Entrai
in camera mia come una furia, tentando di calmarmi prima che quel coso
arrivasse per non scaricargli addosso tutto il nervosismo che avevo
addosso.
Camminavo
avanti e indietro per la stanza, senza fermarmi, borbottando tra me e me cose
incomprensibili, o forse comprensibili solo a me.
Quando
sentii dei passi salire le scale mi fermai e mi sedetti nella sedia accanto alla
scrivania, con la testa sorretta stancamente dalla mia mano.
La
porta era aperta e la figura di Todd stava davanti ad essa, affatto spaventata
ma con una faccia interrogativa, per così dire.
<<
Entra e chiudi la porta >> dissi secca, senza rivolgere lo sguardo su di
lui.
<<
Non vorrai mica saltarmi addosso vero? >> chiese ridendo, ma smise
immediatamente quando incontrò i miei occhi. Non stavo piangendo ma ci ero
vicina.
Mai
in tutta la mia vita, una persona era riuscita a farmi arrabbiare tanto. Si
stava intromettendo nella mia vita senza che qualcuno glielo chiedesse, e
trovava anche la faccia tosta di ridermi in faccia!
Per
mia fortuna non fece tante storie, chiuse la porta e si sedette sul mio
letto.
<<
Che cosa vuoi? >> dissi a bassa voce, facendo ruotare la sedia verso dove
era lui.
<<
Io? Amy, mi hai detto tu di… >> aggrottò le sopracciglia, non capiva. Non
capiva affatto.
<<
Non intendo qui, stupido! Intendo che vuoi dalla mia vita! Perché non riesci a
stare due secondi senza punzecchiarmi? Perché da un giorno all’altro mi parli,
mi fai sedere accanto a te e mi inviti alle feste? Chi ti ha detto di venire qui
a dire a mia madre che mia sorella doveva venire a prendermi? Non potevi stare a
casa e farti gli affari tuoi? >> dissi questo tutto d’un fiato tanto che,
quando vidi la sua faccia ridotta ad un’espressione quasi pietrificata, pensai
che avevo detto tutto troppo velocemente e non aveva capito una parola <<
quello che voglio dire è… >>
<<
Ho capito quello che vuoi dire. Ti rompo le scatole >> mi
interruppe.
<<
Non rompi le scatole se riesci a darmi un motivo per tutto quello che hai fatto
fino ad ora! >> dissi, esasperata al massimo.
<<
Non so che dirti, davvero… >> disse, a testa bassa << Non mi sembra
di fare nulla di male in realtà >>
<<
Non fai nulla di male infatti, solo che non ha senso che ti intrufoli nella mia
vita così… io… >>
<<
Ero venuto per chiederti scusa per quello che avevo detto. Fa niente, è lo
stesso. Ciao. >> prese la sua
giacca e uscì dalla stanza chiudendo la porta.
Era
per quello che era venuto? Solo per chiedermi scusa? Che poi, scusa di cosa? Ero
confusa, perplessa, sconcertata per il suo comportamento. Quel ragazzo era
davvero troppo strano, non sarei mai riuscita a capirlo. Adesso comunque avrei
avuto un seccatore in meno e meno cose di cui preoccuparmi. Meglio
così.
E
soprattutto, addio definitivo alla festa di Candice! Nessuno avrebbe
insistito.
Mi
sentivo particolarmente giù in questo periodo. Era quasi novembre e mancava solo
una settimana al giorno in cui avevo deciso di andare, con Norah, ad incontrare
mio padre.
Avevo
i nervi a fior di pelle; probabilmente avevo anche esagerato ma non me ne curai
più di tanto.
Non
avendo niente di particolare da fare, cominciai a “studiare” biologia per
evitare di rimanere indietro.
Ma,
purtroppo, ogni rigo che leggevo mi confondeva ancora di più, così lasciai
perdere.
Mi
buttai sul letto a pancia in su a guardare il soffitto e chiusi gli
occhi.
Immagini
su immagini passarono davanti lentamente. Momenti che avevo dimenticato e che mi
fecero sorridere al ricordo, momenti che avrei ricordato per sempre, momenti che
sarebbe stato meglio non vivere mai. Ero stanca. Stanca di vivere una vita così.
Non aveva niente di interessante. Ero una persona assolutamente priva di un
qualcosa di interessante da stuzzicare gli altri.
Prima
non ci facevo caso. Ma forse, mi ritrovai a pensare, era per questo che Aaron
non mi rivolgeva la parola. Ero talmente anonima da essere quasi banale. Lui non
poteva girare con un niente. Lui doveva girare con qualcosa. Qualcosa che io non
ero. Ma che potevo diventare.
Mi
alzai in piedi e aprii l’armadio. In fondo, c’era una scatolone decorato. Era la
vecchia roba di mia sorella. Che aveva lasciato lì, per riprenderla chissà
quando. Probabilmente l’aveva anche dimenticata.
Lo
aprii e mi ritrovai a tossire. Ma quanta polvere aveva preso, questo
coso?
Dentro,
c’erano moltissime cose. Scarpette da ballo, fotografie, braccialetti di
perline, lettere e cartoline e poi una busta di plastica piegata accuratamente
sul fondo. Sapevo benissimo cosa c’era al suo interno. Il vestito del compleanno
di mia sorella, il più bello che avessi mai visto. Ma non l’avrei ammesso
neanche sotto tortura.
Lo
tirai fuori. Era un po’ pestato, ma era perfetto. Avevo deciso da tempo che lo
avrei indossato al ballo di fine anno. Ma nessuno lo sapeva, neanche Norah. Tra
l’altro non lo avevo neanche mai provato. Poteva anche non entrarmi. Ma avevo
paura di vedermi con quello addosso.
Sentii
la voce di mia sorella appena entrata in casa al piano di sotto e mi affrettai a
riporre tutto nell’armadio. Meglio non farsi trovare con le prove. Chiusi
velocemente tutto e mi rimisi sul letto.
Poco
dopo presi il telefono e composi il numero di Norah e lei mi rispose poco dopo
con voce esasperata.
<<
Ehilà… che stavi facendo? >> chiesi curiosa
<<
Cosa stavo facendo? Tu chiedi a me cosa stavo facendo? Ho buttato in aria mezzo
armadio ma non ho trovato nulla di decente da mettere per la festa di domenica.
Tu hai trovato qualcosa? >> chiese sull’orlo di una crisi di
nervi.
<<
Non ho voglia di venire, Norah >> dissi semplicemente, seccata di dover
ribadire per l’ennesima volta la stessa, identica cosa.
<<
Oh, avanti! Non vorrai arrenderti così presto? Vuoi dargliela vinta così a…
quello? >>
<<
Non ho nessuno con cui venire, tra l’altro… >> dissi e sentii Norah che
stava per controbattere ma la precedetti << Ho litigato con Todd
>>
<<
Come? Cosa? Perché? >> chiese sconvolta.
Le
raccontai tutto, fin nei minimi dettagli e alla fine esordì con uno spacca
timpani << AMETHYSTE CLARISSA BECKINSALE! Tu sei, senza alcuna ombra di
dubbio, la persona più stupida e ottusa del pianeta! Lo hai trattato così male!
Io… io non ti capisco! >> disse come una furia.
<<
Non posso farci niente, odio quando le persone si intromettono nella mia vita,
dovresti saperlo bene! >> dissi con una punta di acidità nella voce.
Odiavo anche quando la gente metteva in dubbio quello che per me era
assolutamente ovvio. Odiavo essere contraddetta. Insomma, odiavo parecchie
cose.
<<
Si, certo. Come no >> disse piccata << Guarda, non voglio discutere.
Mi annoio. Non vuoi venire? Benissimo. Stai a casa a non far niente come al tuo
solito >> e detto questo chiuse la comunicazione.
Io
restai come una stupida con la cornetta in mano. Ma non mi importava. Io ero
assolutamente sicura di avere ragione, e non mi interessava proprio nulla se
Norah o qualche altro mi giudicavano una stupida per il mio non affrontare
questa situazione. Non mi interessava affatto. Loro non potevano sapere. E io,
dopotutto, non avevo neanche provato a spiegarglielo.
Avevo
fin troppe cose per la testa per mettermi a discutere su cosa dovevo o non
dovevo fare.
Per esempio, mi ero giocata la presenza di Norah al pranzo a
casa di mio padre di martedì? Speravo proprio di no. Ne avevo un assoluto
bisogno.
Inspirai
profondamente e aprii l’armadio. Non ero mai stata una fan dello shopping e
quello che c’era dentro non era niente di speciale. Niente, assolutamente niente
che potesse essere utile per un’occasione di un qualsiasi
tipo.
“Coraggio… è un
pranzo, non un ballo di gala. Posso trovare qualcosa di carino e non
impegnativo, no?”
Ci speravo ardentemente, ma non ne ero del tutto
sicura.
Venti
minuti dopo ero ancora lì. A fissare il casino che adesso era la mia stanza dopo
il mio ribaltamento dell’armadio. Niente. Non avevo trovato
niente.
Sconsolata
mi sedetti per terra, appoggiando la schiena contro il letto. Era un guaio bello
grosso.
<<
Amy? >> sentii la voce di mia sorella provenire dal corridoio e tirai su
la testa << Che hai combinato? È passato un uragano? >> disse
ridendo.
<<
Non c’è niente da ridere >> dissi, voltando la testa dall’altra parte e
mettendo su il broncio.
Mia
sorella rise << Serve una mano? >> disse, sedendosi accanto a
me.
<<
Ma anche due o tre… >> dissi sconsolata << Un paio di braccia forse
potrebbero bastare.. o magari, che so, anche una vita nuova
>>
<<
Non fare l’idiota. Hai combinato un macello… avanti spara! >> disse con un
sorriso.
<<
Non voglio andare da papà >> dissi, incrociando le braccia. Mia sorella mi
guardò con aria sospettosa. Non era affatto convinta. E continuava a guardarmi
con quell’aria saccente, non la sopportavo << Sul serio, non guardarmi
così, non ci vado. Ho litigato con Norah, quindi con me non ci viene, e sola non
ci vado neanche morta. E per di più non ho neanche trovato niente di… normale da
mettere. Fine della discussione. Ora lo chiamo e… Jade? Perché ridi?
>>
Stava
ridendo. Ma non una risata passeggera, rideva proprio di gusto. Come se qualcosa
di assurdamente esilarante fosse davanti ai suoi occhi. Stetti a guardarla per
circa cinque minuti senza che accennasse a smettere e, quando riassunse una
tonalità di pelle umana e il respiro si fece normale, inspirò e poi disse
<< Un po’ in ritardo rispetto al resto del mondo, ma è pur sempre un
inizio >> e sorrise. Un po’ in ritardo sul resto del mondo? Ma di che
stava parlando? << Avanti pigrona, mettiti le scarpe. Lascio Ced alla
mamma e noi due andiamo a fare un bel giro per negozi. So che vuoi andarci.
Avanti muoviti! >> e detto questo si alzò in piedi e scese al piano di
sotto.
Ero
rimasta imbambolata. Ma dopotutto, l’idea mi aiutava a distrarmi. Misi
velocemente le scarpe da ginnastica che avevo malamente tolto, spazzolai alla
buona i capelli e volai di sotto.
~
Se
avessi saputo che mia sorella era una maniaca dello shopping peggio di Norah,
non avrei mai accettato. Sono dentro questo maledetto camerino da due ore, e non
ho ancora trovato niente che mi piaccia, o se mi piaceva mi stava esattamente
come un sacco della spazzatura. Ora capisco perché odio andare in giro. Non mi
sta bene niente.
<<
Non essere pessimista, avanti… >> tentava di consolarmi mia sorella
<< Magari non è il tuo stile.. ma non ti stavano affatto male le ultime
venti cose che hai provato! Hai una fissazione! >>
Fissai
mia sorella con aria eloquente e lei parve afferrare al
volo.
<<
Ok, forse il vestito rosso che hai provato prima non era esattamente perfetto.
Ma le altre prima sì. >> disse, tentando di aggiustare il tiro << Tu
certo non aiuti però.. non ti piace mai niente! Tu dimmi un vestito che ti è mai
piaciuto in vita tua! Così almeno mi regolo! >> disse
sbuffando.
Mi
bloccai in mezzo alla strada. Beh, un vestito c’era. Solo
che…
<<
E se andassimo da Eloise? >> dissi in maniera vaga.
<<
Eloise? Da quando ti piace la roba di Eloise? >> disse mia sorella, con un
sorrisino.
<<
Non ho mica detto che mi piace… ma visto che gli ultimi cinque negozi erano un
disastro, non vedo perché no… >> dissi, guardandomi intorno alla ricerca
dell’insegna che cercavo. Ed eccola lì. La boutique di Eloise. Un piccolo
negozietto di cui mia sorella era abituale cliente. Tutto lì era un pezzo unico,
praticamente. La cugina della proprietaria cuciva gli abiti, quindi era
praticamente impossibile trovare due abiti identici.
Non
appena entrammo, fui fulminata da abiti orrendi. “Ok” pensai “forse non è stata una buona idea. Non è
decisamente il mio genere”.
<<
Buongiorno signorine, in cosa posso esservi utile? >> disse un’arzilla
signora di mezz’età dietro il bancone in fondo.
<<
Salve… in realtà non avevamo qualcosa di preciso in mente… serviva qualcosa a
mia sorella di non troppo impegnativo. E’ un… pranzo in famiglia >> disse
mia sorella.
La
signora cominciò a girarmi intorno, quasi come se mi stesse studiando. Poi portò
una mano al mento per pensare, fino a quando non vidi un lampo nei suoi occhi e
si defilò sul retro.
<<
Fa sempre così. Trova quasi sempre quello che è adatto a te in pochissimo tempo
>> fece mia sorella sorridendo.
La
testa della signora comparve da dietro una tenda che era in fondo al negozio,
chiedendomi se avevo qualche preferenza di colore e, al mio diniego, assunse
un’espressione ancora più raggiante e tornò sul retro. Aspettammo circa dieci
minuti e poi tornò con una gruccia coperta da uno di quei cosi per non far
rovinare l’abito. Lo aprì lentamente e ne tirò fuori un abito color pesca. Era
molto semplice, con maniche corte e una fascia di raso che cingeva la vita. Era
davvero bello. Ci aveva preso in pieno.
<<
Allora, signorina, che ne dici? Ti piace? >> disse sorridendo. Io annuii.
<< Di solito le ragazze non cercano questo genere di abiti, ma appena ti
ho visto, ho capito subito che non eri un tipo da troppi fronzoli e ho pensato
subito a questo. Il colore poi ti dona davvero molto >>
aggiunse.
Mia
sorella era raggiante. Non volle sentire scuse, pagò l’abito e tornammo a
casa.
Ora
non avevo più ragioni per rifiutarmi di andare, se non da chi essere
accompagnata. Ma dopotutto, pensai, la cosa più giusta da fare era andare io. Da
sola.
Purtroppo
non ce l’ho fatta a finire prima questo capitolo >_<
Chiedo
venia a tutte voi che seguite la storia. Se l’avessi finito prima a quest’ora
questo sarebbe stato meno amaro forse. Visto che tra due giorni
parto per le vacanze e non potrò aggiornare prima di Settembre. Purtroppo, per
il capitolo vero e proprio dovrete aspettare dopo le vacanze… non sono riuscita
a finirli entrambi prima di adesso. Ma almeno, il capitolo corposo sarà pronto e metabolizzato
nell’arco di un mese e pronto per quando torno
^_^
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto!
Grazie
a voi che la seguite, a voi che l’avete inserita tra le vostre storie preferite,
e a voi che avete commentato il capitolo precedente! Grazie mille, i commenti
aiutano sempre! =D
*
Buone vacanze a tutti! *