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Autore: Moonlight_Tsukiko    16/03/2019    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Go Ahead and Cry, Little Boy
Capitolo 5
Eren

21:17, camera mia. La scuola è stata piuttosto priva di eventi, ma nei corridoi non si fa che parlare della stessa cosa.

E questa cosa sembra essere la festa di Bertholdt Hoover.

In dì per sé Bertholdt non è così impressionante. Fidatevi, non ho nulla contro quel ragazzo. È solo che è uno scaldapanchine e la sola ragione per la quale le persone si ricordano di lui è perché sembra che stia per avere un attacco di panico ogni volta che qualcuno gli rivolge la parola. Il ragazzo ha seri problemi di ansia sociale, ma oltre a questo credo sia a posto. Il suo migliore amico è Reiner, però, quindi non so quanto gentile possa essere.

La sola cosa impressionante di Bertholdt è che vive in una casa fottutamente enorme senza vicini intorno. I suoi genitori viaggiano spesso per lavoro e lui resta solo con le domestiche, maggiordomi e qualsiasi altro tipo di persona che assumono le persone ricche.

Quindi, visto che è ricco sfondato e ha una casa enorme, le persone non vedono l’ora di partecipare a qualsiasi sua festa. Sinceramente, chiunque con un minimo di sale in zucca sa che è Reiner a organizzare tutte quelle che lui chiama feste. Ma l’alcool è gratis, si farà sesso sfrenato e forse anche ci sarà anche della droga. Alle persone non può fregar di meno di chi sia l’idea. E se ne fregano altamente anche di chi compie diciotto anni, ma non mi aspetto di certo che gli invitati si presentino con biglietti di auguri e regali per il nuovo passo verso l’età adulta.

Ci sono state parecchie feste a casa di Bertholdt sin dagli inizi del primo anno. Non ci sono mai andato, però, più che altro perché il gruppo con cui uscivo al tempo non era intenzionato a ubriacarsi e scoparsi dei perfetti sconosciuti. In tutta onestà, preferisco bere da solo così da non venire giudicato quando mi dispiace per la mia stessa esistenza. Ma a volte si ha bisogno di lasciarsi andare e insultare persone che odi, ma che sono troppo ubriache per capire chi tu sia.

Quindi sì, quando Levi mi ha invitato il mio primo pensiero è stato ‘Oh cazzo no. È impossibile che lui se ne vada da quella festa con la reputazione intatta. Ma poi ci ho pensato sopra e ho realizzato che se le feste di Bertholdt sono così selvagge come si sente in giro, c’è il novanta percento di probabilità che non ci incroceremo fino a quando non sarà ora di andare. Essenzialmente, la promessa di alcool gratis e flirt innocui con chiunque sia interessato a una botta e via.

…Okay, forse non ci era voluto poi molto per convincermi. Giudicatemi.

Cammino verso il negozio all’angolo della strada, quello aperto 24h con quell’orribile insegna al neon. Le finestre sono sudice ed è ovvio che al proprietario non importi più dell’aspetto esteriore del locale da moltissimo tempo, ma è sempre meglio che guidare un chilometro per prendere solo un cartone di latte.

Do un’occhiata agli scomparti prima di trovare quello che sto cercando. Lo prendo in mano e cammino verso il bancone, dove la cassiera sembra preferire essere a casa a dormire piuttosto che lavorare. Non posso biasimarla. Pago velocemente e mi dirigo verso casa.

Sono sorpreso di vedere Levi in piedi davanti al mio vialetto con le braccia incrociate. La sua giacca sportiva gli fascia perfettamente le braccia toniche e guardo altrove prima che qualche perversione poco lusinghiera mi occupi la mente. Quel ragazzo ha davvero dei bei bicipiti, ma non lo ammetterò mai.

“Cosa stai facendo?” 

“Oh.” Solleva la testa e realizzo che i suoi occhi erano chiusi. “Non sapevo se avrei dovuto suonare il campanello.”

Sbuffo.

“Che c’è, non sei mai passato a prendere qualcuno prima d’ora?” Chiedo, sollevando le sopracciglia. “Difficile credere che un bel bocconcino come te non sia mai andato a un appuntamento.”

“Perché devi essere sempre così fottutamente condiscendente?” Ruota gli occhi. “Ho avuto degli appuntamenti prima d’ora, stronzo.”

“Okay, ma sono andati bene?”

“Oh, vaffanculo.” Mi raggiunge e mi spinge. Rido sotto i baffi e metto le mani in tasca.

“Argomento spinoso?”

“Fottiti.”

“Non pensavo fosse quella la tua sponda.” Gli faccio l’occhiolino. “Non preoccuparti, non discrimino-”

“Per l’amor del cielo!” Alza le braccia in alto come per enfatizzare il concetto. Non riesco a non ridere ancora di più. È troppo divertente vederlo in difficoltà.

“Allora… andiamo?” Chiedo. Levi annuisce.

“Reiner mi ha inviato un messaggio. Prima ci fermiamo a casa sua e poi andiamo verso quella di Bertholdt.”

“Yay,” dico con sarcasmo. Levi ruota gli occhi ancora.

“Oh, smettila. Finché non fai a botte con lui, andrà tutto bene.”

“Io?” Sbuffo. “L’ultima volta che ho controllato, tu sei quello che ha cominciato a fare a botte.”

“D’accordo, porca miseria.” Levi si passa le dita tra i capelli. “Tieni le mani a posto e cerca di non sembrare uno stronzo presuntuoso, okay?”

“Sissignore,” dico facendo persino il saluto militare. Guardo casa mia. “Dovremmo andare prima che ci scoprano.”

“Sì, okay.” Mi sorpassa e comincia a camminare.

Lo seguo, la borsa attorno al mio polso sbatte leggermente contro la gamba. Levi guarda curiosamente verso la borsa di plastica prima di alzare lo sguardo su di me.

“Cosa c’è nella busta?” 

“Preservativi,” rispondo immediatamente.

Sbuffa e scuote la testa. “Cerchi di accumulare punti?”

“Oh, so che li farò.”

“D’accordo, fenomeno.” Levi sorride e mi colpisce con il braccio. “Cerca di non fare nulla di stupido, okay?”

“Certo che no.”

La casa di Reiner sembra diversa rispetto alle altre due che ha attorno. Passo affianco alla macchina in corsa e cerco di ignorarla mentre salgo gli scalini dopo Levi. Lui gira la maniglia e realizzo che deve essere stato qui molte volte.

Non che sia sorpreso, ovviamente.

Entriamo e vedo alcuni ragazzi della squadra seduti sul divano. Marco, Franz e Thomas si alzano per salutare Levi. Marco mi guarda, le sopracciglia si alzano in sorpresa. Appoggio la spalla contro il muro con le mani ancora in tasca, ma non dico nulla.

“Oh, ciao Eren.” Cammina verso di me. “Non sapevo venissi anche tu.”

“Diciamo che qualcuno è stato particolarmente insistente.” Rispondo. Levi sbuffa.

“Oh, ma per favore. Tu volevi venire.”

Ruoto gli occhi e non dico nulla. Marco mi rivolge un’esitante sorriso prima di camminare verso Thomas. Levi mette le mani a tubo davanti la bocca e urla verso il piano di sopra.

“Ehi Reiner! Andiamo!”

“D’accordo, porca miseria!” Poi Reiner spunta dalle scale. Anche se siamo a due metri di distanza, posso sentire l’economica acqua di colonia che si è spruzzato addosso.

“Cazzo, amico, nessuno ti ha mai detto che poco è meglio di troppo?” Dico prima di pensare.

Reiner sposta velocemente lo sguardo verso di me, un’espressione perplessa in volto.

“Ma che caz- cosa ci fa lui qui?”

“Guarda che ti sento.” Ruoto gli occhi.

“L’ho invitato io,” dice Levi, scrollando le spalle. “Hai detto che potevo portare chiunque volessi.”

“Sì, ma non pensavo che avresti portato quello stronzo di Jaeger!”

“Ancora, sono letteralmente accanto a te,” dico. “Ascolta, non voglio avere problemi stasera. Quindi facciamo una tregua. Tu sta alla larga da me e io farò lo stesso. D’accordo?”

Allungo la mano per far sì che la stringa. Le sue labbra si arricciano in un ringhio e poi si affretta a uscire di casa, sbattendo violentemente la porta dietro di lui.

Bene allora.

La mano torna al mio fianco. Levi scuote la testa e mormora qualcosa prima di andare anche lui verso la porta.

“Andiamo,” dice.

Camminiamo verso la macchina di Reiner, ma esito prima di entrarci. Finisco schiacciato nei sedili posteriori con Levi, Marco e Thomas, mentre Franz è sul sedile davanti accanto a Reiner.

Premo la testa contro il finestrino e chiudo gli occhi, sperando di auto-convincermi che non succederà nulla.

Il viaggio in auto è silenzioso tranne che per la canzone odiosamente rumorosa che risuona dalle casse di Reiner. Arriviamo a casa di Bertholdt circa mezz’ora dopo e non riesco nemmeno a fingere di non esserne meravigliato. È decisamente una casa degna di un film.

Usciamo tutti quanti dalla macchina. Reiner e Franz entrano in casa, Marco e Thomas vanno nel retro. Levi e io rimaniamo in piedi sul vialetto. Guardo il suo viso, notando che la sua mascella è tesa.

“Ehi,” dico, attirando la sua attenzione. “Stai bene?”

“Sì,” mormora. “Coraggio, andiamo.”

Mi afferra il polso e mi guida verso la casa. Voglio protestare e dire che so camminare da solo, ma poi realizzo che non ho idea di dove stia andando. Quando entriamo, posso percepire le persone fissarmi. Alcune di loro sembrano confuse e posso immaginare il motivo. Levi Ackerman, capitano della squadra di football che trascina lo stronzo della scuola.

Che panorama.

Finiamo in cucina, dove Levi prende immediatamente della birra dal frigo. Non perde tempo nell’aprirla e bere alcuni grandi sorsi. Lo guardo sorpreso e prendo un altro barattolo, cominciando a bere lentamente.

Levi sembra essersi calmato. La presa sulla lattina di birra si allenta e si appoggia contro il bancone con la testa abbassata. La musica attorno a noi è assordante, ma la ignoro e mi concentro su di lui.

“Seriamente,” dico, aggrottando la fronte. “Tutto bene?”

“Alla grande.” Finisce la sua birra e mette giù la lattina. La testa si gira verso la busta attorno al mio polso. “Non accettare drink da nessuno e tutte le solite raccomandazioni.”

“Uh-”

“Vado in bagno. Non fare nulla di stupido.”

Mi sorpassa senza dire altro. Lo guardo per alcuni secondi prima di scuotere la testa e guardare la busta. Sospiro e comincio a cercare Bertholdt per tutta la casa. Non è al piano terra e mi ritrovo a salire le scale per il primo piano. Un gruppo di ragazzi stanno fumando una canna alla fine del corridoio e, contro ogni mio pregiudizio, mi avvicino a loro.

“Ehi,” li chiamo. Uno di loro mi guarda, dell’ombretto nero le contorna gli occhi. “Dov’è Bertholdt?”

“E come faccio a saperlo?” Sbotta. Uno dei suoi amici ride e fa un altro tiro della canna.

Li guardo male e ricomincio a cercare. Le mie gambe fanno già male per aver camminato così tanto. Mi viene in mente che sono fottutamente fuori forma, ma la mia inesistente routine di esercizi muscolari è l’ultimo dei miei pensieri al momento. Devo trovare Bertholdt. Sbircio nelle porte socchiuse ed evito quelle chiuse giusto per evitare di vedere cose che preferirei non vedere.

Quando finalmente raggiungo la fine del corridoio, scorgo Bertholdt in piedi nel balcone. Attraverso l’enorme stanza da letto, sentendomi leggermente in colpa per sporcare con le mie scarpe quell’immacolato tappeto bianco.

“Bertholdt?” Lo chiamo, facendo un passo verso di lui. Si gira per guardarmi di soprassalto.

“Oh.” Sbatte le palpebre un paio di volte. “Uhm… Eren, giusto?”

“Esatto,” dico. Gli tiro la busta. “Buon compleanno, amico.”

Gli occhi di Bertholdt si moltiplicano in grandezza. Prende in mano la busta e tira fuori il biglietto e la barretta che ho comprato prima al supermercato. Metto la mano in tasca e gli allungo venti dollari con un sorriso.

“Scusa se non è molto,” dico. “Non sapevo davvero cosa prenderti.”

“Io…” si interrompe. “Perché?”

“È il tuo compleanno,” dico scrollando le spalle. “Ho pensato che tutti sarebbero stati troppo occupati a scopare tra loro per ricordarselo.”

“Grazie, Eren,” dice tranquillamente, rimettendo nella borsa il biglietto e i soldi. Mi porge la barretta di cioccolato. “Ne vuoi metà?”

Volevo rifiutare, considerando che è un regalo, ma lo sguardo sul suo viso mi fa annuire. Ci appoggiamo contro la ringhiera e guardo le persone farsi il bagno in piscina nonostante il tempo gelido.

“Allora,” dico, deglutendo una delle caramelle, “C’è un motivo per il quale sei qui da solo?”

“Non mi piacciono le feste,” borbotta Bertholdt, dando un’occhiata alla piscina mentre mordicchia con calma la barretta di cioccolato.

“Troppo rumore?” Indovino. Annuisce. “Allora perché non lo dici a Reiner?”

Bertholdt mi guarda velocemente.

“Come fai a…?”

“Oh, ti prego,” sbuffo. “Sembri nervoso ogni volta che qualcuno ti parla. Ho pensato che Reiner avesse architettato tutto quanto.”

Bertholdt abbassa lo sguardo.

“È sempre stato più socievole di me,” dice. “A lui piacciono questo tipo di cose.”

“Quindi ti stai obbligando a fartele piacere?” Aggrotto la fronte. “Amico, non devi fare cose che non vuoi fare.”

Bertholdt si agita e penso di aver parlato troppo.

“Lui è il mio unico amico,” replica lentamente. “Voglio dire, conosco altre persone, ovviamente. Ma non è la stessa cosa. Ci conosciamo da quando eravamo bambini. Voglio…voglio solo che lui sia felice.”

Seguo il suo sguardo verso la piscina, dove Reiner sta parlando con qualche ragazza. Sembrano felici, ma quando torno a guardare Bertholdt capisco che lui non lo è.

“Non puoi sacrificarti per rendere felice qualcun altro,” commento. “Devi essere tu il primo a essere felice. Altrimenti la vita farà solo più schifo.”

A queste parole Bertholdt mi guarda con espressione illeggibile.

“E tu sai come renderti felice?” Domanda. Mi ha preso alla sprovvista con questa domanda. Deglutisco a fatica e fisso di nuovo la piscina.

“Non so più come si fa,” ammetto.

“Nemmeno io,” mormora Bertholdt.

“Sai,” comincio. “Non sei così male. Non sapevo cosa pensare di te perché Reiner è uno stronzo madornale, ma tu sei a posto.”

“Io ti ammiro,” borbotta in risposta.

“Io?” Chiedo con occhi spalancati. “Non sono esattamente un grande esempio.”

“Beh, forse no,” concorda. “Ma sai difenderti da solo.”

Non so cosa rispondere. Gli tocco il braccio per attirare la sua attenzione.

“Puoi riuscirci anche tu,” dico. “A volte devi solamente fingere di non avere paura, sai? Se ti convinci di non aver paura, puoi fare più o meno qualsiasi cosa.”

Bertholdt sorride ampiamente. Mi viene in mente di non averlo mai visto sorridere prima d’ora e mi scrivo una nota mentale di prendere a calci il culo di Reiner uno di questi giorni.

Resto con Bertholdt fino a quando non comincia a sbadigliare.

“Ehi, va a dormire,” dico. “So che potrebbe essere un’impresa difficile considerando la musica assordante e tutto il resto, ma puoi sempre provare.”

“Grazie,” dice ancora. “Scusa per averti fatto stare con me.”

“Non essere dispiaciuto,” sbuffo. “Sono venuto perché volevo. Ancora auguri.”

Bertholdt mi sorride ancora e annuisce. Gli do una pacca sulla spalla ed esco dalla camera da letto. Chiudo delicatamente la porta dietro di me e scendo le scale. Mi faccio strada verso la cucina e prendo un’altra birra visto che non ricordo dove ho messo quella di prima.

Mentre sono in cucina, realizzo di non aver alcun desiderio di rimanere qui. Vedere tutti quanti divertirsi mentre il festeggiato è da solo il giorno del suo compleanno mi fa contorcere lo stomaco. Non riesco a credere a quanto egoisti siano, ma più che altro sono deluso dai suoi cosìdetti amici.

Finisco la birra e vado alla ricerca di Reiner. Ci sta ancora provando con quella ragazza, ma non potrebbe fregarmene di meno.

“Ehi, asino!” Lo afferro per il braccio ferito e sento un’onda di soddisfazione invadermi quando geme dal dolore.

“Ma che cazzo?” Guarda in basso verso di me e realizzo che le persone stanno cominciando a notarci. Li ignoro e fisso l’armadio a due ante davanti a me.

“Faresti meglio ad avere una buona spiegazione del perché il tuo amico è da solo il giorno del suo compleanno,” sibilo.

Reiner assottiglia gli occhi e mi spinge via.

“Smettila di ficcare il naso,” sbotta.

“Sei almeno cosciente di quanto egoista tu sia?” Domando. “È il suo fottuto compleanno e tu hai organizzato una festa che non è nemmeno per lui, a casa sua. Capisci quanto tutto questo sia una stronzata?”

“Non sono cazzi tuoi, okay?!”

Col senno di poi, forse avrei dovuto vedere il pugno arrivare. Ma ero troppo motivato per prestare attenzione a futili dettagli e il pugno di Reiner mi ha fatto barcollare all’indietro di alcuni passi. Alzo la mano per fermare il sangue che sta uscendo dal naso mentre delle palline nere danzano offuscandomi la vista. La ragazza dietro Reiner si aggrappa al suo braccio buono e gli dice qualcosa che non riesco a sentire.

La mia mente mi sta urlando di non reagire, di andarmene e non fare nulla di avventato, ma al mio corpo non frega un cazzo di essere razionale. Faccio oscillare il braccio in avanti con tutta la forza che possiedo e il mio pugno che entra saldamente in collisione con la mascella di Reiner. La sua testa oscilla all’indietro e io lo faccio cadere a terra.

Nel mio corpo scorre pura adrenalina e non sento neanche più il dolore in faccia. Il sangue mi gocciola dalla bocca e respiro così velocemente che il mio petto sta cominciando a farmi male.

Reiner mi calcia lontano da lui e mi picchia così forte che giuro di aver visto nero per alcuni secondi. Sento qualcuno che urla e poi Reiner viene trascinato via da Marco e Franz. Marco gli sta urlando in faccia mentre qualcuno mi afferra per le braccia con poca delicatezza e comincia a scuotermi.

La vista mi si offusca per alcuni momenti. Quando vedo di nuovo chiaramente, distinguo il viso di Levi di fronte a me e il suo viso si contorce con rabbia mentre urla.

“- Cazzo hai che non va, huh? Non ti avevo detto di non fare nulla di stupido?”

Mi allontano da lui e sputo del sangue dalla bocca. Mi strofino la dolorante mascella e mi tiro via i capelli sudati dal viso. Levi si passa le dita tra i capelli e si preme il ponte del naso.

“Andiamo. Ti porto a casa.”

Mi avvolgo lo stomaco con il braccio e lo seguo.

“Chiavi,” Levi dice a Reiner, porgendogli la mano. Reiner mi guarda e inizia a protestare.

“Io non-”

“Dammi quelle fottute chiavi!”

Reiner rimane in silenzio e gli consegna le chiavi. Levi mi guarda e comincia a camminare. Ci facciamo strada attraverso la casa, ignorando i sussurri sommessi attorno a noi. Mentre passo affianco alle enormi scalinate, guardo in alto per vedere Bertholdt appoggiato al balcone. La sua mascella è leggermente aperta in shock e sembra preoccupato.

Gli dedico un mezzo sorriso e seguo Levi all’esterno. Entriamo nella macchina di Reiner senza un’altra parola. Mette le chiavi nel cruscotto e restiamo seduti per un momento. La musica in sottofondo si è attutita e a malapena udibile.

“Perché?” Chiede semplicemente.

“Cosa?”

“Non fare lo stupido. Sai di cosa sto parlando.”

Tengo le braccia in grembo e appoggio la testa contro il poggiatesta.

“È il compleanno di Bertholdt e a lui non sembra nemmeno importare,” rispondo finalmente.

“E a te?” Domanda. Ruoto gli occhi.

“Non avevo comprato preservativi. Gli ho comprato un biglietto e una barretta. È molto più di quanto gli altri gli abbiano portato.”

Levi mi osserva velocemente. Apre la bocca, ma non dice niente. Accende il motore e fa retromarcia dal vialetto, facendo scorrere ancora le dita tra i capelli.

“Perché l’hai fatto?” mormora. “Picchiare Reiner, intendo.”

“Ero arrabbiato,” replico. “Volevo solo…”

“Non conosci nemmeno Bertholdt.”

“Già, ma sono l’unico a cui è importato qualcosa di lui,” sbotto. Levi sussulta leggermente e rimane in silenzio.

“…Scusa.”

“Non sono io quello con cui dovresti scusarti.”

Levi sospira.

“Intendevo per l’averti portato qui,” dice, indicando la mia faccia. Scrollo le spalle.

“Non è il mio primo pugno,” dico.

“Giusto,” borbotta. “Porca miseria, Eren. Cosa stavi pensando?”

“Non stavo pensando,” rispondo onestamente. “E neanche questa è una novità.”

Levi stringe ancora di più il volante e scuote la testa.

“Ne è valsa la pena?”

“Considerando che Reiner domani avrà un livido stupendo, sì.”

Sbuffa e non dice nient’altro. Il resto della corsa lo passiamo in silenzio. Si ferma davanti a casa mia e spegne il motore in modo da essere circondati da nient’altro che il suono del vento che ulula contro le finestre chiuse.

Osservo il sangue secco sotto le unghie e cerco di pensare a qualcosa da dire. Tutto sembrava stupido e poco convincente, quindi tengo le labbra serrate e ignoro il sapore di ferro che sento in bocca.

“Grazie per il passaggio,” dico, ma non mi muovo per aprire la porta. Levi siede completamente immobile nel sedile del guidatore, guardando fuori dal finestrino con la sua espressione illeggibile. “…Levi?”

“Sei un idiota,” dice. Sbatto le palpebre lentamente.

“Ma che cazzo?”

“Cosa? È vero.”

Beh, non posso discutere su questo. Incrocio le braccia al petto e lo fisso.

“Non vuol dire che tu possa sottolinearlo.”

“Oh, beh.” Scrolla le spalle. “In ogni caso, la mia reputazione è ancora intatta.”

Sospiro drammaticamente. “La mia invece è appena andata in malora.”

“Giusto, perché eri così preoccupato per la tua reputazione.” Solleva gli occhi al cielo. “Ascolta, quello che hai fatto è stato spettacolare. Non l’aver dato un pugno a Reiner, ma l’esserti battuto per Bertholdt.”

“Beh, qualcuno doveva pur farlo,” dico, scrollando le spalle. “Notte.”

Afferro la maniglia della portiera ed esco dall’auto. Cammino verso casa mia con le mani sanguinanti dentro le tasche. Le luci del salotto sono ancora accese, il che vuol dire che dovrò spiegare dove sono stato e perché puzzo di sudore, birra e tracce di erba.

Esito sulla soglia, titubante se entrare oppure girarmi. Guardo oltre la spalla per scoprire che Levi mi sta ancora guardando, il finestrino del sedile del passeggero abbassato. Mi dedica un sorriso storto prima di ripartire.

Sospiro e apro la porta, pronto a scatenarmi per l’Inferno.
 
***
 
00:17, tavolo della cucina. La casa puzza di caffè e spray antisettico. Jean preme le dita contro il naso con più forza del necessario e strofina del sangue crostato dal mio viso.

“I tuoi genitori ci sono andati leggeri con te, lo sai,” dice. “Se tu fossi mio figlio, sarebbe stato molto, molto peggio.”

“Ti comporti già come se fossi tuo figlio,” dico, roteando gli occhi. “E in ogni caso, non è andata poi così male.”

“Puzzi di erba e birra e la tua faccia è piena di lividi. Già, non è così male.”

Giro la testa e guardo per terra. Le mani sono serrate a pugno sulle ginocchia e prendo alcuni respiri profondi, continuando finché il mio corpo non si rilassa.

Jean si muove per posare la bottiglia di alcool piena di coloranti sul tavolo e allunga la mano per prendere la sua tazza di caffè. Beve alcuni sorsi prima di voltarsi e sedersi di fronte a me.

“Allora cos’è successo?” Chiede. Mi mordo l’interno della guancia.

“Un ragazzo mi ha fatto arrabbiare e gli ho dato un pugno senza pensarci. Ecco tutto.”

Jean si appoggia allo schienale della sedia.

“Chi ti ha riportato a casa?”

Lo guardo con un cipiglio confuso.

“Non sei al lavoro. Smettila di interrogarmi.”

“Non lo sto facendo,” replica, scuotendo la testa.

Le mie mani si serrano di nuovo a pugno. Mi chino in avanti in modo che la testa penda giù, solo per non doverlo guardare e stringo gli occhi.

“Sono uscito con Armin la settimana scorsa,” dico, la voce spezzata. “Ero arrabbiato, mi sentivo solo e volevo far finta che tutto andasse bene. Mi ha detto che lo hai chiamato.”

Sento Jean respirare bruscamente. Noto come la sua gamba rimbalzi freneticamente sotto il tavolo.

“Sono preoccupato.”

“Non esserlo.”

“Hai solo diciassette anni, Eren!” Ora sta gridando, alzandosi in piedi così improvvisamente che la sedia cade a terra. Lo guardo in fretta. “L’ho chiamato perché hai diciassette anni e ho paura che tu possa fare qualcosa di cui ti possa pentire.”

“Non succederà!” Sto urlando così forte che la mia voce esce spezzata. “Smettila di preoccuparti per me! Perché ti interessa?!”

“Mi interessa perché ho promesso a tua sorella che mi sarei preso cura di te!”

“Non dire altro! Non ti azzardare a parlarne!”

“Perché fai sempre così?” Sibila. “Perché le feste, perché l’alcool, perché te ne vai sempre di nascosto? Odi davvero così tanto restare qui?”

Al questo punto mi alzo dalla tavola e me ne vado, mordendomi l’interno della guancia così forte da sentire il sapore del sangue. Cammino furiosamente sull’ingresso della cucina, con le dita intrecciate nei capelli. Sento il petto pesante, la vista offuscata dalle lacrime, ma mi rifiuto di versarle. Non piango per cose del genere.

“Eren-”

Basta.”

Lui tace. Cammino verso la porta e appoggio la testa contro il muro, premendomi le mani per sostenermi.

“Per favore, basta,” sussurro.

“Eren, dobbiamo-”

Lo ignoro mi dirigo verso il piano di sopra. Sbatto la porta, facendola addirittura tremare e la chiudo a chiave, buttandomi di schiena e scivolando verso il pavimento. Seppellisco il viso nella fessura delle ginocchia e urlo così forte che la gola mi brucia. I miei occhi sono serrati e il corpo trema mentre cerco di trattenere le lacrime.

“Ti prego,” dico; lo ripeto ancora e ancora fino a quando la mia voce non si appiattisce e gli occhi fanno fatica a rimanere aperti.

Mi viene in mente proprio prima di addormentarmi che non so che cosa sto chiedendo.
 
***
 
Lunedì mattina, lezione di inglese. Il professor Smith continua a spostare lo sguardo tra Reiner e me e so che è riuscito a fare due più due. Di sicuro ha sentito la voce passare per i corridoi considerando quanto velocemente viaggiano le notizie. La sedia di Levi è vuota, ma cerco di non pensarci troppo mentre mi concentro sulla spiegazione del professor Smith di una delle scene della novella.

La classe va avanti senza intoppi e prima di rendermene conto la campanella suona. I miei compagni di classe mi lanciano sguardi di disgusto o interesse mentre cammino. Mi alzo dalla sedia lentamente e aspetto fino a quando Reiner non se n’è andato solo perché non voglio avere a che fare con nessuno oggi.

“Eren, hai un minuto?” La voce del signor Smith mi ferma. Sprofondo le unghie nei palmi delle mani ma non mi giro.

“Devo andare in classe, signor Smith,” replico.

“Non ci vorrà molto, te lo assicuro. Ho bisogno di parlarti di una cosa.”

Sospiro in rassegnazione e mi giro per guardarlo in volto.

“Cosa c’è?”

“Va tutto bene?” Chiede. Mi sta guardando negli occhi, ma so che il suo sguardo sta in realtà vagando verso i lividi presenti sul mio viso.

“Sto bene,” dico. “Solo un piccolo litigio. Non è niente di inusu-”

“Non è quello che intendevo.” Mi interrompe. Deglutisco e aspetto che continui. “So che hai vissuto delle circostanze estenuanti che hanno causato un calo dei tuoi voti.”

Circostanze estenuanti? Porca di quella miseria.

“Va tutto bene,” dico. Il signor Smith fa il giro della cattedra e si appoggia contro di essa, sostenendosi con le mani.

“Eren,” mi chiama con voce seria. “Stai fallendo in questa classe. Ho parlato anche con i tuoi altri professori e sembra che tu non stia andando bene neanche nelle altre materie.”

“Perché mi sta dicendo questo?” Mormoro.

“Ora come ora, è molto difficile che tu riesca a diplomarti entro quest’anno.”

Me l’aspettavo. Sapevo di poter fallire per così tanto tempo prima che finalmente raggiungessi il fondo. Ma ora che è qui, ora che so che il mio futuro non è così brillante come mi ingannavo nel pensare, non riesco a respirare.

“Va bene,” mi obbligo a dire, quasi strozzando le parole.

“Davvero?” Il signor Smith mi guarda con una preoccupazione che mi fa venire voglia di vomitare. O gridare, non riesco a decidermi. “Capisco che la perdita di tua sorella ha influito sulla tua capacità di ottenere risultati costanti, ma non puoi lasciare che questo ti fermi dal diplomarti.”

“Forse non voglio,” sbotto prima di potermi fermare. “Nessuno ha mai pensato che forse la ragione per cui sono così è perché non mi interessa niente?”

Il signor Smith non sembra stordito dal mio sfogo, ma non sembra essere il tipo che si agita per qualcosa in generale.

“Non devi fingere che non ti importi niente, Eren,” dice. “Ma se davvero non vuoi, allora suppongo questa conversazione sia inutile per te.”

Annuisco.

“Grazie per l’avvertimento, ma sto bene,” dico.

“Come vuoi.” Il professor Smith si alza lentamente. “Non posso costringerti a fare nulla, ma tengo un corso di recupero ogni giovedì dopo la fine delle lezioni. Puoi venire per rimetterti in pari con i compiti.”

“Se mi interessa,” dico. Il signor Smith incontra i miei occhi.

“Se ti interessa,” concorda. “Pensaci. Se non ti vedo giovedì, allora saprò che non sei interessato.”

Rivolge la sua attenzione alla pila di saggi sulla sua scrivania. Resto davanti a lui qualche minuto, tastando goffamente l’orlo della mia felpa con cappuccio, prima che la porta si apra e gli studenti inizino a entrare.

Deglutisco a fatica ed esco dalla stanza. Le mani non smettono di tremare per una qualche ragione e le infilo nelle tasche per nasconderle. Qualcuno mi afferra il braccio e mi ferma e per un secondo penso sia Reiner. Ma la mano non è così grande e quando la guardo noto che la pelle è troppo pallida per essere sua.

La fronte di Levi è aggrottata quando lo guardo e non riesco a decidere se essere felice di vederlo oppure esserne irritato. Senza rivolgermi una sola parola, mi trascina verso le scale fino a raggiungere il tetto. La porta è chiusa a chiave, ma osservo come utilizza una forcina per forzare la serratura per poi farmi uscire.

Cammino dietro di lui come un bambino compiaciuto. Voglio chiedergli cosa sta facendo, ma la mia bocca non si decide a formare le parole.

“Parla,” comanda.

Lo guardo in modo strano.

“Riguardo a cosa?”

“È successo qualcosa,” dice. “L’ho capito.”

“Mi stai stalkerando?” Chiedo con una risata forzata. Lui alza gli occhi al cielo e si appoggia contro la ringhiera. Il vento scompiglia i suoi una volta immacolati capelli in tutte le direzioni.

“Stavo per andare a prendermi qualcosa da bere quando ho visto che eri giù di morale,” dice. “La curiosità a volte uccide, insieme ai gatti e al jazz.”

“Giusto,” sospiro leggermente. “Perché non eri a lezione oggi?”

“Ho dormito troppo,” risponde semplicemente. “Non mi hai risposto. Cos’è successo?”

Mi mordo l’interno della guancia e non rispondo.

“Non ti lascerò da solo.”

“Lo so.”

“Dovresti cominciare a parlare.”

“Lo so.”

Non dico nulla per un po’ di tempo mentre cerco di trovare le parole.

“A volte mi isolo così tanto che non riesco nemmeno a capire come sia la realtà,” comincio con calma. “Mi illudo pensando che vada tutto bene e che il mondo non sia una merda totale. Ma poi ci ricado e realizzo quanto tutto faccia schifo. Diciamo solo che sto affogando nella realtà.”

Mi aspetto che mi dica che è un ragionamento da lunatico. Lo guardo; mi osserva anche lui, pensieroso.

“Penso di aver capito,” dice. “Tu dipingi un quadro perfetto della tua vita tanto da pensare di starci vivendo dentro, fino a quando qualcuno non spunta fuori e ti ricorda che ciò che hai non è nemmeno lontanamente vicino a quello che pensi di avere.”

Sono così scioccato che la mia mente si blocca per un secondo. Penso che mi stia toccando la gamba, ma sembra completamente serio mentre mi guarda.

“Anche tu la vedi così?” Chiedo finalmente. Lui sbuffa.

“La vedo così proprio adesso,” dice, scivolando in basso fino a quando non è seduto contro la ringhiera. Esito prima di sedermi accanto a lui.

“Ne vuoi parlare?” Chiedo.

“Tu?”

“Non proprio."

“Beh, ecco la risposta.”

Tira la testa indietro e chiude gli occhi. Lo guardo prima di mordermi il labbro e abbasso gli occhi verso le mie mani, facendo scorrere con tocco leggero le dita sulle nocche livide.

“Perché eri arrabbiato?” 

“Huh?”

“Alla festa di Bertholdt,” dico. “Quando eravamo in cucina. Sembravi irritato.”

“Reiner,” dice con stizza.

“Oh.”

“Stava facendo l’asino.”

“Anche io.”

“Sì, ma tu non sei sempre così.” Ruota gli occhi. “Almeno tu avevi un motivo. Reiner è solo un pezzo di merda perché può esserlo.”

Rimaniamo di nuovo in silenzio.

“Non riuscirò a diplomarmi in tempo,” lo informo. “Il professor Smith me l’ha detto dopo la lezione.”

Levi si gira per guardarmi.

“Davvero?”

“Davvero.”

“Quindi… cosa farai?”

“Non lo so, cazzo.” Grugnisco e faccio cadere la testa in avanti.

“Beh, tu vuoi diplomarti?” 

Porto le gambe al petto.

“Mi ucciderebbero se non dovessi riuscirci,” dico. “Ma non ne sono comunque sicuro. Penso che i miei genitori abbiano rinunciato con me. Mio cognato continua a insistere che devo cambiare, ma non ci riesco. Non è che voglia fare schifo. Ma agire così è l’unico modo che conosco per mantenere intatta la mia sanità mentale.”

“Penso che tu voglia diplomarti,” dice. “Voglio dire, non so quale sia il tuo problema, ma tutti vogliono diplomarsi. Tutti non fanno altro che parlarne ed è il primo passo per diventare indipendente. È la prova che sei pronto ad affrontare la vita.”

“E se io non volessi?” Borbotto. “E se io volessi essere indipendente, ma gestire la vita da solo mi spaventa terribilmente?”

“Non saresti da solo,” dice. “Nessuno è solo.”

“Sembri piuttosto diverso dal ragazzo che ha provato a dirmi che tutte le persone sono malvage.”

“Non ho detto che tutte le persone sono malvage.” Solleva gli occhi al cielo. “Ho detto che qualcuno deve esserlo.”

“Oh sì, certo,” rispondo. “Non è tutto rose e fiori, giusto?”

“Giusto.” Annuisce. “Visto, stai capendo.”

“Dovremmo tornare indietro,” dico, schiarendomi la gola.

“Probabilmente sì,” dice con un ghigno. “Non dire a nessuno di tutto questo.”

“Certo che no,” sbuffo.

“Riesco a tollerarti, ma non siamo amici,” dice.

“Giusto. Fai questo per tutti quelli che riesci a tollerare?”

“Solo per quelli speciali,” ride sotto i baffi. “Sorridi. Sei un’eccezione.”

“Che onore. Non avrei mai pensato che Levi Ackerman potesse fare un’eccezione per uno come me.”

Scrolla le spalle e si alza, tendendomi la mano. Esito prima di stringergliela, facendomi sollevare da terra.

“Mi sento generoso,” risponde.

“Wow, a quante persone hai dimostrato cotanta generosità?”

“Solo a te. Nessun altro deve saperlo.”

Roteo gli occhi e lo seguo giù per le scale. Ci soffermiamo alla porta per alcuni minuti prima che io lo guardi.

“Ti ringrazio, Levi.” Lui annuisce.

“Certo. Ma la prossima volta, assicurati che io sia ubriaco prima di diventare un filosofo in vena di sentimentalismi.”

Ripenso a quando eravamo seduti sotto le gradinate. Avevo detto una cosa simile, no? Il pensiero di Levi che mi cita indirettamente mi fa sogghignare.

“Lo terrò a mente,” dico, facendo l’occhiolino prima di sorpassarlo. “Ci vediamo!”

“Sì, sì.” Rotea ancora gli occhi, nonostante ci sia l’ombra di un sorriso sul suo viso.

Una sensazione di calore mi turbina nello stomaco. Mi sforzo di ignorarlo mentre cammino verso la lezione di fisica, sentendomi leggermente più ottimista di quanto non sia da un po'.
   
 
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