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Autore: Daymy91    24/07/2009    4 recensioni
“Ho sempre creduto di essere un uomo forte. Ho fatto i miei errori… ma son sempre stato capace di superarli e di andare avanti.- l’uomo sorrise amaramente – ma credere, non sempre basta a sfuggire alle paure e alla sofferenza.” ....Storia basata sul finale della 5 stagione di House md!! PUBBLICATO 11° CAPITOLO! =)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy | Coppie: Greg House/Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Quinta stagione, Sesta stagione
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Salve gente!
Come promesso, tornata dalle vacanze, eccovi un nuovo capitolo!
Perdonatemi ancora per l'attesa!
Ve lo lascio... sperando che possa piacervi, anche se personalmente non lo reputo una cosa fantastica. Nutro invece particolari speranze per il prossimo... :P
Ok, basta! evitiamo anticipazioni... XD

Enjoy it!

 

 

Era una fresca serata primaverile. Il sole stava per abbandonare cielo, mentre ancora si poteva sentire l’umidità della pioggia appena caduta sovrastare la zona.
Il rumore di una macchina accesa rompeva la silenziosa atmosfera del giardino dietro la clinica psichiatrica, mentre si udiva perfettamente il suono di passi pesanti a contatto con l’erba bagnata.
L’uomo aprì il bagagliaio della macchina con fare disinvolto, mettendoci dentro tutto il necessario. Lo richiuse velocemente, voltandosi poi a dare un ultimo sguardo alla clinica alle sue spalle.
Il palazzo era imponente nel suo complesso, articolato in mille e più stanze.
Quanti brutti ricordi stava abbandonando lì dentro… troppi probabilmente.
Ma adesso, a distanza di quattro mesi, stava per dire addio a quel palazzo.
Essere felice o meno per questo, adesso, dipendeva tutto da lui.
“Dimentichi nulla?” la voce di una donna attirò la sua attenzione mentre, deviando velocemente lo sguardo dall’edificio, Gregory House andava a prendere posto all’interno dell’auto.
“No. – bisbigliò, quasi emozionato – Andiamocene.”

 

 

CHAP 8

Così come si provocano o si esagerano i dolori dando loro importanza, nello stesso modo questi scompaiono quando se ne distoglie l'attenzione.
(Sigmund Freud)

 

 

Gregory House sentì quasi un brivido nel girare la chiave nella serratura della porta che aveva di fronte. Aprì la porta di casa con lentezza, mentre il cigolio di questa accompagnava il suo sguardo verso il cupo interno.
Ricordò casa sua con una nostalgia che mai avrebbe pensato di provare.
Varcò l’entrata, andando a cercare l’interruttore della luce. Quando le lampade si accesero ed illuminarono il salone, si poté vedere il disordine che vi regnava all’interno. Era normale, per lui del resto quello era sempre stato il vero ed assoluto ordine.
Fece qualche passo, entrando nel salone e bloccandosi al centro di questo. Il suo sguardo vagò libero, posandosi prima sulla fredda superficie del pianoforte, su quei tasti bianchi e neri ancora scoperti dall’ultima volta che l’aveva suonato. Le sue chitarre erano ancora sulla parete, tranne una: quella classica. Ricordava ancora la melodia che aveva composto quella volta quando, stanco di una giornata lavorativa, si era deciso a comporre qualcosa di nuovo.
Fu colto da mille ricordi, nostalgie.
La sua amata tv, il divano dove faceva dormire Wilson nei giorni più bui per l’oncologo, ma divertenti per lui.
Entrò zoppicando in cucina, accendendo anche lì la luce della lampada. Aprì il frigorifero, notando che ormai l’apparecchio era spento e vuoto. Capì subito che Wilson era stato a casa sua dopo il suo ricovero, per sistemare ciò che doveva esser sistemato. Il minimo indispensabile.
Rimase a guardare lo spoglio interno di quel frigorifero mentre la mente andava a ricercare ricordi passati.
Ormai non sentiva Wilson da molto tempo.
Più di una volta era tornato a trovarlo in clinica nell’ultimo mese ma lui aveva sempre rifiutato di vederlo o di parlare con lui, categoricamente. In realtà non sapeva nemmeno il perché. Il fatto che l’ultima volta che si erano visti l’oncologo gli aveva rinfacciato i suoi non-progressi… l’aveva spinto a non voler più farsi vedere nemmeno da lui. Odiava essere commiserato. Odiava il fatto che qualcuno gli sbattesse in faccia la vera e cruda verità. Anche se era strano da parte sua pensarlo, del resto quella era la cosa che aveva sempre fatto lui con tutti.
Eppure, solo ora si rendeva conto di quanto potesse essere dura e di quanto i sentimenti potessero influenzare tanto un’amicizia.
Ci vogliono anni per coltivare una relazione con qualcuno, per renderla una amicizia come quella che c’era stata tra lui e James Wilson. Eppure, non ci vollero nemmeno 10 minuti per distruggerla. Poche parole da parte dell’oncologo e lui aveva mandato all’aria tutto ciò che Wilson per lui simboleggiava: un amico.
Ma adesso era a casa.
Era tutto finito.
E forse sarebbe tornato tutto alla normalità.
Forse.
“Wow, non ti avevo mai visto così concentrato nella contemplazione di un frigorifero...”
Una voce lo destò dai suoi pensieri, costringendo a voltare lo sguardo “Effettivamente mi mancava il mio vecchio frigo.. ah, quanti bei ricordi…”
“Già, non oso immaginarli. - la donna si avvicinò a lui, chiudendo lo sportello del frigo e guardandolo con aria sospettosa – Tutto a posto?”
“Avevo fame, il frigo è vuoto… ma non lo classificherei ancora come un trauma. Aspetterei qualche ora per questo.”
Jenny Dawson gli sorrise divertita, andando ad aprire il rubinetto della cucina per vedere se l’acqua scendeva “Ok. Allora aspetterò fino a questa sera per rifarti la domanda.”
House la vide voltargli le spalle e uscire dalla cucina.
Cielo, quanto detestava quella psicologa quando non si impegnava a rompergli le scatole!
“Non avrai intenzione di rimanere qui fino a questa sera, spero.” la seguì nel salone, chiudendo il rubinetto dell’acqua che pochi istanti prima la donna aveva aperto.
Jenny si voltò verso di lui, con aria sorpresa “Sono già le 20.00. Se vuoi che me ne vada… non ci sono problemi.”
House si sorprese nel vedere quanto la donna di fronte a lui avesse preso sul serio quelle parole.
“No.” la guardò ovvio.
Jenny sorrise amichevole, capendo, in quel momento, l’importanza del suo ruolo.
“Allora….- si mise le mani ai fianchi, inclinando leggermente il capo – Andiamo a mangiare qualcosa?”
House aprì l’armadio a muro, iniziando a rovistare “No.”
“Credevo avessi fame.”
“Ho detto che il problema si sarebbe presentato tra qualche ora…- spiegò il diagnosta con ovvietà, mentre continuava a rovistare tra vari scatoloni – Se poi il tuo concetto di ora è così limitato, il problema non è mio.”
“Che diavolo stai combinando?”
House sbuffò seccato, continuando la sua ricerca.
“Greg?!”
“Non dirmi che Wilson ha fatto sparire pure il Whisky?!”
Jenny si avvicinò perplessa al diagnosta “Tu tieni il Whisky dentro l’armadio con le scarpe?”
House si voltò titubante, poi fece spallucce “Storia lunga.”
“Ok, credo che il tuo amico abbia fatto, come mi sembra doveroso che qualcuno faccia ogni tanto, un po’ di piazza pulita in casa.”
Gregory House sbuffò nuovamente, staccando da una cruccia un cappotto leggero e buttandoci dentro la giacca che teneva addosso.
“Che fai?”
“Andiamo”
“Dove di preciso?”
“A bere qualcosa.”

 

 

* * * * * *

  

 

Gregory House e Jenny Dawson entrarono in un piccolo locale abbastanza frequentato, a metà strada tra casa di House e l’ospedale di Princeton.
Luogo vicino e poco impegnativo, spesso frequentato dal diagnosta nei primi anni lavorativi in quella città.
Eppure, nonostante la folla all’interno del locale, i due  riuscirono presto a trovare un tavolino dove sedersi.
House ordinò subito un bicchiere di Whisky mentre Jenny preferì qualcosa di più leggero. Se c’era una cosa in cui lei ed House non si assomigliavano per niente, quella era il vizio di bere.
House beveva alcol come fosse acqua.
Jenny beveva alcol come se fosse droga, ergo: proibita.
“Ti senti meglio adesso?” sospirò rassegnata, nel vederlo mandar giù il terzo bicchiere di Whisky.
“Cameriere, un altro prego!” annuì House, intonando un modo di parlare non molto tipico della sua persona.
“Piantala o puzzerai di alcol per un mese intero!”
“Rilassati. – la rassicurò lui, inclinando il capo nella sua direzione – È tutto a posto. Ci vorrebbero almeno due barili di alcol puro per rendermi brillo.”
“Beh, non è una giustificazione per farlo! Non sai che l’alcol fa male al fegato?”
“Tu piuttosto, prendi qualcos’altro. Offro io.” la ignorò lui.
Jenny scosse il capo, scossa da quel suo atteggiamento.
Il cameriere non tardò ad arrivare e nel giro di poco ad House venne servito anche il quarto bicchiere. House fece un sorrisino soddisfatto nel vedere il bicchiere posarsi sul tavolo e inarcando le sopracciglia in un espressione di gioia lo prese e fece per portarlo alla bocca quando, improvvisamente, lo sentì appesantirsi.
Jenny Dawson aveva messo la mano sul bicchiere, facendo pressione in modo che il diagnosta fosse costretto a riposarlo sul tavolo.
“Non posso vederti fare così. – esclamò poi – Non è tutto a posto, lo sai benissimo. Te lo si legge in faccia.”
House la guardò rassegnato, mollando la presa dal bicchiere.
Sbuffò.
Come al solito, Jenny aveva colpito un punto debole.
La donna si rilassò, sospirando “Cosa pensi di fare?”
“Domani vado in ospedale. Devo riprendere a lavorare o impazzirò veramente.- le rispose House, assumendo un tono ed uno sguardo piuttosto serio – E quattro mesi di ospedale psichiatrico mi son bastati, grazie.”
“Vuoi che ti accompagni?”
 “Non c’è bisogno. L’ho già fatto altre volte.- la rassicurò ironico il diagnosta – Anzi, grazie per il passaggio a casa. Non penso avrei osato chiamare Wilson per farmi venire a prendere.”
La psicologa lo guardò titubante, indecisa se dargli retta o meno “Sicuro?”
“È ora che io torni.” si limitò a dire l’uomo.
Jenny sospirò, guardando l’ora sull’orologio che portava al polso.
“Si è fatto tardi, devo tornare a sistemare le ultime cose a casa. – bisbigliò, alzandosi dalla sedia. Poi prese la giacca e, voltandosi verso House, con un sorriso sussurrò – Tu invece perché non passi da Wilson? Gli farebbe piacere sapere che sei stato dimesso.”
Il diagnosta fece spallucce “Gli farà lo stesso piacere se mi vede domani”
“Si ma se lo vai a trovare ora, assume tutto un altro significato.”
“Ah, questo certamente! Soprattutto se sente che ho bevuto!” ironizzò House, strabuzzando gli occhi con fare disinvolto.
Jenny scosse il capo, rassegnata all’evidenza che House era House… e che nessuno poteva farci nulla. Anche se, e le dispiaceva, con la sua cocciutaggine stava allontanando tutti coloro che fino ad allora gli erano stati vicini.
E questo, per lui, non era affatto un bene.
“Ci vediamo!” lo salutò con un cenno, allontanandosi dal tavolino.
Sorrise nel vedere che al posto di rispondere al saluto House era rimasto con lo sguardo fisso sul bicchiere di Whisky ancora pieno, perso nei suoi pensieri.
Quello era un buon segno che fece capire subito alla psicologa ciò che stava passando per la testa al diagnosta. 

House rimase a fissare l’alcol contenuto nel bicchiere con insolito interesse.
Il liquido sembrava voler scendere giù dai bordi da un momento all’altro, tanto ne era colmo l’oggetto di vetro.
“Fare visita a Wilson.” sorrise divertito, prendendo finalmente in mano il bicchiere e portandoselo alla bocca.
Bevve un sorso, poi lo riposò sul tavolo.
“Wilson.” ripeté tra sé e sè.
La verità era che gli mancava troppo la figura dell’amico. Gli mancavano le serate passate a mangiare pizza, a bere e a sparlare le infermiere più antipatiche… o quello che l’oncologo riusciva a portarsi a letto. Gli mancavano i suoi rimproveri, le ramanzine, le lavate di capo che gli facevano venire le idee più assurde per risolvere i casi clinici più impossibili.
Gli mancava il suo lavoro.
I suoi sottoposti.
Gli mancava lei: Lisa Cuddy.
Ebbene si, durante quell’ultimo mese che aveva passato nel tentativo di dimenticarla… non ne era stato capace.
L’unica cosa che l’aveva aiutato a venirne fuori era stato il fatto di riuscire a controllare i sentimenti per lei.
Perché per Gregory House, dimenticare Lisa Cuddy, era come ammettere di non sapere nulla di medicina.
Scostò la sedia con fare improvviso, ricacciando indietro quei pensieri e deciso in quel che doveva fare.
Si mise in piedi, prendendo in mano la giacca e posando sul tavolo un paio di banconote.
Jenny aveva ragione.
Jenny aveva sempre ragione.
Si diresse con passo spedito verso l’uscita del locale, salendo i due scalini che immettevano nell’ingresso dove vi stava il bancone. 

“Me ne dia un altro bicchiere.” 

Un sussurro.
Una voce familiare.
House bloccò il passo, sul pavimento il tonfo del bastone rimbombò quasi delicatamente.
Si era forse sbagliato?
Si voltò verso il bancone, notando la figura di una donna, seduta di spalle, mandare giù velocemente il liquido contenuto nel bicchiere che pochi attimi prima il barista le aveva riempito.
Era vestita con dei pantaloni scuri e una camicia color panna, mentre dei capelli castano scuro le scendevano un po’ sotto le spalle.
Sentì un brivido percorrergli la schiena al pensiero che quelle spalle potessero appartenere a Lisa Cuddy.
No, impossibile.
Lei non era il tipo da stare in locali del genere la sera tardi, da sola poi.
Si stava sicuramente sbagliando… infondo aveva mandato giù un bel po’ di Whisky quella sera, no? Sa quante donne possono avere quel tipo di capelli e la voce identica alla sua!... mica era unica nel suo genere!
Strinse il manico del suo bastone con insolito nervosismo, senza nemmeno rendersi conto di essersi fermato nel bel mezzo del locale a fissare una donna seduta di spalle.
E destino vuole che ogni volta che una persona fissa qualcuno in maniera così intensa, quel qualcuno è sempre arcanamente chiamato a voltarsi.
E questo fu quel che accadde in quell’istante.
Vide il suo viso voltarsi debolmente a guardare in dietro, gli occhi stanchi.
No, non si era sbagliato.
Era proprio lei.
Era Cuddy.
Sentì l’impulso irrefrenabile di ignorare il suo sguardo e di uscire prima che lei potesse rendersi conto della sua presenza… ciononostante rimase immobile nella sua posizione.
La dottoressa guardava proprio nella sua direzione adesso, sul viso un’espressione confusa. Poi, improvvisamente, il terrore.
Si era resa conto di chi aveva di fronte.
Si era resa conto che di fronte a sé ci stava Gregory House.
La vide sussultare mentre le sue labbra andavano aprendosi in un espressione attonita.
“House?!”

  La domanda adesso era una sola:
…sarebbe stato in grado di ignorarla ed uscire dal locale?

 

 

 

 

 

To be continued…

  
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