzò l’occhio.
“La verità è che vorrei anche avere un bambino, George. E’ un
mio sogno”, ammisi finalmente ad alta voce, per la prima volta con fare sicuro.
Poi, sospirai e tornai serissima.
L’amore che provavo mi aveva spinto a provare un istinto
materno molto forte, seppur solo in maniera teorica, giacché proprio non mi
vedevo affatto a prendermi cura di un marmocchio piccolo. Comunque, io ci
tenevo a coronare i nostro rapporti con un bambino, poiché in fondo la passione
che ci aveva travolto negli ultimi mesi non era qualcosa di degno di essere
dimenticato, anzi… doveva restare in eterno, e una nuova vita ne sarebbe stata
la più idonea testimonianza.
Anche Piergiorgio era molto serio, e i suoi occhi guizzavano
un po’ per tutto il locale, senza più cercare i miei e riservarmi le solite
occhiate bonarie. A mia volta, comprendevo le sue perplessità a riguardo, anche
se non proprio fino in fondo.
“Ci stiamo provando, ma io ho già una certa età. È vero che
un figlio tantissimi anni fa l’ho generato, ma ormai è passato mezzo secolo,
non sono più un ragazzetto in grado di far centro alla prima volta”, mormorò.
“Io non ti sto accusando di nulla, ti amo così come sei e non
mi importa della tua età o della tua vita precedente”, mi affrettai ad
affermare, “e poi abbiamo già parlato di queste cose. Non voglio essere
ripetitiva. Comunque, mi piacerebbe molto, a questo punto, se potessimo formare
davvero una bella famiglia”.
Tornò a sorridere, anche se in modo molto blando.
“Ci sposiamo, in ogni caso…”.
“Ma che senso ha in fondo sposarsi, se non per aver figli?”,
gli domandai, a bruciapelo.
Era stata una domanda che mi era sorta così, spontanea, ma mi
resi subito conto che avevo decisamente azzardato un po’ troppo. Forse, era un
quesito che neppure aveva tanto senso, seppur di base lo spunto di riflessione
fosse collegato al fatto che, se tanto non si doveva formare qualcosa di
stabile, volto a garantire più protezione alla futura prole, allora si poteva
anche solo convivere, limitandosi a scopare, a passare qualche ora assieme, e
basta.
“Non fare ora la bacchettona d’altri tempi, per carità”,
quasi mi rimproverò, un filino scocciato. Mi venne da ridere.
“Hai ragione, sono stata un po’ all’antica, con il mio
ragionamento. Comunque se dobbiamo restare noi due ad affrontare la nostra
relazione, potremmo anche solo continuare così”.
Mi resi conto solo dopo aver concluso il breve discorso che
stavo solo intorpidendo le acque, generando quindi una parvenza di confusione
nel modo in cui mi spiegavo. Infatti, George aguzzò le orecchie immediatamente.
“Ecco, allora il problema è il matrimonio…!”, sancì, facendo
leva sull’accentato verbo essere. Scossi subito il capo, in cenno di rapido
diniego.
“No, no, sono io che mi sono spiegata male! Era solo un modo
di dire, ma io questo matrimonio lo voglio, lo giuro…”.
Piergiorgio interruppe il mio balbettio, allungandosi in
fretta sul tavolino e scoccandomi un bacio sulle labbra, per poi tornare al suo
posto.
“Per favore, allora non parliamone più e aspettiamo il nostro
pranzo”, affermò.
Accolsi la sua affermazione risoluta con serenità.
“Hai ragione”, ammisi, tranquillizzandomi all’istante.
Non dovemmo colmare l’attesa con altre parole, siccome la
signora Virginia in persona giunse a servirci le pizze.
“E buon appetito a entrambi!”, disse con gioia, dopo averci
servito. Ci portò subito anche l’acqua.
In silenzio, cominciai ad affrontare la mia pizza margherita;
il collega chef era anche un bravo pizzaiolo, e le sue creazioni erano sempre
abbondanti, forse anche un po’ troppo. Tuttavia, erano buone, e se una persona
era una vera buongustaia poi mangiava a dovere, e soprattutto a prezzi molto
modici.
Avevo molta fame, quindi lasciai che le mie mandibole
cominciassero liberamente a fare il loro apposito dovere.
Piergiorgio seguì le mie azioni con lo sguardo fisso su di
me, poi s’incurvò sulla sua pizza. Non compresi fin dall’inizio che
probabilmente aveva qualcosa da aggiungere, e che ancora non aveva trovato il
coraggio per tirarlo fuori e spiegarmelo.
“Ho… ho un’ultima cosa di cui ti vorrei parlare”, disse,
infatti, quando ormai non me l’aspettavo più, essendo decaduto il discorso
proprio per sua spontanea richiesta. Inarcai le sopracciglia, mentre alzavo lo
sguardo dalla mia calda e buona pietanza, pronta ad incontrare il suo.
Si schermò subito, temendo di star peggiorando a sua volta la
situazione.
“E’ solo una mia idea. Poi possiamo continuare a parlarne, o
a discuterne più avanti, non c’è problema… comunque ci tenevo a spiegartela,
così che non ci siano segreti tra di noi”, la fece complicata. Non replicai, in
attesa di saperne di più.
“Se ci sposiamo, vorrei che vivessimo assieme, va bene?”, chiese,
tutto d’un fiato.
“Sicuramente”, risposi. Ammisi che non avevo pensato a
quell’aspetto dell’evoluzione della nostra relazione, ma non c’era
assolutamente problema, anzi, ne ero felice.
“Vorrei che venissi a vivere a casa mia. Spero che questo non
sia un problema per te”, tornò ad aggiungere.
Soppesai per qualche secondo ciò che mi aveva appena detto;
se ero d’accordissimo sul fatto che dovevamo vivere assieme, giacché eravamo
sicuri di voler condividere le nostre vite, non mi sembrava giustissimo finire
a casa sua. Mi metteva impressione, con tutti quei ricordi suoi che conteneva.
Per quello risultai titubante.
“Va bene, almeno all’inizio”, dissi, infatti.
“Il fatto è che…”.
Si interruppe.
Notai che si stava tormentando il labbro inferiore, e non era
da lui; il mio Piergiorgio era sempre stato un uomo sicuro di sé, non poteva
vacillare proprio in quel momento, in cui stava parlando con me. Perché non
vacillava quando parlava con gli altri? Non l’avevo mai visto fragile e in
difficoltà come in quel momento, seppur l’unica cosa che doveva fare era
spiegarsi con me, colei di cui si professava follemente innamorato.
Ebbi come la vaga consapevolezza di quando ci teneva a me,
tanto da giungere a misurare ogni parola da pronunciare, seppure tutto ciò non
quietasse affatto il mio animo inquieto, non sapendo cosa volesse aggiungere.
“E’ che…?”, provai a spingerlo a proseguire, perplessa.
“Vorrei che cominciassimo a convivere fin da subito”.
Sospirò di nuovo, quasi avesse sputato il rospo.
“Per subito intendi…”.
“Appena puoi, insomma. Mi piacerebbe se cominciassimo a
condividere qualche giornata assieme, se vogliamo sposarci non voglio che
giungiamo al giorno del nostro matrimonio senza conoscere le nostre abitudini,
come due sprovveduti. Ho paura che a quel punto tu possa pentirti di qualcosa”,
continuò a spiegarsi, sempre con grande serietà. Sorrisi di nuovo.
“Non mi spavento, George, te l’ho già detto. Sei la persona
più a posto che io abbia mai conosciuto, cosa dovrebbe allontanarmi da te, ora
che ti amo così tanto? Anche tu a volte ti crei delle paure basate sul nulla”,
gli dissi, tranquillamente. Cominciavo a comprendere che stesse cercando di
invitarmi ad affrontare un periodo di prova, prima del grande e eterno passo
avanti, tuttavia non sapevo neanche io se fosse un bene o un male.
“Non che lasciare tua madre possa essere un problema per te”,
aggiunse.
“Senti, George”, irruppi, allora, con maggior veemenza, “al
più presto dico a mia madre che ci stiamo preparando per sposarci. Nulla può
farci tornare indietro, niente di niente. Per tutto il resto, troveremo la
soluzione migliore”.
“Se tua madre venisse a vivere con noi, non sarebbe un
problema; come hai visto, la casa è molto spaziosa e a più piani. Basterà poco
per creare un ambiente familiare e piacevole”.
“Mia madre resterà a casa sua, ne sono certa”, affermai,
sicura di quello che stavo dicendo. La mamma aveva la sua casa, la sua routine
quotidiana, e sapevo che se le avessi chiesto di seguirmi allora si sarebbe
irritata. D’altronde, a mia volta non ero poi ancora così certa di poter
accettare a occhi chiusi questa convivenza che mi era stata proposta.
“Non fare così, magari le farà piacere”, disse lui.
“No, la indispettiremmo soltanto con una proposta del genere.
Comunque, se ti fa così piacere, accetto, però ho bisogno di qualche giorno per…
per sistemare le mie cose”, spiegai, un po’ a singhiozzo. Ero stata decisamente
colta in contropiede da quella pacifica discussione, quindi non sapevo bene
come districarmi di fronte ad una richiesta che sulla carta poteva apparire da
nulla, eppure così fondamentalmente importante.
“Mi dispiace, non ti vedo molto convinta…”, borbottò George,
imbarazzatissimo.
Mi concentrai su di lui e notai un leggero rossore sulle sue
gote, a imporporarle. Non volevo assolutamente finire per litigare, ma mi stava
un po’ scocciando quello che stava accadendo.
“Non devi impuntarti in questo modo!”, sbottai, infatti. “Se
ti ho detto che ho bisogno di qualche giorno, concedimelo. Non dobbiamo
correre, ti prego”.
Se le nostre mani avevano appena interrotto il loro contatto,
il mio amato interlocutore fece correre le sue di nuovo a ricercarlo.
“Hai ragione, sono io che ho esagerato, questa volta. Ti
chiedo scusa, davvero! Perdonami. Sono davvero uno stupido… ma il mio problema
è che ti amo troppo. Capisci? Per me sei una dipendenza, come una droga”,
riprese a dire, a quel punto in maniera caotica e veemente. Mi sentivo
desiderosa di arginarlo, assicurandogli che non era successo nulla tra noi,
eppure non mi diede neppure il tempo per intervenire minimamente.
“Sono stufo di vivere da solo in quella grande casa, piena
solo di fantasmi del passato. A volte mi sveglio durante la notte, e allungo le
braccia sul mio letto, a cercare il calore di un altro corpo, eppure trovo
tutto così freddo… così vuoto…! Cerco te, durante quelle notti, ma non ci sei.
Ti prego, sii gentile e abbi il nobile animo di venirmi incontro. Ti giuro che
se lo farai, avrai ogni cosa che desideri e non te ne pentirai”, continuò
infatti a proferire, il volto sempre più arrossato e le lacrime a offuscare i
suoi grandi occhi così belli.
Rimasi molto colpita, forse troppo, dalle sue parole, e ci
rimasi di stucco di fronte alla sua reazione disperata. Mi venne da chiedermi
quanto in realtà mi amasse, da giungere a spiegarsi in quel modo. Dovevo
comunque valutare l’uomo che avevo di fronte a me per ciò che era, ovvero una
persona che credeva ancora negli antichi valori spirituali, quelli che univano
seriamente le coppie e che io stessa condividevo.
“Non voglio nulla da te, se non il tuo amore più profondo e
sincero, ed ogni cosa ti è perdonata, perché in fondo ti capisco”, mi affrettai
tuttavia a specificare. Mi sorrise, tornando calmo e pacato.
“Tu mi ami così come sono, ed io ti sono infinitamente grato
di questo. Mi sento davvero fortunato ad aver incontrato una tal dama lungo il
mio tortuoso cammino”, asserì, quasi in maniera profetica.
Mi venne da ridere, all’improvviso.
“Non c’è bisogno di dirla alla Dante Alighieri, sai?”.
Mi concessi un minimo di ironia, e così la breve fase di
tensione tra noi parve sciogliersi all’istante.
“Se così fosse stato, ti avrei detto che mi sento davvero
fortunato ad averti incontrato mentre attraversavo una selva oscura, non ti
pare?”.
Ridemmo entrambi, di gusto.
Riprendemmo a mangiare, come se nulla fosse, anche se quello
che mi aveva appena detto con serietà continuava a mulinare dentro la mia
mente, e a turbarla.
Ci lasciammo in maniera molto pacifica, finito di pranzare.
Piergiorgio poi si mise a bisticciare con la signora Virginia affinché
desiderava pagare ciò che avevamo consumato, e lei assolutamente non voleva
neppure udire tale proposito. Fu un tira e molla abbastanza lungo, che parve
tuttavia divertire entrambi, mentre io riprendevo il mio turno lavorativo.
Il mio uomo se ne andò non prima di avermi avvicinato, pronto
a darmi un bacio sulla guancia, per poi tornare anch’egli a quel che aveva da
fare. E che io non conoscevo.
Quella era una curiosità che a volte baluginava dentro di me,
eppure non era quella la questione che in quel momento mi donava maggior
tormento. La verità era che dovevo decidere; accettare la proposta di George, e
andare al più presto a vivere con lui, oppure no? In fondo, pensavo che fosse
meglio ripartire da zero. Convivere, certo, ma non in casa sua. E neppure in
casa mia.
Magari avremmo potuto trovare qualcosa da affittare, ma non
vedevo il mio amante a piegarsi per finire a vivere in una bettola minuscola
come quella in cui convivevo con Marco, tra l’altro con un affitto abbastanza
alto da pagare e senza alcuna comodità. Anche io non volevo finire così.
Siccome non desideravo chiedergli denaro, o spingerlo a
pagare un affitto, giacché il mio stipendio di certo non sarebbe bastato a
rendere tal proposito una realtà, pensai che in fondo potevo anche cominciare
andando da lui. Era la scelta più ovvia, almeno all’inizio, poi tanto se non
fossi stata soddisfatta si sarebbe ritrovato costretto ad accogliere anche la
mia versione dei fatti, e a comprendere cosa provavo tra quelle mura estranee,
così pregne di ricordi di una vita intera che sapevano turbarmi.
Conclusi la mia giornata lavorativa che ero ancora
pensierosa, e dopo aver salutato calorosamente Virginia, ritrovai il mio George
ad attendermi.
Abbassò subito il finestrino, non appena vide che mi
avvicinavo.
“Baby, ti va di fare un giro?”, disse, con voce profondissima.
Indossava un paio di occhiali scuri, da sole, e pareva una rockstar di altri
tempi.
“Salta su!”.
Mi strappò un altro sorriso.
“Sei ancora in vena di fare il simpaticone?”, gli chiesi,
fingendomi stizzita.
“E dai, non si può mai scherzare con te! Fingi almeno di
stare al gioco”, mi rimproverò, gentilmente. Aprii lo sportello e salii in
auto.
“Ma anche io stavo scherzando”, gli dissi.
Lui mi rivolse un’occhiatina furba, prima di sorridere.
“Ah, mi hai messo nel sacco, questa volta”, esclamò, e mise
in moto la macchina, riportandomi a casa.
Tra noi due c’era feeling, e non mancavano mai le effusioni.
Ormai, eravamo una coppia che aveva preso confidenza con il proprio aspetto più
intimo, quindi non ci facevamo più problemi a far nulla.
“Vieni da me, questa sera”, mi disse, quando stavo per
scendere a casa mia.
“Vieni tu”, gli risposi, cordiale, richiudendo poi la
portiera.
Udii che aveva abbassato il finestrino per dirmi qualcosa, ma
io già mi allontanavo, dandogli le spalle e salutandolo di schiena con una mano
alzata. Avevo il timore che insistesse, invece non aggiunse altro, alla fine.
Un potenziale pericolo scampato. Non mi sentivo ancora pronta a passare una
notte a casa sua. Rincasa, mi ritrovai ben presto a cenare con mia madre, che
m’interloquì subito su come fosse andata la giornata lavorativa, su come
stessi… solite cose, insomma.
Mentre mangiavo le uova strapazzate che mi aveva cordialmente
preparato, già mi aspettavo che saltasse fuori una qualche fantomatica domanda,
riguardante un certo argomento.
“E con Piergiorgio, come va?”, chiese, infatti, dopo qualche
altro giro di parole. Sospirai, sapendo che mi aveva fatto parlare solo per
giungere a quel quesito.
“Bene, mamma”, le dissi, prima di riprendere un attimo il
respiro e sputare fuori il rospo. “Stiamo cominciando a pensare al nostro
matrimonio”, aggiunsi, infatti.
Cadesse il cielo! Mia madre rimase a bocca spalancata,
letteralmente.
“Non starete correndo un po’ troppo?2, riuscì a biascicare.
“Oh, presto cominceremo a convivere, non so ancora dove. Qui
no di certo, probabilmente a casa sua”, vuotai definitivamente il sacco. Non
aveva più senso cercare di nascondere qualcosa, siccome io e il mio compagno
ormai stavamo facendo passi da gigante sotto tutti gli aspetti e se volevamo
sperare di proseguire spediti non dovevamo più alimentare gli ostacoli che ci
frapponevano tra noi e la nostra libertà di coppia.
Mia madre ci dovette restare un po’ male, poiché non replicò
più nulla. Non sapevo se la sua era gelosia, timore di tornare a essere sola,
oppure rabbia verso quell’uomo che forse ai suoi occhi non appariva così tanto
perfetto per me, che voleva portarmi via per sempre. Non disse proprio
nient’altro, neppure quando anche il mio George giunse a bussare alla nostra porta,
per trascorrere l’ennesima nottata assieme.
Io e lui ci dileguammo in fretta al piano superiore,
inghiottiti dall’oscurità della mia stanza, che ci permise di tornare ad amarci
con rinnovato vigore.
NOTA DELL’AUTORE
Occhio ai minimi segnali di cambiamento. Questo capitolo ne
contiene alcuni, per la prima volta.
Vorrei incuriosirvi ancora un po’, rivelandovi che per ora
ancora non abbiamo conosciuto un altro personaggio importante ai fini della
trama. Il racconto quindi si preannuncia ancora lunghetto, però conto di non
annoiarvi mai.
Grazie, spero di poter portare avanti al meglio questo
progetto.