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Autore: Il cactus infelice    30/03/2019    2 recensioni
La guerra è finita, Harry Potter ha sconfitto il Signore Oscuro e ora tutti si apprestano a tornare alla normalità. Kingsley Shacklebolt è diventato il nuovo Ministro della magia, Hogwarts ha riaperto i battenti apprestandosi ad accogliere nuovamente gli studenti, linfa vitale del futuro della società magica. I morti per la giusta causa vengono ricordati con onore, i Mangiamorte che sono fuggiti vengono arrestati e chi ce l'ha fatta cerca di riprendersi la vita leccandosi le ferite e ricordando i cari persi.
Ci vuole tempo per guarire, per superare i traumi, c'è chi ci mette di più e chi un po' meno. Ma, in mezzo al dolore, tutto il Mondo Magico è felice per la sconfitta di Lord Voldemort. Tutti, eccetto Harry.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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LACRIME 

 

Harry era in camera sua, seduto a terra a gambe incrociate e chino sul baule nel tentativo di riordinarlo. C’erano un sacco di cianfrusaglie lì dentro che non riordinava da un po’. Gli era parso di aver sentito al tatto persino una chewing-gum appiccicata sul fondo. 

L’indomani ripartiva per Hogwarts e non era molto sicuro di come si sentisse; da un lato Hogwarts era sempre stata la sua casa ed era felice di rivederla, insieme a Hermione, Ron e Ginny coi quali doveva riallacciare un po’ i rapporti. Dall’altra però si sentiva in colpa a lasciare i suoi genitori. Sapeva quanto dovesse ancora lavorare sul rapporto con loro. Aveva però bisogno di una pausa, di rendersi conto che se non si vedevano per un po’ loro non sarebbero scomparsi, ma sarebbero rimasti lì ad aspettarlo. A casa. 

Insomma, era da un po’ di giorni che non avrebbe più saputo dare una definizione al marasma di sentimenti che provava. 

E poi entro due mesi anche quell’anno di studi si sarebbe concluso e allora avrebbero avuto tutto il tempo del mondo. 

“Harry?” Si sentì chiamare dalla soglia della porta. Suo padre e sua madre lo stavano guardando quasi titubanti. “Possiamo parlare?” Il ragazzo annuì incerto. 

James e Lily si sedettero accanto a lui. Harry richiuse piano il baule. C’era della tensione nell’aria. 

James prese un grosso respiro prima di cominciare.

“Volevamo dirti che io e tua madre siamo orgogliosi di te”. 

Harry puntò i suoi intensi occhi verdi sui volti dei genitori, incuriosito da dove quella conversazione sarebbe andata a parare. 

“E non perché hai sconfitto Voldemort”, continuò l’altro. “Per quello ci pensa già tutto il mondo magico. Siamo orgogliosi ad averti come nostro figlio e non avrei potuto desiderare un ragazzo migliore. Anche se non ti abbiamo cresciuto noi - e Merlino solo sa quanto questo mi dispiaccia e quanto mi senta in colpa - sei venuto fuori splendidamente. Siamo orgogliosi perché sei un amico fantastico per Ron ed Hermione e Kiki, perché sei un ragazzo eccezionale per Ginny, perché non vuoi far soffrire nessuno, nemmeno noi”. 

“Lo vediamo che cerchi ancora di tenerti tutto dentro per non spaventarci”, si intromise Lily. “Ma ti assicuro che non è necessario. Possiamo sopportarlo. Vogliamo solo che tu sia te stesso. Se devi soffrire, soffri. Ne hai tutto il diritto. Noi non sappiamo tutto quello che hai dovuto passare, possiamo solo immaginarlo, e non ti costringeremo a raccontarcelo, ma ti prego, non mandare giù tutto”.

Harry non disse niente. Capì che era il suo turno di parlare ma non riuscì a dire nulla. Rimase in silenzio e semmai il silenzio potesse fare rumore, be’, quello era un silenzio che urlava. Lui voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ci riusciva proprio. La sua bocca era come intorpidita, le parole avevano perso di significato, la lingua si era incollata al palato. 

Così fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente, l’unica cosa che sentiva di voler fare - e che avrebbe dovuto fare già mesi prima - l’unica risposta che poteva dare. 

Pianse. 

Fu come un temporale preannunciato da tuoni e piccole gocce di pioggia che in pochi minuti si trasformano in gocce grandi quanto un’unghia; gli occhi gli si riempirono di lacrime prima ancora che potesse accorgersene - figurarsi trattenerle - e mentre ancora guardava i genitori le lacrime cominciarono a scendere, una dopo l’altra, infradiciandogli le guance. Non disse nulla e, se non fosse stato per le lacrime, il suo volto sarebbe rimasto impassibile. 

“Oh”, sospirò James sorpreso. Di certo non si erano aspettati quella reazione. Ma quando James capì che le lacrime stavano per diventare una tempesta, si protese verso Harry e lo strinse forte al petto. 

Harry si lasciò andare; buttò le braccia attorno al collo del padre e affondò la faccia nell’incavo della sua clavicola. Fu allora che cominciò a singhiozzare, scosso da tremiti. Quelle erano probabilmente tutte le lacrime che non aveva versato in diciotto anni di vita. 

Ma fu soprattutto quello che provava dentro a scuoterlo in una maniera che quasi lo spaventò: una  cascata di emozioni tutte accavallate e confuse, come un paio di cuffie del vecchio Walkman di Dudley che si attorcigliavano quando le teneva in tasca e che gettava sempre a terra in preda alla rabbia perché non riusciva a districarle. Sollievo, malinconia, paura, ansia... ma anche tenerezza e una certa gioia sia per quello che gli avevano appena detto i suoi genitori sia perché c’era suo padre a tenerlo tra le braccia e a sussurrargli cose come “lascia andare”, “sfogati”, “andrà tutto bene”, mentre sua madre gli accarezzava i capelli piano. 

Pianse. 

Pianse ancora.

E ancora. 

E ancora. 

Non sapeva quante lacrime una persona potesse piangere in una volta sola. Ma ad un certo punto si fermò, le lacrime smisero di uscire, i singhiozzi si fermarono. Tuttavia non si staccò dal padre. Non subito almeno. Voleva ancora godersi quel torpore, il suono ritmico del suo cuore che batteva, le sue braccia forti. Non sapeva quanto tempo fosse passato, gli sembravano ore ma dovevano essere solo pochi minuti. 

“Stai bene?” Gli chiese ad un tratto James. 

Solo allora Harry si decise ad alzare il capo guardando i genitori con gli occhi che, bagnati di lacrime, erano ancora più verdi. Sembravano foglie nella rugiada. 

“Sì. Scusa, ti ho bagnato la maglietta”. 

James gli sorrise. “Al diavolo la maglietta. Se vuoi puoi pure soffiartici il naso”. 

Harry ridacchiò. 

“Non devi ritornare a Hogwarts se non te la senti”, gli disse Lily. 

“No, va bene. Ci torno. E poi, ci vedremo a Hogsmeade”. 

“Certo”. 

Nessuno di loro era sicuro se dovevano ignorare quello che era appena successo, accantonandolo come un momento intimo in cui Harry si era concesso di lasciarsi andare, o se invece voleva parlarne. James e Lily erano così spaventati e Harry così incerto. 

Il ragazzo si asciugò le ultime lacrime rimaste con la manica della felpa e poi guardò di nuovo i genitori. 

“Non l’ho mai fatto, questo. Non ho mai pianto”.

“Oh”. 

Almeno ora sapevano qualcosa della vita di loro figlio; un piccolo dettaglio insignificante ma che per loro valeva il mondo. 

“Puoi rifarlo tutte le volte che vorrai”, gli disse Lily. “Quando ne sentirai il bisogno”. 

Harry annuì. “Lo so”.

 

 

Harry arrivò alla stazione di King’s Cross dove si ricongiunse con Ron, Hermione e Ginny. Diversi sguardi si voltarono nella sua direzione, non sapeva se per il suo essere il Salvatore del Mondo Magico o se era perché le persone che lo accompagnavano dovevano essere... Be’, morte. In ogni caso insieme formavano un bel gruppetto.

Ma presto ignorò tutti gli sguardi perché i suoi amici lo coinvolsero nelle loro chiacchiere. Anche Kiki lì raggiunse, col suo solito sorriso e i capelli raccolti in una coda alta che la invecchiava un po’. 

“Sei meglio dal vivo che non nelle foto segnaletiche”, disse questa rivolta a Sirius. L’uomo alzò un sopracciglio perplesso. 

“Non era il mio profilo migliore”. 

“Ah allora dovrò buttare quella che conservo nel baule e fartene un’altra”. La ragazza rise contagiando anche l’altro. Sirius dovette ammettere che Kiki era una ragazza piuttosto particolare, decisamente diversa da Hermione e Ginny. Era un po’... Be’, come quelle con le quali usciva lui quando era più giovane: maliziosa, senza peli sulla lingua, spigliata, ironica e... carina. Non un carina casuale. Quei pantaloni scuri sicuramente non li aveva messi perché non aveva trovato altro nell’armadio. Le stavano bene e lei lo sapeva. 

E... e aveva diciotto anni ed era amica del suo figlioccio. 

Sirius, ripigliati e non fissare una ragazzina.

“Comunque ora che si avvicinano i M.A.G.O inizio a essere terrorizzato”, esordì Ron distraendo gli altri due dalle loro occhiate. 

“Se studiassi regolarmente non lo saresti”. 

“Hermione, mi presterai i tuoi appunti, vero?”

James, poco interessato a quei discorsi, guardò verso Ginny che, come se avesse percepito la sua occhiata, alzò lo sguardo su di lui e vide che la stava chiamando in parte. 

I due si allontanarono senza farsi notare, la voce di Ron in sottofondo. 

“Mi prometti che ti prenderai cura di mio figlio?” le chiese lui parlando in tono basso e a Ginny bastò percepire il suo tono serio, anche se tranquillo, per capire quanto l’uomo ci tenesse a quella promessa. Senza contare che era andato subito al dunque. 

“Certo che te lo prometto”, rispose lei decisa. “Non gli succederà nulla”. 

“Grazie”. 

“E di cosa? Conosco Harry, si riprenderà. E se non dovesse farlo con le buone, ci penserò io con le cattive”. Sorrise all’ultima frase ma James intuì che lei sarebbe stata capace di farlo. 

I due tornarono dagli altri, nella testa di James vorticavano solo due parole: “conosco Harry”. Certo che lo conosceva, meglio di lui. E, anche se era felice che suo figlio avesse la ragazza, gli dispiaceva che lei lo conoscesse da più tempo di lui. Non che fosse colpa sua ma proprio perché non era colpa sua forse faceva ancora più male. 

“Che cosa vi siete detti tu e mio padre prima?” chiese Harry alla propria ragazza quando furono saliti sul treno e rimasti leggermente indietro lasciando che fossero Ron, Hermione e Kiki a cercare uno scompartimento libero. 

“Come?”

“Non fare finta di niente. Vi ho visti che vi allontanavate”.

Ginny cercò in fretta una risposta sensata da dare - non era sicura che James volesse far sapere al figlio quello che le aveva chiesto - ma per fortuna Ron ed Hermione li chiamarono perché avevano trovato uno scompartimento vuoto. Quella conversazione finì lì. 

“Io te lo devo chiedere, Harry”, comincio Hermione in un tono che anticipava che non avrebbe ammesso scuse. Il ragazzo, mentre si sedeva di fronte a lei,  guardò l’amica un po’ preoccupato perché quando qualcuno iniziava con una frase di quel tipo aveva già imparato che era una domanda un po’ scomoda. Anche Kiki, accomodatasi vicino al finestrino, lanciò un’occhiata scettica all’altra ragazza. 

“Hai finanziato coi tuoi soldi il negozio dei gemelli?” 

Harry per poco non cascò dal sedile; si era immaginato una domanda peggiore ma immaginava che ormai una cosa del genere poteva essere rivelata. 

“Ho usato i soldi del Torneo Tremaghi”. 

“Cosa?! Hai pagato il negozio dei miei fratelli?!” esclamò Ron sconvolto. 

“Be’, è un bel negozio”, osservò Kiki, ora tornando alla sua aria indifferente. 

In quale modo la conversazione sarebbe potuta proseguire non si scoprì mai perché Neville e Luna aprirono la porta dello scompartimento e sorrisero radiosi. 

“Possiamo sederci con voi? Seamus ha fatto cadere delle caccabombe nel suo scompartimento e c’è puzza ovunque”. 

“Io penso che sia un buon odore. Mi ricorda quello del terriccio fresco in cui allevavo i miei Pescorvuncoli”.

I cinque fecero spazio ai nuovi arrivati e il viaggio proseguì in tutta tranquillità.

 

*** 

Ci tenevo molto affinché la scena di Harry che piange venisse emotivamente bene. Spero di esserci riuscita ma me lo direte voi.

Ho un po’ paura di stare dando troppo spazio a James e poco a Lily nel loro rapporto con Harry. Spero di riuscire a recuperare un po’ questa cosa più avanti. Insomma, mi dispiacerebbe far percepire che Harry si senta più legato al padre che alla madre. Nel mio immaginario lui li ama allo stesso modo. 

I Pescorvuncoli sono una mia invenzione, non esistono nel mondo di zia Jo xD

Ma qualcuno l’ha spottata la nuova ship? ^_^

 

Alla prossima, 

Cactus

   
 
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