Four Seasons
-Raccolta-
Primavera
Miroku – Sango
“Mi farebbe l’onore di darmi un figlio?”.
Quante volte ho sentito questa frase? Un’infinità,
ma non da lui.
Non da mio figlio.
Anche se ammetto che, in questi casi, preferirei dire che me lo
aspettavo eccome da suo figlio.
Peccato che una madre non possa decidere quando un figlio sia suo o meno, è suo
e basta.
“Per me sarebbe un… AHIA!”. Ho mai detto
quanto amo le mie figlie? No? Bè, le amo!
“Yucchan, smetti di infastidire le nostre
amiche?”. Ah, la mia amata Miki!
“Fai sempre il cascamorto!”. Oh, la mia amata Meiko!
“Proprio come papà!”.
…
Ed ecco il loro temuto coretto, come sempre. Come è normale per due
gemelle, immagino. Miki stringe ancora il suo pugnetto, mentre Yu si massaggia
la testolina con sguardo da cucciolo. Lo stesso sguardo di lui.
“Ma papà dice che sarebbe un insulto per la bellezza di…”.
…
“COSA DICE PAPÀ?!”. Lo vedo nascondersi dietro le sorelle, le quali
sospirano.
“Mamma, hai un’espressione da demone. Di nuovo!”, dicono in coro. Prendo dei respiri profondi, ma so che comunque
non mi calmerò.
Non finché non avrò torto il collo di mio marito!
Mi siedo in casa, davanti al focolare, e aspetto. Aspetto a braccia
incrociate, mentre Kirara mi osserva confusa. Mi
sforzo e le sorrido, dandole qualche coccola. In questi anni ha sopportato di
tutto. Presto Kohaku verrà a riprenderla per tornare
a combattere a suo fianco. Meglio coccolare la mia cucciola finché posso.
“Sango?”. Ecco, il mio buon umore vola
via. Kirara lancia un’occhiataccia alla porta,
privata delle sue amate carezze, mentre la mia mano si stringe furiosa in un
pugno minaccioso e pericoloso.
“Posso entrare?”. Domanda inutile. E soprattutto, chiaro segno che
ha capito che sono molto, molto
arrabbiata.
“Certo, non devo nascondere nulla e nessuno, io!”. Capisco
che si sta affacciando timidamente dalla luce che penetra tra le pieghe della
tenda, ma tengo gli occhi bassi sui tatami per reprimere il mio istinto
omicida. Non voglio che i miei figli crescano senza il loro padre: per quanto questo
sia pessimo e maniaco.
“Come mai…?”.
“Tuo figlio fa il cascamorto con le amiche delle tue
figlie”, sibilo senza aspettare che finisca. Lo sento bloccarsi, prima di
ridacchiare imbarazzato. Possibile che non sia cambiato per nulla? Gli uomini
non dovrebbero maturare con la nascita dei propri figli? Prendo un respiro
profondo, prima di continuare la mia ramanzina. “Dice che ti ha sentito dire
che sarebbe un’offesa nei loro confronti non chiedere un figlio a ognuna”.
“Non è colpa mia!”, si difende lui avvicinandosi – sento i suoi passi –, “Mi ha chiesto
perché si dice che la primavera è la stagione dell’amore!”.
Alzo con lentezza lo sguardo su di lui, molto perplessa e molto furiosa. Lui sorride, ma si tiene a distanza. Non vuole
prendersi uno schiaffo immagino. E tiene una mano dietro la schiena, in maniera
sospetta.
“E questo cosa c’entra?”, domando sulla difensiva.
So che presto mi calmerà con qualche trucco. È sempre così.
“Mi ha chiesto qualche esempio e gli ho raccontato
alcune avventure di suo padre quando era giovane”, liquida lui ridacchiando.
Lo fisso. Poi scatto in piedi afferrandolo per
l’abito con entrambe le mani.
“Avventure?”, sibilo furiosa, mentre lui sorride
perennemente, seppur sudando freddo.
“Suvvia Sango, sii
comprensiva”. Lo fulmino, mente mi fissa con quegli occhi da cucciolo.
“Comprensiva?”, mormoro socchiudendo gli occhi. Non
posso evitare, da quella vicinanza, di notare un graffio sul viso, e anche uno
squarcio sull’abito all’altezza della spalla. “Cosa sei andato a fare oggi?”,
domando sospetta e – anche se mi costa ammetterlo – preoccupata, “Non dovevi
semplicemente benedire una casa?”.
“Ehm… sono caduto da un
albero”, liquida lui. Inarco le sopracciglia, allentando un poco la presa.
“E che ci facevi su un albero?”.
“Raccoglievo questi”, dice rapido, smettendo di
nascondere un mazzo di teneri rametti di ciliegio in fiore. Lo lascio, stupita, portando le mani vicino al
volto.
“Ecco”, continua sorridendomi dolce, “stai sempre in
casa a lavorare per badare ai bambini, e quindi avevo pensato di portarti un
po’ di primavera”.
Mi mordo il labbro, incapace di oppormi. Vorrei
arrabbiarmi come prima, ma ormai mi è impossibile. Prendo il mazzetto tra le
mani, mormorando un debole ringraziamento. Lui mi carezza i capelli, prima di
uscire nuovamente dalla casa. Lo seguo, fermandomi sulla soglia di casa. E lo
guardo, mentre saluta i nostri figli e prende in braccio le gemelle. E sorrido,
quando lo vedo arrabbiarsi con un bambino che, secondo lui, si è avvicinato
troppo a Meiko, o sospetta stia infastidendo Miki.
Stringo con delicatezza i petali di un piccolo fiore
appena sbocciato, mentre nel mio petto si espande una calda e dolce sensazione.
E rifletto, come una ragazzina, sulla stagione
dell’amore.