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Autore: Duncneyforever    29/05/2019    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Achtung/ Attenzione: preciso che in questo capitolo saranno presenti, oltre alle consuete " tematiche delicate ", immagini forti e violenza. Esplicitato ciò, mi auguro che possa comunque rispettare i requisiti di sensibilità richiesta per le tematiche trattate. 

 

 

 


 

 

- È stato Schneider a ridurti così? - Tremo così tanto da far tremare anche le sue mani; mi rintano sotto il lenzuolo e mi ritiro a palla come un armadillo, cercando di tapparmi la bocca e impedirmi di urlare. Lui mi tira fuori a fatica, scoprendomi il viso bagnato. Mi tocca, ma non riesco a vederlo a causa del velo di lacrime; strizzo gli occhi, cercando di focalizzare l'immagine appannata del suo volto, i cui unici particolari distinguibili sono gli occhi, di un colore inconfondibile. 

- L'ho sentito parlare... Vuole fare una cosa orribile! - Mi lamento, con voce rotta, sapendo di non fargli alcun effetto. Reiner, invece, mi guarda, attento e i suoi occhi sono pieni di amara comprensione; mi invoglia a proseguire, afflitto da un senso d'impotenza, umana certo, ma che lui, dal canto suo, non aveva mai sperimentato. Pensando al mio bene, ricaccia il magone, tendendomi le braccia. Racconto lui ciò che ho udito dal comandante e da quel sottufficiale, non mancando di rivelare il macabro piano escogitato da Rüdiger. 

Il suo, è il volto della pietà. 

Mi crogiolo nel dolore, agonizzando al pensiero di quei molti corpi che ancora si dibattono mentre rosolano nel grasso dei loro simili. 

Il mondo è ingiusto, la vita è ingiusta, ma tutto questo non dovrebbe essere neanche lontanamente concepibile da una mente umana. 

- Ci deve essere qualcosa che puoi fare! Ti prego, fa qualcosa... In cuor tuo lo sai che questa barbaria può essere scongiurata. Mostrare pietà non è segno di debolezza. - Non credevo mi sarei abbassata a tanto e, invece, mi sono prostrata davanti ad un nazista e gli ho baciato le mani, supplicando per un'indulgenza, la quale, non consisterebbe tanto quanto nella salvezza, ma soltanto in una morte più veloce e, possibilmente, meno cruenta. Sacrifico le preghiere per una vita ormai persa e le impegno affinchè possano avere anche loro una fine dignitosa anche se, di fatto, dignitosa non lo è per nulla, trattandosi in ogni caso di un efferato omicidio di massa. 

- Piccola... - Biascica, tradendo una certa commozione, senza sottrarre il dorso delle mani dalle mie labbra. - Cosa potrei mai fare io? Lui ha il comando, sua è la direzione del campo; non accetterà mai un compromesso, specialmente se sarò io a proporglielo. - Sentendomi gemere, mi ospita sul suo grembo, permettendomi di piangere sulle braghe bianche. Passa il palmo sui miei capelli, sulle guance, sulla schiena, cercando di essere il più lieve possibile. Eppure mi sento fredda, l'intera stanza è fredda poichè mi pare d'essere già morta al pensiero di aver uguagliato la condizione di coloro che ho criticato: il loro " non posso farci niente, per cui mi rifugio nell'indifferenza " a questo punto, non è più tanto diverso dal mio: " vorrei che tutto questo finisse, ma non ne ho i mezzi ". 

Sono inutile, anzi, più che inutile sono indicibilmente egoista: subisco rispondendo con l'attacco, tuttavia, lascio subire gli altri, arrendendomi al fatto che gli eventi siano più grandi di me, quindi incontrastabili. 

- Avevi promesso, Reiner. Avevi detto che mi avresti salvata. - 

- Lo farò. - Ribatte, lasciandomi sfogare, facendomi capire che non ci sia davvero nulla che si possa fare per loro. - Un giorno la guerra sarà solo un lontano ricordo ma, fino ad allora, non posso prometterti null'altro se non amore. Un amore al di là della guerra, senza colpa, inalterato dalle mie azioni più impure. -  

- Io non li lascio bruciare. - Mi alzo di colpo e, mentre le ultime lacrime mi solcano il viso, trovo il coraggio di guardarlo fisso negli occhi, con la stessa sua fermezza; lui si colma del mio sguardo, riconoscendo gli occhi fieri della tigre in un'iride umana. 

La risposta sopraggiunge con l'unica risorsa che ha a disposizione per frenarmi: il dissenso. 

Spiega le sue motivazioni, mi esorta a considerare anche il suo punto di vista; allora quell'azzurro terso, come il cielo senza nuvole, viene sommerso dall'ira, cieca, che non vuol sentir ragioni, e mi fa ascoltare in anteprima il rumore del suo cuore ferito quando i miei occhi vacui, alla vista di quegli orrori, non riusciranno più ad esprimere l'amore che provo verso la vita e, secondo ciò che ne consegue, verso di lui. 

Il suo modo di proteggermi è nascondere la verità, camuffarla nella speranza di rendermela meno cruda; mi cosparge il bordo del bicchiere di miele, affinché la medicina amara mi appaia più dolce. 

Proprio questa rabbia impotente riesce a purificarmi, a rendermi più lucida. 

Dopo aver impiegato tutto il suo fiato nell'urlarmi contro, lui si massaggia la gola, rivolgendosi poi a me con voce pacata.

- Non è colpa tua, mi hai capito bene? Il non riuscire a salvare quei prigionieri non ti condannerà all'inferno. - Mi scuote il braccio un paio di volte, provando a farmi spiccicare parola. 

- Non per questo mi arrenderò così facilmente. - Mi privo della morbidezza delle lenzuola e mi dirigo verso la porta, venendo subito placcata da Reiner, anch'egli balzato giù dal letto. 

- Oggi non potrò starti accanto in ogni momento, perciò ti prego, ti scongiuro, non scontrarti un'altra volta con quel folle. - Mi dice, sapendo già di andare a sbattere contro un muro. - E, soprattutto, non scendere a patti con lui. Non li manterrà, si prenderà ciò che desidera e quei prigionieri moriranno comunque. Non obbligarmi ad ucciderlo, perché è quello che farò, dopo che avrà recato danno a te. - Le sue parole mi colpiscono, poiché non avevo ancora considerato la catena degli eventi che sarebbe conseguita a un atto sconsiderato di quel tipo. 

E se lo uccidesse veramente? Cosa avrei risolto... Ne verrebbe un altro al suo posto, magari dello stesso stampo. 

- Allora non andare - pigolo, stringendomi sul suo petto. 

- Ho tralasciato il mio dovere di soldato fin troppo a lungo. - Ammette, accarezzandomi la nuca. - Tornerò presto. - Si china per baciarmi, dopodiché non posso che aspettare che mi lasci sola, in balia delle mie emozioni. 

È ancora presto quando lui esce dalla stanza vestito a lutto, alchè decido di tornare a letto e, per quanto possibile, dormire nella speranza di dimenticare. 

Non riesco neppure a chiudere le palpebre, eppure soggiaccio rannicchiata in un angolo, immobile, come se davvero stessi dormendo. 

Rimiro oltre la finestra il cielo ancora azzurro, sperando di non vederlo mai annerirsi. 

Trascorso un tempo imprecisato in uno stato quasi comatoso, mi trascino al piano inferiore, cercando di rintracciare i miei amici. 

Inizio dalla cucina, sicura di trovarci Ariel che, infatti, appena riposte teiere, vassoi, tazze e tazzine, si è già rimesso all'opera, al bollitore, intanto che Ernst, il sous chef tedesco, lavora la pasta sfoglia per lui che, essendo ebreo, non ha il diritto di toccare. 

- Buongiorno, signorina. Gradite qualcosa da bere? - Avendomi notata, mi offre un bicchiere di limonata che, gentilmente, devo rifiutare. 

Ho un tappo allo stomaco, per cui non sento il bisogno nè di mangiare, nè di bere. 

- Hai visto i domestici italiani? - Mi rammarica doverne parlare con tanto distacco, purtroppo però non siamo soli e non è prudente interagire con degli ebrei. 

- No, signorina, mi dispiace. I due ragazzi non li ho visti ma, in cambio, ho visto la ragazza; mi pare che fosse nel bagno di servizio. - Me ne vado senza ringraziare, ma sono comunque certa che lui abbia saputo interpretare la gratitudine sul mio viso. 

Attraverso le varie stanze, curandomi di esaminare se ci fosse o meno qualcuno al loro interno, tuttavia, non trovandovi nessuno, sono costretta a procedere verso il bagno, confidando almeno di incontrare Naomi. Non ho ancora varcato la soglia che sento il pianto soffocato d'una donna; corro immediatamente a vedere e vi trovo la giovane piegata sul gabinetto, che tenta di rimettere infilandosi l'indice e il medio in gola. 

Sto per chiederle cos'è accaduto quando, finalmente, riesce ad espellere una sostanza semi liquida, viscosa e biancastra, prima di lasciarsi cadere per terra, sulle ginocchia. 

Mi forzo di non piangere, avendo ormai capito tutto quanto. 

Mi avvicino a lei, sentendomi moralmente obbligata ad aiutarla, oltre che compatirla. Tra i singhiozzi, le scosto i capelli dal viso e la tiro su da quella posizione penosa, facendole poggiare la schiena al muro. 

Prendo una pezza dal mobile e la bagno con dell'acqua fresca, passandogliela sulla bocca, sul collo e tra le dita delle mani, in modo che non abbia vergogna nel farsi vedere in questo stato. Ne prendo un'altra e, questa volta, gliela passo sulle tempie sudate, facendole appoggiare la testa sulla mia spalla, come a volerla proteggere, ora, che è troppo tardi. 

Lei piange a dirotto, continuando a ripetermi che non voleva, che è stato Rüdiger ad averla costretta. Rivedo me stessa, quando sembrava che niente potesse contrastare Rüdiger Schneider; soltanto una goccia di memoria, eppure riesco ancora a sentire le sue mani violare il mio corpo innocente, la sua nudità premere violentemente tra le cosce; ricordo la vergogna che provai quando Erika mi vide nuda sotto di lui e il modo quasi patetico in cui arrancai per coprirmi come meglio potevo. Mi sentii intimamente umiliata e sapere che adesso anche Naomi abbia subito gli abusi del rosso mi fa mancare l'aria.  

Una lacrima si mescola alle sue, questa volta, di orrore. 

Naomi si rifugia tra le mie braccia, chiedendo insistentemente dei suoi famigliari. 

- Mamma! Papà! - Le sue urla sono strazianti; si contorce, ripetendo il nome di Samuele, di Federico, invocando il nome di Dio. - Voglio tornare a casa - geme, ritirando le gambe e portandosi le ginocchia al petto.

- Ci tornerai, un giorno ci tornerai. - Guardo il soffitto per trattenere le lacrime, passandomi il braccio sugli occhi carichi di pianto. - Ti ha fatto qualcos'altro il colonnello? - Se Rüdiger, un ufficiale nazista, si fosse mescolato con un'ebrea, lei non vedrebbe il sole sorgere. Vacillo, atterrita, esortandola a rispondere. 

- No. - Un sospiro amaro, di certo, non di sollievo. - È uscito poco fa. - Aggiunge, con fatica, socchiudendo gli occhi gonfi. 

Ariel, dopo aver sentito le urla, si è precipitato da noi e ci guarda sconvolto, con quei suoi grandi occhi chiari. 

- Cosa? - Balbetta, vedendola semi svenuta, adagiata sul mio corpo. 

- Aiutami a portarla di là e a farla stendere sulla branda. Ha la nausea. - Naomi si regge a malapena; chissà quante volte deve aver provato prima di riuscire a rimettere... 

È molto debole.

Sono preoccupata, così come lo è Ariel. 

- Sam, Fede... - Ripete, delirando, cercando di rimettersi in piedi. 

- Vado a cercarli io. Te li porterò qui, d'accordo? Tu non ti muovere. - La afferro per le spalle, facendola distendere sul materasso sgangherato. - È stato Schneider. - 

- Lo sospettavo. - Ammette lui, sconsolato, tenendole la mano. Lei pian piano rilassa i muscoli e allenta la presa e, come il tonfo d'una pietra caduta nell'abisso più profondo, il sonno suo è silenzioso e lei non si agita più, come se davvero non percepisse più niente: laggiù non ci saranno più gli occhi malevoli di Rüdiger a tormentarla, nè sentirà più il suono della sua cinghia allentarsi e ricadere al suolo; solo la pace, prima di risvegliarsi nello stesso mondo crudele che aveva lasciato.

- Lei non finirà come Zlata... Quella povera bambina! - Il mio viso si contrae duramente ed è di nuovo necessario contenermi, per non rischiare di svegliarla.  - E dove sono tutti gli altri? Dove sono Samuele e Federico? Dov'è Isaac?! - 

- Giuro che non lo so, Sara; vorrei poterti aiutare, ma non ho visto nessuno di loro. - Replica lui, spaventato all'idea che possano essere spariti nel nulla, come Zlata e come altri prima di lei. 

Provo a mettere insieme i pezzi, ragionando razionalmente. 

Vado a parare al discorso delle fosse, non potendo far a meno di constatare che Schneider, finora, abbia fatto di tutto in suo potere per nuocere a me e a coloro a cui mi sono avvicinata. Non escludo che voglia sbarazzarsene e, se loro, malauguratamente, scoprissero quale orribile sorte li attende, verrebbero automaticamente eliminati in pochi mesi al massimo, come i membri del Sonderkommando.

Sottile il comandante, devo ammettere che la sua strategia è tanto fine quanto mostruosa. 

La manodopera extra è andato a prenderla in casa sua, guarda caso, le persone a cui sono più affezionata. 

Il figlio di puttana più pazzo e sadico di Germania: mi sta facendo conoscere un orrore indicibile, senza causa prima e senza fine, unicamente per il suo diletto. 

Barcollo davanti agli occhi attoniti di Ariel, cascando quasi in terra per il colpo. 

Porto indietro i capelli, inspirando ed espirando, emettendo una specie di singulto. 

- Vado a prenderli. - Dichiaro, iniziando a correre già dentro casa, spalancando la porta e schizzando fuori nel vialetto: non c'è anima viva nei paraggi, non potrò chiedere alcun passaggio, ma non ho tempo, non ho tempo nemmeno per pensare: devo correre, solo correre, senza fermarmi mai, almeno fino al Bunker 2. 

Non sono nata per correre; i muscoli cederanno, i polmoni collasseranno, ma devo comunque trovare il coraggio e la forza di raggiungere la meta. 

" Ne va della vita di quei ragazzi " questo è il pensiero che mi anima, che mi fa ignorare la fitta al fianco e mi fa sfrecciare ad una velocità inverosimile, oltre le mie capacità. Quando sopraggiungo davanti ai cancelli sono stremata, mi appoggio sulle ginocchia, sentendomi le tempie scoppiare, la gola totalmente secca, eppure ancora trovo la spinta per parlare e persuadere i soldati a lasciarmi entrare; tiro fuori dalla maglietta, con fatica immane, l'oggetto luminoso; riesco ad incastrarlo tra le pieghe del palmo e a mostrarglielo, tuttavia, mi scivola verso il basso, madido del mio sudore. Con il volto contratto, ripugnati dal mio aspetto e dalle gocce salate che mi percorrono le tempie, mi fanno accedere al settore BIa. 

Non so più da che parte andare, sono persa, poiché, non avendoli visti con i miei occhi, non ho idea di dove si trovino i Bunker 1 e 2. 

La mia mente era vuota, non ho pensato a niente. 

Il mio piano si sgretola, fin quando, come un miracolo, non scorgo Zohan, di guardia sul perimetro del settore femminile. Non trovo la voce per gridare ma, una volta raggiunto, mi aggrappo alla sua divisa, supplicandolo di condurmi là. Lui sgrana gli occhi, cercando di capire ed io, nella disperazione, produco un urlo strozzato, tirandolo verso di me. Lui, però, non può muoversi, tant'è che mi guarda, compassionevole, non sapendo cosa fare. 

- Aiutami, te ne prego! I miei amici sono stati integrati nel Sonderkommando! Lui li ucciderà! - 

- Procedi verso il cantiere dei Crematori 2 e 3; il Bunker 2 è esterno al campo; segui la strada, svolta verso destra, vedrai una costruzione simile ad una casa. Non puoi sbagliarti; il Sonderkommando sarà già sul posto. Va ora... Sii prudente. - Riprendo la mia corsa per la vita, riuscendo miracolosamente ad attraversare il settore BIb. 

Tra le guardie, molti ridono di me e magari mi giudicheranno pazza, ma io, ormai, benché al limite del collasso, sono irreprensibile: la sola cosa che mi è chiara, è la via che mi condurrà da Sam, Federico e Isaac. 

Alle orecchie non mi giunge che un mormorio indistinto; miro solo a riconoscere eventualmente la voce di Rüdiger o di Reiner, siccome entrambi, in modi diversi, tenterebbero di ostacolare il mio cammino. 

Uscire dal campo, per me, che non sono una prigioniera, non richiede particolare fatica: una delle due sentinelle esamina la croce di ferro e, benché di fatto mi stia dirigendo verso una zona " proibita ", nessuno dei due mi considera pericolosa, anzi, esattamente come i primi due, mi spingono all'esterno con disgusto, come se mi trovassero repellente e volessero sbarazzarsi di me al più presto. 

Seguo le indicazioni di Zohan, senza fermarmi un sol secondo, nè per riposare, nè per respirare; la mia folle ricerca non subisce una battuta d'arresto nemmeno al manifestarsi dei primi crampi, dei conati di vomito dovuti all'affanno, nè al pizzicore delle lacrime, che mi riscaldano angosciosamente il viso, slittando giù dalle palpebre come cristalli solitari di una speranza andata in frantumi. 

Se solo fossi riuscita a trovare un passaggio, avrei risparmiato tempo... 

E se fosse troppo tardi? Nemmeno la morte potrebbe paragonarsi a ciò che vivrei interiormente: tirerei avanti per inerzia; non saprei mai perdonarmi di non aver lottato per la loro vita. 

Riesco a scorgere la " capanna " adibita a Bunker e, proprio quando sono così vicina al mio obbiettivo, un conato più forte di altri mi obbliga a rigettare. Perdo l'equilibrio e mi devo reggere al tronco di una betulla per non rovinare a terra. Qui intorno devono esserci le fosse comuni e non voglio toccare il suolo oleoso, cosparso di polveri umane. 

Tossisco violentemente, trascinando i piedi traballanti verso quella direzione. Un forte colpo di tosse mi fa sentire il sapore acre del sangue sul fondo della gola e, dopo svariati chilometri di corsa, a perdifiato, senza esserne abituata, la mia più grande paura è quella di svenire ancor prima di averli tratti in salvo. 

Raccogliendo tutta la mia forza di volontà mi spingo avanti, alchè riesco ad intravedere un gruppo di persone con la divisa a righe, certamente gli uomini del Sonderkommando, attendere gli ordini di un'SS, di cui sento solo le urla. 

Mi reggo il ventre dolorante, punto in cui sento di essere trafitta da una lama appuntita, caracollando fino alla via d'accesso che conduce direttamente alla camera a gas. 

Il tedesco è ad una decina di metri; io mi riparo dietro alla parete della " casa " affinché non sia lui il primo a vedermi. 

Sono così impegnata a ricercare i miei ragazzi che mi accorgo solo in un secondo momento che un uomo mi stia guardando, in silenzio. 

Io arretro, impaurita. Lui, al contrario, torna al lavoro, insieme agli altri, come se non avesse visto nulla. 

Scorgo altri tedeschi, armati, che puntano le armi contro un gruppetto che pare essere estraneo a quel lavoro ingrato. 

Sospettando che si tratti di loro, sebbene non ne abbia la piena certezza, esco allo scoperto, camminando tra i membri dell'unità speciale, sotto lo sguardo esterrefatto delle guardie. 

- Es gab einen Fehler. / C'è stato un errore. - Mormoro, con un fil di voce. - Sie sind keine gewöhnlichen Deportierten. Sie gehören zu dem Kommandanten Von Hebel. Hier steht sein Eisernes Kreuz. / Loro non sono deportati ordinari. Appartengono al comandante Von Hebel. Qui vedete la sua croce di ferro. - I loro occhi spauriti sono puntati su di me, così anche quelli delle guardie e persino quelli degli addetti al Sonderkommando. 

Non mi reggo in piedi: sono sporca, sudata, avvilita; la mano che regge la croce è scossa da brividi di paura. 

Uno dei nazisti mostra pietà verso di me e mi dà fiducia, mentre gli altri si dimostrano sospettosi, tant'è che lo mettono in guardia, dicendo di non darmi ascolto. 

- Sie ist die Freundin des Kommandants; er selbst befahl, sie nicht zu berühren. Ich werde nicht für eure Fehler bezahlen. / È la ragazza del comandante; lui stesso ha ordinato di non toccarla. Non pagherò per i vostri errori. - Li allontana con una spinta, consegnandomeli. - Was? Wollt ihr vielleicht gehorchen? / Cosa? Volete forse disobbedire? - Li riprende costui, un sottufficiale, di grado maggiore rispetto ai colleghi presenti. 

- Wir sind spät dran... Scheiße! / Siamo in ritardo... Merda! - Sospira un altro, non prima di aver latrato contro i prigionieri, affinché rimediassero in fretta al tempo perduto. 

Non permetto loro di porsi ulteriori domande e faccio separare i miei amici dal gruppo. Tra le frasche, però, incombe una nuova minaccia, che si presenta sotto forma di camion, carichi di " musulmani ". 

Ora capisco, cosa vi fosse all'origine di quel trambusto. 

- Andate di là, non dovete guardare, per nessun motivo al mondo. Vi avevano spiegato cosa dovevate fare? - Proferire parola mi costa ancora molta fatica, ma non ho scelta. 

- No, eravamo appena stati integrati nel Kommando. - Mi risponde Isaac, seguendo le mie indicazioni e trascinandosi dietro Samuele e Federico, ammutolito a seguito di uno shock da panico. 

- Per nessun motivo. Giratevi ora. - Ripeto, seguendoli con lo sguardo.

Mi volto nuovamente verso le pire, rigida, avvolta in un conclamato terrore. 

Vorrei staccare lo sguardo da quei camion che, rapidi quanto la morte, si approssimano alle enormi voragini scavate nel terreno. 

Non un urlo, non un lamento da parte mia; una totale perdita dei sensi, un annebbiamento non dovuto alle lacrime. Non ancora, perlomeno. 

Assisto, ancora una volta impotente, intanto che la prima di quelle camionette si appresta a riversare il suo carico, umano, tra le fiamme.

Qualcuno ancora si lamenta, prova a protestare, a ribellarsi... Tutto ciò mi arriva alle orecchie come un belato di agnelli innocenti, che si rifiutano di essere sacrificati. 

Decine di corpi, ancora semoventi, vengono fatti cadere sistematicamente nella fossa, come fossero sabbia. 

Loro precipitano, andando a cozzare brutalmente contro il primo strato di corpi scheletrici, i primi a bruciare. 

Le urla sono disumane; il Sonderkommando, che normalmente aveva il compito di sistemare i cadaveri in modo tale che la fiamma non si spegnesse, si preoccupa ora di ravvivarla, aspettando che i primi corpi inizino a squagliare per raccogliere il materiale lipidico e gettarlo sul secondo strato. 

Davanti a questo macabro spettacolo i miei occhi, che dovrebbero rifiutarsi di vedere, filmano ogni più piccolo particolare e i miei piedi, che dovrebbero condurmi lontano, si incollano al suolo, negandomi la fuga. 

" Non posso guardarli bruciare ", la mia coscienza mi accusa implacabilmente, condannando la mia vigliaccheria. 

Mi getto sul bordo della fossa, scongiurando interventi esterni. 

Il districarsi di ossa, di volti smunti mi fa torcere le brudella; le loro voci, i loro gemiti angoscianti mi portano alla pazzia. Le fiamme portano verso l'alto una vampata di calore che trascina con sè l'odore orribile di carne bruciata. Quelle genti che sono divorate dal fuoco smettono di lottare, lasciandosi consumare. Il mio grido selvaggio fa volgere gli ultimi verso di me, i più vicini al margine della voragine. Qualcuno tenta disperatamente di appigliarsi alle pareti, ma la terra è morbida e si sgretola sotto le unghie, trascinandoli verso il basso. 

- Prendete! - Sporgo il braccio, tendendo la mano verso di loro. Piango come se ardesse la mia stessa carne, volgendomi addietro e minacciando chiunque si avvicini. 

- Was machst du, verdammte Idiotin! Sie ist verruckt geworden! Sie ist verruckt geworden!/ Cosa fai, maledetta stupida! È impazzita! È impazzita! - Esclama una guardia, chiamando l'attenzione delle altre. 

- Lass sie es tun, siehst du nicht, dass es nutzlos ist? Es macht Spaß! / Lasciala fare, non vedi che è inutile? È divertente! - 

- Bist du auch verruckt geworden?! Jemand muss sie holen! Holt sie da raus! / Sei impazzito pure tu?! Qualcuno vada a prenderla! Tiratela via da lì!- Sbraita un altro, probabilmente il più distante. 

- Ich verschwende keine Energie dafür. Bleib still, sie wird früher oder später aufgeben müssen. / Non spreco energia per questo. Sta' fermo, dovrà rinunciare prima o poi. - 

Mi sporgo di più, cercando di non respirare l'aria, divenuta ormai soffocante. 

- Forza! - Li incinto, guardandoli strisciare gli uni sugli altri e tendere le braccia ossute, animati dal solo istinto di sopravvivenza, mentre le fiamme divampano e li inghiottono poco a poco. 

Mi sdraio perpendicolarmente, affondando le unghie e la punta delle scarpe nella terra, guadagnando un briciolo di stabilità. Le mie lacrime bagnano la superficie grigia, intanto che un uomo, arrampicandosi sugli altri, riesce sorprendentemente a sfiorarmi i polpastrelli. 

La moralità non ha più alcuna rilevanza... Quest'uomo è riuscito a toccarmi la mano e lo tirerò su, lo proteggerò, lo farò riabilitare. 

Reclino la spalla, stendendo completamente il braccio. 

L'uomo presenta delle bruciature sugli arti, non peserà più di quaranta chili, ma la paura d'esser risucchiato nell'abisso fa brillare i suoi occhi incavati e gli conferisce la volontà di tentare, di appigliarsi a ciò che resta della sua vita con tutto il coraggio di cui dispone. 

Intorno e al di sotto di lui il caos infernale; pelle scorticata, gemiti strozzati, la morte della speranza per coloro che ribollono nel magma più orrido. 

Urlo ancora e ancora, sapendo di non poter distogliere lo sguardo; trattengo il respiro per non inalare quei vapori, giungendo quasi all'asfissia. 

L'uomo mi afferra il braccio, graffiandomi la carne. Il dolore mi fa contorcere, eppure resisto. Riesco ad afferrargli il polso: sento di poterlo sollevare; mi appello alla resistenza dei miei muscoli, alla mia determinazione, a Dio onnipotente e applico una forza, cercando di trainarlo. 

- Bachmann! Das Mädchen holt einen heraus! / Bachmann! La ragazza ne tira fuori uno! - 

- Unmöglich. Sie wird es nie schaffen. / Impossibile. Non ce la farà mai. - Risponde lo stesso di prima, con tono pacato, come se fosse a teatro e stessi mettendo in scena una tragedia greca apposta per lui. 

L'uomo resta impigliato tra le braccia e le gambe dei suoi compagni; le fiamme raggiungono anche lui, ustionano i suoi arti inferiori ed egli si agita, grida di dolore ma, nonostante tutto, non lascia la presa. 

Io mi sbilancio, perdendo uno dei miei appigli; una porzione di terreno cede e parte del mio corpo oscilla pericolosamente verso il basso. 

Non mi faccio scappare la sua mano, mentre mi spingo indietro con le anche. 

Lui sprofonda sempre più.

- Non ti lascio - mormoro, tra le lacrime, cercando di farmi forza. La colonna vertebrale, le scapole, le clavicole, persino le ossa del cranio, a causa dello sforzo, emergono dal sottile strato di pelle, facendo sembrare quel corpo straziato dall’anoressia ancora più spigoloso. 

Alzando il viso, incontro lo sguardo di un membro del Kommando, intento a raccimulare del grasso fuoriuscito dai corpi, accumulatosi in una conca creata dalla pendenza del terreno. 

Mi vede slittare e, senza dirmi nulla, mi fa intendere che debba lasciarlo cadere. Scuoto il capo, tentandole tutte per risparmiargli quella terribile fine. 

La zona è ormai avvolta dal fumo; sono costretta a coprirmi il naso e la bocca con la maglietta per non perdere i sensi. 

Un altro cedimento da parte mia e anche i crucchi si allarmano, ordinandomi di retrocedere. 

Ad un tratto, tutti loro si voltano verso la boscaglia, dalla quale Reiner salta fuori correndo all'impazzata, probabilmente avvertito da qualcuno che mi aveva vista oltrepassare il confine del campo, verso il Bunker. 

Urla a qualcuno di portarmi al sicuro, lontano dal margine della fossa, ma il più veloce si rivela essere proprio lui. 

Mi strappa via dall'uomo con una violenza brutale, finendolo con un colpo di pistola alla base del collo, tirandomi indietro prima che il suo sangue mi macchiasse il viso. 

Il prigioniero precipita in mezzo a quel groviglio di corpi inermi o agonizzanti, senza vita. 

La fede illuminista nel raziocinio cade: la ragione non trionfa sul buio dell'ignoranza; io stessa agonizzo tra le braccia di Reiner, strillando contro di lui e contro ogni altro nazista, maledicendo il giorno in cui sono sbucati fuori dal ventre delle loro madri. 

- No, no! Perché?! Perché lo hai fatto?! - Vorrei rivoltarmi, vorrei picchiarlo, ma tutto mi pare futile ora che ho preso coscienza del fatto che la malignità nell’uomo sia intrinseca e che, a discapito dei miei sforzi, non si possa curare. 

Non provo quasi più niente. 

Niente rabbia, nè odio; solo dolore di vivere. 

- Ti stava per uccidere. - Singhiozza anche lui, trattenendomi, ringraziando un Dio in cui non crede. - Era senza speranza, Sara. Non ha sofferto; non soffrirà più. - Mi dice, sostenendo le mie membra indolenzite. - È in pace adesso. Lo hai sottratto da una morte penosa. - 

Ora comprendo perché il popolo ebraico preferisca utilizzare la parola " Shoah " per definire il periodo che intercorre tra l'emanazione delle leggi razziali e la liberazione dei prigionieri sopravvissuti ai campi di lavoro, concentramento e sterminio. 

Rifiuto anche io la parola " Olocausto ", che adesso più che mai assume per me una connotazione sarcastica; un'offesa nei riguardi di coloro che sono stati brutalmente assassinati e i cui corpi sono stati prima depredati e poi ridotti in cenere. 

Olocausto, letteralmente: " sacrificio supremo, compiuto col fuoco. " 

 

 

 

 

  
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