Il
sole filtrava leggero tra le tende,
potevo quasi sentire il cinguettìo degli uccellini come
nella casa di campagna
in cui sono cresciuta. Allungai le braccia e distesi i muscoli, con un
sorriso
leggero sulle labbra e gli occhi socchiusi, ancora pigra ma pronta ad
affrontare la giornata.
Con
un gesto secco mi liberai delle
coperte e mi sedetti sul bordo del letto, guardando ancora per un
po’ fuori
dalla finestra, inebetita, prima di decidermi ad alzarmi e ad andare in
bagno a
prepararmi. Ho sempre avuto la brutta abitudine di non fare colazione,
ma in
compenso ho sempre fatto pranzi sostanziosi. Mentre mi lavavo i denti
mi fissai
allo specchio, tirando indietro i capelli lunghi per evitare che si
bagnassero
nel lavandino.
Non
appena ebbi scelto cosa indossare
per la giornata sentii una voce dietro di me. – buongiorno.
Ti sei alzata
presto…- sorrisi e mi voltai automaticamente verso la voce
impastata. Lui era
lì, seduto alla fine del letto a gambe incrociate,
attorcigliato nelle coperte
e con i capelli sconvolti dal sonno. Con un braccio mi raggiunse e mi
attirò a
sé. Gli carezzai i capelli e gli baciai il capo, stendendomi
di nuovo per breve
tempo con lui sul letto, per coccolarci un po’ prima di
andare a lavoro.
Era
una giornata tranquilla, come tante
altre.
Talvolta
mi soffermavo a pensare agli
anni addietro, quando quel futuro sembrava tanto lontano ed
irraggiungibile.
Quasi
come un sogno, o forse un incubo,
a volte vedevo allo specchio una ragazza che ero io, ma diversa.
I
capelli rasati, il viso più rotondo, a
volte i capelli erano viola e la felpa che portavo era blu.
Ogni
anno della mia vita mi era sembrato
come se semplicemente avessi lasciato dietro di me una persona diversa.
Ero
grata di essere diventata la donna
che ero, ma allo stesso tempo mi dispiaceva essere cresciuta ed aver
lasciato
indietro tutto il resto.
Le
passioni, i momenti liberi, persino
le ansie. Ogni anno, lasciavo indietro qualcosa di me e presto un altro
anno
ancora sarebbe volato, portandomi così alla soglia dei miei
ventisette anni.
Lanciai
uno sguardo all’orologio del
bagno, che segnava le otto spaccate; afferrai la borsa e mi diressi di
corsa
verso la porta di casa, rendendomi conto che a breve sarei stata
persino in
ritardo.
-
amore, aspetta!- mi voltai, la mano
sulla porta, rivolgendo un cenno a mio marito. –
sì? Sto per far tardi, amore.-
precisai, incitandolo a sbrigarsi a parlare. – a Capodanno
dove andiamo?- mi
rivolse un sorrisetto ed io sbuffai. – ne parliamo stasera
quando torno, adesso
sono di fretta, ma se ti va possiamo fare una cosa tranquilla a casa,
invitiamo
qualche amico e collega.- lui annuì.
Ogni
anno era sempre così, una routine
che non cambiava mai: a nessuno dei due andava realmente di uscire a
fare
baldoria, quindi ci saremmo riuniti con qualche amico ed avremmo
festeggiato
alla mezzanotte per poi guardare un po’ di televisione e
chiudere in bellezza a
letto a fare l’amore.
L’unica
cosa che mi tormentava da un
paio d’anni a quella parte e mi rendeva irrequieta era un
desiderio intimo che
covavo in silenzio: quello di avere un figlio.
Lui
mi conosceva, mi amava e sapeva
quanto contasse per me avere il primo figlio prima dei trenta, ma era
uno sogno
che sembrava sempre più distante, intristendo sempre
più ogni mio giorno.
Eravamo
ai primi di dicembre e in città
non faceva altro che piovere, piovere come se la terra avesse sete e
stesse
bevendo fino a strozzarsi.
La
pioggia mi aveva sempre fatto
compagnia, come un dolce rumore di sottofondo che aveva preso anche a
coprire i
miei pensieri, ad incitare i miei ritmi di lavoro – a loro
volta un modo di
riempire il tempo che avrei tanto voluto poter dedicare ad un bambino.
Mio
marito sapeva, e non parlava. Non
parlava, perché dirlo ad alta voce avrebbe confermato le mie
paure, i miei
timori e quindi avrebbe portato ad una serie di esami ed analisi che
avrebbero
potuto dare un esito terrificante.
E
questo mi avrebbe semplicemente
distrutta.
Con
il senno di poi, solo una persona
come lui, così buono e dolce, poteva evitare che mi
spezzassi e mi rinchiudessi
in me stessa.
Una
parte di me mi reputava sciocca: con
i miei timori di non riuscire ad avere un figlio prima dei trenta forse
mi
stavo proprio precludendo di riuscirci ed avevo la certezza che il
continuo
rimuginarci sopra non sarebbe mai stato di alcun aiuto.
I
giorni passavano e la mia cara routine
mi accompagnava, cullandomi nei momenti morti.
-
Non pensare, rilassati. – e le parole
dell’uomo che avevo sposato mi cullavano tra le coperte,
prima di sfociare in
risate o pianti, baci o il dolce far l’amore.
Come
gesti automatici chiamai gli amici
ed organizzai la cena per quel Capodanno persino prima del Natale.
A
guardarmi indietro, o meglio forse
direi guardandomi allo specchio, sarebbe stato più giusto
dar tregua a lui e a
me, amarci di più, passare più tempo nel presente
e non nelle aspettative che
mi imponevo. Immagino che anche lui lo avrebbe preferito, ma
è sempre stato una
persona più altruista di quanto io sarei mai potuta essere.
Perché,
anche grazie a lui, i sorrisi
nel buio dei miei pensieri non sono mai mancati.
I
sorrisi per le sue battute, per le mie
gaffe, anche solo nel guardare i nostri gatti correre per casa o per
cose
stupide come trovare qualcosa che mi ricordasse altri momenti
divertenti della
mia vita, o che mi ricordassero lui.
Nella
mia tristezza, sono sempre stata
una persona solare.
Mi
sono sempre sentita come quel raggio
di luce tra le nuvole nere, quell’atmosfera particolare dove
pioverà, ma non
farà davvero freddo.
La
Vigilia e Natale passarono, tra le
risa e qualche piccolo screzio.
Solo
il ventisei ricordai di comprare un
nuovo paio di slip rossi per Capodanno, per fare una sorpresa che
sarebbe stata
molto apprezzata.
L’ultimo
giorno dell’anno era alle porte
ed io mi sentivo una bambina emozionata, che non vedeva l’ora
di sapere cosa le
avrebbe portato l’anno nuovo.
Paradossale,
no?
Il
ventisette, dopo essere uscita dal
lavoro mi imbattei in una farmacia ed esitai. Volevo davvero rovinarmi
l’inizio
del nuovo anno? Ero diventata davvero una persona così
autodistruttiva? Decisi
di sì, scendendo dalla macchina che avevo parcheggiato prima
ancora di
rispondere alle domande che mi balenavano in mente, scoccate come
frecce dritte
alla mia autostima.
Il
giorno prima della vigilia del nuovo
anno, uscii con un’amica e trovai un nuovo vestito da
indossare per quella sera
speciale. Lo comprai e quella sera feci vedere a mio marito il nuovo
acquisto,
che a sua detta voleva vedermi subito addosso; una scusa brillante per
condurmi
in camera da letto e spogliarmi, riservandosi in realtà la
sorpresa del vestito
per la serata a cui era destinato.
Lo
conoscevo abbastanza da sapere che me
lo avrebbe sfilato prima che sarebbero arrivati gli invitati.
Non
rimasi delusa e lui non si smentì.
Al
termine del conto alla rovescia
brindammo, ci baciammo e mentre si scambiavano tutti gli auguri ne
approfittai
per dileguarmi e scappare in bagno.
Tastai
sopra al mobile accostato al muro
e trovai ciò che cercavo con tanta ansia. Aprii la
scatoletta, conoscendo ormai
a memoria le istruzioni per l’uso di un test di gravidanza.
Attesi
cinque minuti, cinque lunghissimi
minuti in cui presi a camminare per l’angusto bagno che si
faceva sempre più
soffocante. Minuti durante i quali sentii bussare al porta.
Sobbalzai.
-
un attimo!- urlai. Riconobbi la voce
ovattata del mio amato. – tutto okay?- risposi
affermativamente e guardai il
risultato.
Improvvisamente
una sensazione di
sollievo si diffuse nel mio stomaco per poi espandersi lungo le
estremità del
corpo, un sorriso spuntò sulle mie labbra e mi dovetti
controllare per non
esplodere in un pianto di gioia.
Poi
alzai lo sguardo ed incrociai me
stessa allo specchio.
Con
i capelli lunghi, gli occhi lucidi,
un bel vestito. Mi guardai e mi riconobbi.
Vidi
quella donna sistemarsi i capelli
dietro le orecchie, girarsi, andare verso alla porta.
E
mi resi conto di non essere più io.
Mi
guardai attorno, cominciando a
sentirmi soffocare. Perché non ero nel bagno?
Perché non stavo aprendo la
porta, perché vedevo tutto buio?
Pian
piano, nel ritaglio di luce dello
specchio, qualcuno si avvicinò ed io arretrai, spaventata.
-
sono io, tranquilla.- una voce
familiare, nasale. Fece capolineo un viso dolce, dei capelli corti alle
spalle.
– dove sono? Perché sono qui?- domandai con voce
stridula. – non aver paura, ti
abituerai. Prima che te ne accorgerai, sarà normale
guardarla allo specchio.-
vedi una giovane ragazza, una felpa rossa, i capelli rosa. Non ci
potevo
credere. Scivolai in ginocchio. – quante…?- mi
guardai attorno, alcune avevano
in braccio delle bambine piccole.
Nessuna
di loro sarebbe mai cresciuta,
avrebbe imparato a parlare o a camminare.
Eternamente
rinchiuse in quello
specchio, come me.
-
siamo tutte. Siamo tutte te, siamo
tutte lei.- mi affacciai allo
specchio.
Invece
lei era lì.
Sorrideva,
ero io.
-
è positivo.- lacrime sgorgavano dai
suoi occhi azzurri. Suo marito, mio
marito divenne paonazzo, con il test in mano, incredulo.
Cominciarono
a stringersi e a baciarsi
ed uscirono dalla stanza.
Li
sentii, in camera nostra, cominciare
a fare l’amore cercando di non farsi scoprire dagli ospiti.
Senza
rendermi conto stavo piangendo a
mia volta, ma le mie non erano lacrime di felicità
bensì di disperazione.
Sarei
rimasta lì, nello specchio, a
spiare la realtà tanto preziosa a cui forse non avevo dato
abbastanza valore,
per sempre.
O
finchè la donna che mutava ogni anno
non sarebbe semplicemente morta.
-Bloody’s
Corner-
Storia
inizialmente ispirata da una scena accaduta, ma che poi
devo dire ha preso una piega totalmente inaspettata persino per me!
Spero sia
piaciuta.
Miss
BloodyFangs