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Autore: Napee    14/04/2019    6 recensioni
Gli amori finiscono, gli amanti si lasciano, ed i due "ex", a volte, vorrebbero non vedersi mai più.
Ma cosa accadrebbe se ,per un sadico gioco del destino, ci si ritrovasse il proprio ex come capo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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7. Piccola umana


“È come se non fossi neanche una persona per lui!” Era l’ennesima frase che usciva dalle labbra imbronciate di una Rin ferita, delusa e umiliata.
Aveva ragione ad esserlo, aveva tutte le ragioni del mondo. Sesshoumaru si era comportato come un perfetto imbecille con lei e non faceva altro che peggiorare le cose.
Era sparito per chissà quanto tempo dopo che aveva fatto le valigie e l’aveva mollata? Perfetto! Che continuasse sulla sua strada senza tornare indietro!
Invece no, il Signor Ghiacciolo splendido splendente era dovuto tornare a Tokyo in grande stile nelle vesti del – niente poco di meno – nuovo procuratore distrettuale!
Per di più nel distretto dove lavorava anche lei e - che i Kami la fulminassero – era estremamente convinta che lui lo avesse fatto deliberatamente di proposito!
Avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro distretto, il pensionamento del Vecchio Miyoga era solo una scusa banale. Conosceva bene la sua famiglia, conosceva la reverenziale importanza che veniva attribuita al suo cognome.
Gli sarebbe bastato pronunciarlo per ottenere qualsiasi cosa volesse. E se questo non fosse bastato, c’era suo padre e sua madre! Una telefonata dal demone che aveva inventato il primo carcere per la detenzione di demoni di classe A o una parola da parte della prima senatrice donna demone, e il mondo gli avrebbe dato tutto! Ogni suo capriccio sarebbe stato accontentato subito.
Ma no, lui doveva venire a fare il procuratore nella sua centrale!
Fanculo, era una vera e propria cattiveria gratuita.
Rin non riusciva neppure a concepire il pensiero malato e psicotico che aveva partorito quella sua mente di demone. 
Perché andare proprio nella sua centrale?
Cos’avrebbe mai ottenuto?
E si ricordava bene il suo sguardo sofferente quando si erano scontrati e lei lo aveva allontanato bruscamente. In quei quattro anni aveva imparato bene a decifrare il grande enigma che era la faccia di Sesshoumaru No Taisho e sapeva bene, per sua disgrazia, che quello sguardo era sinceramente preoccupato per lei.
Allora cosa voleva?
Che tornassero insieme? Diavolo, no! L’aveva fatta stare uno schifo per mesi interi, perché mai sarebbe dovuta tornare con un verme che l’aveva piantata per non si sa bene quale motivo?
Anzi, non si sapeva proprio. Il Signor Poche Parole aveva impacchettato le sue cose e aveva levato le tende senza dare spiegazioni.
Fanculo. Fanculo a tutti soprattutto a lui!
Non stava bene, ancora sentiva il cuore stringersi nel petto quando lo vedeva passare nei corridoi.
Ancora doveva trattenere le lacrime per non scoppiare a piangergli in faccia e quel cretino non perdeva occasione per gironzolarle intorno quanto più potesse.
Per non parlare dell’ultima perla di genialità partorita dal suo cervello.
“Vieni via, poi ti spiego” erano state le sue laconiche quanto enigmatiche parole.
E se le sarebbe dovuta andare bene! Eh, certo! Il Signor Poche Parole e Nessuna Spiegazione, mica si dilungava in preamboli con fronzoli per spiegarle perché la stesse letteralmente rapendo in una centrale di polizia in pieno giorno.
Ma che diamine era lei per lui? Una penna che poteva usare finché ne aveva bisogno, poi avrebbe potuto gettarla via quando voleva?!
Ma con che razza di mostro disumano era stata per ben quattro anni?!
“Scricciolo, è un vero e proprio bastardo.” Si intromise Jakotsu con fare risolutivo.
Rin non aveva idea degli impegni del ragazzo, ma gli era segretamente grata per aver mandato tutto a monte ed essergli rimasta accanto dopo quell’episodio traumatico.
Purtroppo neppure Sango e Kagome le erano potute stare vicine. Il lavoro le aveva chiamate: un tizio armato di tanta buona volontà, si era messo in testa di voler derubare la banca dei Tengu di Tokyo ed ogni pattuglia era corsa sul posto per evitare che i demoni – famosi per la loro intransigenza verso gli umani e le loro leggi – facessero polpette del tale.
Nella centrale erano rimasti soltanto lei, il suo colossale giramento di palle, Jakotsu ed il motivo per cui a Rin girassero gli attributi che nemmeno possedeva.
Aveva assistito ad una ridicola quanto commovente scenetta in cui Jakotsu aveva salutato Bankotsu in maniera fin troppo teatrale, alla stregua di una moglie che vede partire il marito per la guerra.
Ed era stata l’unica parentesi divertente della giornata in verità. Bankotsu ed il suo fingere di non conoscere il tizio sui tacchi a spillo (nonostante indossasse la sua giacca di pelle) era una scenetta alla quale non avrebbe mai rinunciato.
Il problema era che, fondamentalmente, aveva sorriso solo per pochi minuti. Giusto il tempo di mangiucchiare quel poco di sushi che Jakotsu aveva comprato per loro al kombini poco lontano.
Poi era tornato il giramento e tanti saluti alla sua voglia di vivere.
La fine del turno era arrivata velocemente per sua fortuna.
Non aveva concluso un bel niente negli archivi comunque. Aveva messo a posto solo la documentazione di una collana di perle antica rubata.
Per il resto del tempo, se ne era stata rinchiusa in quel posto polveroso e buio con Jakotsu a sfogarsi e lamentarsi di quanto potesse essere coglione il suo capo.
“Non capirò mai voi uomini…” aveva sbuffato infine esausta, accasciandosi pigramente sulla poltrona della scrivania e mettendoci i piedi sopra.
“Nemmeno io capirò mai noi uomini…” concordò Jakotsu aggiungendosi al suo lamentio.
“Insomma, Sesshoumaru è un gran pezzo di stronzo, ma anche Bankotsu non è da meno, ti pare?”
“Lui non vuol far sapere che è gay a lavoro… forse il tuo comportamento lo ha infastidito, per questo ha finto di non conoscerti ed è scappato.” Ipotizzò Rin distrattamente, ricevendo in risposta soltanto il viso oltraggiato del ragazzo.
“Che fai, lo difendi? Non dovremmo essere una squadra io e te?”
“No che non lo difendo! È un coglione se si vergogna di te o di quello che è!”
Concordarono insieme consolidando un’alleanza contro l’universo, l’amore e le relazioni amorose, lamentandosi con chissà quale divinità affinché mostrasse loro una sorta di manuale d’uso, bugiardino o foglietto illustrativo.
Rin stava bene con Jakotsu, le sembrava di conoscerlo da una vita e non solo due miseri giorni.
Parlava bene con lui, si divertiva ed era pronto a prendersi carico delle sue sofferenze senza chiedere nulla in cambio.
Jakotsu era un buon amico. Si sentiva fortunata ad averlo.

Kagome rientrò in centrale con qualche minuto di anticipo rispetto ai colleghi.
Il piccolo rapinatore suicida se l’era vista brutta e la polizia era intervenuta appena in tempo.
Lo avevano trovato steso a terra, disarmato, imbavagliato e legato come un salame. Circondato da Tengu famelici che già pregustavano i vari modi in cui avrebbero potuto cucinare il suo cadavere.
Non c’era da stupirsene dopotutto. I Tengu erano famosi per i loro tesori accumulati in anni ed anni di scorribande e saccheggi nei villaggi umani, ma erano anche temutissimi assassini a sangue freddo che a stento sopportavano la presenza e la supremazia degli umani.
Non a caso, erano classificati come demoni di classe B: temuti e da non infastidire, ma se indisturbati, la convivenza era possibile.
Kagome rientrò che la centrale era letteralmente deserta. Si udiva soltanto il furioso ticchettio delle unghie sulla tastiera proveniente dall’ufficio del procuratore.
Si guardò intorno sospettosa: Rin sembrava non esserci. Forse era ancora rintanata negli archivi che ormai erano divenuti il suo bunker personale dove correre al riparo.
Bene, ne avrebbe approfittato.
Senza attendere e dimenticandosi delle buone maniere, Kagome entrò nell’ufficio di Sesshoumaru come se fosse stato il proprio.
Il procuratore alzò il sopracciglio indispettito da tale comportamento, ma non alzò lo sguardo dallo schermo del computer.
Non osò neppure commentare quanto l’influenza di quel balordo di suo fratello stesse annichilendo la proverbiale gentilezza ed educazione che Kagome andava vantando i primi tempi, quando la loro relazione era ancora agli albori.
Non osò commentare soprattutto per il fatto che si era procurato i servigi della cognata, giocando sul fatto che fosse – come tutte le umane – incredibilmente innamorata dell’amore. Mostrandole quell’anello che teneva in serbo per Rin da un numero svariato di anni ormai, l’aveva convinta ad assecondare il suo volere solo per il fatato sogno d’amore che Kagome desiderava per sé e per le sue amiche.
Ovviamente Sesshoumaru si guardava bene dall’essere il principe azzurro che ogni donna sogna, ma aveva scoperto in Rin la sua principessa.
E il tutto era avvenuto per caso, con semplicità: una mattina si era svegliato con lei al suo fianco dopo una notte intera passata a rotolarsi fra le coperte ed aveva capito di non poter vivere un altro giorno senza quel sorriso.
Erano andati a vivere insieme, si amavano immensamente, ma il lavoro di lui era una spada di Damocle che attendeva solamente di cadere e tagliare il loro rapporto.
Troppe convocazioni da parte di sua madre, troppi problemi con i demoni, troppi umani che cercavano di innescare la scintilla che avrebbe portato ad uno scontro demoni-umani.
Anche quel tizio idiota di quel pomeriggio: chi mai avrebbe derubato una banca di famelici Tengu armato solo di un coltello e tanta fantasia?
Il rumore di una porta che si chiudeva attirò la sua attenzione. Fermò le sue dita che picchiettavano forsennatamente suo tasti del pc nel tentativo di compilare quella mail più velocemente possibile e si mise in ascolto.
Due andature differenti. Un tacco a spillo: il tizio che era con Rin.
Un’altra andatura si mescolava alla prima. Più frequente: falcate più corte. Nessun tacco, ma un paio di suole di gomma.
Annusò l’aria arricciando impercettibilmente il naso:  nella centrale c’erano soltanto lui, Kagome, quel tizio con i tacchi e Rin.
Una risata. Il ragazzo la stava facendo ridere.
Sentì la rabbia saligli e stritolargli lo stomaco in una morsa crudele. Chi diamine era quel tizio?
Perché stava uscendo con Rin dalla stanza degli archivi?
Si alzò dalla scrivania pronto per affrontare Rin e tutte le sue rimostranze.
Ne aveva avuto una sgradita anticipazione sentendola lamentarsi con quello lì per tutto il tempo.
“Mi stai ascoltando?” Chiese Kagome avvicinandosi a lui titubante.
Sesshoumaru la guardò solo in quel momento ricordandosi che il fastidioso rumore di sottofondo mentre cercava di ascoltare Rin, era sua cognata che cercava di dirgli qualcosa.
“No. Vado da Rin.”
“Aspetta Sesshoumaru… prima ti stavo parlando di Jakotsu.”
Era così che si chiamava dunque.
Il procuratore arrestò i suoi passi e incrociò le braccia al petto in attesa che la cognata continuasse.
Gli avrebbe sicuramente fornito qualche informazione che lui non possedeva sul conto di tale Jakotsu.
“Non… non credo sia una brava persona. Non mi fa stare tranquilla saperlo con Rin… non so se mi spiego, ma non ho percepito buone sensazioni quando sono stata con lui questa mattina.” Spiegò la ragazza mesta torturandosi i capelli.
Sesshoumaru la squadrò con sufficienza e infine prese la giacca dall’attaccapanni.
“Bene.” Concluse poi chiudendo il discorso.
“Ti sto chiedendo di proteggerla, non di fare altre cazzate.” Precisò la donna fronteggiandolo.
Occhi negli occhi e nessuna traccia di timore sul viso della mortale.
InuYasha le faceva davvero un brutto effetto.
Si morse la lingua evitando di commentare tale scempio ed inforcò la porta senza proferir parola.
Era fortunata Kagome. Non le avrebbe mai fatto del male perché compagna di suo fratello, ma stava giocando con il fuoco mantenendo quel comportamento con lui.
A stento lo tollerava dai demoni suoi pari, figurarsi una stupida umana.
Tranne Rin. Rin poteva tutto con lui e il suo orgoglio era stato messo a tacere, sotterrato sotto montagne di sorrisi felici di lei.
Avrebbe fatto di tutto per quel sorriso.
Scese in strada guardandosi intorno. Di Rin e quel Jakotsu nemmeno l’ombra, ma la traccia olfattiva era fresca e seguirli non sarebbe stato un problema.

L’appartamento di Rin non distava poi molto dalla centrale.
Era facile anche arrivarci, bastava svoltare a sinistra al primo incrocio e poi tutto dritto fino al palazzo in mattoni rossi.
Jakotsu si guardò intorno controllando la zona.
Sembrava deserta, ma sapeva che in realtà quel Sesshoumaru li stava seguendo.
Era già stato un vero miracolo averlo evitato all’uscita dalla centrale.
Sospirò scocciato. Il lavoro per cui lo stavano pagando era troppo pericoloso per quel misero compenso che gli davano. Per esempio, non avevano affatto accennato al demone cane agguerritissimo e deciso a riprendersi la donzella.
Che poi, Rin gli stava pure simpatica! Grazie a lei aveva conosciuto quel grandissimo gnocco di Bankotsu!
Estrasse un po’ di polvere di ossidiana e la lasciò cadere dinanzi al portone del palazzo senza che Rin se ne accorgesse.
Salirono le scale e Jakotsu la squadrò con la tristezza a dipingergli lo sguardo.
Era così dolce e ingenua che gli sembrava quasi di aver a che fare con una bambina… una triste piccola finita per sbaglio nelle mire di potenti che giocavano ad un livello troppo alto rispetto a lei.
Quasi le dispiaceva… se solo fosse stata un po’ meno con la testa fra le nuvole, avrebbe certamente notato il marcio nel suo cuore e non lo avrebbe mai fatto avvicinare così tanto.
Fece spallucce ai suoi pensieri e rispose a Rin.
Era lavoro dopotutto e lei glielo stava rendendo fin troppo facile.
“Oh no Scricciolo! Ci vuole un aperitivo prima!” Trillò entusiasta destreggiandosi nella cucina di Rin come se la conoscesse da una vita.
Come se non avesse studiato quell’appartamento per mesi interi.
Se solo Rin fosse stata un po’ più sveglia…
“Hai del vino, cara?” Certo che lo aveva. Glielo aveva visto comprare a litri in quei mesi.
“Sì, in frigo… aspetta che lo prendo.” Rispose Rin smettendo di tagliuzzare verdure.
“Non preoccuparti, ci penso io! Tu continua pure a preparare la cena!”
Ed ecco che gli forniva un’occasione d’oro.
Povera piccola ingenua Rin…
Jakotsu versò il vino in due bicchieri dando le spalle alla giovane.
Lasciò scivolare una pillola in quello di sinistra e poi lo porse a Rin con un sorriso a distendergli le labbra.
Un sorso e la piccola umana finita in un gioco di potenti demoni, cadde in un sonno profondo.

Sesshoumaru seguì la scia olfattiva fino al loro vecchio appartamento.
Il profumo di lei ancora era chiaro nell’aria e sovrastava qualsiasi altro odore.
Aveva sempre adorato il profumo di Rin. Non quello artificiale che si spruzzava sul collo ogni mattino, bensì quello naturale, della sua pelle.
Era sempre stato dolce e delicato, come quello di un fiore appena sbocciato in primavera.
Non era prepotente, appena percettibile fra gli odori della città. Delicato, timido, proprio come lei.
Fece per entrare nel portone del palazzo, ma qualcosa gli bruciò l’epidermide della mano facendolo desistere.
Ritrasse l’arto ingiuriato e lo esaminò: la pelle delle dita e le unghie erano divampate, arrossate e sanguinavano copiosamente.
Aggrottò le sopracciglia confuso e si guardò intorno.
Conosceva bene quella reazione. Una barriera magica era stata eretta intorno al palazzo affinché non potessero entrare demoni.
Ma chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere?
Rin non ne era in grado. Sapeva benissimo che la ragazza non possedeva alcuna conoscenza in fatto di magia. Neppure qualche labile rudimento.
Eppure una barriera era stata eretta e sicuramente era per tenere lui fuori dai piedi.
Soffocò un’imprecazione fra i denti e si leccò le dita ingiuriate per innescare così la guarigione.
Osservò il palazzo cercando la finestra di quello che era stato il loro appartamento.
La luce era accesa, Rin era in casa… ma per quanto ci sarebbe rimasta ancora?
Avrebbe scommesso che quella barriera era sicuramente opera di quel Jakotsu.
Non gli piaceva. Era sospetto. 
Fece un passo indietro e scrutò ancora nei dintorni del portone imponente di ferro e legno e, infine, i suoi occhi individuarono una labile polvere nera sparsa intorno al palazzo.
“Povere di ossidiana…” sibilò fra sé e sé ingoiando la rabbia che già gli montava in petto.
Non solo quel Jakotsu non voleva che lui entrasse, ma si era assicurato che non potesse nemmeno raggiungerla entrando dalla finestra.
Non gli piaceva… tutta quella situazione non gli piaceva e lo conviveva anche meno.
Rin non avrebbe mai chiesto una cosa del genere, non era da lei ricorrere a espedienti di questo tipo.
Gli stava sfuggendo qualcosa, gli mancava un indizio per capire bene il quadro generale degli accadimenti che li avevano visti protagonisti in quelle settimane.
“Fanculo.” Mormorò fra sé e sé facendo per tornare verso la centrale.
I piedi non toccavano il terreno ed il suo volo fu rapidissimo. Non aveva tempo e sperava soltanto che andasse tutto bene per Rin.
Entrò alla centrale senza troppi preamboli e si fiondò dentro cercando sua cognata.
La diretta discendente delle miko più potenti dell’Oriente avrebbe certamente abbattuto una barriera sacra. Almeno questo era quello che sperava.

Arrivarono qualche manciata di minuti più tardi. Fiato corto e battito a mille.
L’ansia riempiva l’aria attorno a loro, satura di tensione e paura.
Il portone del palazzo era spalancato.
La polvere di ossidiana giaceva sparsa su tutto il marciapiede.
La barriera era infranta già prima che Kagome arrivasse.
Annusò l’aria, Sesshoumaru, ed il suo naso fino gli confermò l’amara consapevolezza di essere infine giunto troppo tardi.

  
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