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Autore: alessandroago_94    11/02/2019    6 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo trentotto

CAPITOLO TRENTOTTO

 

 

 

 

 

 

 

Giunsi sfinita al fine settimana. Davvero, nonostante il lavoro non fosse più tediante come lo era stato all’inizio, quando ancora la signora Virginia non riponeva alcuna fiducia in me e mi trattava malissimo, restava il fatto che, se da una parte ero in pace con la proprietaria del locale e mi trattava ormai quasi come se fossi una componente della sua famiglia, dall’altra ero riuscita a continuare ad attrarre tutto il nervosismo dei colleghi.

Non c’era quasi più nessuno di interessato a me. Non mi rivolgevano la parola, e si voltavano dall’altra parte quando incrociavano il mio sguardo. Immaginavo pensassero che fossi una privilegiata, siccome la signora trattava tutti con veemenza, mentre a me riservava un discretissimo riguardo.

Ogni giorno questo divario tra me e gli altri si acuiva, senza che potessi riuscire in qualche modo a colmarlo, neppure un minimo.

Mi generava dispiacere questa situazione, giacché c’era anche qualcuno dei miei colleghi con il quale ero anche riuscita ad andare d’accordo, durante i primi tempi, e in modo particolare con Ilenia. I nostri turni erano destinati a incrociarsi e a convivere per poco, ma era sempre stata simpatica e tra noi sembrava essersi instaurato un buon rapporto… o questo era quello che era accaduto prima che notasse che mi ero messa con Piergiorgio, e che ciò mandava in visibilio Virginia, sua grande amica.

Mi sforzai per il restante tempo di soffocare tutto questo dolore che brulicava nel mio cuore, non volendomi rattristare per cose alle quali pareva non esserci immediata soluzione, cercando solo di pensare al sabato. Esatto, perché quel giorno il mio George sarebbe passato a prendermi, e ci avrebbe atteso il nostro primo week-end al mare. Mare che mi mancava molto.

La fortuna fu che il tempo volò, e al di là del lavoro non ci furono altri attriti; con mia madre era tutto a posto, avevamo ancora un buon dialogo seppur non avessimo più sfiorato le tematiche più recenti su cui avevamo discusso, e con Piergiorgio andava a gonfie vele.

Non avevo ancora scelto nulla, come anche lui d’altronde si aspettava, e cercavo solo di restare serena, e basta.

 

Sabato mattina mi svegliai di buon ora.

George non aveva dormito da me, ormai era qualche sera che non lo faceva, poiché aveva scelto di affrontare il turno di notte presso la struttura ospedaliera privata presso la quale offriva il suo sapere, così com’era accaduto durante tutte le nottate successive alla nostra breve discussione a riguardo della residenza di coppia.

Comunque lo vedevo tutti i giorni, e sovente mi passava a prendere per portarmi al lavoro, sempre tranquillissimo. Non volevo neppure pensare che mi stesse in qualche modo evitando, non era da lui farlo.

Era sempre stato molto sincero con me, ed era quello che continuavo ad aspettarmi da parte sua, sapendo che, comunque, se ci fosse stato un problema me ne avrebbe parlato, come nelle volte precedenti.

Mi vestii adeguatamente, d’altronde erano giorni che, nello scarso tempo libero che avevo, mi sforzavo di provare costumi che ormai parevano appartenere a un’altra vita.

Avevo ventidue anni l’ultima volta che ero andata al mare, però avevo conservato i costumi che all’epoca mi ero comprata, e non essendo mai ingrassata, o cresciuta, mi stavano ancora bene. Non dovetti quindi finire ad andare a comprarli di nuovo, scegliendo di provare così.

Un bel bikini rosa poteva andare benissimo, infatti, nella speranza che Piergiorgio non lo ritenesse troppo seducente, appariscente o imbarazzante per la sua persona. Ecco, fui travolta dai dubbi, e tutto ciò solo una mezz’ora prima che egli mi passasse a prendere; non sapevo se come mi stavo preparando gli andasse a genio, sperando di non offendere la sua sensibilità, e senza sapere cosa aspettarmi.

Finii quindi a essere titubante ed imbronciata, proprio quando la mia gioia avrebbe dovuto esplodere con tutta la sua forza. Passai davvero dei brutti minuti, in quell’attesa che si rivelò a tratti estenuante.

Ne parlai a mia madre, ma lei mi rassicurò con un sorriso bonario sulle labbra, dicendomi che sbagliavo a farmi tutti quegli scrupoli. Forse aveva ragione, d’altronde ero incline a farmene sempre un po’ troppi, era proprio da considerare alla stregua di una mia pessima abitudine.

George arrivò con la sua solita puntualità, ma… aspettavo la sua auto, invece giunse in moto. Rimasi molto perplessa, e quasi basita, infatti, quando il motociclista si piazzò ad attendermi nel giardino.

Gli andai incontro, e quando si sfilò il casco e il mio uomo mi apparve sorridente come non mai, mi sciolsi un pochino.

“Non sapevo che tu avessi anche una moto”, gli dissi, prontamente. Rise forte.

“Sono un uomo di mille risorse. E poi, cosa credi di sapere di me, amore mio? Ancora niente!”.

“Che sfacciato che sei!”, lo ripresi, non accogliendo la sua pungente ironia. Eppure, parve non farci caso, e mi allungò un casco.

“Scherzi? Io su quel coso non ci salgo!”, esclamai, comprendendo che non aspettava altro che infilassi il casco e via.

Lui scese e mi si avvicinò, sempre molto sorridente.

“Non fare la sciocca”, disse, in modo scherzoso.

Io ero tuttavia piuttosto risoluta a non volerci salire, e osservavo il mezzo di trasporto un po’ in cagnesco, come se non riuscissi a convincermi del fatto che avrei dovuto salirci. In effetti, mai prima di allora c’ero mai salita, su una moto di qualsiasi cilindrata e genere; tuttavia, c’era sempre una prima volta per tutto, no? Piergiorgio poi sembrava particolarmente divertito dalla mia reazione piuttosto inaspettata, quando in realtà probabilmente era stata solo la sorpresa a giocarmi un brutto tranello.

“Dai, su! È un ciclomotore, mica un missile aerospaziale”, provò ancora ad affondare con ironia pungente, porgendomi il casco con rinnovato vigore. Non alzai neppure le mani per afferrarlo.

“Non me ne frega se è un ciclomotore”, ribattei, mimando il suo tono di voce. Questo lo fece scoppiare a ridere, di nuovo.

“Basta, dacci un taglio con questa comica, e smettila. Non vorrai mica renderti così tanto ridicola ai miei occhi”, tornò a dire, e gli rivolsi con prontezza un’occhiataccia.

Allora cambiò decisamente tattica; appoggiò il casco a terra, poi mi cinse tra le sue braccia ancora vigorose, e mi baciò con passione. Sapeva che a quel contatto io non sapevo affatto resistere, ed infatti dopo qualche attimo ero nuovamente in sua balìa. Le nostre bocche erano avide, affamate di quello che non avevamo consumato da diversi giorni.

Fu lui a separarsi per primo, così non persi tempo a parlare, per non offrirgli ulteriore vantaggio.

“Lo sai che io a queste cose non resisto. Non fare il furbo, questa volta non attacca, e vai a casa a prendere la macchina, altrimenti usiamo la mia”. Dovevo apparire irremovibile, eppure mi stavo addolcendo.

“Non capisco questa tua reticenza…”, mormorò, “…non sarà paura, spero”.

Mi sforzai di ridere.

“Paura di un motorino? Ma figuriamoci”.

“Ah, no?”.

“No, è solo questione di…”, ci pensai un attimo, “…coerenza”, conclusi.

“Allora niente amore”, sancì lui, imbronciandosi all’improvviso.

“Come?”.

“Niente, non si fa più l’amore per un bel po’. Contenta?”.

Risi forte, genuinamente quella volta.

“Aspetta, credi di ricattarmi così, in questo modo?”, domandai.

“Be’…”.

“Una punizione, insomma”, gli feci notare. Mi guardò e scrollò le spalle.

“Se la vuoi proprio mettere così. Anche se non sono un tipo da punizioni, capisci”.

“Dai, ok, la facciamo finita qui”, sancii a mia volta, rendendomi conto che il tempo stava inesorabilmente scorrendo, e che non uscivamo dal nostro solito pantano quotidiano. Mi chinai, raccolsi il casco e me lo infilai con pratico nervosismo sulla testa.

“Oh, allora ti sei improvvisamente convinta, eh! Avevo ragione…”.

George mi guardava, un po’ sbalordito, probabilmente non si attendeva che alla fine cambiassi idea così, quasi di punto in bianco, a seguito di un considerevole tira e molla.

“Non avevi ragione per niente”, quasi gli intimai, “però ho voglia di mare. E di…”.

“Di…?”, mi incoraggiò.

“Di stare con te”.

Mi sciolsi e lo abbracciai.

“Cosa non si fa per Amore”, aggiunsi, anche.

“Monta su, donzella! Questo è il mio cavallo”, tornò a ironizzare Piergiorgio, prendendo posizione sulla moto e picchiettando poi con una mano sul prolungamento posteriore del sedile, creato apposta per ospitare un’altra persona.

Sospirai, ed eseguii, dimostrando una goffaggine senza precedenti. Ero imbarazzata io stessa della mia prestazione atletica, giacché ero in difficoltà anche solo ad alzare una gamba, tuttavia per fortuna il mio buon innamorato non mi stava osservando, anzi, teneva lo sguardo fisso avanti, forse avendo fiducia di me, senza riconoscere la mia effettiva imbranataggine.

Io pensavo solo che stavo per cadere, ahimè, e mi immaginavo una sua possibile reazione.

Quando riuscii finalmente a posizionarmi in sella, quei suddetti pensieri mi fecero sfuggire una profonda risatina, piuttosto di gusto.

“E’ tutto a posto?”, mi domandò con prontezza, udendola.

Si volse con un po’ di perplessità, ma non riuscì a osservarmi direttamente, poiché il casco e la posizione assunta gli impedivano una maggior rotazione del capo.

“Certo”, lo rassicurai, tornando seria. Eppure, continuava a baluginare nella mia mente un possibile scenario, ovvero quello in cui io, a terra a causa della mia ingenua goffaggine, dovevo essere soccorsa da lui. Una figuraccia buffa, che però mi affrettai a smettere di immaginare, per il mio effettivo bene.

“Posso partire?”, tornò ad interloquirmi, dopo un altro attimo in cui avevo posizionato al meglio il mio didietro sullo scomodo sedile sottostante.

“Sì, certo”. La mia voce era stata un po’ titubante.

“Tieniti stretta a me”, quasi mi intimò.

Mi affrettai a eseguire ciò che mi aveva appena detto, e con entrambe le braccia mi strinsi a lui, forse con un po’ troppa forza. Percepii il suo ventre che si muoveva leggermente sotto la mia stretta ferrea ed eccessiva.

“Ouch”, borbottò, infatti, “piano, per favore! Basta che ti tieni soltanto, ma giusto un minimo, tanto non è che questo sia un bolide che va ai cento all’ora…”.

“Scusa”, gli dissi, un po’ sconsolata.

Allentai la stretta, e lui mise in moto quel trabiccolo che stavo imparando a detestare in fretta, e con tutta me stessa. Quando esso si mosse, e George sollevò i piedi da terra, tornai ad avvinghiarmi a lui, per poi tornare a sciogliermi da lì a qualche minuto, quando ormai mi era chiaro che già i cinquanta all’ora erano un problema per noi.

“Ma che macinino…”, gli gridai, infatti, per sovrastare il rumore del vento, e quello prodotto dalle altre auto che ci sorpassavano tutte.

“Te l’ho detto, è un ciclomotore alla mia portata”, mi fece notare, anche lui a voce altissima.

“Un ciclomotore…”, bisbigliai tra me e me, sorridendo. Solo il mio George era in grado di estrapolare tutte quelle paroline così insolite. Era anche per tutte le sue particolarità che lo amavo.

Compimmo il resto del tragitto, in maniera tranquilla, proseguendo a una velocità abbastanza limitata e con tutti gli automobilisti che regolarmente, appena potevano, ci sorpassavano.

Credevo mi avrebbe portato a Rimini, o in qualche spiaggia limitrofa, eppure si mosse verso nord, alla volta del territorio ravennate. Non immaginavo il motivo di ciò, eppure dopo un viaggio abbastanza lungo, ci ritrovammo a Cervia, la ridente città di mare pochi chilometri più a sud di Ravenna.

Parcheggiò nell’apposito posteggio a pagamento a pochi passi dalla spiaggia, ed allora finalmente potei lasciare la mia postazione, così da tornare a rimettere i piedi a terra.

“Non ne potevo più”, ammisi, togliendomi il casco e quasi finendo asfissiata dall’afa di quella mattinata soleggiata, nonostante fossero appena le nove e mezzo.

“E’ stata una così brutta esperienza, per te?”, mi domandò, interessato, togliendosi a sua volta il casco e dirigendosi a pagare il parcheggio.

“Dai… potrei anche non lamentarmi”, mi arresi. Era vero, non era stato malaccio.

“Solo che credevo che il bello di avere una moto fosse proprio la sua velocità, e superare tutte le altre auto, non farsi sorpassare da tutti”, espressi di seguito una mia perplessità, che sul momento mi appariva anche piuttosto simpatica.

Lui però mi rivolse un’occhiatina un po’ nervosa, proprio quando meno me l’aspettavo.

‘’La mia è una moto che in teoria può andare anche più veloce, ma avevo anche tu con me. Non volevo andare più forte, perché ti avevo già visto abbastanza nervosa…’’.

“Non devi scusarti di nulla, le mie parole prendile come una battuta”, mi affrettai a dirgli, accorgendomi che forse in quel momento non era proprio in vena di scherzare.

Il mio George anche quella mattina era ben in forma; era vestito leggero, con una bella camicetta di cotone fine, smanicata, e un paio di calzoni lunghi e scuri, a gambe corte. Ai piedi, un paio di sandali da uomo, neri. Era in gran spolvero, come sempre dimostrava qualche anno in meno, seppur i suoi capelli ingrigiti e l’aspetto un po’ trasandato del viso non mascheravano eccessivamente l’età anagrafica.

Si vedeva molto bene che era la prima volta che si esponeva al sole in quel modo, almeno durante quella stagione estiva, siccome la pelle era piuttosto bianca, in modo particolare quella delle gambe e dei piedi. Mi sembrava però abbastanza a suo agio, nonostante il modo di vestire che doveva essere piuttosto inusuale per una persona molto formale come era lui.

Mi prese a braccetto, poi, con grande gentilezza, e cominciammo a muoverci verso la limitrofa spiaggia. Prima, però, ci appoggiammo contro il muretto che delimitava l’asfalto, separandolo dalla sabbia, e ci baciammo.

“Credevo saremmo andati nel riminese… o, comunque, più vicini a casa”, gli feci notare, quando le nostre labbra si distaccarono.

Attorno a noi c’erano tante altre persone che camminavano e passeggiavano, eppure non m’importava nulla di tutti quegli sconosciuti; in quell’ambiente che mi era relativamente nuovo, essendo stata a Cervia solo due o tre volte durante il corso della mia vita, ero anche estraniata da ogni genere di imbarazzo.

Poi, il mio amante meritava anche la giusta ricompensa per la sua gentilezza.

“Il fatto è che a Rimini, o nella nostra zona, i bagni sono sempre troppo affollati e sfruttati”, si spiegò, tenendomi per mano e cominciando di nuovo a camminare, “quindi pensavo a qualcosa di più romantico, di più tranquillo, e anche di più nuovo”.

Annuii.

“Hai ragione”.

Solo che, più camminavamo, e più notavamo quanta gente fosse presente anche in quella località. L’affollamento eccessivo restava una delle piaghe più diffuse di tutta la riviera romagnola, come ben sapevano tutti, però in fondo era anche vero che non si poteva paragonare quello di Cervia ad altri contesti molto più caotici.

“Vuoi scegliere tu il bagno in cui andare, o lo faccio io? Fa caldo, non vorrei passeggiare in eterno”, disse, dopo un po’ che continuavamo a camminare sul lungomare.

“Hai qualche idea?”, gli chiesi, d’altronde per me scegliere equivaleva a farlo a caso.

“Be’, c’è un mio buon amico e vecchio compagno di studi che ora si gode la pensione facendo il bagnino assieme ai figli, qui poco distante. Cosa ne dici?”.

“Mi sta bene. Un bagno vale l’altro, per me”, acconsentii.

Allora, mi accompagnò prontamente verso uno degli appositi locali organizzati tra il lungomare e la spiaggia vera e propria. Nel locale faceva caldo, era tutto aperto e il vento rovente proveniente dalla piaggia già infuocata entrava con prepotenza al suo interno, mozzando il respiro, mentre dietro al piccolo bancone, tuttavia molto colorato e di bella presenza, c’era posizionato un uomo anziano.

“Buongiorno, Mauro!”, salutò subito George, senza aspettare che il soggetto in questione lo focalizzasse e lo riconoscesse. Infatti, l’anziano lo riconobbe solo dopo che l’ebbe salutato, giacché direzionò i suoi occhi verso di noi e ci osservò.

“Piergiorgio! Oh, dottore, qual buon vento!”, salutò a sua volta Mauro, abbastanza euforico.

Passò lo strofinaccio che aveva tra le mani a un ragazzotto che gli era a fianco, e si fiondò verso di noi. I due si incontrarono e si scambiarono qualche piccolo convenevole e un paio di sonore pacche sulla schiena, molto amichevoli, il tutto mentre io li osservavo in silenzio, ma divertita.

Ogni volta che il mio George si presentava al cospetto di una persona che l’aveva conosciuto, era sempre ben accolto, e con grande calore. Sicuramente era molto benvoluto.

“Sei dottore anche tu, anche se in pensione”, precisò il mio amante, dopo aver affrontato il primo e gioioso impatto.

“Non sono mai stato bravo quanto te, George, mi dispiace. Non ho mai avuto l’animo da medico”, sancì l’amico, con un pizzico di amarezza.

“Ma no, te la sei sempre saputa cavare, e questo è l’importante”, volle rassicurarlo dolcemente il suo interlocutore.

Mauro era un uomo completamente calvo, il viso era scuro, la pelle tirata tipica delle persone che, durante l’estate, trascorrevano molte ore all’aria aperta. Era molto più vissuto del mio fidanzato, e appariva decisamente più vecchio e raggrinzito. Non avevo idea se avesse proprio la medesima età del mio uomo, tuttavia dimostrava dieci anni in più, almeno, nonostante sembrasse che l’animo fosse ancora gioviale e arzillo, molto più del fisico.

“Non mi aspettavo una tua visita, mio caro amico. Devo proprio ammettere che non ti credevo più un tipo da mare!”, propose un po’ d’ironia, facendo sorridere il mio George.

“Oh, come puoi vedere sono in grande forma. Ultimamente sono successe un bel po’ di cose nella mia vita, che mi hanno ritirato su il morale, il giusto per permettermi una capatina al mare”, disse il mio uomo, molto tranquillo e sorridente.

“E questa ragazza che ti accompagna chi è? È con te?”, chiese Mauro, occhieggiando poi verso di me, finora sempre in disparte.

Piergiorgio non mi diede tempo di rispondere, volle infatti presentarmi lui.

“Oh, lei è Isabella, la mia… la mia fidanzata”.

Aveva cercato di spiegarsi nel modo più chiaro possibile, e cercò il mio sguardo, dopo aver offerto la sua spiegazione sincera. Mauro mi osservò con vivo interesse, e nei suoi occhi parve risplendere una luce intensa, di profondo divertimento.

“La tua fidanzata?”, tornò a domandare, per un attimo in modo un po’ titubante, probabilmente nel timore di non aver capito bene.

“Certo, è la mia ragazza, per dirla come i ragazzi di oggi. Ci sposeremo a breve…”.

Mauro non lo lasciò concludere.

“Complimenti, congratulazioni”, si prodigò subito, allungandomi una mano e stringendomela nella sua, callosa. “Non sapevo, vecchio mio, che tu avessi un interesse così profondo per le belle ragazze, e giovani, anche”, proseguì poi l’uomo, dopo aver sciolto la brevissima stretta, tornando a rivolgersi all’amico in tono scanzonato. George, naturalmente, la prese sul ridere.

“Ho sempre avuto buoni gusti. La mia povera moglie era una donna di casa fantastica, anche se tra noi mancava la passione. Isabella invece è per me vita, gioia… tutto! È il mio sole”, affermò senza tentennamenti, allungandosi poi a baciarmi, senza pudore.

Mi fece arrossire quel suo atteggiamento così disinvolto. Ci scambiammo comunque sono un rapidissimo bacio casto sulle labbra.

“Immagino, sembra proprio una bravissima ragazza”, disse a sua volta Mauro, poi abbassò improvvisamente la voce, per proseguire. “Ma non sarà un pochino troppo giovane per te?”.

Ammiccò a entrambi.

“A me George piace da impazzire. Non è troppo vecchio…”, intervenni per la prima volta.

“Mah, insomma! Mi fa sempre fare delle faticacce, a letto. Ma ne vale la pena, eh!”, si schernì ironicamente, suscitando in Mauro una risata gioviale, che risuonò in tutto il piccolo locale.

Io ero un pochino imbarazzata, poiché se da una parte notavo come il mio amore si sciogliesse molto con i suoi conoscenti, dall’altra a volte la sua ironia su di me aveva l’effetto contrario a quello voluto. Comunque, si trattava di rarissimi casi, per fortuna.

“Signorina, non vorrei metterla in imbarazzo, questo mai”, aggiunse Mauro, quella volta rivolgendosi a me con gentilezza, cancellando ogni espressione di divertimento dal proprio volto, “però vorrei dirle solo che ha scelto molto bene. Il mio amico qui presente è una persona fantastica”.

“Lo so, me ne sono accorto. Mi dia pure del tu, eh”, acconsentii, sorridendogli e sciogliendomi. Era un uomo astuto, come lo erano generalmente tutti gli amici del mio George, o perlomeno quelli che mi erano stati presentati fino a quel momento, quindi sapeva quando era ora di smetterla di scherzare.

“Ti ringrazio, Isabella”, mi strizzò l’occhio, “lo stesso vale per te”.

“Grazie”, ringraziai, gentilmente.

“Un ombrellone e due lettini li hai ancora?”, intervenne il mio George, con la giusta puntualità. D’altronde, quello era proprio il nostro obiettivo, e più i minuti passavano, più la spiaggia si riempiva di bagnanti, serviti e accomodati dai ragazzi del bagno.

“Oh, sai, sono pieno! Guarda là!”, sbottò l’altro, tornando poi a ridere, dopo aver allargato le braccia per mostrarci la distesa di ombrelloni che si estendeva a pochi passi da noi, fin quasi alla battigia.

“Non fare lo sciocco”, quasi lo rimproverò il mio amante, bonario, “intendevo un ombrellone e due lettini ancora liberi”.

“Per te e la tua dolce metà, ci sarà sempre posto. Prime file, o verso il lungomare?”.

“Tu che ne pensi, Isa?”.

Scrollai le spalle.

“E’ indifferente, per me”.

“Verso le prime file, se puoi. Così sentiamo anche un po’ di brezza dal mare, per non soffocare con quest’afa dannosa”, decise allora George, molto risoluto.

“Va bene, ti faccio immediatamente accompagnare dai ragazzi. Massimo!”, urlò, poi. Subito, un giovincello sulla trentina si affrettò a raggiungerci.

“Figliolo, accompagna questo mio amico alle prime file, e aprigli un ombrellone e due lettini”, disse Mauro.

“Certo. Seguitemi pure”, si affrettò a rispondere il giovane, che doveva essere abituato ad obbedire al padre.

Piergiorgio ringraziò Mauro e si affrettò, assieme a me, a raggiungere il giovane, che proseguiva spedito lungo la passerella.

“Le prime tre file le abbiamo tutte occupate, mi dispiace. Nella quarta, c’è un ombrellone libero, se lo volete”.

“Va benissimo”, acconsentii, con George che mi riservò un’occhiatina soddisfatta.

Ci accomodammo quindi in fretta, con il mio amore che si mise a parlottare, per qualche minuto, con il giovane Massimo, chiedendogli se fosse proprio il figlio di Mauro, e qualche gentile informazione su di lui.

Io ne approfittai per sistemare la mia borsa ed estrarre i due asciugamani che mi ero preparata. Ero impacciata, non ricordavo neppure bene come fare, quasi non mi sentivo a mio agio, eppure, per fortuna, il mio George era sempre a mio fianco.

Liquidato poi Massimo, si dedicò totalmente a me. Stese il suo asciugamano sullo sdraio di destra, poi si tolse i sandali e si sfilò la maglietta. Io feci altrettanto.

Tremando, nel timore che quello che indossavo potesse non piacergli, mi svestii, restando presto in bikini. Quando tornai a guardarlo, notai con stupore che aveva occhi solo per me; mi stava fissando con profondo affetto, e non solo, i suoi occhioni bonari erano pieni di passionalità.

Gli sorrisi blandamente, prima di accasciarmi sul mio sdraio. Mi sembrava di sentirmi disturbata dalla gente che mi circondava, come se, dopo tanto tempo che non mi ero recata in una spiaggia affollata, fossi diventata stranamente pudica e non mi piacesse svestirmi e stare mezza nuda. Ma la spiaggia era anche questo; era anche starsene così, a rilassarsi al calore di sole e sabbia, con il leggero venticello fresco del mare che sfiorava la mia pelle.

Così, in fretta, mi ritrovai a essere più a mio agio.

Piergiorgio, disteso anch’egli a pochi passi da me, si era messo gli occhiali da sole, senza però togliersi i calzoncini.

“Sei troppo giovanile, oggi”, volli interrompere il breve momento di silenzio che ci aveva caratterizzati fin da quando ci avevano accompagnato all’ombrellone.

“Devo stare al fianco di una tale bellezza… non posso permettermi altro”, disse.

Si tolse gli occhiali da sole e tornò seduto; poi, allungò una mano verso di me, e incurante di tutto, allungò una mano ed accarezzò le mie gambe, facendomi provare un brivido di piacere.

“E pensare che temevo di non piacerti, vestita così”.

“Oh, invece mi piaci un sacco!”, esclamò.

“Ma toglimi una curiosità; perché temevi di non piacermi?”, chiese.

“Perché… non lo so!”, sbottai, riconoscendo che a volte mi facevo fin troppi problemi. E che poi, d’altronde, in spiaggia ci si doveva andare vestiti così.

“Oh…”, mormorò, “idee confuse anche a riguardo di questa questione?”, sogghignò, sempre con bonarietà.

“Eh, sì”, fui costretta ad ammettere, sorridendogli con fare ingenuo.

“Allora, ho una bell’idea… e se andassimo in acqua a rinfrescarci, così proviamo a chiarirle?”.

Quasi saltai in piedi, dalla gioia.

“Ma certo! Andiamo, se vuoi”, acconsentii, tutta contenta.

Piergiorgio allora mi prese per mano, con delicatezza.

“Andiamo”, ammiccò, e mi lasciai portare fino alla distesa d’acqua dal mio amore, con l’Adriatico piatto e calmo che sembrava attendere solo di poterci cingere con le sue acque limpide.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Altro tributo a Cervia. Chi mi segue da tempo ben saprà che durante tutta la mia “attività” da scrittore amatoriale ho inserito parecchie volte questa città nei miei raccontini.

Non vivo a Cervia ma lì ho trascorso tanti momenti brutti, e anche qualcuno di bello e sereno… sì, devo dire che la porto comunque nel cuore. Nonostante tutto.

Grazie per continuare a seguirmi.

   
 
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