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Autore: _Bri_    14/02/2019    7 recensioni
Storia ispirata in parte a "Sex Education", nuova serie televisiva di Netflix.
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Robins, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo II
Caso clinico 2: L’insospettabile
 
A seguito dell’ennesima notte passata praticamente in bianco, causa la sua insonnia che si premurava di non allontanarsi mai da lui, Elliott si recò di buon mattino nella Sala Grande, nella speranza che la colazione risollevasse le sorti di quella giornata. Beh, forse sarebbe meglio dire che il corvonero si trascinò lungo la scalinata fino ad approdare, spettinato più del solito e con la divisa fuori posto, al tavolo riservato alla sua casa. La faccia spiaccicata sui palmi delle mani, gli occhi abbottonati, la bocca socchiusa. Elliott era l’esempio di quanto il famoso detto ‘il mattino ha l’oro in bocca’ fosse quanto di più lontano dalla realtà, in quanto nella sua, di bocca, non c’erano che gorgoglii, a dimostrazione di tutto il suo disappunto nei confronti della vita.
Afferrò con svogliatezza patologica un pasticciotto alla crema, a cui dette un fugace morso. Le lezioni, lo studio ed ora il nuovo lavoro avevano ridotto drasticamente i momenti ricreativi di Elliott, che si vide costretto a riproporzionare, per buona misura, il suo tempo ludico.
La solitudine cominciò a mancargli; lui, le cuffie del suo walkman scassato che si ostinava a riparare con solerzia e una sacrosanta canna serale. Si ritrovò a fantasticare con la mente semi addormentata su quanto quelli lì fossero fra i momenti più magici passati ad Hogwarts anche se, letteralmente parlando, di magico non avevano un bel niente.  Il tavolo cominciava ad affollarsi, eppure Elliott non sembrò curarsene, non fosse per una voce squillante, accompagnata da un dolce aroma di patchouli.
 
“Tesoro! Buongiorno!”
 
Sicuro Parvati non stava parlando con lui, si sbrigò a pensare Elliott, se non fosse che due piccole braccia olivastre gli stritolarono il collo, rischiando di farlo strozzare con il boccone del pasticciotto appena attaccato.
 
Coff coff! B-buongiorno a te P-Parvati…coff coff!”
 
La solitudine, purtroppo, non rimase che una malinconica figura da non poter più sfiorare neanche col pensiero. Terrorizzato da quel moto di gioia rivolta nei suoi confronti, a cui non era nient’affatto abituato (e neppure voleva abituarsi, in realtà), Elliott si liberò con garbo dalla presa octopussiana della Patil, la quale con versetti al mago incomprensibili, lo riagganciò nell’imminente con la volontà di farlo alzare. Pallido ed impaurito, Elliott puntò infine l’attenzione sul gruppetto di grifondoro che lo guardava con ammirazione; già, perché Parvati s’era premurata di portare al seguito la sua amica Lavanda Brown e tale Romilda Vane, entrambe apparentemente ammaliate dalla figura di Elliott Johansson.
 
“Vieni al nostro tavolo, si?”
 
Non stava capendo. Raramente Elliott comprendeva l’ironia, ma in quel caso qualcosa gli stava dicendo che Parvati fosse sinceramente entusiasta di trascinarlo via dal tavolo Corvonero e catapultarlo in quello che, di fatto, non era che un incubo. Non poté controbattere perché la grifondoro non gli dette il tempo di ribellarsi a quell’invito tirando su una qualsiasi scusa poco credibile; qualcosa di diverso da ‘lasciami stare, voglio liquefarmi e perire nell’oblio’, o altre scomode verità.
 
“Ehi! Andate senza di me?! E poi come fai a conoscere Johansson? E cos’è tutta questa confidenza?! Parvati!”
 
Padma fissava sgomenta la scena e mentre Lavanda e Romilda lo strattonavano chi da un braccio chi dall’altro, Elliott lanciò uno sguardo ricco di rammarico alla compagna di casa, a differenza di Parvati che si limitò ad abbaiare alla gemella che non sempre dovevano condividere ogni cosa, loro due.
Mentre lo costringevano a sedersi al loro tavolo, Elliott tentò anche di muovere rimostranze compite, asserendo che la Umbridge non avrebbe affatto approvato, ma Lavanda Brown lo zittì con rapidità; secondo lei c’era talmente tanta confusione in Sala Grande e lui era così anonimo, che quella faccia da rospo non si sarebbe mai accorta di nulla. Qualsiasi altro tentativo di ribellione fu presto sedato ed Elliott si ritrovò circondato da cinguettii frivoli ed allegri.
 
“Abbiamo saputo quello che hai fatto per Parvati; devi essere davvero una persona speciale!” attaccò, Romilda.
 
“Ma veramente io…”
 
“Gli amici di Vati sono anche nostri amici. Toh, mangia, su!” Lavanda gli infilò in bocca un gran pezzo di crostata di mele, nonostante Elliott avesse espresso ritrosia nei confronti del frutto.
A quanto aveva capito, il giovane Johansson, era appena stato ufficialmente ammesso nel gruppo delle grifondoro e defilarsi non era preventivato, non da quelle che in un batter d’occhio lo avevano coinvolto nelle loro chiacchiere mattutine. Avrebbe senza ombra di dubbio preferito rimanere nell’ombra; sarebbe stato meglio che Parvati continuasse ad appellarlo con parole scortesi, piuttosto che prendesse a tocchicciarlo per sistemargli la camicia o i capelli, cosa che sua madre stessa si era sempre ben guardata dal fare, visto che suo figlio aveva cominciato ad occuparsi da sé delle sue cose a soli 5 anni. Nel frattempo l’intero tavolo dei grifondoro lo osservava con curiosità, chi ammiccando, chi mandando in giro pettegolezzi tipo ‘Non sapevo che quello strano fosse gay’; ebbene si, essere accolto in un gruppo di sole femmine che non facevano altro che ricamare pettegolezzi doveva infatti essere sinonimo di omosessualità, per le semplici menti adolescenti dei suoi compagni.
Elliott sentì l’impellente bisogno di scavarsi una fossa molto profonda, gettarcisi dentro e non riemergere mai più.
 
Porco Salazar, sei anche qui, ora?!”
 
Elliott portò pollice ed indice a stringere l’incipit del naso mentre, rassegnato, chiudeva gli occhi. Ebbe il coraggio di riaprirli solo nel momento in cui sentì un gran sbatacchiare di piatti e posate proprio di fronte a lui. Gli occhi chiari di Demelza Robins lo ispezionavano furibondi, mentre il suo labbro superiore tremolava in maniera inquietante. Elliott era convinto che di lì a poco quella bocca tornita si sarebbe spalancata e, come il più fragile vaso di Pandora, avrebbe dato il via libera ad una lunga serie di temibili mostruosità. E la cosa peggiore fu che il suo intelletto aveva avuto ragione ancora una volta, ahi lui. La ragazza cominciò ad attaccarlo verbalmente, con quella sua vocina acuta e melodiosa, che mai e poi mai nessuno al mondo avrebbe accostato a tali amenità.
In sequenza Demelza lo appellò:
 
Pasticcio di sterco.
Granatina di caccole di emù.
Palla di lumache seccate (come dovrebbero mai essere poi, delle lumache seccate, Elliott non riusciva proprio ad arrivarci).
Omuncolo orticante.
Fagiolo al cianuro.
 
Ed una lunga serie di altri appellativi che il corvonero si sforzò di rimuovere dalla mente. Allibite davanti all’eruzione della loro compagna di casa, nonché amica, Parvati e le altre due rimasero ammutolite per un po’ mentre il ragazzo, sconfitto dalla furia Robins che stava dando il peggio di sé (a quell’ora del mattino, poi), si grattava quando la nuca, quando la guancia scavata.
Calmatasi quasi di botto, Demelza raccattò la sua borsa, augurò ad Elliott un feroce mal di pancia e se ne andò, solo dopo avergli mostrato il suo gracile e pallido dito medio dall’unghia mangiucchiata.
 
“Non chiedetemelo,” le anticipò il mago, mentre affondava nuovamente il naso nella tazza di caffè “non ho idea del motivo per il quale la vostra amica mi abbia definito granatina di caccole di emù.”
 
“Scusala, dolcezza, ultimamente Elza è un po’ suscettibile. Colpa del Quidditch…” disse Parvati, mentre tentava di imboccarlo.
 
“dei G.U.F.O. …” aggiunse Romilda, pulendogli l’angolo della bocca.
 
“Di quel troglodita di Smith.” Si insinuò Lavanda, sistemandogli il colletto della camicia.
Gli occhi stanchi di Elliott fluttuarono sulla figura di Roger che, passando davanti alla scena, prima spalancò la bocca ed allargò le braccia, poi espose le due candide file di denti perfetti in un sorriso ed alzò entrambi i pollici all’amico.
Ma per Elliott, quello, non era che l’inferno in terra.
 
*
 
Fortunatamente il clan delle grifondoro non frequentava le sue stesse lezioni, essendo tutte del quinto anno. Elliott era stato quindi in grado di rinchiudersi nella sua agognata bolla di solitudine; purtroppo per colpa delle tre non aveva avuto tempo per comunicare con Roger, che si era limitato a sussurrargli un flebile perdóname, prima di schizzare via dalla sala comune. Il corvonero pensò che si riferisse alle mancate informazioni relative al paziente dall’identità sconosciuta che, di lì ad un paio d’ore, avrebbe dovuto incontrare. Difatti dopo il caso Parvati, Elliott aveva scongiurato Roger di metterlo al corrente almeno del nome di chi avrebbe dovuto incontrare, per non ricevere brutte sorprese inaspettate.
Chiuso nel bagno e munito di blocco d’appunti, Elliott attendeva con pazienza l’arrivo dello sconosciuto, sperando con tutto se stesso di risolvere la questione nel giro di un unico incontro. Quando sentì la porta del bagno al suo fianco cigolare si schiarì la voce, ma sudore gelido imperlò la sua fronte pallida, appena alle sue orecchie arrivò un miagolio conosciuto.
 
Oh no. Non era possibile. Quella doveva essere Mrs Purr.
 
“Buona, piccola mia: vieni qui, da brava.”
 
Elliott si trovava già altrove con la mente. Il ragazzo stava organizzando i suoi bagagli, convinto che quella volta si sarebbe guadagnato l’espulsione. Difatti se al bagno accanto si trovava Messer Gazza in compagnia di quell’odioso felino dagli occhi di brace, Elliott non aveva il coraggio di immaginare cosa sarebbe accaduto appena il suo paziente avesse tentato di mettere piede nel bagno per iniziare la seduta. Cosa avrebbe dovuto dire, per scagionarsi? Che era stato costretto? Che lo faceva solo per beneficienza? E se lo studente avesse vuotato il sacco, dichiarando di aver pagato ben cinque galeoni, per quella buffonata?
 
“C’è nessuno? Forza ragazzo, non ho tutto il giorno libero, io!”
 
Panico. L’autore dei numerosi biglietti minatori doveva avergli teso un’imboscata, avvisando Gazza di quanto stesse succedendo, da settimane, nel bagno del terzo piano. Maledisse la sua impotenza, in quanto sapeva bene che smaterializzarsi nei confini di Hogwarts era pressoché impossibile, sempre che ne fosse stato in grado. Elliott era in un vicolo cieco e l’unica cosa che fu in grado di fare, fu deglutire.
 
“Allora?! Ho pagato con il silenzio questo incontro! Se non vuoi che trascini la tua pustolosa faccia da ragazzino dalla Signora preside, ti conviene darti da fare!”
 
Fu così che Elliott capì cosa fosse successo. Pare infatti che Roger fosse stato messo alle strette dal custode, che era stato avvertito da Draco Malfoy, membro della squadra d’inquisizione di Hogwarts, su quanto accadesse all’interno delle mura del bagno. Gazza ridacchiò malvagio mentre si spendeva nei dettagli di quel racconto, che Elliott ascoltava senza il coraggio di dire una sola parola.
 
“Ho quindi informato il tuo amico che c’era solo un modo per risparmiarvi di essere buttati fuori a calci.”
 
“E qui entro in gioco io, immagino.”
 
Fu così che ebbe inizio la tragicomica seduta con quel magonò. Inutile dire che non avrebbero visto un solo zellino, da Argus Gazza e che a rimetterci sarebbe stato solo Elliott.
Tentando di mantenere la concentrazione e di decelerare il battito del suo povero cuore che, ultimamente, veniva spesso messo alla prova, Elliott si sforzò di non ridere nell’ascoltare quelle confessioni. Pare infatti che il custode avesse preso una bella sbandata per una prosperosa strega che tutti, dentro e fuori la scuola, conoscevano assai bene. Già, perché madama Rosmerta era oggetto di desiderio di moltissimi maghi e trascinava dietro di sé anche lo sguardo di qualche strega. Ella, padrona dei Tre Manici di Scopa, emanava un profumo irresistibile e famosi erano i suoi sorrisi raggianti, che illuminavano il viso maturo ma mai demodé. Vecchi e ragazzi avevano sognato, almeno una volta nella vita, le curve giunoniche della strega e molti letti erano state culle di ricami scabrosi, con la di lei immagine impressa nella mente.
Era dunque ovvio, il motivo per cui sarebbe stato cacciato dalla scuola, il povero Elliott: come poteva, lo sfortunato mago, fare in modo che quel magonò imbevuto di naftalina avesse anche solo una misera possibilità, con Rosmerta? Ma Gazza fu chiaro e le sue minacce giunsero assieme alle ipnotiche fusa di Mrs Purr:
 
“Attento a te, Johansson! O mi aiuterai a conquistare Rosmerta, oppure di pure addio alla Torre Corvonero: te ne tornerai nella pulciosa Londra babbana in quattro e quattr’otto!”
 
Alla fine la diplomazia e l’arguzia di Elliott erano riusciti a giungere ad un compromesso: Argus Gazza avrebbe ottenuto un solo appuntamento, con madama Rosmerta, ma di quello che ne sarebbe stato poi, erano affari del custode.
Quando Gazza abbandonò il bagno, Elliott sprofondò la testa fra le ginocchia ossute. Improvvisamente le minacce della Patil erano diventate come note di una dolce canzone, messe a confronto con quelle mosse da Gazza. Nemmeno fece caso all’ennesima biscia di carta che si insinuò sotto l’orlo dei pantaloni, tanto era lo sconforto che lo attanagliava.
L’impresa era impossibile. Quella volta non ce l’avrebbe fatta.
 
*
 
Te lo aseguro, amigo! Non potevo fare altrimenti…ci avrebbe fatti cacciare subito se non avessi accettato!”
 
Roger Davies agitava le braccia mentre Elliott sbofonchiava rammaricato, tra una boccata di fumo e l’altra.
 
Förbannelse (1)…sono fottuto. Lo sapevo che sarebbe stata una pessima idea, non avrei dovuto darti ascolto!”
 
Roger si accigliò, cosa che fece subito sentire in colpa Elliott. Sapeva che non fosse giusto addossare tutta la colpa a Roger, in quanto il problema non era che il suo e del suo essere assolutamente incapace di imporre la propria idea. Aveva accettato di mettere in piedi quella follia ed ora ne pagava le conseguenze. Espirò una grande boccata di quella salvifica canna, prima di dare una discreta pacca sulla spalla al capitano:
 
“Scusami, Van…sono solo sotto pressione.”
 
“Sai che ci sono per te.” Rispose Roger, prima di rifilare un abbraccio a tradimento all’amico, “Insieme ne usciremo, tranquillo.”
 
Capitaaaanooo…”
 
Una cantilena sinuosa fece staccare subito il capitano corvonero da quell’abbraccio: “Arrivo dolcezza!” e così come era arrivato, Roger Davies scomparse dietro l’angolo della Torre, presumibilmente per infilarsi sotto la gonna di qualche compagna di casa. Insieme ne usciremo…seee, come no. Doveva aspettarselo, Elliott, che il richiamo di una sirena sarebbe stato più potente dell’ombra dell’espulsione, per Roger.
Poggiato alla balaustra della torre e con lo sguardo perso sulle sponde del lago nero, Elliott realizzò che se la sarebbe dovuta cavare da solo anche in quell’occasione. Tanto per aggiungere ansia all’ansia, come se non ne avesse abbastanza di motivi per palpitare, trattenne la canna in bocca ed estrasse dalla tasca l’ultima anguilla di carta, ricevuta proprio quel pomeriggio.
 
L’inserviente non è il tuo vero nemico: io lo sono!
 
Gli occhi rotearono fino al cielo: non aveva intenzione di finire ridotto in cenere, ma la speranza di un futuro longevo si assottigliava ogni giorno di più.
 
*
 
Perché?
Perché era ad una partita di Quidditch che, tra l’altro, non vedeva schierata in campo la squadra Corvonero?
Perché era stato trascinato fra gli spalti Grifondoro?
Perché, stretta nel guanto di lana –maledizione, si congelava quel giorno- teneva una bandierina rosso e oro?
 
“Devi tifare per noi, cucciolotto! Dobbiamo asfaltare quei bastardi serpeverde e abbiamo bisogno di tutto l’appoggio possibile!”
 
Che non fosse minimamente interessato allo sport, Elliott decise di tenerselo per sé in quanto aveva intravisto, in quella paradossale situazione, uno spiraglio di luce. Se la Patil e le altre grifondorine si erano tanto fissate con lui e pretendevano la sua presenza costante, doveva pur approfittarne in qualche modo.
 
“Emh, senti Parvati…mi trovo in una situazione alquanto ostica con un certo paziente…”
 
Parvati mandò a benedire il Quidditch all’istante; bastò infatti che la strega sentisse odor di pettegolezzi, perché si trovasse totalmente rapita dal mago al suo fianco.
 
“Sono tutt’orecchie!”
 
“Ecco vedi…questa persona ha difficoltà a guadagnarsi l’attenzione del proprio oggetto del desiderio. Non ti nego che trovo il suo caso parzialmente irrecuperabile e non ho la minima idea di cosa potrei consigliare…”
 
“A che casa appartiene? Quanti anni ha? Le sue materie preferite?!”
 
“Temo di non poterti dare queste informazioni: l’etica professionale, sai…”
 
Parvati sbuffò, vedendosi sfumare sotto il naso la possibilità di ampliare le sue già incommensurabili conoscenze, in fatto di dicerie.
 
“La tua integrità morale è molto noiosa…comunque sentiamo, qual è il problema?”
 
“Ecco vedi…temo che il soggetto in questione non possieda nemmeno una qualità.” Affranto e sconfitto da quell’evidenza, Elliott si incurvò nelle spalle ed affondò la bocca nella sciarpa.
 
“Sei troppo eccessivo, caro mio! Ci deve pur essere qualcosa di buono in questa persona.”
 
“Niente, nemmeno un unghia del mignolo.”
 
Non poteva di certo spiegare alla ragazza che si trattava di Argus Gazza, l’irritante, acido, pietoso, dall’aspetto di uno straccio consumato, magonò a controllo dei corridoi di Hogwarts. Tutto di lui era sbagliato, agli occhi di Elliott e contrariamente al solito, faticava moltissimo a scovarne il lato positivo.
 
“Beh…io punterei su due fattori: il primo,” disse Parvati, alzando il pollice “i punti in comune: ci sarà pur qualcosa che accomuna questi due. Il secondo è l’effetto sorpresa: se il bell’aspetto non può essere una spinta in più e a quanto ho capito non è così, bisognerà puntare sullo stupore…deve mostrare qualcosa che sa che può rivelarsi utile all’altra persona. Da lì ad almeno un appuntamento dovrebbe essere un passaggio rapido. Ma adesso vuoi dirmi chi…ehi!”
 
“Grazie! Permesso…scusate, permesso…”
 
Santa Parvati. Appuntò nella mente di accendere dell’incenso in favore della lunga serie di divinità venerate dalla grifondoro, per aver dipanato i suoi dubbi a tal proposito. Cos’avevano in comune il custode e la proprietaria dei Tre Manici di Scopa? E come poteva, un magonò, rivelarsi utile alla strega? Elliott, questo, lo sapeva. In realtà un qualsiasi attento osservatore ci sarebbe arrivato, ma il corvonero valutò che nessuno si era mai interessato a scoprire possibili affinità fra i due.
Se c’era una cosa, quindi, che accumunava quelle due persone diametralmente opposte, era una: gatti.
 
*
 
“Lei deve rimanere qui, dovrà sembrare casuale, gliel’ho spiegato.”
 
Argus Gazza sbuffò, facendo ondulare appena una ciocca di capelli cosparsa da una dose decisamente eccessiva di brillantina.
 
“Va bene, ma fa in fretta! Non è stato facile procurarti il permesso per venire ad Hogsmeade…per fortuna che quella donna mi adora!”
 
Elliott tentò di reprimere i brividi al pensiero di Dolores Umbridge e ciò detto varcò la soglia dei Tre Manici di Scopa.
 
“E tu che ci fai qui? Non sei mica uno studente, eh? Comunque il locale è ancora chiuso!”
 
Splendida come la dea dell’abbondanza, madama Rosmerta fissava Elliott da dietro il bancone con le mani a strizzare i fianchi.
 
“Mi perdoni, ma sono stato mandato qui per…recuperare…recuperare il mantello di…”
 
“Qui di mantelli non ce ne sono. Ora scusami caro, ma sono molto impegnata.”
 
Rosmerta voltò le spalle e si defilò sul retro del locale, lasciando una scia di delizioso aroma al gelsomino vagheggiare nell’aria. Il ragazzo rimase in attesa, fin quando non sentì la voce lacrimosa della donna.
 
“Forza Fuli…perché non mangi? La mamma è tanto preoccupata!”
 
Bene. Il suo piano stava andando a gonfie vele. Il ragazzo s’accostò alla porta basculante e dopo essersi schiarito la voce, si rivolse a Rosmerta, china su un grazioso gatto dal pelo lucido come l’inchiostro che, ad ogni sua carezza, scansava il musetto.
 
“Tutto bene?” osò lui.
 
“Fuliggine non vuole mangiare…sono due giorni che si rifiuta e non capisco proprio cos’abbia!”
 
“Oh, che guaio…ci vorrebbe proprio un interprete!” Elliott quasi urlò quell’ultima parola ed in un attimo, Argus Gazza con alle calcagna Mrs Purr, fecero il loro ingresso. Elliott indirizzò muti e disarticolati gesti in sua direzione, incitandolo a recitare la parte.
 
“Eh…ah, si…Allora ragazzo! Muoviti, hai trovato il mantello? Non possiamo dare fastidio a madama Rosmerta tutto il giorno!”
 
Nel sentire la voce del custode, la donna emerse dal retro e su di lui puntò i verdi occhi commossi:
 
“Argus! Grazie a Tosca sei qui…non so che pesci prendere; il mio tesoro non vuole saperne di mangiare, mi sta spezzando il cuore!”
 
“Mia signora, lei sa che sono sempre pronto a supportarla…” Gazza strizzò l’occhio ad Elliott che, di tutta risposta, si mise la mano sulla faccia. “Mrs Purr…perché non chiedi al tuo amico cos’ha che non va?”
 
La gatta, inizialmente ritrosa, scosse il muso e s’avviò sul retro del locale con il fare da ‘ho capito, ci devo pensare io’. Rosmerta attendeva sospirante che l’animale tornasse e nell’attesa offrì succo di zucca ad entrambi. Elliott tirò, di nascosto, un paio di gomitate al magonò, imbambolato davanti a cotanta abbondanza e beltà. Così i minuti trascorsero fra il boccheggiare di Gazza ed i bislacchi tentativi di conversazione del corvonero. Quando la porta di legno cigolò e da quella apparse Mrs Purr che, lesta, zampettò elegante verso il padrone, Rosmerta congiunse le mani ed attese che il felino si confidasse.
 
“Quindi? Cosa ha detto?”
 
Miagolio dopo miagolio, il sorriso di Gazza s’allargò sul viso.
 
“Mia signora, pare che il suo Fuli non abbia nulla di grave, se non la voglia di variare la propria alimentazione!”
 
“Per tutte le streghe di Salem! Solo questo?! Gliela farò vedere io a quel malandrino, ho passato due notti in bianco per la preoccupazione!”
 
Era fatta, Elliott era riuscito nell’ardua impresa. Già, perché seppur Gazza non nascondesse nemmeno l’ombra di una misera qualità, pare che quel patologico amore che Mrs Purr provava per l’uomo lo avesse salvato. Ella difatti acconsentì ad aiutare il padrone non sopportando l’idea di vederlo così giù. Pare che Fuliggine avesse una bella cotta per quella malefica micia e quest’ultima gli aveva promesso un appuntamento, se lui avesse finto l’inappetenza. Ovviamente si era strafogato di nascosto da Madama Rosmerta con i resti del cibo servito agli avventori del locale, ma questo la strega non l’avrebbe mai saputo.
Così Elliott, tolto questo macigno dalle spalle, aveva lasciato Argus Gazza e Madama Rosmerta in fitte chiacchiere; il magonò si fece lustro della sua capacità di saper comunicare con Mrs Purr che, controvoglia, concesse l’appuntamento galante a Fuli.
 
Insomma, tutto è bene quel che finisce bene.
 
*
 
“Si può sapere quindi chi era questo paziente?”
 
“Non posso dirtelo…ma ti ringrazio; sei riuscita a fornirmi un valido aiuto.”
 
“Per te questo ed altro, gioia!”
 
Ormai Elliott cominciava ad abituarsi alla presenza invadente di Parvati, che non perdeva l’occasione di strizzargli le guance, abbracciarlo, prenderlo sotto braccio e via dicendo. Roger aveva provato a spingerlo fra le braccia della ragazza, asserendo che avrebbe avuto bisogno di qualche lezione a proposito di amore tantrico, allusioni di pessimo gusto che sapevano di razzista; da un mezzo Uruguayano, poi! Comunque il corvonero era ben consapevole che Parvati avesse solo trovato l’amichetto di sesso maschile in lui, da accudire ed educare e, di contro, Elliott era smosso dalla ragazza come un monolite all’alitare di un bimbo di tre anni.
Insomma, Elliott era irrecuperabile. Nessuna al mondo riusciva a smuoverlo di un millimetro e si trovò a pensare che, con ogni probabilità, sarebbe morto solo, nella culla dell’apatia.
 
“Senti Parvati…devo chiederti un altro piccolo favore.” Infilò la mano nella tasca e tirò fuori uno dei tanti chartanimus ricevuti nell’ultimo mese, che si scartò sotto gli occhi curiosi della Patil “Mi sapresti dire se riconosci questa scrittura?”
 
Dissolvititotano congelato? Dovrebbe essere un insulto? Chi mai ti lusinga così?”
 
“È proprio quello che sto cercando di scoprire.”
 
“Dai qua…fammi vedere meglio.”
 
Parvati assottigliò lo sguardo, per poi sgranarlo di botto: “Ma certo che la riconosco! Ho visto decine di lettere d’amore, scritte da lui: è senza ombra di dubbio la scrittura di quell’imbranato di Zacharias Smith.”
 
“Zacharias Smith…? Dimmi, ne sei assolutamente sicura?”
 
“Sicurissima. Elza ha ricevuto valanghe di sue lettere…patetico!”
 
Elliott stentò a crederci. Perché mai Zacharias Smith lo stava minacciando, quando continuava a recarsi da lui con regolarità? Qualcosa bolliva nel calderone ed Elliott era deciso a vederci chiaro. Del resto gli enigmi erano irresistibili, per la sua infinita sete di conoscenza.
Avrebbe fatto in modo di mettere all’angolo quel tassorosso, in un modo o nell’altro.
 
 


(1) Förbannelse. In svedese “maledizione”. (Grazie come sempre, google.)
 
Ecco qui il nostro cupido, immancabilmente presente nel giorno di San Valentino. L’impresa è stata delle più ardue: Argus Gazza che attira la prosperosa madama Rosmerta? In quale libro si legge di questa follia? Voglio tranquillizzarvi: in nessuno, la Rowling non è mai arrivata a tanto. Semplicemente ho approfittato di una delle drabble che fanno parte della mia raccolta natalizia “La conta dell’agrifoglio” che li ha visti protagonisti; il resto è venuto da sé. Povero Elliott, sono proprio una pessima madre…gli sto facendo passare le pene dell’inferno. Comunque spezziamo una lancia in favore di Gazza: chi ama i gatti non può essere davvero una pessima persona, giusto?
E poi…zan zan zan! Pare proprio che i biglietti siano stati scritti dall’odioso Zacharias Smith, che io ribadisco di odiare fortissimo. Cosa sarà accaduto? Perché mai il tassorosso desidera che il suo terapista smetta di esercitare?
Lo scopriremo solo vivendo.
Grazie di essere con me in questa follia.
 
Bri
   
 
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