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Autore: Aurora_Boreale    21/07/2009    2 recensioni
Chi sarà mai il nuovo maestro di nuoto della piccola Kaori, la sorellina di Rukawa? E il volpino come reagirà alla notizia che il fantomatico istruttore possiede una sfavillante chioma rossa, proprio come il do'aho che ultimamente popola i suoi sogni (casti e non)? Può Kaede Rukawa rimanere nel dubbio? Ma certo che no! [RuHana]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!

Eccomi qui con l’ultimo capitolo.

Ho deciso di postarlo subito perché tra pochissimi giorni darò l’ultimo esame e poi la settimana prossima parto per il mare (vacanzeeeee *O*).

Quindi, per non rischiare di dimenticare di postare prima della partenza (la mia mente è perennemente tra le nuvole), ho deciso di farlo subito. ^^

Questo ultimo capitolo è notevolmente più lungo dei precedenti, ma mi dispiaceva dividerlo in due perché, a mio parere, la narrazione ne avrebbe risentito.
Spero di non deludere troppo le vostre aspettative, ma tenete conto che ho scritto questa fanfic senza grandi preteste, giusto per divertirmi nel creare uno spaccato di vita quotidiana. Mi auguro di non avere reso i personaggi OOC (forse Hana lo è un pochino, ma bisogna anche contestualizzare il tutto).

Buona lettura!

 

 

 

 

Il maestro di nuoto

 

 

“Ehi, kitsune, vedi di non addormentarti.”
Mmh, zitto do’aho, lasciami assaporare il momento. Quando mi ricapiterà una situazione del genere?
Stiamo andando a casa mia, ma visto che c’ era il problema della bici di Hana, non potevamo prendere l’autobus. Gli avevo proposto di lasciarmi la bicicletta ed andare lui in autobus assieme a mia sorella, dal momento che non sapeva dove abitassimo, ma la sua risposta è stata più o meno questa: ‘Volpe, figurati se ti lascio la mia preziosissima bici! È nuova! Me la distruggeresti alla prima curva!’
Hn, do’aho di poca fede.
Però questa soluzione è sicuramente migliore.

In questo momento stiamo sfrecciando per le vie, mentre i passanti ci guardano come se fossimo appena usciti dal manicomio: dopotutto li posso anche capire visto che siamo in tre su una bici sola. Hanamichi pedala, Kaori è seduta davanti a lui, incastrata miracolosamente in mezzo al manubrio e da come ride sembra divertirsi un mondo, mentre io sono abbarbicato sul portapacchi, intento a tenere con un braccio la sacca del nuoto di Hana e con l’altro a circondargli la vita per non cadere.

“È quella casa bianca” strilla mia sorella indicando con una manina la nostra abitazione.
Hn, non potevamo alloggiare dall’altra parte della città? La schiena del mio rossino era molto comoda per schiacciare un pisolino.



***


“Do’aho, entra!” gli intimo risoluto.
È lì fermo sulla porta di casa, troppo stupito per muoversi; l’intero mobilio della villetta è di origine occidentale, e per chi non ci è abituato fa sempre una certa impressione.
Finalmente Hana si decide ad entrare, ed è talmente intento a guardarsi intorno che miracolosamente se ne sta zitto.
“Wow, Kitsune! Questa non è una casa, ma una reggia.”
Come non detto...

“Maestro, vieni a vedere la mia camera?”
Kaori sbuca sul pianerottolo del primo piano, incitando il rossino affinché la raggiunga.

“Chiamami semplicemente Hana” ribatte dolcemente il mio Idiota mentre sale le scale. Anch’io voglio poterti chiamare Hana, non è giusto!

“Senti, Kitsune, non è che potrei farmi una doccia? Perché in piscina mi sono solo dato una sciacquata veloce per togliere il cloro di dosso” mi chiede titubante pochi minuti dopo.
Vorrei tanto domandargli se vuole compagnia...

“Hn, vieni”.

Detto ciò lo accompagno in bagno e per evitare qualsiasi tentazione torno al pianoterra intenzionato a preparare la cena.

“Ede, la mamma ha lasciato un biglietto.”
Kaori mi raggiunge di corsa dal soggiorno, poi si solleva sulle punte dei piedi per cercare di sventolarmi sotto il naso il foglietto in questione. Lo prendo e comincio a leggere, ignorando mia sorella che inizia a scalpitare tirandomi la maglietta perché riferisca anche a lei il contenuto del messaggio.
Come al solito ci saranno mille raccomandazioni... infatti.

‘Kaede, c’è stato un cambio di programma. Visto che vostro padre arriva domani mattina all’aeroporto di Tokyo, ho deciso di fermarmi a dormire in un albergo, così posso andare a prenderlo senza che venga a casa in taxi. Dovremmo tornare per l’ora di pranzo.
Mi raccomando, bada a Kaori! E fai in modo che non vada a letto troppo tardi; e soprattutto, cerca di svegliarti domani, che passa la signora Midori per accompagnare tua sorella a scuola.
Vi ho lasciato la cena pronta in frigo, basta scaldarla. Se ci fossero problemi, chiamami al cellulare o chiedi alla vicina.
Vi voglio bene, baci
Mamma.’


“Allora? Cosa dice?”

“Hn, che arriva domani con papà.”

“Che bello! Torna il babbo!” esulta felice, saltellando per la cucina; poi si blocca, e guardandomi speranzosa mormora: “Oh, quindi dormiamo soli questa notte?”
So benissimo a cosa sta pensando.

“Hn, non ci provare. Alle nove e mezza andrai comunque a letto” le dico categorico.

“Uffa!” sbotta corrucciandosi, andandosi a sedere su una sedia e rimanendo imbronciata per tutto il tempo in cui preparo la tavola.

Non mi piace vederla arrabbiata.
“Dai, non fare così” le dico in tono più dolce, ma tutto quello che ricevo come risposta è un laconico “Hn”. Quando è offesa tende ad assomigliarmi molto di più.

“Ti lascio vedere La Sirenetta dopo cena, va bene?”

“Sì!” urla felice, ritrovando il buon umore appena sente il titolo del suo film preferito.
In teoria la tv spetterebbe a me; poco tempo fa, dopo una accesa discussione, eravamo giunti ad un accordo: a lei il monopolio del telecomando il pomeriggio, a me dopo cena, così avrei potuto vedermi l’ N.B.A. in santa pace. Questa sera però posso fare un'eccezione, anche perché preferisco guardarmi un certo do’aho.
Ora che ci penso, ultimamente di eccezioni ne faccio spesso; ho il sospetto che quando Kaori abbia voglia di vedersi un cartone, faccia apposta la finta offesa per farmi commuovere.

“Vieni, devi fare il bagno prima di cena” le mormoro mentre esco dalla cucina.

Alzo il viso quando sento i passi di Hanamichi lungo le scale e per poco non rischio un infarto. Perché quello stupido do’aho non si è rimesso la divisa scolastica?

Il rossino, ignaro del mio sguardo allupato, sta scendendo i gradini con i piedi ambrati liberi dalla costrizione dei calzetti che tiene ancora in mano, i capelli umidi che cadono in ciocche scomposte sulla fronte e sul collo.
Perché mi sembra che la luce della stanza sia tutta su di lui, atta a mettere in rilievo ogni dettaglio della sua persona?

Noto infatti che il fautore della mia momentanea tachicardia indossa dei jeans slavati, larghi e dalla vita così bassa da lasciare intravedere la stoffa dei boxer che porta sotto. Sui fianchi ha legato una felpa nera, mentre la parte superiore del corpo è coperta da una canottiera bianca leggermente elasticizzata che, per mia sfortuna o fortuna a seconda dei punti di vista, evidenzia alla perfezione ogni muscolo; per non parlare dei capezzoli che si scorgono alla perfezione, quasi volessero gridare al mondo intero ‘toccateci, leccateci, succhiateci!’
Qualcuno mi leghi, perché altrimenti giuro che gli salto addosso.
Solo ora mi accorgo che sulla canottiera fa bella mostra, a caratteri cubitali, una scritta nera in inglese: F.B.I.
Fabulous Body Inside.*

Do’aho megalomane.
Però non posso trattenermi dal sorridere lievemente... e dal dare pienamente ragione alla scritta! Ma visto che mi piace tanto stuzzicarlo, vediamo come reagisce alla mia provocazione.
E così, magari, eviterò di farmelo sulle scale come un animale in calore.

“Bella maglietta, do’aho. Ma sai cosa vuole dire?”

Hanamichi apre la bocca stupito, forse perché ho detto una frase intera, poi sembra che la sua mente registri la mia domanda vagamente canzonatoria, al che reagisce di conseguenza.

“Volpe! Meglio che tu stia zitto se parli per dire assurdità! Certo che so cosa significa, sono il Genio dell’ inglese io! E non ti permettere di criticare la mia canottiera, che è un regalo portatomi da Yohei da Londra!”

Ovviamente si è subito infervorato, urlandomi contro senza neanche respirare tra una frase e l’altra, totalmente rosso in viso, non so neppure io se per lo sforzo del gridare o per la rabbia.

Poi, notando la bimba fare capolino da dietro le mie gambe, si calma.
“Hana, devo fare il bagno, mi fai compagnia?” urla entusiasta Kaori appena lo vede, lanciandosi fra sue braccia. Fortunatamente Sakuragi ha i riflessi pronti e riesce a prenderla al volo. Dovrò spiegarle che non può fare così con tutti.
La mia non è invidia, sia chiaro, eh?

“Ede, il libro” mi dice Kaori mentre Hanamichi la porta in braccio fino al bagno.
Se mi trasformassi in un bambino piccolo, farebbe così anche con me?
Sconsolato, vado a prendere in camera di mia sorella il volume richiesto: un libro di favole che le ho regalato per il suo compleanno. Mi aveva attratto la copertina: il dio Apollo intento a scoccare una freccia dall’alto del suo cocchio solare, trascinato da quattro cavalli di fuoco, rossi come la sua capigliatura. Inutile negare che, avendo associato l’immagine del nume greco al mio do’aho, l’avevo comprato seduta stante. Solo successivamente avevo notato che era una raccolta di miti sui tanti amori del dio, ma per fortuna il regalo è piaciuto moltissimo a Kaori.

“Hana, mi leggi la terza storia?” domanda la piccola appena mi vede ricomparire con l’oggetto desiderato.

Oddio... No. Tutte tranne quella. Mi affretto a passare il libro ad Hanamichi per poi sedermi al suo fianco, mentre mia sorella gioca con le bolle di sapone che si sono create nella vasca.

“La terza? Vediamo...” sento la voce del do’aho mentre sfoglia le pagine per trovare il mito che Kaori gli ha appena richiesto.

“Apollo e Giacinto?” domanda titubante il rossino, quando arriva al racconto indicatogli.

“Sì” trilla entusiasta la bimba, alzando improvvisamente le braccia, schizzandomi addosso, in questo modo, una quantità di acqua non indifferente.
Ma non ho il tempo di arrabbiarmi con lei perché Hanamichi comincia a leggere.

“Giacinto, figlio di Amicla e Diomede, era un giovane di grande bellezza che viveva vicino alla città di Sparta. Aveva una pelle candida come la luna, capelli neri come ali di corvo e degli splendidi occhi blu che brillavano più di due zaffiri.”

Hanamichi continua a leggere ed io mi perdo completamente nella storia, nonostante la conosca a memoria, ammaliato dalla sua voce bassa e ben cadenzata.

“Il giovane era amato sia da Zefiro, dio del vento dell’ Ovest, che da Apollo, dio del Sole. Giacinto preferì Apollo ed il dio, pur di stare in sua compagnia quando quest’ultimo andava a caccia, iniziò a tralasciare tutte le sue attività. Zefiro, adirato per il rifiuto e geloso dell’ amore tra i due, decise di vendicarsi. Un giorno, mentre Apollo e Giacinto giocavano al lancio del disco, deviò l’oggetto scagliato dal dio del Sole con un colpo di vento, e lo mandò in direzione del giovane. Giacinto, colpito alla tempia, si accasciò morente tra le braccia del compagno.”

A questo punto Hanamichi si interrompe.

“Non continui?” domanda mia sorella.

“Sì.” Un sussurro appena udibile. Il mio do’aho riprende il racconto e percepisco la sua voce farsi leggermente roca. Hn, mi sa che si sta commuovendo per la storia.
Che tenero.

“Apollo cercò di salvare l’amante, ma ogni suo tentativo fu vano. Decise allora di trasformarlo in un fiore, un fiore rosso rubino, come il sangue che il ragazzo aveva versato. Il dio, prima di tornare sul monte Olimpo, tracciò con le proprie lacrime, sui petali del fiore appena creato, le sillabe “AI”, che in greco è un’ esclamazione di dolore. Al fiore diede il nome di Giacinto, affinché del giovane si conservasse la memoria per l’ eternità.”

“Ma... è una storia tristissima” annuncia sbigottito Hanamichi una volta terminato il racconto. Sembra sconvolto per il finale tragico.

“Sai che è la preferita di Kaede?” rivela candidamente mia sorella mentre esce dall’acqua, fiondandosi poi sull’accappatoio che le sto tenendo aperto.
Maledetta la sua lingua lunga!
Beh, perché il do’aho mi fissa con quell’espressione così stupita? Meglio sorvolare.

Ho la maglietta fradicia, sarà meglio che la cambi.
Con un movimento sinuoso me la levo, rimanendo a petto nudo e, sollevando lo sguardo, mi trovo puntato addosso quello nocciola di Hanamichi.
È arrossito? Interessante. Allora forse non gli sono del tutto indifferente.

“Che hai da guardare?” gli mormoro con voce volutamente bassa e provocante.
Lui per tutta risposta diventa più rosso di un pomodoro maturo. Questo sarebbe il momento ideale; ora mi avvicino lentamente, e se vedo che non si sposta, lo bacio.
Ma il grido di Kaori mi rammenta che non siamo soli nella stanza.

“Ho fame!” strepita a squarciagola una volta riuscito ad infilare per il verso giusto il pigiama dopo due tentativi infruttuosi. E detto ciò prende il mio imbarazzatissimo do’aho per mano, con la chiara intenzione di trascinarlo in cucina.
Accidenti che sfortuna! Prima di seguirli, indosso una maglietta pulita raccattata dalla pila di vestiti stirati che sono ancora in bagno.

“Me lo metti?” chiede Kaori a Sakuragi, sventolando il suo bavaglio; senza quello si sporcherebbe tutti i vestiti ogni volta che mangia. Hana si posiziona dietro la sua sedia, piegandosi per riuscire a legarglielo, ed io per poco non faccio scivolare la pentola che sto portando a tavola.
Perché solo ora che non ha più la felpa allacciata in vita, noto lo strappo dei jeans poco sotto la tasca posteriore. Strappo che, a causa del movimento del rossino, inevitabilmente si tende, mettendo in mostra la sua natica soda, parzialmente coperta dagli aderenti boxer neri.
Grazie, Kami, forse esisti!
Distolgo velocemente l’attenzione, perché la tentazione di allungare la mano per tastarne la consistenza è veramente troppa, e mi affretto a servire la cena.

Per diversi minuti regna uno strano silenzio, e se la cosa per Hanamichi non mi stupisce perché troppo intento a mangiare per parlare, non posso dire lo stesso per mia sorella. Solitamente non sta zitta neanche a tavola. Questo vuol dire solo una cosa: sta rimuginando su qualcosa; ed infatti la quiete viene rotta proprio dal tornado di casa-Rukawa.
“Hana, hai mai baciato qualcuno?”
Per poco non mi soffoco con l’acqua che sto bevendo, mentre noto le gote del do’aho imporporarsi.
Ma che diamine di domande fa? Però ora sono proprio curioso di sapere la risposta.
“No” riesce a soffiare un imbarazzatissimo do’aho ed io interiormente esulto a tale scoperta.

“Allora quando diventerò grande ti sposo - se ne esce Kaori - però tu intanto non baciare nessuno.”
“E questo cosa centra con lo sposarsi?” domanda ovviamente perplesso Hanamichi.
“Perché se due si baciano, poi si sposano, no?”
“Ma veramente...” tenta di obbiettare Hana.
“C’è anche nella Sirenetta: Ariel bacia il principe e poi subito lo sposa.”

Ah, ecco da dove ha tirato fuori quest’idea assurda. Beh, lasciamola con questa convinzione, almeno per ora.
Porto in tavola il dolce: fragole con panna, quello che preferiamo sia io che mia sorella.
“Hana, ma tu non devi chiamare la mamma a casa? Se no magari è in ansia" domanda con preoccupazione Kaori.

“No, tranquilla piccola, mia mamma lavora in ospedale e questa sera ha il turno di notte, quindi sarei stato comunque solo a casa” le risponde dolcemente, riempiendo il cucchiaino di frutta.
Da qualche parte ho letto che le fragole sono afrodisiache, chissà se è vero? Forse potrei sperimentare la cosa con Hanamichi.

Noto che nella mia coppetta è rimasta un po’ di panna.
Idea!
Ora vediamo come reagisce...
Raccolgo quel rimasuglio soffice con l’indice e poi, guardando il mio do’aho dritto negli occhi, me lo porto alla bocca, cominciando a succhiare con lentezza, movendo contemporaneamente il dito dentro e fuori, mimando esplicitamente ben altro.
Con soddisfazione noto il viso di Hana passare attraverso tutti i colori del rosso, raggiungendo infine una tonalità quasi violacea.

Mio caro do’aho, quando lo scricciolo sarà andato a letto non mi scapperai.

“Film!” grida la piccola, catapultandosi in soggiorno ed Hanamichi la segue quasi di corsa, come se avesse paura di trovarsi solo con me.
Ma prima di mettere il cartone, obbligo mia sorella a lavarsi i denti, perché conoscendola si addormenterà a metà della visione. E così, poco dopo, siamo tutti e tre seduti sul divano a seguire le vicende di Ariel, ed io non cado in narcolessia solo per la presenza del do’aho al mio fianco.

“La Sirenetta è proprio bella. Maestro, tu con i tuoi capelli sembri suo fratello” afferma ad un certo punto la bimba, guardando con attenzione le ciocche fulve incriminate.

“Ho deciso, da ora in poi sei il mio sireno” sentenzia con il suo tono più deciso.
“Sirenetto, forse?” la corregge bonariamente Hanamichi.

Il mio cervello, invece, è andato in tilt all’immagine del mio do’aho con tanto di coda verde smeraldo, la pelle ambrata ed i capelli carmini fluttuanti nell’acqua della mia piscina privata. Piscina che in realtà non possiedo, ma questi sono dettagli irrilevanti.

Sto boccheggiando come un pesce fuor d’acqua, tanto per rimanere in ambiente marino. Sento caldo, molto caldo ed un formicolio sospetto ai piani bassi. Balzo di scatto in piedi, attirandomi gli sguardi stralunati degli altri due, ma non ci bado: meglio battere in una ritirata strategica.

“Dove vai?” esclama mia sorella sorpresa.

“Hn, doccia” biascico, aggiungendo mentalmente un ‘possibilmente gelata’.
Ma prima di salire le scale, riesco a fare una precisazione: “Comunque si dice tritone” trattenendomi a stento dal concludere con l’ immancabile ‘idiota’, vista la presenza della piccola.

Venti minuti buoni dopo, minuti che ho usato per fare una doccia così ghiacciata che per poco rischiavo l’assideramento, riesco a tornare in salotto e la scena che mi si presenta è tenerissima. Hanamichi si è appisolato seduto sul divano con la testa reclinata all’indietro sullo schienale, Kaori invece russa beatamente raggomitolata al suo fianco con i piedini che sormontano una gamba di Sakuragi.
Non mi resta alto da fare che portarla a letto.
Me la carico in braccio, stando attento a non destarla, anche se è un rischio che non corro perché quando dorme non la sveglierebbero neanche le cannonate, e poi, una volta raggiunta la sua camera, la adagio nel letto.
Tutto quello che fa è grugnire qualcosa di incomprensibile nel sonno, girarsi su un fianco e abbracciare il peluche del pesciolino Flounder che mi sono premunito di metterle accanto.

Quando ritorno in soggiorno, sento dei confusi borbottii. Mi avvicino al divano e vedo Hanamichi agitarsi nel sonno, probabilmente preso da un incubo. Mi siedo accanto a lui, scrutandolo attentamente: ha la fronte aggrottata, i pugni serrati, il corpo rigido e sudato.

“No! Lasciatemi!” urla improvvisamente, facendomi prendere un colpo.
Non so cosa fare. Dopo un attimo di momentanea calma riprende a dimenarsi.

“No... non andare... aspettami!”
Il mio cuore salta un colpo quando vedo una lacrima fare capolino tra le ciglia scure, percorrere la gota ambrata e morire sulle sue labbra.
Chi ti fa soffrire così, Hana?

“No... ti prego aspettami... kitsune!”
Mi gelo.
Ha veramente pronunciato il mio nome?

Gli scrollo la spalla con dolcezza per cercare di svegliarlo: non ho più intenzione di starmene qui con le mani in mano mentre lui soffre. Hana apre gli occhi, puntandomi addosso due iridi confuse, lucide di pianto. Rimango interdetto quando mi getta le braccia al collo, prendendo a sussurrare “Sei qui, sei qui...” come un mantra, affondando il viso nel mio petto.

Penso che si debba ancora rendere conto di essersi svegliato. Ma questa constatazione non mi ferma: non mi lascio di certo scappare un’occasione simile.
Gli circondo la vita con un braccio, stringendolo a me, prendendo ad accarezzargli i capelli purpurei con la mano destra, nel vano tentativo di calmarlo.

Quante volte ho desiderato poter fare una cosa simile?

“Tranquillo, era solo un brutto sogno... è passato.”
Glielo sussurro in un orecchio, cercando di essere convincente.

Hanamichi alza il viso di scatto, sgranando gli occhi stupito quando incontra il mio sguardo tenero. Lo sento irrigidirsi: credo che ora si sia reso effettivamente conto della situazione; infatti prende subito ad agitarsi, tentando di sfuggire al mio abbraccio, ma io intensifico la presa perché non ho voglia di lasciarlo.

“Stai buono, Hana” cerco di blandirlo.

“Non sono un bambino” ribatte stizzito, riluttante a fare come gli dico.
Ma presto si calma, smettendo di scalpitare per cercare di allontanarsi da me. Forse perché, senza neanche rendermene conto, l’ho chiamato per nome, o forse ha percepito la dolcezza nella mia voce.
Non mi importa.
Sono solo felice che si sia nuovamente abbandonato al mio abbraccio, permettendomi di continuare a passargli le dita tra le sue ciocche scarlatte, mentre tiene il capo posato sulla mia spalla.

Percepisco il suo corpo rilassarsi, il suo fiato caldo che si infrange sul mio collo provocandomi lievi brividi, e le sue mani che arpionano la camicia del pigiama, quasi temesse un mio possibile allontanamento.
Non posso impedire al mio cuore di accelerare i battiti.
Forse faccio male.
Forse le mie sono vane illusioni, ma la reazione inusuale di Hana mi fa sperare in meglio.

“Ho avuto il mio incubo peggiore; ultimamente ce l’ho spesso” bisbiglia con voce scossa.

Trattengo il respiro.
Hanamichi si sta sul serio confidando con me? Il suo nemico? Colui che dice di odiare?

“Sogno il giorno in cui è morto mio padre, ed i teppisti che mi hanno bloccato, impedendomi di salvarlo.”

Non so cosa dire.
Non sono mai stato bravo con le parole. Lo abbraccio più forte, avvicinando maggiormente i nostri corpi, quasi volessi fondermi con lui, nella speranza che gli basti questo mio gesto.
Lui sembra capire ed apprezzare, perché si abbandona completamente contro di me, dandomi piena fiducia.
Non avrei mai pensato di poterlo vedere così arrendevole e fragile.

Forse non mi odia.

Vorrei che questo momento non finisse mai, ma un tarlo mi rode, inducendomi a porgli la fatidica domanda.

“Prima che ti svegliassi, hai pronunciato il mio nome.”

Hana si stacca da me, spingendomi lontano da lui, fuggendo il mio sguardo, imbarazzato e nuovamente inquieto. Lo vedo mordersi nervosamente il labbro inferiore, le gote arrossate ed il respiro un po’ affannoso. Sembra nel panico più totale.

“Il tuo nome? Ti sarai sbagliato.”
La sua voce è incerta e questo, più di ogni altra cosa, mi fa capire che mi sta mentendo.

“Chiami altri kitsune?“ lo provoco, inarcando al contempo un sopracciglio per manifestare tutto il mio scetticismo. Giuro che se ora mi dice di sì, lo butto giù dal divano!

Lo vedo abbassare il capo, sconfitto, e non posso fare a meno di pensare che il suo comportamento mi sembra alquanto strano.
Cosa mi nascondi, Hana?

“Do’aho!”

“Volpe! Non chiamarmi idiota! - sbraita, ritrovando tutta la grinta che lo caratterizza, mentre i suoi occhi di brace mandano lampi di sfida - Va bene, hai ragione! Stavo sognando te, contento?”

I suoi repentini cambi di umore mi mandano nella più totale confusione.
Forse non dovrei insistere, ma ho bisogno di conoscere la verità, ora più che mai.

“Racconta” e la mia non è una richiesta gentile, ma un ordine categorico.

“Da quando parli così tanto? Non te n’è mai importato nulla di me. Era solo uno stupido sogno. E non voglio la tua pietà” ribatte cocciuto, sparando come al suo solito tutto ciò che gli passa per la testa.

Hanamichi, non puoi sapere quanto ti sbagli.

Il mio sguardo deve essere più eloquente delle mie parole perché lui, dopo un momento di indecisione, sembra cambiare idea.
Infatti tira un profondo sospiro, come a voler prendere coraggio, e poggiando nuovamente il capo sulla mia spalla, comincia a parlarmi con voce flebile ed esitante.

“Dopo che quei teppisti mi hanno pestato, è diventato tutto nero, tutto buio. Mi sentivo solo, angosciato, come se avessi percepito la morte di mio padre… poi, in lontananza, è comparsa una luce, talmente sfavillante da squarciare le tenebre attorno ad essa. Mi sono messo a correre, volevo raggiungerla; non so perché, ma avevo la sensazione che se ci fossi riuscito la mia paura sarebbe svanita.”

Hanamichi deglutisce, cercando di schiarirsi la voce.
Io sento il mio cuore martellare ad un ritmo folle ed un gran groppo in gola, quasi presagendo un possibile mutamento nel nostro rapporto.

“Quando sono stato abbastanza vicino, ho potuto vedere che quel bagliore non eri altro che tu, kitsune.”
Sbarro gli occhi per la sorpresa, ma lui non mi può vedere perché continua a tenere il volto nascosto nell’ incavo della mia spalla.
“Tu mi hai guardato e poi, con la tua espressione più glaciale, mi hai detto che te ne andavi in America a realizzare il tuo sogno; dopodiché ti sei voltato e hai cominciato ad allontanarti ed io mi sono sentito abbandonato. Ho cercato di correrti dietro, implorando di fermarti, ma non mi hai ascoltato. E nonostante io tentassi di raggiungerti, la nostra distanza aumentava, sempre più.”

“E poi?” ho la forza di mormorare, troppo stupito e frastornato per le parole appena sentite per aggiungere altro.

“Mi hai svegliato.”

Cala un silenzio tra noi, denso, pieno d‘aspettativa.
Per la prima volta nella mia vita non so cosa fare. Dichiararmi? Ma se avessi male interpretato il suo sogno a causa dei sentimenti che provo nei suoi confronti?

Poi il suo sussurro mi colpisce come una scudisciata: “Perché tutte le persone che amo mi lasciano solo?”
Non è una domanda la sua, parla più a se stesso e se io non fossi così vicino non lo avrei neppure sentito.
Lo prendo per le spalle, tirandolo indietro, così da poterlo guardare in viso, ma lui si ostina a tenerlo abbassato. Gli sollevo il mento con un dito, asciugandogli le lacrime che non riesce più a trattenere e lui mi lascia fare, mansueto come un gattino, anche se so perfettamente che basterebbe poco per risvegliare la tigre che c’è in lui.

“È vero, desidero andare in America; ma il mio sogno è poter giocare nell’ N.B.A. insieme a te.”
Vedo il suo sguardo confuso. È un do’aho, dovrò essere più chiaro.

“Non ti lascio qui solo, Hana. Verrai con me e sai che io realizzo sempre ciò che voglio.”

“Perché?” domanda titubante, mentre nelle sue iridi nocciola scorgo sorpresa, gioia e anche un filo di paura.

Ma allora è proprio idiota!
Sbuffo, tra l’ infastidito e il divertito: mi sa proprio che dovrò sforzare le mie corde vocali.

“Perché mi piaci, do’aho” e con questo il discorso è chiuso.
E detto ciò, mi piego su di lui, coprendo la mia bocca con la sua, evitando in questo modo ogni sua rimostranza.
Le labbra di Hanamichi sono morbide, umide e leggermente salate per le lacrime appena versate e mi sembra di rinascere quando lui le socchiude, lasciando che la mia lingua vi si possa intrufolare dentro. Incontro la sua, la sfioro, poi ritraggo la mia, costringendolo a seguirmi in questa danza che mi accende i sensi.
Lascio un attimo le sua bocca per poter respirare, poi mi ci calo nuovamente sopra, attratto come una calamita.
Hanamichi si addossa maggiormente al mio corpo, prendendo a gemere sommessamente, mentre gli accarezzo un fianco con una mano e con l’altra lo tengo per la nuca affinché non si allontani.
Sentirlo così arrendevole mi fa infiammare ogni cellula, mandando in tilt il mio autocontrollo.
Lo sospingo con impeto, inducendolo a sdraiarsi sul divano e poi mi adagio su di lui, cercando di non gravargli con tutto il peso del mio corpo.
Quando sposto la mia attenzione sul suo collo ambrato, prendendo a leccarlo e baciarlo, lo sento ansimare e tendersi contro di me.
Questo mi eccita ancora di più, e senza pensarci troppo, sull’onda della passione, infilo una mano sotto la canottiera, accarezzando il suo ventre piatto, facendo scorrere le dita lungo i suoi addominali marmorei.

“Ru! Aspetta...” geme Hanamichi.
Lo ignoro, andando a stimolargli i capezzoli che si inturgidiscono subito al mio tocco, mentre strofino il mio sesso teso con il suo.

“Kaede!” grida.
E questa volta mi fermo, percependo il panico nella sua voce.
Alzo lo sguardo sul suo viso e ciò che vedo mi gela: è rosso, ansimante ed eccitato, ma le sue iridi nocciola tradiscono un fondo di paura.

Penso di averlo spaventato con la mia irruenza. Nonostante sia grande e grosso, il suo animo è innocente come quello di un bambino.

“Scusami, Kaede... io... io... tu mi piaci tanto, davvero! Però...”
Hanamichi balbetta queste parole nel tentativo di spiegarsi, serrando gli occhi con forza, forse per il terrore di vedere la mia espressione contrariata.

“Ehi, stai calmo” sussurro, mentre gli accarezzo il viso, scivolando al contempo giù dal divano per poterlo liberare del mio peso.

“Hana, non devi giustificarti. La colpa è mia che ho affrettato i tempi.”
Lo vedo aprire gli occhi, e davanti al mio sguardo comprensivo abbozza un timido sorriso.

“Davvero non sei arrabbiato?” mormora incerto.
Scuoto il capo in senso di diniego.
“Ti amo, Hana, aspetterò tutto il tempo che vorrai” suggellando tali parole con un semplice bacio sulla fronte.
Ed il sorriso smagliante che mi rivolge è quanto di più bello potrei vedere.

“Che ne dici se ce ne andiamo a letto? Ormai si è fatto tardi” e mentre dico ciò allungo una mano, aiutandolo ad alzarsi dal divano e con le dita ancora intrecciate, lo accompagno in camera mia.

Non posso che sorridere quando lo vedo imbarazzarsi alla vista del letto all’occidentale a due piazze. Ci sarebbe anche la camera degli ospiti, ma non gliela propongo neanche: sono disposto ad aspettare a fare l’amore, ma almeno voglio poterlo abbracciare nel sonno.

“Vuoi un pigiama?” gli domando prima di infilarmi sotto le coperte.

“Ehm, io veramente... di solito dormo con solo i boxer” pigola torturandosi nervosamente le mani.
Do’aho! Ripensandoci, forse era meglio dormire in due stanze separate. Cerco di non guardarlo mentre si sveste, altrimenti il mio ‘amichetto’ potrebbe decidere di risvegliarsi. Chiudo per precauzione gli occhi e li riapro solo quando percepisco il materasso abbassarsi per il peso del suo corpo che si corica.

Resisto solo due secondi, poi allungo le braccia, circondandogli la vita e attirandolo contro di me.
Lui si lascia ghermire senza opporre resistenza, rannicchiandosi in posizione fetale, lasciando che il mio petto poggi contro la sua schiena ed il mio viso si posi poco sopra la sua spalla.

“Notte, Hana”

“Sogni d’ oro, Kaede” lo sento mormorare, prima di scivolare nel mondo di Morfeo.

 

***


Hn? Chi ha lanciato questo urlo disumano?
A malincuore apro gli occhi, mettendo a fuoco il viso color aragosta del mio idiota.

“Do’aho! Non perdono chi disturba il mio sonno” intimo con voce minacciosa.

Vorrei colpirlo, ma le sue labbra socchiuse sono una tentazione troppo forte, quindi opto per una punizione alternativa. Buttandogli le braccia al collo, lo coinvolgo in un bacio appassionato.

Perché mi ha allontanato così bruscamente?

“Ru... tua... tua sorella” balbetta il mio tesoro, raggiungendo una tonalità bordeaux, mentre con un dito indica la porta della mia camera.

Accidenti!
Mi sono completamente dimenticato di chiuderla a chiave ed ora è successo quello che temevo: Kaori è sulla soglia, i capelli arruffati, il pigiama spiegazzato, ed uno sguardo estatico mentre ci fissa.

“Oh, come siete carini” mormora con candore disarmante, mentre passa l’attenzione da me, ancora aggrappato alle spalle del rossino in perfetto stile koala, al mio ragazzo, ormai cianotico a forza di trattenere il fiato.

Rilassati, amore, altrimenti dovrò pensarci io.
Non che la cosa mi dispiaccia.

“Sai, prima che Hanamichi ti svegliasse con il suo grido, l’ho beccato che ti stava accarezzando i capelli mentre dormivi. Avresti dovuto vedere il sorriso dolce che aveva nel guardarti.”

Ma davvero? Uh, interessante. Brava piccola, sei degna di essere mia sorella.

Il mio rossino, per la vergogna, si nasconde sotto le lenzuola, mentre invece noto il viso di Kaori rabbuiarsi, come se si fosse improvvisamente ricordata di un particolare importante.
Ed ora cosa c’è?

“Ma Ede!” sbotta indignata, esibendo un broncio offeso, mentre mi fissa con le braccia incrociate sul petto ed il piedino che comincia a battere ritmicamente a terra.

“Uffa, Hana lo volevo sposare io!”



Fine!^^




Note:
- Spero di non avervi annoiato con il mito di Apollo e Giacinto, ma mi sono lasciata trascinare dalla mia passione per la cultura greca. Ah, ovviamente ho dovuto semplificare al massimo la trama, cercando di renderla adatta ad un libro per bambini.
Non so se sono riuscita nell’ ardua impresa.
Ho volutamente descritto Giacinto simile a Rukawa, anche se iconograficamente è rappresentato biondo, o al massimo castano.

L’ episodio è raccontato anche nel decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio:

“[...] Anche tu, figlio di Amicla, saresti stato posto in cielo
da Febo, se l’ avverso destino gli avesse permesso di farlo.
Ma eterno sei, questo sì: ogni volta che la primavera
allontana l’ inverno e l’ Ariete succede alla pioggia dei Pesci,
ogni volta tu in fiore rinasci tra il verde delle zolle.
Nessuno più di te fu amato da mio padre, e Delfi,
posta al centro del mondo, rimase senza il suo nume tutelare,
finché lungo l’ Eurota, a Sparta priva di mura, venne a trovarti
Febo. Più nulla gli importava della cetra e delle frecce:
dimentico di sé stesso, non disdegnava di portare reti,
di custodire i cani, di accompagnarti per le balze di monti
impervi, alimentando con la lunga intimità la passione.
E già il sole era a mezza strada tra la notte ormai trascorsa
e quella in arrivo, a uguale distanza dall’ una e dall’ altra:
Febo e Giacinto si spogliano e, tutti luccicanti d’ olio,
danno inizio a una gara di lancio col disco.
Per primo Febo, dopo averlo soppesato, lo scaglia nell’ aria
e quello, irrompendo nel cielo, squarcia le nubi che incontra.
Solo dopo lungo tempo ricade per il peso sulla crosta
della terra, mostrando quanto può la perizia unita alla forza.
Subito, spinto dal gusto del gioco, senza ragionare,
il fanciullo del Ténaro corre a raccoglierlo; ma la durezza
del suolo all’ urto fa rimbalzare il disco proprio contro il tuo volto,
Giacinto. Impallidì il ragazzo e accanto a lui il nume,
che sorregge il corpo afflosciato e cerca in qualche modo,
tamponando la brutta ferita, di farti rinvenire,
di trattenere la vita che fugge con impiastri d’ erbe.
Ma non c’è arte che giovi, non c’è rimedio per quella ferita.
Come quando qualcuno in un giardino irriguo calpesta papaveri,
viole o gigli sostenuti dai loro fulvi steli,
quei fiori subito appassiscono, reclinando languido il capo,
e volgono, incapaci di reggersi, la corolla verso il suolo,
così il volto del morente si piega e il collo, privo di vigore
e ormai per lui un peso insopportabile, gli cade sulla spalla.
“Frodato del fiore di giovinezza, tu, Ebàlide, ti spegni”,
dice Febo, “ed io vedo questa tua ferita che mi accusa.
Specchio del mio dolore, questo sei! Colpevole della tua morte
è questa mano mia, a ucciderti io sono stato!
Ma è una colpa la mia? Sempre che si possa chiamare colpa
l’ aver giocato, o chiamare colpa l’ averti amato.
Oh, se almeno potessi pagare con la vita e con te
morire! Ma poiché la legge del destino me lo vieta,
sempre nel cuore ti avrò e sempre sulle mie labbra sarai.
Ti celebreranno i miei canti al suono della lira
e in te, rinato fiore, porterai scolpiti i miei lamenti.
Verrà poi un giorno che anche un eroe senz’ altri pari
a te si unirà in questo fiore, mostrando sui petali il suo nome.”
Mentre aprendo il suo cuore Apollo dice queste cose,
il sangue, che sparso al suolo aveva rigato il prato,
ecco che sangue più non è, e un fiore più splendente della porpora
di Tiro spunta, prendendo la forma che hanno i gigli,
solo che purpureo è il suo colore, mentre argenteo è quello del giglio.
Non ancora contento, Febo, autore di questo onore a Giacinto,
verga sui petali di propria mano il suo lamento: AI AI,
così sul fiore è scritto, lettere che esprimono cordoglio.
Sparta non si vergogna di avere dato i natali al fanciullo
e ancora oggi l’ onora: ogni anno tornano le feste di Giacinto,
che per tradizione si celebrano con solenni processioni. [...]”




- Magari più avanti scriverò un seguito della storia (devo dire che mi sono affezionata al personaggio di Kaori) e così faccio concludere i due pucci, visto che Ru si è lamentato che lo interrompo sempre sul più bello...

* Una mia amica, a Londra, ha avuto veramente il coraggio di comprare una maglietta con tale scritta!^^ Beata lei che ha un’autostima tale da non vergognarsi a metterla.

 

natsu: sono contenta che apprezzi questa fic. Kaori magari non avrà proprio aiutato Hana e Ru a metterli insieme, però di sicuro ha creato dei momenti di ‘imbarazzo’. ^^ Spero ti sia piaciuto anche l’ultimo capitolo.

Afaneia: ah, ah, ah, giusto! Hana potrebbe anche trasformarsi in una bici per avere le attenzioni di Ru, però, ehm… lo trovo piuttosto pericoloso con il fatto che la volpe si addormenti ovunque. Grazie per aver commentato.

Ringrazio anche tutti coloro che hanno letto questa mia fic e coloro che l’hanno messa fra le preferite.

Buone vacanze a tutti!^^

Aury

   
 
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