The Moon and her Wonderwall
“Il treno Suburbano F10 delle ore
14, diretto a Milano Porta Venezia è in partenza dal Binario 1.”
Dai, sbrigati! Non puoi perderlo anche oggi! Se no
come faccio a vederti? Dai cavolo!
“Il treno Suburbano F10 delle ore 14,
diretto a Milano Porta Venezia è in partenza dal Binario 1.”
Tutti
stavano prendendo posto, sull’F10 delle ore 14, tutti tranne lei, che aspettava
in piedi, fissando la porta della stazione come se da lì dovesse entrare chissà
quale creatura divina o sovrannaturale.
Lei
stava lì, con lo sguardo fisso su quel rettangolo di vetro e acciaio, pregando
mentalmente che il qualcuno che stava aspettando arrivasse. Guardava il suo
orologio, il telefono e l’orologio della stazione, sperando che mancasse ancora
qualche minuto alla partenza.
Niente,
erano le 14 in punto e il treno sarebbe partito da un momento all’altro.
Nessuno
sarebbe entrato da quella porta, così lei decise di andare a sedersi, triste
per il mancato avvistamento. Eppure, nel momento in cui si stava girando, con
la coda dell’occhio vide la porta aprirsi, e il motivo di tanta attesa correre
verso il Suburbano F10.
Ce
l’aveva fatta, aveva vinto la sua gara quotidiana contro il treno. Era arrivato
alle 14 in punto, un minuto sarebbe bastato a fargli perdere il treno ma quel
giorno era arrivato prima che l’F10 partisse.
Era
contento, sarebbe arrivato a casa mezz’ora prima, e poi, forse, avrebbe visto
lei, quella strana ragazza che vedeva quasi sempre quando riusciva a prendere
quel treno.
Forse
era il destino. Quando la vedeva, lei era sempre vicina a lui.
Destino?
No di certo, in fin dei conti, lui nel destino non ci credeva. Probabilmente
era lei che faceva la sua parte, probabilmente studiava tutto. La cosa potrebbe
sembrare inquietante, ma per lui non lo era, anzi il “pedinamento” lo lusingava
e lo incuriosiva. Ora anche lui la osservava, per capire cosa frullasse nella
testa di quella ragazza.
Voleva
scoprire cosa avesse in mente, cosa volesse, e come intendesse ottenerlo. In un
certo senso quella pazzoide che lo pedinava lo attraeva, e lui voleva sapere di
più. Forse era per quello che negli ultimi tempi faceva tutto ciò che gli era
possibile per prendere il treno delle 14.
“Il treno Suburbano F10 delle ore
14, diretto a Milano Porta ….”
Il
resto dell’annuncio non lo aveva sentito, non le importava sapere che il treno
sarebbe partito di lì a poco. Lui era arrivato. Lui era salito sul treno, e lei
non avrebbe aspettato ancora.
Avrebbe
fatto come tutti i giorni, l’avrebbe cercato per tutto il treno, e con
naturalezza si sarebbe messa quanto più vicina possibile. Però avrebbe provato
una cosa nuova. Oggi gli avrebbe parlato. Strano, in un mese di pedinamenti non
aveva ancora sentito la sua voce, né scoperto il nome del ragazzo che saliva da
solo. Come nessun altro, come solo lei faceva.
Anche
solo un “ciao” sarebbe bastato. Per provare a se stessa che riusciva a fare
tutto quello che voleva. Eppure lei, l’intrepida Jackie aveva paura. Perché le
bastava vederlo spuntare per avere un principio di infarto. Come avrebbe fatto
a parlarci? Sapeva che le sarebbe stato impossibile, ma sapeva che era
obbligata, altrimenti si sarebbe picchiata da sola.
E poi
anche Terry e Maggie l’avrebbero aiutata a picchiarsi, ne era sicura. Erano
loro che l’avevano convinta a fare quella che per lei era una pazzia, dato che
la cosa che temeva di più al mondo era un rifiuto.
Un
posto comodo nemmeno a pagarlo oro. Sì, come se fosse una novità…
Poco male… almeno non devo stare in piedi, meglio che niente… Pensò il ragazzo moro appena salito sul treno. Si
era appena seduto e, nel mettere a terra lo zaino Seven, qualcuno aveva
abbassato il sedile di fianco al suo e ci si era seduto.
Lei.
Con
il viso dello stesso colore della maglietta che indossava, rossa, probabilmente
con il cuore che le batteva molto velocemente, dato che teneva due dita
appoggiate sulla giugulare, come a voler calmare il sangue che galoppava nelle
sue vene, neanche fosse rincorso da Dracula in persona.
Eppure
si era seduta lì, senza esitare, senza chiedere, come se quel posto l’avesse
chiamata col suo nome… chissà come si
chiama? Pensò il ragazzo, curioso
come non mai. Voleva sapere tutto di quella ragazza.
Ma
come?
Gli
venne un’idea… le avrebbe parlato. Già, ma di che
cosa? Di cosa si può parlare con una persona di cui non sai assolutamente
niente?
Avresti
potuto chiedere.
Come scusa?
E se
quel posto fosse stato occupato?
Qualcuno sarebbe stato seduto qui.
Perché è così fredda? Sembra
un robot. Sembra che parli con un insetto fastidioso, con un essere che le da fastidio… che io abbia capito male? Che abbia frainteso
tutto? Che lei si sia seduta lì perché c’è posto, e non perché ci sono io? No,
impossibile! Non avrebbe fatto così per un mese. Coincidenze? No. Non ci credo.
Non voglio crederci.
Avresti
potuto chiedere.
Mi ha rivolto la parola!?
Oddio, non è possibile, magari è uno scherzo della mente bacata che mi ritrovo.
Proviamo a fare una domanda, magari non mi ha detto niente.
Come scusa?
E se
quel posto fosse occupato?
Mi parli per dirmi questo? Per
dirmi che non mi sarei dovuta sedere qui? Ma sei cretino o che cosa? Ok,
Jackie, stai calma. Rispondi come risponderesti a chiunque altro. Non farti
abbindolare da quelle labbra. Ok. Così è peggio. Rispondi e basta.
Qualcuno sarebbe
stato seduto qui.
Così
dovrebbe andare… non mi sono sciolta, è un passo
avanti.
E se qualcuno dovesse sedersi lì dopo?
Beh, alla fine è possibile,
voglio vedere cosa mi dice adesso.
Non si siederà nessuno
qui.
E questa?? Come diavolo fa a
saperlo?! Allora è vero che mi pedina, non sono io che mi immagino tutto…
E tu come lo sai?
Adesso voglio vedere cosa mi
dice.
Lo so.
Mi
sarei aspettato di tutto, ma non un “lo so”, andiamo! Io lo userei per chiudere
un discorso. E non penso che sia il suo intento, magari sta per aggiungere
qualcosa. Delle scuse, o dell’altro, che ne so io?!
Certo
che è bella, ora che il colorito è tornato umano si vede. Ha gli occhi blu, i
capelli scuri… ma le labbra, Dio, sono stupende,
sembrano scolpite da Leonardo. Probabilmente le contorna con la matita. E poi,
con quell’aria da superiore è bellissima. Se è come credo che sia sono
fortunato.
Però, cosa le dico adesso? Le
chiedo come si chiama? No. Troppo patetico. Continuo il discorso? No… non ci voglio litigare. Io ora sto zitto. Vediamo cosa
fa.
E se
qualcuno dovesse sedersi lì dopo?
Ma non farmi ridere. So
perfettamente che le uniche cose vicine a te nei viaggi in treno siamo io, il
tuo cellulare e ogni tanto un libro.
Non si siederà nessuno
qui.
Beh, che è quella faccia?
Chiudi la bocca, che entrano le mosche. Ti ho lasciato senza parole? Oh,
poveretto, vieni qui che mammina ti consola.
E tu come lo sai?
Domanda idiota. Come credi che
ti risponda? Sai, “sono follemente persa per te, ti seguo da un mese”, è misera
come risposta. Ma non servono tanti giri di parole.
Lo so.
Ancora quella faccia!? Ora ti
picchio! Jackieeee stai tranquilla. Che la lingua non
gli fa male. Anzi.
Stai calma. Aspetta una
risposta.
Fai uno…
ok dieci respiri profondi e ti passa la voglia di saltargli addosso. Avanti…
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Ok, sono calma.
Però la voglia di saltargli
addosso c’è ancora. Tzè, e chi vuoi fregare? È per
quella voglia che lo pedini da un mese, Jackie.
Prima Fermata.
Un posto da quattro libero,
un’attrattiva che chi non ha mai viaggiato su quei deprimenti posti singoli non
può capire.
Un ragazzo e una ragazza
seduti vicini. Che si guardano, come per capire chi dei due si sarebbe alzato
per primo.
Lei lo guarda, con un misto di
rabbia repressa, parole trattenute e tristezza.
Anche lui la guarda, ma un
solo sentimento traspare da quegli occhi verdi: la curiosità.
Si alza, e si siede nel posto
libero, proprio di fronte alla fila di posti singoli, dove lei avrebbe potuto
vederlo solo alzando lo sguardo, dove avrebbero potuto mantenere un contatto.
Perché ti alzi? Cazzo, non
posso mettermi a fissarti. Mi vedresti, non posso farmi beccare, sarebbe
tremendamente imbarazzante. E poi dopo quello che mi hai detto non voglio farti
credere niente. Devi rimanere nel dubbio.
Come io lo sono stata per più
di un mese. E come lo sono anche adesso.
Mi siedo lì?
No, Jackie, sei impazzita?
Sarebbe come scriverti “ti amo” in fronte. Non puoi.
Però, se si mette lì… è facile da vedere. Ma ti può vedere anche lui dal riflesso… sarebbe anti sgamo.
Puoi far finta di guardare
fuori dal finestrino…
Nah…troppo ovvio, perché prima non guardavi allora?
Qualche occhiata veloce,
magari non se ne accorge. Puoi fare finta di essere sovrappensiero, come al
solito.
Non
mi guarda.
Perché?
Che strana ragazza. Di solito mi fissa e ora che le sono davanti non mi degna
nemmeno di uno sguardo. Però deve essere nervosa, sta tormentando quel povero
labbro.
Così
è anche più bella di prima. Sembra che stia impegnando tutta la sua
intelligenza per trovare un espediente per fare chissà cosa…
forse per avvicinarsi. O forse per qualcosa in cui io non c’entro niente.
Alla
fine non sono mica il centro dell’universo. Da tanto non lo sono più.
Per
nessuno. Perché dovrei essere il suo?
Sarebbe
bello, una persona che ti ama incondizionatamente e che ti rimane accanto
sempre e comunque.
Soprattutto
se è una bella ragazza come lei. E se è tanto intelligente da cercare di
razionalizzare anche l’attrazione fisica, la cosa meno razionale di questo
mondo.
Sarebbe
bello non essere più solo in questo mondo.
Almeno
per un po’.
Adesso mi fissa. Non
direttamente, ma sento il suo sguardo addosso. E lui guarda il riflesso del vetro…
Possibile? Non sta nemmeno più
rispondendo ai messaggi. Chissà a cosa sta pensando?
Magari a me. No, Jackie, non
ti illudere. Perché dovrebbe? Se gli interessassi avrebbe fatto qualcosa.
Ti ha parlato.
Sì, certo, per dirmi che la
mia presenza non era gradita, che cosa romantica.
Che pessimismo!
È realismo. Tutto qui.
Sì, certo. Ricordati che il realista non vede il bicchiere mezzo vuoto.
No, vede un bicchiere con un
po’ d’acqua.
Già, tu ti ostini a guardare solo la parte vuota.
Magari perché è quella meno
distorta?
Ma anche quella che non ti disseta,
Jackie.
Ma dai!! Ti odio… hai sempre ragione tu.
Io? Guarda che stai parlando con te stessa. Non con Terry o Maggie.
Non me lo ricordare. È già
abbastanza deprimente parlare con la propria mente senza che questa te lo
ricordi.
Hai ragione.
Stai zitta?
Ok, Jackie. Ma pensa a qualcosa da fare.
Ovvio. È da un mese e passa
che lo faccio.
Ma non hai ancora trovato niente.
E tu come lo sai?
Sono la tua mente, ricordi?
Come posso dimenticarlo? Ora smetti
di rompere le palle e pensa a qualcosa da fare.
Sì, Capitan Jackie Sparrow.
Perché sorride? Si è accorta
che la fisso e gongola?
No, non mi sembra il tipo…
Però, che strano, sembrava che
stesse parlando silenziosamente con qualcuno. Ma non può essere telepatica.
Magari parlava con sé stessa… ogni tanto lo faccio anche io. Magari stava
discutendo sul da farsi.
No, è troppo assurdo.
Capitan Jackie Sparrow, ogni volta che sentiva quel nomignolo sorrideva.
Gliel’avevano dato Terry e Maggie quando avevano visto la trilogia di “Pirati
dei Caraibi” a casa sua, e a lei brillavano gli occhi ogni volta che Capitan
Jack Sparrow faceva qualcosa di genialmente pazzo, o
di pazzamente geniale.
Era un idolo per lei. E da lì
era nato il soprannome.
Persa nei suoi pensieri, alla
fine non aveva trovato niente di pratico da dire al caro ragazzo dagli occhi
verdi, anche lui chiamato Jack per l’ammirazione/attrazione che lei provava.
Non aveva idea di cosa dirgli.
E la sua fermata sarebbe stata
la prossima.
Ancora una fermata.
Doveva scusarsi? Non lo sapeva
nemmeno lui.
Non aveva trovato niente di
pratico da dire alla strana ragazza mora, non aveva idea di cosa dirle.
E,
quando il treno si sarebbe fermato, lei avrebbe lasciato il suo posto e si
sarebbe unita alla massa di gente che scendeva dal Suburbano F10, sempre
affollato a quell’ora.
Terza fermata.
E adesso che gli dico?
Ok, vado lì e gli dico
qualcosa. Mi devo solo alzare e fare un passo.
Il passo più difficile.
Anche solo un ciao…
La parola più semplice, quella che si impara dopo mamma e pappa.
Impossibile in quel momento.
Per la Jackie che non aveva paura di niente, era impossibile dire ciao a uno stupidissimo ragazzo.
Le porte si erano aperte, non
poteva stare lì ferma.
Doveva scendere.
O avrebbe dovuto fare i conti con il suo patrigno.
Lilith’s space
E il primo capitolo è andato. J
Spero commenterete, in fondo non è poi così male, giusto? *Si nasconde per paura di un linciaggio*.
Ok, commentate lo stesso, se non vi è piaciuta pazienza, accetto anche
eventuali “ritirati”, o cose del genere.
I consigli sono graditissimi, così come le opinioni [spero positive] sulla
storia, o meglio, sul primo capitolo.
Va da sé che per ogni dubbio basta chiedere, risponderò nel prossimo
capitolo a commenti/domande eccetera.
Au Revoir
Lilith_Rose