CAPITOLO TRENTOTTO
Giunsi sfinita al fine settimana. Davvero, nonostante il
lavoro non fosse più tediante come lo era stato all’inizio, quando ancora la
signora Virginia non riponeva alcuna fiducia in me e mi trattava malissimo,
restava il fatto che, se da una parte ero in pace con la proprietaria del
locale e mi trattava ormai quasi come se fossi una componente della sua
famiglia, dall’altra ero riuscita a continuare ad attrarre tutto il nervosismo
dei colleghi.
Non c’era quasi più nessuno di interessato a me. Non mi
rivolgevano la parola, e si voltavano dall’altra parte quando incrociavano il
mio sguardo. Immaginavo pensassero che fossi una privilegiata, siccome la
signora trattava tutti con veemenza, mentre a me riservava un discretissimo
riguardo.
Ogni giorno questo divario tra me e gli altri si acuiva,
senza che potessi riuscire in qualche modo a colmarlo, neppure un minimo.
Mi generava dispiacere questa situazione, giacché c’era anche
qualcuno dei miei colleghi con il quale ero anche riuscita ad andare d’accordo,
durante i primi tempi, e in modo particolare con Ilenia. I nostri turni erano
destinati a incrociarsi e a convivere per poco, ma era sempre stata simpatica e
tra noi sembrava essersi instaurato un buon rapporto… o questo era quello che
era accaduto prima che notasse che mi ero messa con Piergiorgio, e che ciò
mandava in visibilio Virginia, sua grande amica.
Mi sforzai per il restante tempo di soffocare tutto questo
dolore che brulicava nel mio cuore, non volendomi rattristare per cose alle
quali pareva non esserci immediata soluzione, cercando solo di pensare al
sabato. Esatto, perché quel giorno il mio George sarebbe passato a prendermi, e
ci avrebbe atteso il nostro primo week-end al mare. Mare che mi mancava molto.
La fortuna fu che il tempo volò, e al di là del lavoro non ci
furono altri attriti; con mia madre era tutto a posto, avevamo ancora un buon
dialogo seppur non avessimo più sfiorato le tematiche più recenti su cui
avevamo discusso, e con Piergiorgio andava a gonfie vele.
Non avevo ancora scelto nulla, come anche lui d’altronde si
aspettava, e cercavo solo di restare serena, e basta.
Sabato mattina mi svegliai di buon ora.
George non aveva dormito da me, ormai era qualche sera che
non lo faceva, poiché aveva scelto di affrontare il turno di notte presso la
struttura ospedaliera privata presso la quale offriva il suo sapere, così
com’era accaduto durante tutte le nottate successive alla nostra breve
discussione a riguardo della residenza di coppia.
Comunque lo vedevo tutti i giorni, e sovente mi passava a
prendere per portarmi al lavoro, sempre tranquillissimo. Non volevo neppure
pensare che mi stesse in qualche modo evitando, non era da lui farlo.
Era sempre stato molto sincero con me, ed era quello che
continuavo ad aspettarmi da parte sua, sapendo che, comunque, se ci fosse stato
un problema me ne avrebbe parlato, come nelle volte precedenti.
Mi vestii adeguatamente, d’altronde erano giorni che, nello
scarso tempo libero che avevo, mi sforzavo di provare costumi che ormai
parevano appartenere a un’altra vita.
Avevo ventidue anni l’ultima volta che ero andata al mare,
però avevo conservato i costumi che all’epoca mi ero comprata, e non essendo
mai ingrassata, o cresciuta, mi stavano ancora bene. Non dovetti quindi finire
ad andare a comprarli di nuovo, scegliendo di provare così.
Un bel bikini rosa poteva andare benissimo, infatti, nella
speranza che Piergiorgio non lo ritenesse troppo seducente, appariscente o
imbarazzante per la sua persona. Ecco, fui travolta dai dubbi, e tutto ciò solo
una mezz’ora prima che egli mi passasse a prendere; non sapevo se come mi stavo
preparando gli andasse a genio, sperando di non offendere la sua sensibilità, e
senza sapere cosa aspettarmi.
Finii quindi a essere titubante ed imbronciata, proprio
quando la mia gioia avrebbe dovuto esplodere con tutta la sua forza. Passai
davvero dei brutti minuti, in quell’attesa che si rivelò a tratti estenuante.
Ne parlai a mia madre, ma lei mi rassicurò con un sorriso
bonario sulle labbra, dicendomi che sbagliavo a farmi tutti quegli scrupoli.
Forse aveva ragione, d’altronde ero incline a farmene sempre un po’ troppi, era
proprio da considerare alla stregua di una mia pessima abitudine.
George arrivò con la sua solita puntualità, ma… aspettavo la
sua auto, invece giunse in moto. Rimasi molto perplessa, e quasi basita,
infatti, quando il motociclista si piazzò ad attendermi nel giardino.
Gli andai incontro, e quando si sfilò il casco e il mio uomo
mi apparve sorridente come non mai, mi sciolsi un pochino.
“Non sapevo che tu avessi anche una moto”, gli dissi,
prontamente. Rise forte.
“Sono un uomo di mille risorse. E poi, cosa credi di sapere
di me, amore mio? Ancora niente!”.
“Che sfacciato che sei!”, lo ripresi, non accogliendo la sua
pungente ironia. Eppure, parve non farci caso, e mi allungò un casco.
“Scherzi? Io su quel coso non ci salgo!”, esclamai,
comprendendo che non aspettava altro che infilassi il casco e via.
Lui scese e mi si avvicinò, sempre molto sorridente.
“Non fare la sciocca”, disse, in modo scherzoso.
Io ero tuttavia piuttosto risoluta a non volerci salire, e
osservavo il mezzo di trasporto un po’ in cagnesco, come se non riuscissi a
convincermi del fatto che avrei dovuto salirci. In effetti, mai prima di allora
c’ero mai salita, su una moto di qualsiasi cilindrata e genere; tuttavia, c’era
sempre una prima volta per tutto, no? Piergiorgio poi sembrava particolarmente
divertito dalla mia reazione piuttosto inaspettata, quando in realtà
probabilmente era stata solo la sorpresa a giocarmi un brutto tranello.
“Dai, su! È un ciclomotore, mica un missile aerospaziale”,
provò ancora ad affondare con ironia pungente, porgendomi il casco con
rinnovato vigore. Non alzai neppure le mani per afferrarlo.
“Non me ne frega se è un ciclomotore”, ribattei, mimando il
suo tono di voce. Questo lo fece scoppiare a ridere, di nuovo.
“Basta, dacci un taglio con questa comica, e smettila. Non
vorrai mica renderti così tanto ridicola ai miei occhi”, tornò a dire, e gli
rivolsi con prontezza un’occhiataccia.
Allora cambiò decisamente tattica; appoggiò il casco a terra,
poi mi cinse tra le sue braccia ancora vigorose, e mi baciò con passione.
Sapeva che a quel contatto io non sapevo affatto resistere, ed infatti dopo
qualche attimo ero nuovamente in sua balìa. Le nostre bocche erano avide,
affamate di quello che non avevamo consumato da diversi giorni.
Fu lui a separarsi per primo, così non persi tempo a parlare,
per non offrirgli ulteriore vantaggio.
“Lo sai che io a queste cose non resisto. Non fare il furbo,
questa volta non attacca, e vai a casa a prendere la macchina, altrimenti
usiamo la mia”. Dovevo apparire irremovibile, eppure mi stavo addolcendo.
“Non capisco questa tua reticenza…”, mormorò, “…non sarà
paura, spero”.
Mi sforzai di ridere.
“Paura di un motorino? Ma figuriamoci”.
“Ah, no?”.
“No, è solo questione di…”, ci pensai un attimo, “…coerenza”,
conclusi.
“Allora niente amore”, sancì lui, imbronciandosi
all’improvviso.
“Come?”.
“Niente, non si fa più l’amore per un bel po’. Contenta?”.
Risi forte, genuinamente quella volta.
“Aspetta, credi di ricattarmi così, in questo modo?”,
domandai.
“Be’…”.
“Una punizione, insomma”, gli feci notare. Mi guardò e
scrollò le spalle.
“Se la vuoi proprio mettere così. Anche se non sono un tipo
da punizioni, capisci”.
“Dai, ok, la facciamo finita qui”, sancii a mia volta,
rendendomi conto che il tempo stava inesorabilmente scorrendo, e che non
uscivamo dal nostro solito pantano quotidiano. Mi chinai, raccolsi il casco e
me lo infilai con pratico nervosismo sulla testa.
“Oh, allora ti sei improvvisamente convinta, eh! Avevo
ragione…”.
George mi guardava, un po’ sbalordito, probabilmente non si
attendeva che alla fine cambiassi idea così, quasi di punto in bianco, a
seguito di un considerevole tira e molla.
“Non avevi ragione per niente”, quasi gli intimai, “però ho
voglia di mare. E di…”.
“Di…?”, mi incoraggiò.
“Di stare con te”.
Mi sciolsi e lo abbracciai.
“Cosa non si fa per Amore”, aggiunsi, anche.
“Monta su, donzella! Questo è il mio cavallo”, tornò a
ironizzare Piergiorgio, prendendo posizione sulla moto e picchiettando poi con
una mano sul prolungamento posteriore del sedile, creato apposta per ospitare
un’altra persona.
Sospirai, ed eseguii, dimostrando una goffaggine senza
precedenti. Ero imbarazzata io stessa della mia prestazione atletica, giacché
ero in difficoltà anche solo ad alzare una gamba, tuttavia per fortuna il mio
buon innamorato non mi stava osservando, anzi, teneva lo sguardo fisso avanti,
forse avendo fiducia di me, senza riconoscere la mia effettiva imbranataggine.
Io pensavo solo che stavo per cadere, ahimè, e mi immaginavo
una sua possibile reazione.
Quando riuscii finalmente a posizionarmi in sella, quei
suddetti pensieri mi fecero sfuggire una profonda risatina, piuttosto di gusto.
“E’ tutto a posto?”, mi domandò con prontezza, udendola.
Si volse con un po’ di perplessità, ma non riuscì a
osservarmi direttamente, poiché il casco e la posizione assunta gli impedivano
una maggior rotazione del capo.
“Certo”, lo rassicurai, tornando seria. Eppure, continuava a
baluginare nella mia mente un possibile scenario, ovvero quello in cui io, a
terra a causa della mia ingenua goffaggine, dovevo essere soccorsa da lui. Una
figuraccia buffa, che però mi affrettai a smettere di immaginare, per il mio
effettivo bene.
“Posso partire?”, tornò ad interloquirmi, dopo un altro
attimo in cui avevo posizionato al meglio il mio didietro sullo scomodo sedile
sottostante.
“Sì, certo”. La mia voce era stata un po’ titubante.
“Tieniti stretta a me”, quasi mi intimò.
Mi affrettai a eseguire ciò che mi aveva appena detto, e con
entrambe le braccia mi strinsi a lui, forse con un po’ troppa forza. Percepii
il suo ventre che si muoveva leggermente sotto la mia stretta ferrea ed
eccessiva.
“Ouch”, borbottò, infatti, “piano, per favore! Basta che ti
tieni soltanto, ma giusto un minimo, tanto non è che questo sia un bolide che
va ai cento all’ora…”.
“Scusa”, gli dissi, un po’ sconsolata.
Allentai la stretta, e lui mise in moto quel trabiccolo che
stavo imparando a detestare in fretta, e con tutta me stessa. Quando esso si
mosse, e George sollevò i piedi da terra, tornai ad avvinghiarmi a lui, per poi
tornare a sciogliermi da lì a qualche minuto, quando ormai mi era chiaro che
già i cinquanta all’ora erano un problema per noi.
“Ma che macinino…”, gli gridai, infatti, per sovrastare il
rumore del vento, e quello prodotto dalle altre auto che ci sorpassavano tutte.
“Te l’ho detto, è un ciclomotore alla mia portata”, mi fece
notare, anche lui a voce altissima.
“Un ciclomotore…”, bisbigliai tra me e me, sorridendo. Solo
il mio George era in grado di estrapolare tutte quelle paroline così insolite.
Era anche per tutte le sue particolarità che lo amavo.
Compimmo il resto del tragitto, in maniera tranquilla,
proseguendo a una velocità abbastanza limitata e con tutti gli automobilisti
che regolarmente, appena potevano, ci sorpassavano.
Credevo mi avrebbe portato a Rimini, o in qualche spiaggia
limitrofa, eppure si mosse verso nord, alla volta del territorio ravennate. Non
immaginavo il motivo di ciò, eppure dopo un viaggio abbastanza lungo, ci
ritrovammo a Cervia, la ridente città di mare pochi chilometri più a sud di
Ravenna.
Parcheggiò nell’apposito posteggio a pagamento a pochi passi
dalla spiaggia, ed allora finalmente potei lasciare la mia postazione, così da
tornare a rimettere i piedi a terra.
“Non ne potevo più”, ammisi, togliendomi il casco e quasi
finendo asfissiata dall’afa di quella mattinata soleggiata, nonostante fossero
appena le nove e mezzo.
“E’ stata una così brutta esperienza, per te?”, mi domandò,
interessato, togliendosi a sua volta il casco e dirigendosi a pagare il
parcheggio.
“Dai… potrei anche non lamentarmi”, mi arresi. Era vero, non
era stato malaccio.
“Solo che credevo che il bello di avere una moto fosse
proprio la sua velocità, e superare tutte le altre auto, non farsi sorpassare
da tutti”, espressi di seguito una mia perplessità, che sul momento mi appariva
anche piuttosto simpatica.
Lui però mi rivolse un’occhiatina un po’ nervosa, proprio
quando meno me l’aspettavo.
‘’La mia è una moto che in teoria può andare anche più
veloce, ma avevo anche tu con me. Non volevo andare più forte, perché ti avevo
già visto abbastanza nervosa…’’.
“Non devi scusarti di nulla, le mie parole prendile come una
battuta”, mi affrettai a dirgli, accorgendomi che forse in quel momento non era
proprio in vena di scherzare.
Il mio George anche quella mattina era ben in forma; era
vestito leggero, con una bella camicetta di cotone fine, smanicata, e un paio
di calzoni lunghi e scuri, a gambe corte. Ai piedi, un paio di sandali da uomo,
neri. Era in gran spolvero, come sempre dimostrava qualche anno in meno, seppur
i suoi capelli ingrigiti e l’aspetto un po’ trasandato del viso non
mascheravano eccessivamente l’età anagrafica.
Si vedeva molto bene che era la prima volta che si esponeva
al sole in quel modo, almeno durante quella stagione estiva, siccome la pelle
era piuttosto bianca, in modo particolare quella delle gambe e dei piedi. Mi
sembrava però abbastanza a suo agio, nonostante il modo di vestire che doveva
essere piuttosto inusuale per una persona molto formale come era lui.
Mi prese a braccetto, poi, con grande gentilezza, e
cominciammo a muoverci verso la limitrofa spiaggia. Prima, però, ci appoggiammo
contro il muretto che delimitava l’asfalto, separandolo dalla sabbia, e ci
baciammo.
“Credevo saremmo andati nel riminese… o, comunque, più vicini
a casa”, gli feci notare, quando le nostre labbra si distaccarono.
Attorno a noi c’erano tante altre persone che camminavano e
passeggiavano, eppure non m’importava nulla di tutti quegli sconosciuti; in
quell’ambiente che mi era relativamente nuovo, essendo stata a Cervia solo due
o tre volte durante il corso della mia vita, ero anche estraniata da ogni
genere di imbarazzo.
Poi, il mio amante meritava anche la giusta ricompensa per la
sua gentilezza.
“Il fatto è che a Rimini, o nella nostra zona, i bagni sono
sempre troppo affollati e sfruttati”, si spiegò, tenendomi per mano e cominciando
di nuovo a camminare, “quindi pensavo a qualcosa di più romantico, di più tranquillo,
e anche di più nuovo”.
Annuii.
“Hai ragione”.
Solo che, più camminavamo, e più notavamo quanta gente fosse
presente anche in quella località. L’affollamento eccessivo restava una delle
piaghe più diffuse di tutta la riviera romagnola, come ben sapevano tutti, però
in fondo era anche vero che non si poteva paragonare quello di Cervia ad altri
contesti molto più caotici.
“Vuoi scegliere tu il bagno in cui andare, o lo faccio io? Fa
caldo, non vorrei passeggiare in eterno”, disse, dopo un po’ che continuavamo a
camminare sul lungomare.
“Hai qualche idea?”, gli chiesi, d’altronde per me scegliere
equivaleva a farlo a caso.
“Be’, c’è un mio buon amico e vecchio compagno di studi che
ora si gode la pensione facendo il bagnino assieme ai figli, qui poco distante.
Cosa ne dici?”.
“Mi sta bene. Un bagno vale l’altro, per me”, acconsentii.
Allora, mi accompagnò prontamente verso uno degli appositi locali
organizzati tra il lungomare e la spiaggia vera e propria. Nel locale faceva
caldo, era tutto aperto e il vento rovente proveniente dalla piaggia già
infuocata entrava con prepotenza al suo interno, mozzando il respiro, mentre
dietro al piccolo bancone, tuttavia molto colorato e di bella presenza, c’era
posizionato un uomo anziano.
“Buongiorno, Mauro!”, salutò subito George, senza aspettare
che il soggetto in questione lo focalizzasse e lo riconoscesse. Infatti,
l’anziano lo riconobbe solo dopo che l’ebbe salutato, giacché direzionò i suoi
occhi verso di noi e ci osservò.
“Piergiorgio! Oh, dottore, qual buon vento!”, salutò a sua
volta Mauro, abbastanza euforico.
Passò lo strofinaccio che aveva tra le mani a un ragazzotto
che gli era a fianco, e si fiondò verso di noi. I due si incontrarono e si
scambiarono qualche piccolo convenevole e un paio di sonore pacche sulla
schiena, molto amichevoli, il tutto mentre io li osservavo in silenzio, ma divertita.
Ogni volta che il mio George si presentava al cospetto di una
persona che l’aveva conosciuto, era sempre ben accolto, e con grande calore.
Sicuramente era molto benvoluto.
“Sei dottore anche tu, anche se in pensione”, precisò il mio
amante, dopo aver affrontato il primo e gioioso impatto.
“Non sono mai stato bravo quanto te, George, mi dispiace. Non
ho mai avuto l’animo da medico”, sancì l’amico, con un pizzico di amarezza.
“Ma no, te la sei sempre saputa cavare, e questo è
l’importante”, volle rassicurarlo dolcemente il suo interlocutore.
Mauro era un uomo completamente calvo, il viso era scuro, la
pelle tirata tipica delle persone che, durante l’estate, trascorrevano molte
ore all’aria aperta. Era molto più vissuto del mio fidanzato, e appariva
decisamente più vecchio e raggrinzito. Non avevo idea se avesse proprio la
medesima età del mio uomo, tuttavia dimostrava dieci anni in più, almeno,
nonostante sembrasse che l’animo fosse ancora gioviale e arzillo, molto più del
fisico.
“Non mi aspettavo una tua visita, mio caro amico. Devo
proprio ammettere che non ti credevo più un tipo da mare!”, propose un po’
d’ironia, facendo sorridere il mio George.
“Oh, come puoi vedere sono in grande forma. Ultimamente sono
successe un bel po’ di cose nella mia vita, che mi hanno ritirato su il morale,
il giusto per permettermi una capatina al mare”, disse il mio uomo, molto
tranquillo e sorridente.
“E questa ragazza che ti accompagna chi è? È con te?”, chiese
Mauro, occhieggiando poi verso di me, finora sempre in disparte.
Piergiorgio non mi diede tempo di rispondere, volle infatti
presentarmi lui.
“Oh, lei è Isabella, la mia… la mia fidanzata”.
Aveva cercato di spiegarsi nel modo più chiaro possibile, e
cercò il mio sguardo, dopo aver offerto la sua spiegazione sincera. Mauro mi
osservò con vivo interesse, e nei suoi occhi parve risplendere una luce
intensa, di profondo divertimento.
“La tua fidanzata?”, tornò a domandare, per un attimo in modo
un po’ titubante, probabilmente nel timore di non aver capito bene.
“Certo, è la mia ragazza, per dirla come i ragazzi di oggi.
Ci sposeremo a breve…”.
Mauro non lo lasciò concludere.
“Complimenti, congratulazioni”, si prodigò subito,
allungandomi una mano e stringendomela nella sua, callosa. “Non sapevo, vecchio
mio, che tu avessi un interesse così profondo per le belle ragazze, e giovani,
anche”, proseguì poi l’uomo, dopo aver sciolto la brevissima stretta, tornando
a rivolgersi all’amico in tono scanzonato. George, naturalmente, la prese sul
ridere.
“Ho sempre avuto buoni gusti. La mia povera moglie era una
donna di casa fantastica, anche se tra noi mancava la passione. Isabella invece
è per me vita, gioia… tutto! È il mio sole”, affermò senza tentennamenti,
allungandosi poi a baciarmi, senza pudore.
Mi fece arrossire quel suo atteggiamento così disinvolto. Ci
scambiammo comunque sono un rapidissimo bacio casto sulle labbra.
“Immagino, sembra proprio una bravissima ragazza”, disse a
sua volta Mauro, poi abbassò improvvisamente la voce, per proseguire. “Ma non
sarà un pochino troppo giovane per te?”.
Ammiccò a entrambi.
“A me George piace da impazzire. Non è troppo vecchio…”,
intervenni per la prima volta.
“Mah, insomma! Mi fa sempre fare delle faticacce, a letto. Ma
ne vale la pena, eh!”, si schernì ironicamente, suscitando in Mauro una risata
gioviale, che risuonò in tutto il piccolo locale.
Io ero un pochino imbarazzata, poiché se da una parte notavo
come il mio amore si sciogliesse molto con i suoi conoscenti, dall’altra a
volte la sua ironia su di me aveva l’effetto contrario a quello voluto.
Comunque, si trattava di rarissimi casi, per fortuna.
“Signorina, non vorrei metterla in imbarazzo, questo mai”,
aggiunse Mauro, quella volta rivolgendosi a me con gentilezza, cancellando ogni
espressione di divertimento dal proprio volto, “però vorrei dirle solo che ha
scelto molto bene. Il mio amico qui presente è una persona fantastica”.
“Lo so, me ne sono accorto. Mi dia pure del tu, eh”,
acconsentii, sorridendogli e sciogliendomi. Era un uomo astuto, come lo erano
generalmente tutti gli amici del mio George, o perlomeno quelli che mi erano
stati presentati fino a quel momento, quindi sapeva quando era ora di smetterla
di scherzare.
“Ti ringrazio, Isabella”, mi strizzò l’occhio, “lo stesso
vale per te”.
“Grazie”, ringraziai, gentilmente.
“Un ombrellone e due lettini li hai ancora?”, intervenne il
mio George, con la giusta puntualità. D’altronde, quello era proprio il nostro
obiettivo, e più i minuti passavano, più la spiaggia si riempiva di bagnanti,
serviti e accomodati dai ragazzi del bagno.
“Oh, sai, sono pieno! Guarda là!”, sbottò l’altro, tornando
poi a ridere, dopo aver allargato le braccia per mostrarci la distesa di
ombrelloni che si estendeva a pochi passi da noi, fin quasi alla battigia.
“Non fare lo sciocco”, quasi lo rimproverò il mio amante,
bonario, “intendevo un ombrellone e due lettini ancora liberi”.
“Per te e la tua dolce metà, ci sarà sempre posto. Prime
file, o verso il lungomare?”.
“Tu che ne pensi, Isa?”.
Scrollai le spalle.
“E’ indifferente, per me”.
“Verso le prime file, se puoi. Così sentiamo anche un po’ di
brezza dal mare, per non soffocare con quest’afa dannosa”, decise allora
George, molto risoluto.
“Va bene, ti faccio immediatamente accompagnare dai ragazzi.
Massimo!”, urlò, poi. Subito, un giovincello sulla trentina si affrettò a
raggiungerci.
“Figliolo, accompagna questo mio amico alle prime file, e aprigli
un ombrellone e due lettini”, disse Mauro.
“Certo. Seguitemi pure”, si affrettò a rispondere il giovane,
che doveva essere abituato ad obbedire al padre.
Piergiorgio ringraziò Mauro e si affrettò, assieme a me, a
raggiungere il giovane, che proseguiva spedito lungo la passerella.
“Le prime tre file le abbiamo tutte occupate, mi dispiace.
Nella quarta, c’è un ombrellone libero, se lo volete”.
“Va benissimo”, acconsentii, con George che mi riservò un’occhiatina
soddisfatta.
Ci accomodammo quindi in fretta, con il mio amore che si mise
a parlottare, per qualche minuto, con il giovane Massimo, chiedendogli se fosse
proprio il figlio di Mauro, e qualche gentile informazione su di lui.
Io ne approfittai per sistemare la mia borsa ed estrarre i
due asciugamani che mi ero preparata. Ero impacciata, non ricordavo neppure
bene come fare, quasi non mi sentivo a mio agio, eppure, per fortuna, il mio
George era sempre a mio fianco.
Liquidato poi Massimo, si dedicò totalmente a me. Stese il
suo asciugamano sullo sdraio di destra, poi si tolse i sandali e si sfilò la
maglietta. Io feci altrettanto.
Tremando, nel timore che quello che indossavo potesse non
piacergli, mi svestii, restando presto in bikini. Quando tornai a guardarlo,
notai con stupore che aveva occhi solo per me; mi stava fissando con profondo
affetto, e non solo, i suoi occhioni bonari erano pieni di passionalità.
Gli sorrisi blandamente, prima di accasciarmi sul mio sdraio.
Mi sembrava di sentirmi disturbata dalla gente che mi circondava, come se, dopo
tanto tempo che non mi ero recata in una spiaggia affollata, fossi diventata
stranamente pudica e non mi piacesse svestirmi e stare mezza nuda. Ma la
spiaggia era anche questo; era anche starsene così, a rilassarsi al calore di
sole e sabbia, con il leggero venticello fresco del mare che sfiorava la mia
pelle.
Così, in fretta, mi ritrovai a essere più a mio agio.
Piergiorgio, disteso anch’egli a pochi passi da me, si era
messo gli occhiali da sole, senza però togliersi i calzoncini.
“Sei troppo giovanile, oggi”, volli interrompere il breve
momento di silenzio che ci aveva caratterizzati fin da quando ci avevano
accompagnato all’ombrellone.
“Devo stare al fianco di una tale bellezza… non posso
permettermi altro”, disse.
Si tolse gli occhiali da sole e tornò seduto; poi, allungò
una mano verso di me, e incurante di tutto, allungò una mano ed accarezzò le
mie gambe, facendomi provare un brivido di piacere.
“E pensare che temevo di non piacerti, vestita così”.
“Oh, invece mi piaci un sacco!”, esclamò.
“Ma toglimi una curiosità; perché temevi di non piacermi?”,
chiese.
“Perché… non lo so!”, sbottai, riconoscendo che a volte mi
facevo fin troppi problemi. E che poi, d’altronde, in spiaggia ci si doveva
andare vestiti così.
“Oh…”, mormorò, “idee confuse anche a riguardo di questa
questione?”, sogghignò, sempre con bonarietà.
“Eh, sì”, fui costretta ad ammettere, sorridendogli con fare
ingenuo.
“Allora, ho una bell’idea… e se andassimo in acqua a
rinfrescarci, così proviamo a chiarirle?”.
Quasi saltai in piedi, dalla gioia.
“Ma certo! Andiamo, se vuoi”, acconsentii, tutta contenta.
Piergiorgio allora mi prese per mano, con delicatezza.
“Andiamo”, ammiccò, e mi lasciai portare fino alla distesa
d’acqua dal mio amore, con l’Adriatico piatto e calmo che sembrava attendere
solo di poterci cingere con le sue acque limpide.
NOTA DELL’AUTORE
Altro tributo a Cervia. Chi mi segue da tempo ben saprà che
durante tutta la mia “attività” da scrittore amatoriale ho inserito parecchie
volte questa città nei miei raccontini.
Non vivo a Cervia ma lì ho trascorso tanti momenti brutti, e
anche qualcuno di bello e sereno… sì, devo dire che la porto comunque nel
cuore. Nonostante tutto.
Grazie per continuare a seguirmi.