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Autore: PiscesNoAphrodite    04/05/2019    2 recensioni
[...] Mi sovvennero quei piccoli sauri che sovente sorprendevo ritemprarsi al sole, immobili sulle pietre roventi, i cui battiti del cuore si scorgevano susseguirsi rapidamente attraverso l'esile strato di pelle squamosa. Creature subdole e indifese, al tempo stesso. Lucertole...
***
Ipotetico Post-Ade narrato dal pov dei personaggi di Lizard Misty e Pisces Aphrodite... I Saint sono stati riportati in vita da Athena ed emergono antichi rancori.
(I personaggi descritti in questa storia non mi appartengono ma sono proprietà di M. Kurumada.)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hound Asterion, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gli Eletti, capitolo IV

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VII

 

Sogni che non si avverano...

 

Aphrodite aveva temuto di smarrirsi nel dedalo di corridoi che si dipanava in quell'area circoscritta del Tredicesimo Tempio, invece trovò senza difficoltà la stanza nella quale il discepolo soggiornava. Era una giornata di sole e le ombre che avevano aleggiato nottetempo nel suo cuore sembravano essersi dissipate alla luce di nuove consapevolezze...


Misty stava ancora dormendo, raggomitolato tra le lenzuola disfatte, con i capelli sparsi sul cuscino imbrattato dalla terra dell'Arena. Si era riaddormentato dopo essersi ridestato più volte nel corso di una notte inquieta.
Aphrodite gli sfiorò la chioma scarmigliata, scostando quei fili d'oro dal volto imperlato dal sudore che aveva sciolto grumi di polvere. Lo ripulì dalle striature rossastre che solcavano la pelle chiara - l'incarnato era più pallido del solito in contrasto con le labbra violacee, il respiro era silenzioso, quasi impercettibile – sedette accanto a lui attendendo con pazienza che aprisse gli occhi.

Al risveglio, le pupille reagirono allo stimolo luminoso, restringendosi, ed era un segno favorevole.

Misty si soffermò disorientato a studiare le fattezze della persona di fronte a lui, permanendo in un lungo, interminabile, silenzio come se stesse rimuginando tra sé e sé. In un secondo momento schiuse le labbra nel tentativo di mormorare qualche cosa: un qualcosa esitante sulla punta della lingua e che infine sfuggì, strascicato, come l'agognato responso a un enigma insoluto.

“A... Aphrodite. Tu sei Aphrodite.”
Aphrodite di Pisces, udendo il proprio nome, stirò le labbra sottili in un sorriso e fu un sorriso lieve, strappato a forza, ma liberatorio.

“Che cosa ci faccio in questo letto? Dovrei essere in Giappone.” Parole pronunciate a fatica, quasi meccanicamente. “Ho una missione da compiere contro i traditori" insisté Misty, rimuovendo la fasciatura che gli cingeva la fronte.

Aphrodite sondò in quegli occhi tristi e vacui con uno sguardo carico di compassione, ponendogli il dito indice sulle labbra. Trasse conforto, ma non entusiasmo, dalla certezza che le sue condizioni fossero meno critiche di quel che aveva presagito. Lo aveva dedotto da quell'affermazione lucida e delirante al tempo stesso e, grazie agli dèi, non avrebbe dovuto imbattersi in una persona adulta dall'età mentale di un bambino: Misty sembrava aver smarrito solo recenti, seppur significativi, ricordi della sua breve vita.

Aphrodite ne approfittò. Risolse di essere schietto a tale proposito, di una schiettezza disarmante: “In realtà, hai già adempiuto a quell'incarico, qualche anno fa" scostò l'ultima ciocca dal volto del discepolo, con delicatezza, e sospirò. “Siamo stati uccisi da coloro che reputavamo nemici; e adesso ci è stata concessa facoltà di dimorare nuovamente sulla Terra, in virtù della benevolenza di Athena.”

Sì, detto così, poteva sembrare brutale e incomprensibile. Pisces era stato categorico, risoluto, dopotutto era così che Misty lo ricordava a quel punto di svolta della propria esistenza, non rammollito e accomodante. Gli stava sciorinando in faccia parole crude, sopraffatto dall'urgenza di fare chiarezza. Poco importava tutto il resto.

Sapeva che Misty avrebbe avuto modo di assuefarsi al drastico cambiamento, che poteva protrarsi per un breve lasso di tempo oppure permanere irreversibile, quindi tanto vale parlare chiaro e subito. Doveva togliersi quel tarlo dalla testa, doveva metterlo in condizione di affrontare il problema.

L'altro rimase muto, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta: “Dunque, sarei redivivo?” Era sbiancato. “Vorresti farmi credere che Arles, in realtà, sia un impostore e che ci siamo imbattuti in un folle, confidando nelle sue menzogne?” Prese un respiro. “Che un Santo di Casta inferiore – di cui non ricordo né il volto né il nome – mi avrebbe sconfitto e ucciso? Quella feccia di traditori che mi è stato ordinato di perseguire, in verità, sarebbero degli eroi!? È una follia!”

“Infatti avrai modo di scoprirlo tu stesso. Nessuno sta forzando i tempi, ti sto solo mettendo al corrente dei fatti che non ricordi. Non potrei mai ingannarti raccontando delle bugie.” Aphrodite gli cinse un braccio intorno alle spalle affinché riuscisse a sollevarsi; facendogli presente come – anche lui – avesse faticato ad accettare la realtà. Era consapevole che lo sdegno iniziale sarebbe passato cedendo il posto a inevitabile rassegnazione. E, come se tutto ciò non fosse abbastanza, fu sollecito anche a rivelargli perché si trovasse in quel luogo e in quello stato confusionale.

“Sto vivendo un incubo. Non posso crederci" rispose il discepolo, quasi incespicando nelle parole, dopo aver deglutito un sorso d'acqua.

“In realtà la vicenda presenta degli aspetti più sfumati, dei retroscena che non conosci e dovrai assimilare gradualmente: sforzarti di ricordare attraverso la visione di luoghi, oggetti, persone. Perdonami se sono stato schietto ma non conosco un modo migliore di...” accostò le labbra alla fronte umida per lambirla con un bacio, e poi lo strinse forte a sé per fargli percepire il suo affetto, la sua vicinanza. Misty celò il volto nell'incavo tra il collo e la spalla del suo mentore, poteva inalare l'effluvio di rose che promanava da quella chioma morbida e setosa, si sentiva patetico. Fu costretto ad abbandonarsi, tremante, tra le sue braccia forti a cagione delle vertigini.

“Devo avere un aspetto terribile.”

“Sei bellissimo.” Aphrodite lo esortò a distendersi facendogli adagiare la testa sul cuscino.
Aveva le palpebre nuovamente serrate nell'incredulità, alla ricerca della serenità smarrita, desiderava sprofondare nell'oblio del sonno per ritrovarla ma sapeva che non avrebbe trovato requie.

 

Le trame del destino sono imperscrutabili... si stava adeguando all'idea di non corrispondere all'immagine idealizzata che ha di se stesso... e ora, forse, dovrà ripercorrere lo stesso cammino a ritroso, irto dei medesimi ostacoli.

 

***

 

Era passato solo qualche giorno dal momento in cui aveva preso coscienza della realtà, spingendosi a vagare oltre i confini della stanza che lo ospitava e quel luogo non gli era del tutto estraneo. Le altre stanze, i corridoi, i propilei - che racchiudevano verdi oasi di pace - le terme... evocavano episodi della sua vita fin troppo recenti che risalivano al periodo vissuto sotto l'egemonia di Arles e che, alla luce di un'altra verità, avrebbe desiderato cancellare reputandoli blasfemi e immorali.

Aveva appreso che Saga, il Santo di Gemini, nonostante i crimini commessi – seppur ispirati dalla follia – fosse stato riabilitato come Custode della Terza Casa dopo la rinascita. Era un concetto di Giustizia incomprensibile... ma che senso aveva lambiccarsi la mente allo stillicidio? Sospirò, barcollando, ponendosi all'ombra delle colonne che cingevano il porticato esterno il quale si affacciava sul giardino di piante ornamentali. Aveva il volto umido di lacrime e un brivido lo scosse a causa del contrasto di luce e temperatura. Affondò le dita tra i capelli, l'emicrania persisteva con insistenza a causa dei postumi ma anche per i troppi pensieri che sottraevano tempo al riposo.

Una presenza lo riscosse dal patimento interiore: il Sommo gli aveva posto una mano sulla spalla invitandolo a seguirlo. Misty rilassò i muscoli contratti, aveva percepito l'aura benevola traendo immediato beneficio, quasi vi fosse racchiuso in essa un potere taumaturgico. Levò gli occhi chiari volgendoli verso la persona che aveva appreso essere l'attuale Gran Sacerdote: incontrò il suo sguardo per un istante e gli parve di naufragare in quegli occhi limpidi come acque smeraldine. Era autorevole ma non ispirava terrore, rispecchiava un'indole dai nobili intenti: non vi era ombra di lussuria, concupiscenza, malvagità che invece aveva ravvisato negli occhi iniettati di sangue del suo folle predecessore.
L'anziano maestro dei Cinque Picchi – la figura leggendaria, di cui aveva sentito parlare solo in vaghi accenni – aveva assunto le sembianze del giovane ora dinanzi a lui.

E a me sarebbe stata concessa l'opportunità di concorrere per diventare suo successore? Si domandò, incredulo, accingendosi a seguirlo.
Era stato a un passo dal conquistare il diritto di indossare le Sacre Vestigia d'Oro di Libra... così gli aveva raccontato Aphrodite. È incredibile. Serrò il pugno prendendo coscienza del proprio fallimento; non rammentava nulla dei fatti intercorsi e non osava porre domande, nonostante il Sommo sembrasse così disponibile e di sicuro non gli avrebbe negato una spiegazione. Era così saggio e lungimirante da infondergli bastante sicurezza.

“Ho saputo che ti piace leggere" affermò Dohko, dopo aver indugiato sulla soglia di una stanza ampia e luminosa caratterizzata da un elegante connubio di stili, ma soprattutto fornita di numerosi testi di vario genere. “Puoi trascorrere il tuo tempo anche qui, se lo desideri.”

Dalla terrazza si vedeva il mare estendersi placido all'orizzonte. Quando non era propenso a immergersi nella lettura si soffermava spesso a contemplarlo – inebriandosi del sentore di quell'aria tersa – nella speranza di risvegliare ricordi che purtroppo non sovvenivano. Solo frustrazione. Serrò il bicchiere nella mano e si riscosse dai pensieri impallidendo alla vista del proprio sangue: il volto angelico divenne bianco come calce, frammenti di vetro gli si erano conficcati nel palmo.

Rinvenne nel letto della solita stanza, con la mano dolorante e fasciata, scorgendo la sagoma del maestro rivolta verso la finestra. I capelli fluttuavano al soffio di un debole alito di vento, Aphrodite si girò verso di lui: il volto in ombra, contrapposto alla sorgente luminosa che baluginava alle sue spalle.

“La tua sensibilità alla vista del sangue dovrebbe far emergere qualcosa" esordì, ma Misty scosse il capo per esprimere il proprio dissenso.

“Accanto a te c'è una scatola, aprila e dai un'occhiata agli oggetti che ti appartengono. Potrebbero esserti d'aiuto" suggerì.

Misty aprì la scatola riconoscendo cose che ricordava, collegandole ad azioni compiute abitualmente – come le conchiglie che era solito raccogliere sulla spiaggia – e rovistò recuperando un altro oggetto che gli sembrava del tutto sconosciuto. La piccola civetta che lasciava residui di gesso sulle mani, di sicuro reperita nel periodo posteriore e collegata ad avvenimenti recenti. Infine vi era il diario, si soffermò ad annusare l'odore delle pagine, lo sfogliò e osservò l'alternarsi di fogli bianchi che coincidevano con l'epoca successiva alla missione in Giappone: le ultime righe risalivano ai giorni precedenti la data fatidica del tre/quattro ottobre dell'anno 1986. Apprese di non aver annotato più nulla dopo la rinascita, se non brevi pensieri tracciati ogni tanto, i quali rispecchiavano i suoi sbalzi di umore.

“Non scoraggiarti vedrai che la memoria tornerà, forse, quando meno te l'aspetti.” Pisces gli prese il mento per poi sfiorargli le labbra screpolate con il pollice, e la guancia col dorso delle dita.

~

Si impegnava a condurre una vita normale, si sforzava di abituarsi alla nuova condizione malgrado stentasse ad accettare la realtà e il risvolto beffardo che avevano preso gli eventi. Ciò non collimava con quelle che un tempo erano state le aspettative grandiose sul proprio futuro, sul proprio essere, e rispetto agli altri. Aveva ripreso a frequentare i luoghi abituali sebbene fosse esonerato dallo svolgere i soliti compiti, almeno fino a quando non si sarebbe del tutto ristabilito. Non riusciva a intrattenersi troppo a lungo insieme con altri Santi - che si trattasse dei parigrado o meno - e accampava sempre scuse che suonavano come pretesti improbabili. Soprattutto dopo aver incontrato e stretto la mano, suo malgrado, a colui che gli avevano riferito essere stato il suo principale antagonista. Un giapponese che aveva bollato in fretta come una persona rozza e del tutto privo di carisma. Eppure si diceva si fosse reso fautore di incredibili imprese, così come i suoi compagni: degli insulsi Santi di Bronzo. Ricoperti di lodi immeritate e sopravvalutati...

Stava riemergendo l'invidia nei riguardi dei pupilli della Dèa e l'astio verso Athena stessa: la divinità spesso assente. Lo stesso risentimento spudorato - scandito ad alta voce, e che aveva suscitato l'indignazione del Gran Sacerdote nei suoi confronti - emerso in occasione dell'episodio spiacevole di cui si era reso protagonista e del quale non rammentava nulla. Asterion aveva provveduto a rendergli noti i dettagli della prodezza...

Misty si domandava dove avesse trovato il coraggio di esporsi a un rischio del genere: allora non era così codardo come riteneva di essere nel profondo dell'animo. Una debolezza, la viltà, parallela al timore che qualcosa potesse deturpare il suo aspetto...

Sì, era una situazione difficile da accettare ma non impossibile da comprendere. Algol e gli altri erano riusciti a inculcargli quel concetto poco a poco. Tuttavia Misty preferiva trascorrere buona parte delle giornate in riva al mare; non riusciva a soggiornare neanche a casa perché sosteneva che quell'ambiente gli infondeva malinconia. Nemmeno la misera striscia di giardino dove sbocciavano i narcisi e le rose gli recava conforto. Preferiva la stanza ridondante, ma asettica al contempo, al Tredicesimo Tempio, dove era servito e riverito, essendone alquanto compiaciuto. Preferiva la compagnia di Aphrodite e, nell'ultimo periodo, tollerava a stento la supponenza di Perseus.

Quest'ultimo lo aveva raggiunto, dopo averlo incalzato a lungo in un tratto di spiaggia, col proposito di ricucire il rapporto che, per ironia della sorte, Misty aveva rimosso dai ricordi. Lo sorprese nei pressi delle formazioni rocciose che generavano cavità, insenature, grotte tra lembi di sabbia asciutta e tratti sommersi dalle acque cristalline che si addentravano negli anfratti; cogliendolo in un momento di rara spensieratezza nel quale non era intento a sondare nella memoria per far luce sui propri trascorsi.

Misty si accigliò in sua presenza: “Non siamo mai stati amici.”
Ma l'altro sigillò con impeto audace quelle labbra con le proprie, mettendolo a tacere, allo scopo di indurlo a ricordare.
Il più giovane spalancò gli occhi e il cuore gli sussultò nel petto, come incapace di comprendere le ragioni del gesto sconsiderato, irragionevole, privo di senso, che gli aveva provocato il disgusto. Tuttavia qualcosa sembrava inibire l'istinto di ritrarsi come se – inconsciamente – ambisse ad abbandonarsi alla mercé del Santo e indugiò rivivendo una sorta di incomprensibile déjà-vu. I due si studiarono per un po' con sguardi che sembravano riflettere lo sfavillio di un fuoco inesistente...

Infine Algol si ritrovò a massaggiarsi la mandibola dolorante, dopo aver sputato sangue. Misty lo aveva respinto e colpito con tutte le forze, atterrandolo, benché avesse avuto l'accortezza di non avvalersi del cosmo. Lo ricoprì di insulti, intimandogli di non provare mai più a toccarlo, e si strofinò la bocca col dorso della mano: “Sei un demonio, di nome e di fatto!” sbraitò.

Algol realizzò che, sì, quello era proprio il ragazzo presuntuoso di sempre, e sfoggiò una parvenza di sorriso che non coinvolse i muscoli orbicolari degli occhi: “Non eri dello stesso avviso l'ultima volta.” Sapeva molto bene che solo qualcuno avrebbe potuto tenere testa a quel moccioso arrogante e quel qualcuno era lui. Si rialzò, non si sarebbe fatto calpestare così. Avanti che l'altro riuscisse a schermirsi lo aveva già afferrato per i polsi - percepì ossa e articolazioni scrosciare mentre gli contorceva un braccio dietro alla schiena - costringendolo a piegarsi dal dolore. Misty risolse all'improvviso di desistere poiché privo di forze, prono a terra, con l'acqua che gli lambiva il volto. Non riusciva a capacitarsi di una tale mancanza di rispetto da parte di uno che considerava un sottoposto.
Algol intuì l'inevitabile cedimento ma prese anche atto della gravità del proprio gesto, che cosa sto facendo? Devo essere impazzito... e si riebbe dalla collera che aveva sopraffatto la ragione.

“Scusa... scusami. Perdonami" biascicò imbarazzato, pentito, dopo il sollecito ripensamento.

Perseus aveva anticipato i tempi confidando erroneamente in qualcosa che non sarebbe tornato uguale a prima o forse sì, ma non così in fretta.
La sua controparte, nel frattempo, sgusciò via, ansante e furente, dopo essersi liberato dalla stretta ferrea. Risolse di lasciarlo solo, sebbene intuisse che sarebbe stato difficile rimediare a una mancanza di tatto così grave.

 ~

Perché? Perché l'angoscia di non ricordare? E se quel bastardo avesse ragione?!

Possibile che ci fosse qualcosa tra loro? Un sentimento che esulava dalla stretta amicizia, e nessuno se ne fosse mai accorto? O chi sapeva fingesse di non sapere, per riserbo o indifferenza. I polsi erano segnati dall'impronta rossastra delle dita: mi avrebbe spezzato un braccio se avesse voluto. Perché Algol aveva insistito tanto a reclamare ciò che suonava come un'assurda pretesa? Misty inorridì al pensiero che dietro la sua tracotanza potesse celarsi un fondo di verità e, al tempo stesso, lo sospettava poiché ne era attratto, come se il desiderio incontenibile divampasse dentro di sé con la stessa veemenza con cui si sforzava di reprimerlo. Si sentiva impuro al solo pensiero ed ebbe l'impulso di denudarsi e immergersi in mare – come d'abitudine – per mondare il proprio corpo e la propria anima, ma esitò ritraendo il piede che aveva immerso in acqua. Indietreggiò temendo che qualcuno potesse sorprenderlo. Si guardò intorno, assalito dal timore mai provato prima d'ora di essere visto. Strano. Era sempre stato così fiero della propria immagine al punto di rasentare l'esibizionismo. Perché si stava trattenendo, perché quell'insolita inibizione? Infine fu persuaso di astenersi dal farsi il bagno. Si inginocchiò con l'acqua a lambirgli le vesti, osservò le conchiglie spuntare, semi sommerse dalla rena, e ne estrasse una passando le dita sulle sporgenze aguzze della superficie calcarea, accostandola all'orecchio. Si concentrò sui suoni circostanti, sul rotolare costante delle onde, facendo vagare i propri pensieri in libertà. Con lo sguardo indugiò sulle coperture assolate dei Templi che dominavano l'Acropoli.

Gli sovvenne l'immagine del maestro, così colto e affascinante; gli sembrava di vederlo e udire le sue allusioni ambigue nei momenti in cui lo aveva sorpreso a discorrere disinvolto col Santo di Cancer. Tra loro ci sarebbe potuto essere tutto o niente: più di un legame sotteso o semplice cameratismo, nulla di strano o inconsueto. Non si era mai soffermato a riflettere sull'argomento perché non gli interessava; così come ad altri sarebbe potuto non interessare se lui e Algol avessero una relazione occasionale, e non perché non ne fossero al corrente. Ecco la risposta... dunque, perché avrebbe dovuto farsene un cruccio? Di cosa si stava preoccupando? La sua ritrosia era dovuta all'incertezza, al dubbio...

 

“Misty?”

Shaina...

“Cos'è successo?” Lei avrebbe preferito non formulare la domanda indiscreta ma vedendolo così assorto, con lo sguardo assente e la conchiglia accostata all'orecchio, non poté esimersi.

“Dovresti essere tu a spiegarmi cosa ci fai in spiaggia, non hai niente da fare oggi?” insinuò l'altro senza modificare la propria postura, come se parlasse al vento.

“Le nostre mansioni si svolgono a fasi alterne, ho organizzato il lavoro in modo da ritagliare un po' di tempo libero per ciascuno – e oggi mi sono concessa una pausa – ma forse non ricordi. Già, non puoi ricordare perché ciò è avvenuto molto di recente...”

“Quindi, non sarei più io il leader dei Santi d'Argento? Ecco un altro particolare che emerge.” Si voltò finalmente, assottigliando lo sguardo.

Shaina fece un cenno affermativo, recepì la sua perplessità e anche una sorta di velata amarezza. Non aveva notato avesse le gote arrossate e i capelli arruffati. Strano perché di solito era quasi impeccabile. Si piegò sulle ginocchia e scostò fili di capelli che il vento aveva insinuato tra le labbra del suo pari, sfiorandogli il volto angelico con una carezza.

“È tutto a posto?”

“Non capisco perché non dovrebbe esserlo" mentì lui, prendendole la mano con deferenza per poi allontanarla dalla sua persona, dopo aver dapprima indugiato a contemplare la propria immagine riflessa sulla maschera indossata dell’amazzone. Si estraniò lasciandosi trasportare dai pensieri, i quali fluivano impetuosi senza che riuscisse ad arginarli. Non ho il coraggio di domandarle che tipo di rapporto intercorresse tra me e quella canaglia, non oso farlo. Temo la risposta perché credo di conoscerla... Quante cose sono successe in breve tempo, quante cose che temo di scoprire.

“Ho capito, preferisci stare solo. Sei stato gentile nell'ultimo periodo e ci tenevo a ringraziarti... Se hai bisogno di qualunque cosa puoi contare sul mio aiuto" rispose Shaina alzandosi in piedi e lui assentì senza replicare, rivolgendole uno sguardo triste per poi distoglierlo e smarrirlo all'orizzonte.

~

I passi echeggiarono nelle vuote e ampie volte del Tempio, Aphrodite ne attraversò le aule, quindi oltrepassò l'atrio per continuare la ronda all'esterno, lungo il perimetro delimitato dal peristilio. Alzò gli occhi al cielo percorrendo l'intera altezza della colonna rastremata scorgendovi in un pertugio, all'apice, un nido di uccelli dal quale svolazzò qualche filopiuma bianca. Ecco da dove proveniva quel tubare. Sbuffò annoiato, materializzando una rosa tra le pallide dita, la ronda era una consuetudine ma non una necessità. La luce del sole si rifranse sulla superficie dell'armatura. Coprì gli occhi indietreggiando all'ombra dei pilastri e, al riparo, riuscì a intravedere la sagoma del discepolo avvicinarsi alla rampa mediante la quale si accedeva alla Dodicesima Casa.

“Buongiorno" esordì Aphrodite, laconico, aggrottando le sopracciglia sottili e ben delineate, ma l'altro non si espresse se non con un cenno sfuggente. Misty sembrava imbarazzato, aveva recepito un intento poco conciliante in quel saluto forzato, che sottintendeva rimprovero. Difficilmente si sbagliava perché, spesso, semplici intuizioni confermavano i suoi sospetti.

“Se pensi di sederti e mangiare al mio tavolo, in quello stato, ti stai sbagliando. La tua negligenza è un affronto alla sacralità di questo luogo. Vai a lavarti per favore. Troverai anche degli abiti. Cambiati e poi condivideremo la cena.” Misty avvolse una ciocca di capelli attorno al dito e si soffermò a guardarla, scettico; sì, c'erano granelli di sabbia, ma quella reazione parve un tantino esagerata persino a lui che era un perfezionista. Distolse lo sguardo e si inoltrò, infine, all'interno delle mura, nel momento in cui il Santo d'Oro acconsentì a lasciare libero il passaggio.

~

Non è proprio come quella di casa mia...

 

A volte non era così svantaggioso assecondare le pretese di Aphrodite. Quel posto non era poi così male e la vasca era una vera e propria piscina di marmo con tanto di orpelli e statue ammiccanti: non male, si disse languendovi, assorto, quasi ignorando l'indolenzimento al polso e alla spalla. Osservò lo specchio d'acqua in cui si riflettevano le sagome dei simulacri e le colonne che si alternavano attorno al quadrilatero. Ebbe la sensazione di galleggiare in una realtà sospesa congiunta da un tratto di unione intangibile che la assimilava alla dimensione onirica, o forse era solo la sua mente a divagare. Persuaso dalla necessità di svincolarsi da legami troppo stretti, che lo avvinghiavano alla sofferenza come artigli rapaci, chiuse e riaprì gli occhi. Si figurò delle immagini, al posto degli elementi decorativi che si specchiavano sulla superficie dell'acqua. Gli si annebbiò la vista, sbatté le palpebre, e alcune scene balenarono più nitide nella mente. Si diede un pizzicotto e provò dolore. Non stava sognando a occhi aperti...

Marin la sacerdotessa dell'Aquila, Seiya di Pegasus... La missione in Giappone.

Ravviò i capelli e chiuse gli occhi, ma le immagini scorrevano vivide come fotogrammi e non dovette sforzarsi di decifrarne il significato, decodificare quegli stimoli per darsi delle risposte che sorgevano spontanee.

Ero stato vittima di una macchinazione perché Seiya era vivo e vegeto: era comparso di fronte a me e lo avevo minacciato, intimandogli che l'inganno di Marin le sarebbe costato la vita. Marin, quella...

Riesco a ricordare il frangente in cui lo avevo affrontato e quando, nel corso della sfida, avevo avuto la meglio. Mi credevo nettamente superiore, sono sempre stato elogiato grazie alle mie doti e per la capacità di eludere ogni attacco. Il mio corpo non era mai stato scalfito... Era appagante riuscire a determinare il controllo sugli elementi e mi dava un senso di onnipotenza.

Confidavo nella mia forza, tanto da non impiegarne a sufficienza contro un avversario che reputavo feccia insignificante. Lo avevo creduto morto. E su questo schermo d'acqua rivivo le mie inutili velleità, il mio essere vacuo.

Mi ero spogliato dell'armatura per lavare il sangue del mio nemico. Lui si era rialzato, deridendomi, ma avevo finto d'ignorarlo risolvendo di affrontarlo. Superiore, mi sentivo superiore, volevo concludere: l'avrei finito in pochi istanti, e poi mi sarei goduto gli elogi del Sommo Sacerdote - e forse un riconoscimento maggiore - com'era giusto che fosse. Che stupido sono stato a non domandarmi le ragioni di quell'incredibile resistenza. Avevo sentito dire che il cosmo del Santo di Pegasus fosse eccezionale, ma perché sono stato così cieco da non attribuirgli la giusta importanza? Ah, se lo avessi fatto! Magari avrei avuto la meglio. È stato un terribile errore di valutazione il mio.

Al contrattacco avevo vacillato, lui era riuscito a penetrare le mie difese e, incredulo, mi ero scoperto incapace di reagire. Il suo colpo mi aveva investito facendomi arretrare scavando un solco nella sabbia: non era un colpo letale, eppure mi sentivo strano e sapevo che qualcosa doveva essermisi spezzato dentro. Non potevo credere che chi combattesse senza ideali, in cambio dell'adempimento di una promessa – quale ritrovare la sorella – disponesse di una tale forza. Stavo combattendo contro chi era reo di aver violato le leggi del Santuario; per la mia dèa, e lei mi stava voltando le spalle! Non capivo, qual era la Giustizia? Dov'era?

Non mi capacitavo che ciò potesse accadere, limitandomi a celare i miei timori dietro un sarcastico sorriso. Acquisire quella terribile consapevolezza aveva inibito la mia volontà di reagire; infranto le mie certezze, e fatto crollare tutte le convinzioni come un edificio privo di fondamenta.

Stavo facendo pace col passato, ed eccolo riaffiorare a tormentarmi. Sta tornando la memoria, non immaginavo fosse così terribile rivivere ciò che è stato; ma perché!?

Ero rimasto paralizzato dall'orrore e il mio avversario ne aveva approfittato sorprendendomi alle spalle. Non riuscirò mai a perdonarlo a causa del colpo basso, e se oggi riesco a riconoscere il suo valore non riuscirò comunque ad accettare la sua slealtà. Credo di odiarlo. Mi aveva toccato con le sue mani sporche, sollevandomi di peso da terra...

Infine, eravamo precipitati entrambi in mare, non vedevo più nulla... L'impatto era stato così rovinoso da non rendermi conto di aver smarrito il diadema tra i flutti - nel momento in cui avevo provato un dolore lancinante nel punto in cui avrebbe dovuto proteggermi. Ricordo quella sensazione, è indescrivibile...

Sapevo che era finita, ogni velleità di resistenza mi aveva abbandonato e non restava che l'orgoglio. Ero riuscito a guadagnare la terraferma con un ultimo sforzo estenuante; la vista mi si stava offuscando, era una giornata di sole ma un velo di tenebra era calato davanti agli occhi: non vedevo più nulla malgrado potessi percepire il sangue sgorgare dalla ferita aperta – ed era caldo, viscoso. Ero crollato, con le ossa rotte, rimanendo cosciente fino al momento in cui l'acutezza dei sensi non si era affievolita. Infiniti istanti. Avevo così compreso che la morte stava sopraggiungendo. No! Volevo vivere...

Scorse i dettagli dell'ambiente circostante ondeggiare attraverso una cortina di cristallo, sbatté le ciglia. Aveva rievocato momenti dolorosi che sembravano essere stati sepolti nell'oblio, latenti nell'animo, riaprendo una vecchia ferita che la rassegnazione aveva in parte lenito. Sospirò, soffocando un singulto, con la certezza che altri ricordi sarebbero emersi in breve tempo, sebbene prevalesse una gran confusione e frotte di immagini iniziavano ad accavallarsi nella mente.

~

Aphrodite gli riservò uno sguardo compiaciuto: “Quella tunica azzurra con le greche dorate è sempre stata tra i miei indumenti preferiti, ma non l'ho indossata spesso. A te dona moltissimo, si armonizza al colore dei tuoi occhi.”

“Davvero? È la prima cosa che ho trovato" replicò Misty, tradendo falsa modestia. “Sì... credo che tu abbia ragione" soggiunse poi, sedendosi di fronte a lui. Notò le posate disposte secondo un certo ordine, adeguate al tipo di portate che sarebbero seguite, e con quanta cura fosse stata allestita la tavola ricoperta da una candida tovaglia – semplice, ma impreziosita da un bordo di raso. Sapeva che Aphrodite prestasse attenzione ai dettagli anche quando era solo, e lui non era da considerarsi un ospite illustre.

Stava scendendo la sera e si udiva solo il frinire dei grilli e il sinistro chiurlare di un barbagianni che sbirciava tra le fronde con l'occhietto presbite. Aphrodite spezzò il silenzio dopo aver emesso un sospiro: “Hai tardato, avevo pensato che stessi male. Ancora qualche minuto e sarei venuto a controllare.”

“No, è che non mi sono reso conto del tempo trascorso" chiarì il discepolo, allungando una mano verso il calice di cristallo.

“È vuoto" osservò Aphrodite, cogliendo la sua sbadataggine – forse è immerso in qualche sua riflessione – e provvide a riempirlo mescendovi acqua e vino. Dopodiché vi fu ancora silenzio tra i due, un silenzio che sottintendeva molti interrogativi da parte del più giovane , il quale, combattuto tra varie incertezze, non sapeva se dire la verità.

Dovrei togliermi questo peso angosciante, mi aiuterebbe a star meglio... ma preferisco non confidarmi. Questa situazione potrebbe tornare vantaggiosa... Sono un viscido, un essere abominevole che vuole approfittare delle circostanze per il proprio tornaconto. Ma perché dovrei sentirmi in colpa? Sono solo confuso, questa condizione mi sta esasperando... e loro sembrano tutti così gentili nei miei confronti, anche chi non lo è mai stato. Che branco di ipocriti, quasi si compiacessero della mia sofferenza. In realtà è come se fossi morto una seconda volta... rimuginò, mentre, pian piano, altri ricordi stavano affiorando.

“Ariele, a cosa stai pensando?” Pisces lo interrogò, notando lo sguardo smarrito nel quale si riflettevano le fiamme tremolanti delle candele.

“A niente sono solo stanco, sì, sono stanco" rispose lui, sbattendo le palpebre come destatosi da un momentaneo torpore.

“Non è affatto strano nella tua condizione. Puoi congedarti in qualsiasi momento.”

“Oh, no. Sono lieto di restare. È molto piacevole la tua compagnia e tutto il resto.”

“Come per me lo è la tua.”

Aphrodite infilzò un boccone con la forchetta accostandoglielo alle labbra.

“Cos'è?”

Saganaki, un delizioso antipasto.”

~

Misty giunse nella propria stanza, al ritorno dalla serata trascorsa in piacevole compagnia. Aveva meditato, tra un boccone e l'altro, indeciso se permanere ancora in quel luogo o ritornare a casa. I ricordi stavano affiorando a tratti, sfocati e confusi. Si accostò alla finestra, al buio, e la aprì. Nel cielo, dapprima sereno, si era addensata una fitta coltre nubi che occultava il luccichio delle stelle; un vento improvviso agitò le fronde degli alberi e i ramoscelli che si protendevano verso l'alto, come scarne dita di una mano. Vedeva i cespugli più bassi e i fili d'erba ondeggiare entro il fazzoletto di terra, nella corte attorniata da imponenti colonne. L'oscurità acuiva i sensi e ciò che, in un primo momento, faticava a distinguere svelava contorni molto più definiti; ed era chiaro, così come il significato acquisito dalle immagini che si sovrapponevano nella mente.

Una goccia rimbalzò sul davanzale; un'altra, e poi un'altra ancora... L'aria si rinfrescò, impregnata dell'effluvio che si sprigionava dal manto erboso. Chiuse gli occhi facendosi lambire il volto dagli spruzzi di pioggia.

Non devo temere i ricordi...

Era un grande giorno sebbene avessi paura, paura di andare incontro all'ennesimo fallimento.

Adesso capisco le scelte fatte, le comprendo solo dopo aver ricordato lo scontro con Seiya: quell'episodio ha ridimensionato il mio ego. Non sono invincibile, no, non lo sono mai stato ma, nonostante tutto, mi sembra di non aver perso il rispetto dei miei pari...

I miei pari... Algol. Con quale faccia potrò rivolgergli ancora la parola? Come ho fatto a non rendermi conto subito di come stessero le cose, dopo aver constatato che gli indumenti da me indossati al torneo appartengono a lui? Come ho potuto non collegare che fosse stato lui a cedermeli a titolo di buon auspicio? Ma questo non è così importante al momento... Ciò che mi sconvolge è l'aver sprecato un'occasione: aver avuto la conferma che i sogni non si avverano... Già, i sogni si concretizzano solo nel contesto irreale delle fiction, nei romanzi... nella realtà potrebbe accadere ma temo sia molto improbabile se non si ha talento... o fortuna, o entrambi.

Era una giornata splendida: avevo riposto tutte le speranze nell'obiettivo la cui realizzazione mi avrebbe restituito la fiducia in me stesso, proprio come un tempo. L'Anfiteatro era gremito, si trattava di un evento significativo. Avevo gli occhi puntati addosso, ma non avevo provato imbarazzo essendo consapevole del mio splendido aspetto; nessuno poteva rivaleggiare con me. Non ero dello stesso avviso per quanto concernesse la forza, dubitavo delle mie capacità, e quei dubbi erano divenuti schiaccianti alla comparsa del mio avversario. D'un tratto mi erano sovvenute le voci che avevo udito sul suo conto: che avesse raggiunto l'ottavo senso grazie alle traversie affrontate. Sapevo che i presenti ne fossero a conoscenza, come ero al corrente del fatto che mi considerassero poco più di un incapace. Avevo osservato quel Santo dai capelli neri e dai lineamenti orientali, sembrava molto saggio, morigerato, quasi avesse ereditato il discernimento del suo maestro. Aveva un aspetto fiero e dall'espressione si evinceva consapevolezza del proprio valore. Il mio opposto – avevano pensato probabilmente tutti gli altri, che tifavano sbracciandosi per lui – e forse avevano ragione, sembrava una battaglia persa in partenza. Il cuore batteva all'impazzata come fosse in procinto di esplodere da un momento all'altro. Il mio volto doveva aver assunto un colorito paonazzo. Avevo caldo, molto caldo, ma le mani erano gelide. Avrei voluto abbandonare l'Arena: mi mancava il respiro, mi era sovvenuta la paura di morire e avevo soffocato un urlo silenzioso in gola. Avevo scrutato i volti delle persone che sedevano sulle gradinate, nelle prime file, e le loro fattezze sembravano aver assunto caratteristiche grottesche, bestiali. Mi deridevano, vomitavano insulti... ma non potevo arrendermi e dovevo affrontare l'avversario; dovevo farlo per l'unica persona a cui credevo - e credo - di voler bene. Impormelo, per zittire i demoni interiori e per dimostrare a tutti coloro che mi disprezzavano di essersi sbagliati. Elevarmi al rango di Santo d'Oro.

Il mio sguardo era corso di nuovo verso la folla assiepata sugli spalti; verso la tribuna che ospitava il baldacchino velato da drappi immacolati, approntato per accogliere le alte cariche del Santuario. Il trono, le insegne svolazzanti issate su aste dorate, i fuochi, i Santi di ogni rango bardati nelle rispettive armature; era un tripudio di oro e di fiamme. Una visione incastonata nel solenne scenario dell'Anfiteatro. Saori Kido era assente ma la cosa non mi sorprendeva affatto né mi turbava.

Il Sommo aveva dato inizio al torneo dopo un lungo preambolo che aveva avuto l'effetto di sfiancarmi; avevo guardato in quella direzione come per lanciargli una tacita sfida. Non potevo dimenticare le ultime parole che mi aveva rivolto, benché mi fossi ripromesso di non lasciarmi influenzare, di non dargli peso. Era molto difficile perché esse, non ferivano soltanto, ma erano degradanti e mi privavano della dignità di Santo di Athena...

Bene, avevo pensato. Ora toccava a me dimostrare che i loro giudizi fossero infondati, ma fin dalle prime battute avevo intuito che non sarebbe stato facile. L'avversario era determinato quanto me, ed erano stati i suoi sacrifici ad aver forgiato quella tempra. Non avrei ingaggiato un duello corpo a corpo, non lo avrei fatto, se lo poteva scordare! Dovevo affidarmi alle tecniche di velocità, se non volevo soccombere alla sua forza, e i suoi attacchi avevano fama di essere incredibilmente potenti. Aveva avuto la meglio su Algol, Shura, e Death Mask non potevo sottostimarlo, non mi era concesso.

Shiryu mi fronteggiava e, con sorpresa, potevo constatare che non trapelava disprezzo dal suo atteggiamento, sembrava davvero molto saggio. Quel rispetto da parte sua implicava quanto mi dovessi impegnare al fine di meritarlo e, al contempo, mi rasserenava. Aveva sferrato un attacco che avevo scansato spiccando un balzo. Avvolto in una spirale di vento, ero atterrato al lato opposto dell'arena, consapevole di aver sorpreso i miei detrattori...

Non c'era più nulla, non notavo più la folla che gremiva gli spalti, non udivo alcun incitamento, nessuna invettiva. I suoni erano ovattati e finalmente mi ero reso immune da qualsiasi distrazione. Vidi guizzare un riflesso nelle gemme cremisi incastonate sulla maschera del Gran Sacerdote, ma ero stato sollecito a distogliere l'attenzione da tutto ciò che non doveva frapporsi tra me e Shiryu né voci né sguardi.

Aveva sferrato un altro colpo; un’informe scia luminosa aveva assunto le sembianze illusorie di un drago che avevo schivato, atterrando ancora in piedi sul terreno arido.

Non avevo perso la concentrazione ed era stato saggio, in quanto il mio avversario aveva in serbo un'altra offensiva. Non voleva darmi tregua. Aspirava a quel titolo quanto me, e avevo risolto di non aver abbastanza fiato nei polmoni per riuscire a stornare l'attacco senza ergere la barriera – dovevo essere rapido per contrastarlo. Avevo evocato il cosmo, per quanto poco fosse consentito, elevando lo scudo d'aria pervaso dall'aura sprigionatasi in virtù della mia energia.

La barriera aveva vibrato attutendo la collisione, quasi non si trattasse di un semplice muro d'aria, purtroppo l'effetto era stato di breve durata e avevo dovuto reagire per dimostrare che la mia tecnica non fosse fondata solo sulla difesa. Mi avrebbero tacciato di viltà se avessi perseguito quella tattica.

Il vortice d'aria lo aveva travolto sbalzandolo via. Shiryu si era schiantato poco distante, sotto gli sguardi attoniti degli spettatori. Ero riuscito a cogliere, con una fugace occhiata, il loro stupore.

Quale forza d'animo lo animava? Nonostante avesse accusato il colpo – lo avevo visto vomitare sangue e mi ero voltato, infastidito da quella scena disturbante – non aveva esitato a rimettersi in piedi. E solo in quel momento mi ero reso conto di come il nostro duello fosse stato silenzioso, non ci eravamo scambiati una parola. Seiya, al contrario, era uno sbruffone e apriva la bocca a sproposito per proferire insulti.

Ero esausto, col fiato corto, avevo profuso molta energia ed ero prossimo a esaurirla quando le circostanze ne richiedevano ancora. Ma lui dove trovava tutta quella forza? Probabilmente dentro di sé, a prescindere dall'ottavo senso.

Avevo osservato le nubi sopraggiungere a velare il cielo e la loro comparsa era stata provvidenziale perché il sole accecante non dava tregua ai miei occhi stanchi.

Shiryu si era apprestato a sferrare il suo attacco decisivo che si sarebbe rivelato potentissimo, pur senza il totale ausilio del cosmo. Avevo innalzato la barriera concentrandovi tutta l'energia di cui potessi disporre. Il Rozan Shoryuha si era infranto contro lo scudo che avevo percepito vibrare, incrinarsi, quasi fosse fatto di vetro...

Avevo provato una strana sensazione di stordimento, erano venute meno la resistenza e la concentrazione, a dispetto della volontà di perseverare fino allo stremo. Lo scudo si era infranto, o almeno, avevo avuto l'impressione che la resistenza fosse stata vinta e, in un fugace istante, avevo visto il Santo di Bronzo riverso a terra. Credevo di aver avuto la meglio, ma avevo avvertito, subito dopo, un dolore improvviso alla testa; il colpo avversario doveva avermi raggiunto senza che me ne accorgessi. Avevo vacillato, piegandomi carponi, l'equilibrio era venuto meno ma avevo avuto la prontezza di alzare gli occhi vedendo Shiryu levarsi in piedi. Era lui ad aver vinto mentre io crollavo col viso nella polvere?

Perché le Sacre Vestigia non sono state assegnate a lui? Aphrodite mi ha detto che il Sommo ha liquidato la faccenda affermando che le nostre forze si equivalgono, che pur disponendo di tecniche differenti non siamo dissimili. Ma Shiryu si era rimesso in piedi quando io ero ormai fuori gioco. Non ha senso questa decisione e, per correttezza, Dohko avrebbe dovuto assegnare l'armatura di Libra al suo allievo. Sembra una farsa. C'è un'incongruenza in tutto questo che non riesco a giustificare. No, forse è solo una mia idea sbagliata, come al solito, perché devo sempre pensare male, perché sempre tutta questa negatività?

 

***

 

Il Grande Tempio era altresì un apparato burocratico, un'organizzazione in piena regola, e ciò implicava impegno e dedizione al fine di connettere tutti gli ingranaggi di un meccanismo così complesso e farlo funzionare. Io sono un tipo più pratico, si disse Dohko, sistemando in apposite cartelle i documenti riposti sulla scrivania. In effetti non era solito trascorrere molto tempo nella biblioteca benché si impegnasse ad assolvere al proprio incarico nel migliore dei modi, adempiendo alle mansioni di sua competenza; era molto concentrato, attento a non commettere errori. Malgrado ciò percepì una debole aura e si alzò, notando l'ombra di qualcuno che indugiava sulla soglia della sala. Quindi scorse il ragazzo dal volto delicato, incorniciato da capelli fulvi che ricadevano oltre le spalle. Una figura eterea lambita dalla luce mattutina che faceva capolino dai finestroni.

“Forse, non è il momento.” Si annunciò Misty soffermandosi tra gli stipiti della porta a due battenti. “Siete impegnato?” domandò, osservando il Sommo che indossava una casacca e pantaloni di raso abbinati a calzature singolari simili a ballerine. Era quanto mai bizzarro vederlo privo dei paramenti sacerdotali e sembrava ancora più giovane di quanto non fosse in realtà.

“Non mi dai fastidio, puoi sederti se vuoi e magari darmi una mano a sistemare questo disastro.”

Il Santo d'Argento annuì, prendendo posto dinanzi alla scrivania. Inarcò un sopracciglio pensando a come barcamenarsi in tutto quel disordine.

“Permettete?” esordì Misty, e l'altro alzò gli occhi incrociando quel suo sguardo dal quale trapelò una velata impertinenza.

“Mi è giunta voce di quanto tu sia metodico e preciso. Questa è una buona occasione per dimostrarlo. Bisogna suddividere i fascicoli in ordine cronologico" rispose Dohko, cedendogli il posto. Misty annuì e stirò le labbra rosee, accennando un sorriso a sua volta, con il solito ricciolo di capelli avvolto tra le dita.

“Sì, devo ammettere che te la cavi bene in questo genere di cose" riconobbe Dohko, dopo aver constatato come il lavoro fosse stato svolto celermente e con efficienza. Versò del tè in una tazza in sovrappiù sul vassoio. “È un po' freddo ma immagino tu lo gradisca ugualmente.”

“Sì, certo. Non fa differenza, purché sia senza zucchero" replicò Misty, cedendo il posto che occupava dietro la scrivania prima di servirsi. “Volete dire che me la cavo meglio in questo, piuttosto che...” Il pensiero che gli era balenato in mente sfuggì a discapito della sua volontà.

“No, non fraintendermi. Era un elogio che non sottintendeva allusioni di alcun tipo.”

“Grazie." Misty guardò verso la finestra, al fine di mettere ordine nei pensieri, celando una sorta d'incredulità; e dopo si fece coraggio rivolgendo gli occhi cerulei verso l'interlocutore, quasi trattenendo il fiato prima di parlare.

“Ecco, io, sarei qui per chiedervi di... poter lasciare il Tredicesimo Tempio" soggiunse, chiarendo finalmente il motivo di quella visita.

“Non ti trovi bene?”

“No, al contrario, ma ho nostalgia della valle sacra.”

“Senza contare che farvi ritorno potrebbe aiutarti a recuperare i ricordi. Dico bene?”

“Ehm, esatto. Sì, intendevo quello.” Misty si aggrappò a quel pretesto, impaziente di lasciare il luogo dove dimorava l'individuo che non si era mai premurato di nascondergli il proprio disprezzo. Tentennò, osservando le volute dorate che incorniciavano gli specchi, e poi, di nuovo, l'orlo della propria camicia.

“Certamente, ti capisco benissimo. Ormai mi ero abituato alla tua presenza sei una persona gradevole, non solo esteticamente, e oggi ho scoperto un'altra delle tue qualità.”

“Con permesso" tagliò corto il Santo d'Argento, alzandosi dalla sedia e scostandola dietro di sé.

“Fermati" soggiunse Dohko, raggiungendolo mentre si dirigeva verso la porta, e lo trattenne con garbo per un braccio. “Dovrai attendere questa sera per raccogliere le tue cose e fare ritorno a casa. Nel pomeriggio ci sarà una riunione riservata ai Santi di ogni Casta, nel corso della quale farò un annuncio.”

“Vi riferite all'assegnazione delle Sacre Vestigia d'Oro?”
Dohko trasalì udendo quella domanda a bruciapelo che non si aspettava.

“Sì, esporrò il risultato della mia decisione" ammise poi, imperturbabile, ovviando all'inconveniente di essersi lasciato prendere alla sprovvista.

Non dovevano essere le Sacre Vestigia a scegliere il possessore? si disse Misty, facendo attenzione a non esternare la propria perplessità, ma limitandosi ad annuire docilmente con un moto dello sguardo...



   
 
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