___________________
Sede della Legione in Golubac
Serbia, 2003
___________________
Il rumore di vetri rotti che si disperse nell'aria fu solo il preludio di ciò che ne seguì, mentre le lacrime bagnavano pallide guance morbide e le mani tremarono alla ricerca di sostegno.
- Prendi fiato Andrew. Lunghi respiri, così. -
La voce dell'uomo non aiutava in quel momento, mentre si sentiva circondato da mille sguardi e mille bocche sibilavano chissà quali ingiurie contro quel piccolo corpo squassato dal dolore.
- Andrew! Ti ho detto di calmarti e prendere delle grandi boccate d'aria. Inspira, avanti! -
Alzò gli occhi ma non vide ben definito l'uomo che gli stava di fronte, tutto composto e dall'espressione rigida; le mani nascoste oltre la schiena in una posa statuaria, come se davanti a se non ci fosse un ragazzino febbricitante e con una crisi profonda di coscenza, indotta dalle azioni sconsiderate di quel mondo fittizio.
- Andrew! -
Il richiamo fu categorico, e dovette per forza fare ciò che gli veniva imposto, mentre i polmoni si riempirono di grandi boccate d'ossigeno e la testa smise di girare.
Si rese conto d'esser scivolato in ginocchio, sui vetri di quel pannello che lui stesso aveva rotto. Le mani ne sentirono la freddezza e le dita poterono appurare quanto tagliassero quei bordi frastagliati.
E nuovamente fu spasmodica ricerca di comprensione, mentre flash di gesti fraterni, discorsi in lingua antica e dolore straziante non ne colpirono la mente già instabile.
Non sentiva più la voce dell'uomo, né i bisbigli dei compagni di sventura: vi era un fischio terribile, continuo, che trafiggeva i timpani e rimbombava nel cuore come colpi di martello su chiodi grondanti sangue.
Si portò le mani alle orecchie, stringendo le palpebre sugli occhi, mentre il sapore metallico del sangue fu un gusto terribile da provare.
Qualcuno lo prese per le spalle, si sentì scuotere, ma non poté fermare tutto quel guazzabuglio di terribili sensazioni non sue.
Quasi poteva sentire il calore del sole bruciargli la pelle, le ferite imposte da una flagellazione violenta tirare e piegare la sua volontà ad un bisbiglio di pietà.
Prese fiato e fu come condannarsi a morte, poiché sembrava impossibile per i polmoni compiere quel gesto tanto naturale.
Bisbigliò qualcosa, pregava forse, non seppe nemmeno lui dire cosa potesse aver partorito in quel momento la sua mente.
Poi si sentì intorpidito, le braccia ricaddero lungo i fianchi e lo sguardo poté mettere a fuoco solo per una manciata di secondi l'uomo che gli aveva fino ad ora parlato, con una siringa dalla pancia vuota stretta in una mano.
Scivolò nell'incoscenza, crollando sul pavimento come un frutto ormai maturo, e fu buio e pace.