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Autore: Il cactus infelice    25/05/2019    2 recensioni
La guerra è finita, Harry Potter ha sconfitto il Signore Oscuro e ora tutti si apprestano a tornare alla normalità. Kingsley Shacklebolt è diventato il nuovo Ministro della magia, Hogwarts ha riaperto i battenti apprestandosi ad accogliere nuovamente gli studenti, linfa vitale del futuro della società magica. I morti per la giusta causa vengono ricordati con onore, i Mangiamorte che sono fuggiti vengono arrestati e chi ce l'ha fatta cerca di riprendersi la vita leccandosi le ferite e ricordando i cari persi.
Ci vuole tempo per guarire, per superare i traumi, c'è chi ci mette di più e chi un po' meno. Ma, in mezzo al dolore, tutto il Mondo Magico è felice per la sconfitta di Lord Voldemort. Tutti, eccetto Harry.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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PADRI 

 

Harry stava cercando di praticare della magia senza l’uso della bacchetta. Era seduto per terra in veranda, con Felpato in un angolo che lo guardava tra il curioso e il confuso - il pastore tedesco ormai aveva raggiunto una bella stazza - e la sua concentrazione era tutta lì, sul cercare di richiamare la piccola pallina rossa che usava per far giocare il cane posizionata a un metro da lui. Inizialmente aveva cominciato urlando Accio e muovendo le mani a caso e si era sentito un idiota, poi aveva deciso di limitarsi a fissare l’oggetto con le braccia protese in avanti e a pensare intensamente all’incantesimo.
Per fortuna a casa non c’era nessuno che potesse assistere al suo rendersi ridicolo; eccetto il cane, ma non è che avrebbe parlato. 

A un certo punto gli era parso di averla vista muoversi ma potevano anche solo essere i suoi occhi che si erano incrociati e gli stavano dando le allucinazioni.
Un improvviso Pop lo distrasse dai suoi esercizi. Karen era comparsa nel giardino di casa sua e lo stava guardando con un sopracciglio alzato. 

“Non sono sicura di voler sapere cosa stai facendo”. I shorts corti a vita alta che portava mettevano ancora più in evidenza le sue lunghe gambe snelle. Le ciocche blu che aveva sempre portato tra i capelli erano scomparse. Si era truccata piuttosto leggermente quel giorno, solo un po’ di eye-liner che aiutava a mettere ancora più in risalto i suoi grandi occhi chiari. Tra le mani teneva una giacca scura. 

“Nulla di che. Solo degli esperimenti”, rispose Harry alzandosi in piedi. “Che ci fai qui?” 

“Sono venuta a chiederti una cosa”. 

“Dimmi”. 

Il ragazzo la fece accomodare al tavolo sotto al portico. 

“Ho deciso che voglio incontrare mio padre”.

Harry aprì la bocca sorpreso; aveva sperato che Kiki volesse incontrare il padre ma non aveva davvero pensato lo avrebbe fatto. 

“E mi piacerebbe che mi accompagnassi”. 

Harry si mosse inquieto sulla sedia. “Ne- ne sei sicura?” 

“Di quale parte? Incontrare mio padre o te che mi accompagni?”
“Io che ti accompagno”. 

“So solo che non voglio andarci da sola e… Tu sei il mio migliore amico e ti vorrei al mio fianco. Siamo stati insieme nel periodo più difficile”. 

Harry le sorrise annuendo. “Certo. Certo che ti accompagno”. 

“Grazie. Magari… domani? Prima che io cambi idea”. 

“Assolutamente!” 

I due rimasero in silenzio per un po’, ognuno pensando agli affari propri. “E un’altra cosa”. 

“Dimmi”. 

“Sirius è in casa?”
“No, è al lavoro. Perché?”

“Perché ho la sua giacca. Me l’ha prestata la sera del ballo e mi sono dimenticata di restituirgliela. È stato gentile”. 

Karen gli passò la giacca che ha tenuto tra le mani tutto quel tempo e Harry se l’appese al braccio. 

“Gliela restituirò, non ti preoccupare”. 

“Grazie. E a proposito, come sta?” 

“Chi?” 

“Sirius, chi se no?” 

Harry non era del tutto sicuro di capire; perché mai Kiki si interessava allo stato di salute di Sirius che comunque ha visto sì e no in un paio di occasioni? Ma rispose ugualmente: 

“Sta bene”. 

“Okay”. 

Karen avrebbe voluto che aggiungesse qualcos’altro, tipo che cosa faceva quando non era al lavoro, se si vedeva con qualcuno… soprattutto se si vedeva con qualcuno, e sperava che non fosse così. Per la barba di Merlino, perché si stava ossessionando con un uomo che aveva il doppio dei suoi anni ed era per giunta il padrino di Harry? Era assurdo ma non riusciva a togliersi il suo viso, i suoi occhi, le sue labbra dalla testa. 

“Sei venuta qui solo per questo?” le chiese Harry, ora più curioso che altro. 

“Ehi, anche io sono felice di vederti!” lo prese in giro l’amico. 

Harry rise. “Dai, lo sai che intendo”. 

“Tranquillo. Volevo chiederti questa cosa di mio padre in persona. E riportare la giacca. Salutami la tua famiglia”.

“Sarà fatto. A domani, Kiki”. 

 

Poco prima di cena Harry era uscito per portare a spasso il cane e Sirius lo aveva seguito. Le giornate si stavano allungando e c’era una piacevole aria tiepida che rendeva la serata piuttosto piacevole, insieme alle tinte crepuscolari del sole che calava dietro l’orizzonte colorando il cielo di rosa e rosso. 

Non c’era quasi nessuno per le vie di Godric’s Hollow se non qualche passante totalmente indifferente ai due che camminavano. Quella cittadina una volta era decisamente più viva, ma con le due guerre molte persone avevano deciso di andarsene dai luoghi magici o dalla stessa Gran Bretagna. 

“Come stai, Harry?” chiese Sirius a un tratto, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni. 

“Bene”, rispose Harry, osservando il cane che trotterellava davanti a lui tenuto al guinzaglio. Aveva iniziato a intuire perché Sirius fosse venuto con lui, forse c’era pure lo zampino dei suoi genitori, ma non gli importava, anzi, doveva ammettere che gli faceva piacere che ci fosse qualcuno che si preoccupasse per lui e che non fossero Ron, Hermione o i Weasley ma una famiglia davvero sua. 

Sirius lanciò un’occhiata ai tagli sull’avambraccio sinistro del figlioccio, visibili sotto le maniche corte della maglietta. 

“Sto bene. Dico davvero”. Il ragazzo gli sorrise e l’uomo ricambiò con un ghigno. “Piuttosto, tu come stai?”

“Sto bene. È bello tornare… Alla propria vita”. 

“Immagino”. 

“È assurdo che i giornali non ne stiano parlando di più. Insomma, di voi, di me… di tutta questa situazione”. 

“Non mi dirai che ti mancano”. 

Harry rise. “No, per niente”. 

I due rimasero in silenzio per qualche altro istante, prendendo la via per il parco. Harry tirò fuori il pacchetto di sigarette e con una sola mano riuscì a estrarne una e ad accendersela con un incantesimo silenzioso. 

“Come va lo studio?” 

“Procede. Credo che Kiki ucciderà Hermione prima o poi. La sta facendo impazzire con Storia della magia”. 

“Sai, Kiki per certi aspetti mi ricorda te. O James”, fu il commento di Sirius, l’espressione ora stranamente tesa.
Harry annuì ma non commentò quella frase. “A proposito, mi ha restituito la tua giacca. È in camera mia, dopo te la do”. 

Sirius si era scordato della giacca. “Grazie. Quando siete diventati amici tu e lei? Durante la guerra?” 

“No, dopo”, fu la risposta pronta di Harry. Fece per aggiungere altro ma poi esitò, titubante se rivelare tutto. “Lei… È stata lì quando ne ho avuto bisogno. Non che Ron o Hermione non potessero esserci, ma loro mi conoscono da troppo tempo e… Insomma, non era di loro due che avevo bisogno, non col modo di fare che hanno. Sai, la fissazione di Hermione nel cercare di risolvere ogni cosa e l’insistenza di Ron. Karen stava con me e basta, mi lasciava fare senza farmi la lezioncina”. 

“Capisco”. 

“E poi…”. Harry sospirò. Non era sicuro se fosse una buona idea raccontare proprio tutto a Sirius, ma voleva farlo, almeno a lui, magari non a James e Lily.

Il padrino parve notare la sua titubanza perché lo esortò. 

“E poi?”

“E poi”, Harry continuò a camminare, più lentamente, senza guardare l’altro, inspirando dalla sigaretta. “Una sera, poco tempo prima che voi tornaste… ero sulla Torre di Astronomia, ubriaco… Stavo male, era stato credo il momento in cui ho raggiunto l’apice del mio malessere. Io… Ho scavalcato il balcone. Ero abbastanza sicuro di volermi buttare di sotto”. 

Sirius accanto a lui ebbe un fremito ed Harry era quasi certo che la sua espressione fosse sconvolta, occhi e bocca spalancati, ma non osò controllare. “Kiki è arrivata e… Mi ha convinto a non farlo. È rimasta con me, abbiamo parlato e… Niente. Non so se mi sarei davvero buttato di sotto se lei non fosse venuta, non so… Insomma, non voglio ripensarci”. 

Sirius si bloccò afferrando con forza il braccio di Harry e tirandolo per far voltare il ragazzo verso di sé. Aveva un’espressione scura dipinta in volto. 

“Harry…”.

“Non devi preoccuparti. Ora sto bene. Non lo rifarò più”. 

“Harry…”, ripetè Sirius. Harry giurò che stava cercando di trattenere le lacrime. L’uomo non disse altro ma tirò Harry verso di sé e lo strinse in un abbraccio forte, il più forte che gli avesse mai dato. Felpato si girò nella loro direzione e li guardò incuriosito quando il guinzaglio cadde dalle mani di Harry. 

“Promettimi che semmai vorrai rifare una cosa del genere mi cercherai. Ti prego”. 

“Te lo prometto”, si affretto a dire Harry. Il suo lato egoistico era contento di aver condiviso quell’informazione con Sirius, ma d’altra parte gli dispiaceva avergli addossato il peso di quella consapevolezza.

Solo dopo diversi istanti Sirius lo lasciò andare. “Non dire nulla a… mamma e papà. Per favore. Non voglio che si preoccupino”, chiese Harry guardando il padrino negli occhi. 

Sirius gli sorrise e gli spettinò leggermente i capelli. “Certo”. 

“Comunque, dovrò ringraziare Kiki quando la vedo”, aggiunse quando i due ripresero a camminare. 

“Mi ha chiesto di te, sai? Credo tu le stia simpatico”. 

“Davvero?” 

Il cuore di Sirius fece una strana capriola nel petto, la bocca si piegò in un leggerissimo sorriso di allegria senza che se ne accorgesse. Improvvisamente, aveva voglia di vederla. 

 

Karen alzò gli occhi sulla casa bianca davanti a cui lei e Harry si erano fermati con la moto. La sua mascella serrata indicava quanto fosse tesa in quel momento.
Non era una casa particolarmente grande, che potesse indicare che le persone che ci vivevano fossero ricche, ma non era nemmeno piccola. Aveva anche un bel giardino con delle rose, un paio di altalene ed era tutta bianca. Sul piano superiore c’era persino un balcone. Poteva essere una di quelle case che sognava di avere quando era piccola. Invece la sua era sempre stata disordinata e col giardino rovinato.
Harry le si affiancò dopo aver parcheggiato la moto. 

“Vuoi che venga con te?” 

La ragazza voltò il capo nella sua direzione, l’espressione indecifrabile; il cuore le batteva da morire. 

“Sì, ti prego”. 

Con calma, i due iniziarono ad avvicinarsi alla porta d’ingresso. Karen cercò di sbirciare dalle finestre ma non riusciva a intravedere nulla; c’erano le tende. 

Non aveva la minima idea di cosa aspettarsi, non sapeva nemmeno cosa voleva aspettarsi. Improvvisamente aveva iniziato a pensare che quell’idea, l’idea di incontrare suo padre, non fosse la migliore. Si sarebbe volentieri voltata indietro per scappare a gambe levate.

Ma c’era Harry accanto a lei e la sua sicurezza dava sicurezza anche a lei; Harry non era mai scappato da qualcosa, non era tipico dei Grifondoro e lei era una Grifondoro. 

Arrivarono davanti alla porta e Karen bussò quasi senza accorgersene, il pugno che tremava.

Udirono delle voci, voci particolarmente infantili, prima che qualcuno venisse ad aprire dopo diversi istanti. Una donna comparve sulla soglia, una donna dall’aspetto giovane, i capelli biondi e ondulati che le cadevano sulle spalle a incorniciare un volto perfetto, dai lineamenti morbidi. 

Sorrise ai due senza preoccuparsi troppo di ricordare il loro aspetto. 

“Vi serve qualcosa? Se vendete qualcosa non siamo interessati”. 

“No, non vendiamo nulla”, rispose Karen in tono scocciato. “Stiamo cercando una persona… M- Marcus Wilson. È in casa?” 

Il sorriso sul volto della donna scomparve per essere sostituito da un cipiglio confuso e probabilmente un po’ irritato. 

“Lo conoscete? Siete suoi colleghi?” 

“Più o meno”, fu Harry a rispondere cercando di tagliare corto quella parte. “Avremmo bisogno di parlare con lui. Ce lo chiama o ci fa entrare?” La faccia dura del ragazzo probabilmente sortì l’effetto voluto su quella donna perché li lasciò lì per andare a chiamare Marcus, senza aggiungere altro.
I due giovani sentirono parlare dentro casa, voci concitate, toni preoccupati… Poi, dopo quelli che di nuovo parvero istanti eterni - Karen aveva iniziato a sudare e quasi non respirava - un uomo comparve sulla porta. Restò appoggiato allo stipite con un braccio mentre con l’altro teneva la porta mezza aperta in modo da farci stare solo la propria figura senza far sbirciare dentro. 

“Sì? Cosa volete?” chiese in tono severo.
Karen spalancò gli occhi. Era invecchiato, certo, i suoi capelli scuri avevano assunto una colorazione sale e pepe e si era fatto anche crescere una folta barba leggermente più scura dei capelli. Ma quello era decisamente suo padre, il naso con la gobba era decisamente quello che gli ricordava anni fa, quando era piccola. 

Aprì la bocca per dire qualcosa ma restò a boccheggiare come una scema. Solo il tocco quasi impercettibile di Harry, in piedi dietro di lei, le fece riprendere coscienza. 

Marcus guardò lei e poi scrutò Harry dall’alto in basso, uno strano guizzo nell’espressione corrucciata. Si stava probabilmente chiedendo perché quei due gli stessero facendo perdere tempo. 

“Sono Karen”, esordì Karen, la voce meno ferma di quanto avesse voluto. 

Fu il turno dell’uomo di strabuzzare gli occhi e spalancare la bocca. Kiki avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stesse pensando. 

“C-Come?” 

“Karen. Tua figlia”. 

Marcus uscì fuori chiudendo la porta dietro di sé, non prima che Karen riuscisse a sentire risate di quelli che - poteva dirlo con certezza - erano bambini piccoli. 

“Karen?” ripeté lui come se non ci credesse. 

La ragazza sperava che dicesse qualcos’altro, che la abbracciasse o la invitasse in casa facendole conoscere quelle persone di cui sentiva le voci, che le presentasse quella donna e le spiegasse chi fosse perché ora aveva troppe idee e ipotesi confuse in testa e non voleva farsi strane idee. Suo padre l’aveva abbandonata da piccola, aveva abbandonato la sua famiglia, ma era comunque disposta a dargli un’altra possibilità, a sentire le sue ragioni. 

“Che ci fai qui?” fece l’uomo e Karen sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei. Rumorosamente. Come un piatto che cade. Le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi. 

“Che cosa intendi?” 

“Non dovresti essere qui. Tu… Insomma, perché sei venuta?” Il tono dell’uomo non era aggressivo ma nemmeno troppo gentile. Pareva scocciato e forse un po’ arrabbiato.

Kiki si voltò dall’altra parte chiudendo per qualche istante gli occhi, il tempo di riprendersi e trovare la forza di fronteggiarlo. Non aveva avuto aspettative, ma non aveva nemmeno voluto quel tipo di reazione.
Harry era ancora lì, vicino a lei, una presenza silenziosa ma ferma e lei quasi non lo vedeva.

“Certo!” esclamò quando tornò a fronteggiarlo. “Certo! Perché sono venuta per rovinare la tua bella vita con… Con chi? La tua nuova famiglia? Immagino che tu e quella donna stiate insieme e che quelli che sento ridere siano i tuoi figli. Quindi ti sei fatto una nuova famiglia”. Fece una pausa. “Speravo… Non lo so cosa speravo. Forse che ti fossi pentito o qualcosa di simile. Ma adesso capisco che non eri tu il problema, ma noi. Almeno per te. Perché non sei uno di quelli che scappa dalle responsabilità. Scappi solo dalle cose che non ti piacciono”. 

Marcus cercò di dire qualcosa, ma si interruppe di colpo esalando solo un mormorio patetico. 

“Allora sarai felice di sapere che Daniel e la mamma sono morti”. 

Tutta l’ansia e la paura che aveva provato prima ora si erano trasformate in rabbia. E le piaceva, era la sensazione che non la faceva sentire debole. Non voleva mostrarsi debole di fronte a lui. 

“Ora non hai più fantasmi da temere che possano perseguitarti. Goditi la tua nuova famiglia”.

Karen cominciò ad allontanarsi dalla casa e dal padre senza voltarsi indietro. Harry fece per seguirla, ma lui si fermò e guardò l’uomo con occhi pieni di giudizio, ricambiato da uno sguardo vagamente spaventato. Infine, rincorse l’amica e insieme tornarono alla moto. 

 

Karen ed Harry erano ritornati a casa di quest’ultimo e la ragazza, in completo silenzio, si era seduta al tavolo della cucina vuota. Aveva lasciato cadere un paio di lacrime quando Harry era andato verso il frigorifero per prendere un paio di birre, ma le asciugò velocemente non appena l’amico tornò da lei per metterle davanti la sua bottiglia che aprì con uno svolazzo della bacchetta. 

Sempre in silenzio, bevvero entrambi qualche sorso. Harry si sedette sull’altra sedia accanto a lei e la guardò. La ragazza aveva ancora gli occhi umidi. 

“Ti va di parlarne?” le chiese piano Harry. 

Karen scrollò le spalle. “Non c’è molto da dire. Lo hai visto anche tu”. 

“Se vuoi possiamo creare una statua a sua immagine e riempirla di maledizioni”. 

Kiki esalò una piccola risata che la aiutò a rilassarsi e mando giù un altro paio di sorsi. 

“Mi sa che non è stata una buona idea. Non sarei dovuta andarlo a cercare”. 

“Non ne sono convinto. Saresti stata nel dubbio tutta la vita. Okay, sai che è uno stronzo ma è meglio saperlo”. 

“Forse avrei preferito restare nell’illusione”. 

Harry si strinse nelle spalle e assunse un’espressione pensierosa. “È un punto di vista che non ho mai condiviso. Io preferisco saperle le cose, per quanto brutte. Ci sono state alcune cose della mia vita che avrei di gran lunga voluto sapere prima”. 

Karen finalmente alzò lo sguardo su di lui, gli occhi dolci e un po’ malinconici. Quella sua frase nascondeva ben di più di quanto dicesse.

“Ah siete voi”, li sorprese la voce di Lily, sopraggiunta in quel momento insieme a James e Sirius.

Karen sorrise nella loro direzione ma la sua espressione ancora un po’ sconvolta non passò inosservata. 

“Che è successo?” chiese James preoccupato, avvicinandosi ai ragazzi. 

Harry abbassò lo sguardo, indeciso su cosa dire. Non voleva rivelare i segreti dell’amica. Karen sospirò. 

“Ho incontrato mio padre. Erano... dieci anni che non lo vedevo. Forse di più”. James e Sirius si sedettero al tavolo di fronte a lei, Lily si appoggiò contro il piano del lavoro. 

“Diciamo che non sembrava molto contento di vedermi. Ha abbandonato mia madre e la nostra famiglia per... farsene una nuova. Ho dei fratelli che non ha nemmeno voluto farmi conoscere. E non so quale delle due cose faccia più male”. 

Nessuno seppe cosa dire così nella stanza cadde di nuovi il silenzio, questa volta più pesante. 

“Cercarlo è stata una cosa stupida”, continuò lei. 

L’espressione di Harry si contorse; era stato lui a convincerla ad andarlo a cercare e ora non era più tanto sicuro che fosse stata una buona idea. 

“Lasciatelo dire da qualcuno che non ha avuto buoni rapporti con la propria famiglia”, si intromise Sirius guardandola con attenzione e Karen si sarebbe volentieri lasciata trascinare in quello sguardo se si fosse trovata in uno stato d’animo più gradevole. Non poté ignorare però il proprio cuore che aveva cominciato a fare le bizze, come faceva sempre quando c’era Sirius nei paraggi. 

“Non ha importanza chi ti mette al mondo. Non ha importanza quale sangue o cognome porti. E non vale la pena stare male per qualcuno che non ti vuole bene quanto dovrebbe o quanto meriteresti. Soprattutto se si tratta dei genitori. La famiglia te la puoi anche scegliere”.

Lanciò una fugace occhiata in direzione di James; lui era stato la sua famiglia per... praticamente sempre. Lui, Lily e Remus. E ora anche Harry. James ricambiò l’occhiata con una complice.

Karen gli sorrise. 

“E poi, pensa se nascevi in una di quelle famiglie ossessionate dalla purezza del sangue. Credimi, da quelle non ne esci sano”. 

Karen avrebbe voluto prendere la mano di Sirius e stringerla tra le proprie. Era lì, appoggiata sul tavolo, così vicina... le venne da chiedersi quante ne avesse passate lui. Era ben saputo, lo avevano scritto pure i giornali, che i Black erano tra le famiglie più ossessionate dalla purezza del sangue, seguaci e affiliati di Voldemort. 

“O se vuoi possiamo sempre prenderlo a pugni”, fece James cercando di buttarla sul ridere. “O affatturarlo. Magari... Felpato, ti ricordi lo scherzo dei fuochi d’artificio nel water?”

“Oh si!”

“Potremmo fare quello”.

Karen si ritrovò a ridere, ora molto più rilassata e in pace con sé stessa e, mentre Lily alzava gli occhi al cielo per le idiozie che sparava suo marito appoggiato dal suo migliore amico, la ragazza si trovò a dare ragione a Sirius: la famiglia si può scegliere e lei aveva già scelto la sua. 

 

***

 

Se Harry avesse lo spirito di osservazione di Hermione avrebbe già capito che tra Kiki e Sirius c’è qualcosa xD. 

Vabbè, spero vi siate goduti questo semplice capitolo e lasciatemi qualche commento. Non fate i timidi. 

 

Baci, 

Cactus.

   
 
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