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Autore: Lost In Donbass    25/02/2019    1 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO DICIANNOVE: NON CE LA FANNO PIU’

I should I have never told you
That you were the only one
I should I have never told you
That you are the reason for this song
[Tokio Hotel – Elysa]
 
-E alla fine, eccoci qui, di nuovo. Mi viene da dire, finalmente!
La voce limpida di Sasha spezzò il silenzio imbarazzante che era calato tra loro. Sì, dopo tutti i vari naufragi ai quali avevano dovuto sottostare, erano tornati tutti e sei nel Covo, sull’amaca, sul divano sfondato, sulla poltrona girevole. Eccoli lì, appunto, la Banda del Blocco al completo, che era tornata insieme, perché loro erano fatti per naufragare, sì, ma per farlo spalla a spalla. Avevano sofferto, a stare separati, a litigare, ma alla fine non avevano potuto fare altro che collassare di nuovo tutti nel loro amato Covo, sguardi sfuggenti, guance arrossate, occhiate colpevoli ma la certezza di essere tornati a casa. La Banda del Blocco era una casa per tutti loro, che non l’avevano mai avuta, erano la famiglia che mancava, l’amicizia immortale che avrebbe superato qualunque apocalisse. Si erano spezzati? Non lo sapevano, forse sì, forse no, ma l’importante, per adesso, era che erano riusciti a stare tutti nella stessa stanza, sorrisi appena accennati che ancora facevano fatica a sorgere e la certezza di essere imbattibili, quando erano fianco e fianco. Potevano litigare come cani, potevano fingere di odiarsi, ma tutti sapevano benissimo che la loro vera forza sorgeva da un’amicizia che non si poteva spezzare, da una conoscenza gli uni degli altri che andava oltre a qualche segreto, no, era qualcosa che li accomunava da sempre, erano le lacrime che avevano pianto, le risate che avevano condiviso, i ricordi che si erano scambiati, il dolore che avevano combattuto: la Banda del Blocco era molto di più che un gruppo di amici di periferia, erano una schiatta di perduti che si sostenevano con tutta la forza possibile per non finire uccisi da un mondo che non aspetta nessuno. “Blocco, Blocco, Blocco!” urlavano per le strade, coi pugni chiusi, risate pronte a sgorgare, musica rock a palla e sorrisi franchi sui visi feriti. Erano il gruppo di adolescenti più folle di Ekaterimburg ma non gli importava, non quando erano insieme, pronti a combattere con i denti e con le unghie per la loro amicizia incrollabile. Potevano soffrire, potevano scontrarsi, potevano credere che non ce l’avrebbero più fatta ma alla fine la musica era sempre quella: non potevano crollare perché erano fatti per stare insieme, non potevano separarsi perché se uno cadeva, gli altri cinque cadevano con lui. Oppure si sarebbero sacrificati per farlo risogere. Era incredibile, la Banda del Blocco, e sarebbe rimasta così per sempre, perché un’amicizia nata per le strade delle violente periferie siberiane, un’amicizia che ha resistito così coraggiosamente a tutto, beh, è fatta per non spezzarsi mai. Incrinarsi, forse, ma mai spezzarsi. Non erano mai stati di vetro, erano di dannato acciaio inossidabile, come le fabbriche che li circondavano, come il cielo di perla che li aveva dati alla luce.
-E’ tutto perfetto, adesso.- commentò Lera, pettinando una delle sue belle bambole vittoriane – La Banda è fatta per restare, sempre. Mettiamo Vremya&Steklo?
Si guardarono tutti negli occhi, prima di lasciare che qualche risatina nervosa risuonasse nel silenzio, insieme alle note allegre del duo ucraino.
Forse non era tutto perfetto come diceva Lera, ma sicuramente si sarebbe aggiustato. Si sarebbero appianate le divergenze, si sarebbero raggiunti dei compromessi e la Banda sarebbe tornata come prima. O almeno, lo speravano. Non avevano capito bene cosa fosse successo quell’anno, ma sembrava che niente andasse per il verso giusto. I loro dolori personali si erano fatti sempre più tragici, la loro furia si era scatenata, la loro tristezza si era fatta soffocante. Niente di positivo per quei poveri ragazzi.
-E’ stato un periodo di merda, diciamocelo.- commentò Valentina, stirando le gambe fasciate in un paio di skinny neri strappati. Lanciò un’occhiata in tralice all’indirizzo di Denis, ma non fece commenti – Ma adesso spero che si riaggiusti tutto.
-Chissà perché, non ne sarei così sicuro.- interruppe caustico Kuzma, smettendo per un attimo di disegnare. Guardò a lungo i suoi amici, prima di tornare sul suo ritratto.
-Su, Kuzja, non fare sempre così.- sbottò Ylja, giocherellando distrattamente col suo vecchio borsalino nero – Abbiamo appianato le divergenze. Non dirmi che ce l’hai ancora con me per quella storia di Viktor.
-Certo che no, Ylja!- il biondo lo guardò, scuotendo la testa – Ti ho detto che mi va bene, finchè non ti tratta male. Ci ho solo messo un po’ a digerirlo, e ti chiedo scusa per questo. È solo che … oh, al diavolo. Lasciatemi stare.
Sbattè la matita sul tavolo e girò nervosamente su sé stesso con la sedia girevole.
No, per lui tutto quello non stava andando bene. Non dopo il bacio con Denis, non dopo l’ennesima stilettata al cuore, non dopo che le cose continuavano ad andare male. Si mise le mani tra i capelli e si alzò di scatto. Si chiese cosa fosse successo di male per aver completamente scompaginato la Banda. La relazione pericolosa di Ylja, i problemi di Lera, l’aborto di Valya, l’anoressia di Sasha, la storia con Denis … era tutto un maledetto casino e lui, come al solito, ne era la prima vittima, perché tutto gli si rovesciava addosso. Stava male, Kuzma, male come non lo era mai stato in vita sua. Non vedeva via d’uscita, non riusciva a capacitarsi di come ne sarebbe scampato, e forse nemmeno voleva. Era dannatamente stanco, così tanto da fargli venire la nausea. Nausea della vita, dei problemi, degli amici, della musica, della vodka, dei disegni, nausea di tutto. Voleva scappare, ma non sapeva dove, voleva togliersi per sempre dai problemi ma non sapeva come. E a quel punto, la più tragica delle prospettive sembrava l’unica possibile per un ragazzo che non aveva più niente se non la sua depressione e la sua devastazione.
-Devo andare.- sbottò, e corse fuori dal Covo, il quaderno degli schizzi in una mano e la giacca nell’altra, solo la rabbia e l’impotenza ad animargli gli occhi celesti.
-Ma cosa gli prende?- chiese Ylja, mentre Denis afferrava il chiodo di pelle e si precipitava dietro all’amico, sbattendosi la porta alle spalle.
Rimasero gli altri quattro, a guardarsi a lungo negli occhi, incerti.
-Cosa succede al povero Kuzjen’ka?- borbottò Valerya, raggomitolandosi accanto ad Ylja, la bambola Albyna stretta in una mano e una smorfia corrucciata sul tondo visetto lentigginoso.
-Non lo so, ma non mi piace.- commentò Aleksandra, dondolando appena dalla sua postazione sull’amaca bucherellata – Non è che ha litigato con Denis?
I ragazzi si scambiarono qualche occhiata imbarazzata e dubbiosa. No, forse la situazione non stava affatto migliorando. Continuavano a soffrire, continuavano a doversi misurarsi con problemi molto più grandi dei loro, continuavano a trovarsi nei guai senza sapere come uscirne. Non andava bene.
Valya si alzò e andò a sedersi accanto alla fidanzata, accarezzandole i lunghi capelli che alle luci al neon sembravano completamente candidi. Anche lei era incredibilmente stanca, ma c’era qualcosa che le diceva che in qualche modo ne sarebbero usciti. Feriti, pieni di cicatrici di guerra, sconvolti e devastati, ma comunque in piedi, perché dannazione, erano la Banda del Blocco. Intrecciò le dita ai capelli dell’amica e si accese una sigaretta, anche se sapeva che di regola dentro al Covo non si fumava. Non che a quel punto importasse poi così tanto delle vecchie regole. Guardò la bella Lera, con i suoi occhioni neri incantati e le sue bambole, e pensò che avrebbero dovuto fare di tutto per salvarla da quell’incubo. Guardò Ylja con il suo orribile borsalino di seconda mano, e realizzò solo in quel momento quanto quel ragazzo avesse bisogno dei suoi amici, visto l’incubo che doveva vivere ogni giorno rincasando. Gli sarebbe stata vicino, si ripromise, qualunque cosa sarebbe successa, non avrebbe abbandonato Yljusha e la sua voce da donna. Guardò Aleksandra, e sorrise appena, baciandole la guancia liscia e pallidissima. Lei ce l’avrebbe fatta, aveva giurato alla luna che l’avrebbe strappata dai suoi demoni e l’avrebbe di nuovo fatta splendere della vecchia, travolgente luce. Poi guardò sé stessa, la piccola, terribile, velenosa Valentina Tolokonnikova e si disse che era ancora in piedi, e che ciò voleva significare che era indistruttibile. Aveva visto il baratro, ma stava imparando a uscirne, a pezzi, ma ogni pezzo d’acciaio. Sperò solamente che anche Kuzma rimanesse in piedi nella tempesta, Kuzma, che era sempre stato lì per tutti quando nessuno era lì per lui, Kuzma che sembrava inossidabile ma che in realtà stava cadendo a pezzi.
-Vado in clinica.- disse Sasha, rubandole la sigaretta dalle dita magre.
-In clinica? Per … per curare i tuoi disturbi col cibo?- sussurrò Ylja.
-Esatto. Ho deciso che non posso continuare così, devo darmi una mossa e cercare di guarire. È per questo che mi ricoverano, per cercare di stare finalmente bene e di poter essere di vero aiuto per la Banda, invece che la solita Sasha bella, scema e tormentata. Non ho mai preso niente in mano nella mia vita, ho sempre lasciato che fossero gli altri a decidere per me: beh, adesso basta. È il momento di lottare per me stessa, è il momento di sconfiggere questa fottuta anoressia- la bionda si morse il labbro e tirò appena su col naso.
Era fiera di sé stessa, non lo nascondeva. Fiera di essere finalmente riuscita a prendere in mano la sua vita e di decidere di aver bisogno di un aiuto serio per superare i suoi problemi. Lo aveva ponderato a lungo con Valya, ma alla fine le era sembrata la cosa più logica: non poteva distruggersi ora che la Banda aveva bisogno di tutti loro. Solamente con un ricovero sarebbe riuscita a sconfiggere il demone della sua anoressia e dei suoi drammi sull’aspetto fisico, solamente con un ricovero sarebbe tornata più forte e in grado di sostenere i suoi amici fino alla fine. Non era una scelta presa a cuor leggero, ma era decisa, decisa come mai lo era stata in vita sua: se fosse guarita, un pezzo della Banda si sarebbe risanato. Erano come un corpo unico tutto malandato e dolorante, si doveva guarire pezzo per pezzo. Adesso ne avrebbero aggiustato uno, e poi, con calma, sarebbero passati ad aggiustare tutti gli altri. Non potevano lasciar perdere proprio in quel momento, non potevano lasciare che il Blocco di Ekaterimburg avesse la meglio su di loro.
-Sono così fiera di te, Sashen’ka!- urlò Lera, e le saltò al collo, facendola capitombolare per terra. La bionda rise e strinse forte la rossa a sé, affondandole il viso nei morbidi boccoli profumati.
-Fatti abbracciare, finalmente!- strillò a sua volta Ylja, unendosi all’abbraccio – Ce la farai, tesoro, staremo al tuo fianco ogni secondo del tuo ricovero.
-Siamo o non siamo la Banda del Blocco, il gruppo di bastardi più in gamba di tutta la Russia?!- completò Valentina, saltando in braccio agli amici.
Risero forte, come non stavano ridendo da ormai troppi anni, di nuovo tutti insieme, di nuovo abbracciati, di nuovo parti di uno stesso cuore che batteva selvaggiamente perché sì, dannazione, voleva vivere. Voleva vivere.
 
-Kuzma. Kuzma, cazzo, che cosa c’è!
In strada, Denis e Kuzma si stavano fronteggiando, entrambi orgogliosi come pochi, entrambi spezzati da una vita che andava troppo stretta.
-C’è che non sto bene, Denis, non sto bene!- abbaiò il biondo, trattenendosi dallo sbattere il pugno contro il muro del palazzo – Io … tu … oh, Cristo, perché ci siamo baciati?!
Denis fece tanto d’occhi, facendo una giravolta su sé stesso
-Per favore, ancora con questa storia? Ero ubriaco, okay? Vuoi che mi scuso? Va bene, scusa amico, scusa, sono stato un cretino. Ma mi pare che ne avessimo già parlato, ero in crisi per la storia di Valya, da deficiente quale sono ho bevuto, e poi … beh, poi è andata come è andata. Perché sei così in crisi?
Denis non ci stava capendo più niente. Dalla mattina dopo quella maledetta notte, Kuzma era diventato intrattabile, sfuggente, devastato e lui non capiva il perché. Come mai quel bacio lo aveva disturbato così tanto? Erano migliori amici da una vita, si era sempre aspettato qualcosa del genere, e allora perché adesso non andava più bene? Cos’era cambiato?
-Non avremmo dovuto farlo, non adesso.- disse Kuzma, passandosi una mano tra i corti capelli biondi, tentando di trattenere le lacrime che già premevano per uscire. Basta. Basta. Basta. Voglio morire.
-Ma non capisco perché!- continuò a sbraitare Denis, agitandosi – Siamo gay tutti e due, siamo amici da sempre, abbiamo sempre scherzato su una nostra possibile relazione, ero ubriaco fradicio: niente fa presupporre cuori spezzati, tradimenti, shock o cosa ne so. È tutto nella norma, tutto nella norma!
-Non è tutto nella norma, ragazzo! Sei sempre stato stupido, così stupido, non hai mai capito un cazzo di come potessi sentirmi io, non hai mai pensato nemmeno una volta ai miei sentimenti, per te sono sempre stato l’indistruttibile amico da cui correre e dal quale rifugiarsi ma anche io ho un cuore, anche io ho diciotto anni, anche io ho una guerra da combattere, Denis!
Kuzma diede finalmente il pugno nel muro, lasciando che le lacrime gli violassero il viso pulito di rara bellezza slava. Non ce la faceva più e anche se aveva sempre odiato farsi vedere debole di fronte agli altri, ormai aveva perso ogni ritegno e non gli importava più nulla che non fosse il suo dolore tremendo. Denis doveva sapere. Denis doveva capire la sua sofferenza nauseante.
Il capobanda sfarfallò le lunghe ciglia, quasi annichilito e gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla muscolosa. Non aveva mai visto il suo amico così scompaginato come lo stava vedendo in quel momento, e ciò lo stava distruggendo. Era sempre stato abituato a vedere in Kuzma l’ancora di salvezza, l’eroe dal quale rifugiarsi quando tutto cadeva a pezzi, il punto fisso che sempre l’avrebbe protetto dal male del mondo e vederlo così, devastato, lo stava destabilizzando. Come avrebbe fatto se la sua ancora fosse affondata? Se l’eroe fosse morto? Se Kuzma non ce l’avesse più fatta?
-Kuzja … io … io ti voglio bene … non volevo … ti prego, spiegami cosa sta succedendo, ho paura, Kuzja, ho paura per te … ti voglio bene …
-E io ti amo! Ti amo, ti amo da morire, ti amo da sempre, e tu non l’hai mai capito!
Kuzma sapeva che probabilmente non sarebbe dovuto esplodere così ma ormai non ce la faceva più, e lasciò semplicemente che tutta la sua rabbia si riversasse addosso all’amico di una vita.
-Tutte quelle tue battute idiote su una nostra possibile relazione mi hanno sempre ucciso perché io vorrei, ho sempre voluto disperatamente che io e te potessimo stare insieme davvero. So anche che tu ami Yurij e non te ne faccio una colpa, ma quella notte è stata troppo. Sono sempre stato io a dovermi sobbarcare i problemi di tutta la Banda, sempre e soltanto io. Chi ti è stato vicino ogni singolo istante della tua scriteriata esistenza? Chi ha sorretto Valentina quando ha abortito? Chi ha sopportato le lagnanze di Aleksandra quando ancora stavate insieme? Chi ha curato i lividi di Ylja? Chi ha combattuto con Valerya per sconfiggere i suoi demoni? Io, Kuzma Lukjanen’ko, lo sfigato ragazzo del Blocco che ha sempre dato ma non ha mai avuto niente in cambio. Non ho mai chiesto nulla, Denis, nulla se non la tua felicità ma tu non puoi continuare a giocare con il mio cuore in questo modo francamente imbarazzante. Sono anche io un ragazzo, ho anche io i miei problemi anche se tu e gli altri sembrate non accorgervene mai, visto che sembra che io esista solamente per farvi da muro del pianto. Ma ora basta, mi sono rotto, basta!
Denis lo guardava sconvolto, appena boccheggiante, perché tutto quello era troppo anche per lui. Stava ferendo Kuzma, stava ferendo il suo migliore amico, la sua spalla, il suo tutto. Faceva veramente così schifo? Era stato veramente un amico così penoso? Non ci poteva credere. E poi cosa voleva dire che lo amava? Cosa diavolo stava succedendo?
-Io … scusa … scusami … ma io … - balbettò, ma si rese perfettamente conto che qualcosa dentro al biondo si era spezzato. Lo vide nello sguardo che conosceva meglio di qualunque altro, lo lesse all’inverso in quelle iridi più azzurre del cielo estivo, lo comprese nelle lacrime che correvano selvagge sul suo viso, lo incontrò nella disperazione nera di quelle pupille a punta di spillo. E seppe che quella volta non sarebbe bastato un abbraccio, una bevuta, una canzone strappalacrime dei Five Finger Death Punch da cantare a squarciagola sotto la pioggia. Non sarebbe più bastata la loro incrollabile amicizia, non sarebbe più bastato nulla perché ormai Kuzma era a pezzi e niente sarebbe più riuscito a rimontare i pezzetti. Denis non riusciva quasi a crederci, di aver potuto portare il suo amico a un tale livello di devastazione, non ci voleva credere.
-No, Denisoch’ka. Basta con le scuse, non le accetto più.
E Kuzma si voltò e cominciò a correre, a correre sempre più veloce, lacrime ad accecarlo e la certezza che no, basta, poteva farla finita. Non c’era più un motivo per piangere, per ridere, per amare. Non c’erano più motivi per continuare a vivere una vita che lo stava uccidendo sempre di più.
  
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