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Autore: Emmastory    31/05/2019    6 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo X

Errori in buona fede

Era fatta. Non credevo che mi sarebbero bastate soltanto le parole, ma era fatta. Il nostro abbraccio si era sciolto da poco, e ora Lucy e Lune mi guardavano con occhi diversi. Una sempre calma e decisa, l’altra nuovamente piena di speranza, con la paura provata in precedenza ridotta in cenere. Silenziosa, anche Sunny sollevò lo sguardo per incatenarlo al mio, e mossa a compassione da quei grandi occhioni scuri, sorrisi debolmente, poi la presi in braccio. “Andiamo?” azzardò Lune, parlando lentamente e sentendo la gola pizzicare e dolere per lo sforzo. “Certo, vieni.” Le rispose Christopher, sorridendole e offrendole la mano, che la bambina afferrò con decisione e prontezza. Senza proferire parola, mi scambiai con lui un’occhiata d’intesa, e sempre tenendo in braccio Sunny, camminai. Tranquilla, Lucy mi camminava accanto, ed ergendosi sulle punte per aprire la porta della stanza, sorrise. “Eltaria.” Sussurrò, parlando più con sé stessa che con noi. “Finalmente, vero?” le dissi, ricambiando quel dolce sorriso e stringendole la mano che intanto aveva trovato posto nella mia. “Sì.” Si limitò a rispondere, quasi tardando a farlo e mostrando una concentrazione che mai avevo visto. Felice per lei, non aggiunsi altro, e muovendoci lentamente nell’autentico marasma che ancora imperversava nel corridoio, superammo ogni scatola e ogni mobile fuori posto, e una volta attraversato, quel metaforico campo minato non ci apparve più come tale. “Sono pronte.” Dissi a Isla, che calma e paziente era rimasta ad attenderci appena fuori da quella porta, con il viso in una maschera di pura tensione. Alle mie parole, questa scomparve dal suo viso, e sollevata, mi strinse in un abbraccio. Avvicinandomi, la lasciai fare, e prendendovi parte, le sfiorai la schiena con movimenti lenti e rassicuranti. “Andrà tutto per il meglio, sta tranquilla.” Aggiunsi, parlando piano per non essere udita dalle bambine, ancora ferme al fianco di Christopher e incerte sul da farsi. Ad ogni modo, il mio espediente parve non funzionare, e incuriosita, Lucy ruppe il silenzio con una domanda. “Perché vi abbracciate? Non stiamo andando via, lei verrà con noi.” Chiese, per poi completare quel pensiero con una più che giusta osservazione, sempre dettata dalla dolcezza dei suoi sette anni. “Lo so, pixie, sono solo tanto felice. Rispose semplicemente la madre, con alcune piccole lacrime negli occhi e la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. “Amica?” tentò a quel punto Lune, sorridendo. “Esatto, tesoro, perché è mia amica.” Disse ancora Isla, rispondendo alla figlia minore e scivolando nel silenzio mentre guardava dritto davanti a sé, ammirando un paesaggio che aveva già osservato infinite volte. Nella quiete del momento, anche Oberon fece il suo ingresso sulla scena, e facendo propria la felicità della moglie, l’attirò a sé regalandole un sorriso, e attimi più tardi, la porta di casa si riaprì. Insieme, camminammo per alcuni interminabili secondi, finchè fermandomi, non trovai una soluzione perfino migliore. Voltandomi verso Christopher, cercai la sua approvazione, e annuendo, lui diede il suo assenso. Conoscevo i miei poteri, e ormai avevo piena fiducia nelle mie capacità, ma ciò non toglieva che l’incanto impresso nella mia mente fosse facile, così, ad occhi chiusi, inspirai a fondo, e concentrata, strinsi il mio ciondolo in un pugno chiuso. Di lì a poco, il gioiello iniziò a brillare di luce propria, e una sorta di piccola scarica elettrica si agitò al suo interno. Uno spettacolo completamente normale agli occhi del mio amato, ma non a quelli di Isla e Oberon, né delle bambine, che entrambe a bocca aperta, non riuscirono a distogliere lo sguardo. “K-Kia?” chiamò una di loro, spaventata. “Non preoccuparti Lune. Kia sta bene, e ci porterà a casa. La rassicurò Christopher, posandole una mano sulla spalla senza staccare gli occhi da me, mentre la mia magia si ultimava e gli effetti si mostravano nel resto dei secondi a venire. Riaprendo gli occhi, restai in attesa, sperando ardentemente di essere riuscita nel mio intento. Per altri secondi, nulla, poi un caratteristico rumore di zoccoli. Colpita dalle mie stesse abilità, sobbalzai, e nel fitto della foresta, lo vidi. Xavros. Maestoso e al galoppo, e stavolta non da solo, poiché accompagnato e guidato da Aster, che tenendo salde le redini, gli stava in groppa. “Hai chiamato?” indagò la ninfa, contagiandoci tutti con la sua radiosa felicità. “Sì, scusa lo scarso preavviso, ma a quanto pare, il villaggio si espanderà ancora.” Risposi, voltandomi e mostrandole quelli che presto ne sarebbero diventati i nuovi occupanti. “Una famiglia? Splendido!” commentò lei, con la gioia sul volto e negli occhi. “Su, andiamo. Il viaggio sarà lungo, non vorrete fare tardi.” Continuò poi, agitata per qualcosa che nessuno di noi capì. Pur non comprendendo la sua fretta, Christopher ed io non attendemmo oltre, e mano nella mano, ci preparammo a salire in groppa al cavallo. Alla nostra vista, però, Aster fu lì per fermarci. “Aspettate! Siete in tanti, il povero Xavros si stancherà.” Ci fece notare, smontando solo per dare tregua all’animale e andare alla ricerca di un modo per dare davvero inizio a quel viaggio. Non proferendo parola, parve estraniarsi da noi, e guardandola potei giurare di riuscire a vedere una sorta di ombra oscurarle lo sguardo. Confusa, guardai Christopher, e privo di risposte, lui si strinse nelle spalle. “Ne so quanto te.” Parve voler dire, stranito. Ad ogni modo, quella scena si protrasse solo per pochi secondi, allo scadere dei quali, improvvisamente stanca e rabbuiata, Aster riuscì a far comparire una carrozza fatta di legno d’albero, erba e foglie, e scusandosi con lo sguardo per quanto era successo e avevamo visto, lasciò cadere l’argomento con sdegno. “Bene, ora possiamo andare.” Si limitò a dire, per poi riprendere posto in groppa a Xavros e afferrare di nuovo le redini. Incerte, le bambine salirono in carrozza con l’aiuto dei genitori, mentre io mi appoggiai a Christopher, prendendo tranquillamente posto al suo fianco. Pochi istanti dopo, il sentiero a noi dinanzi scivolò via con ogni passo dell’unicorno, e in silenzio, con la mano stretta in quella di Christopher e gli occhi persi altrove ad ammirare il bosco che lentamente scompariva, non vidi altro che il verde, le piante e alcuni animali, che forse intristiti all’idea di vedermi andar via e perdere un’amica, sollevarono le zampe come per salutarmi. Ferma, una coppia di cervi branì intonando un addio, e con loro uno stormo d’uccelli proprio sopra le nostre teste. Con lo sguardo volto al cielo, salutai con la mano, e presa ancora una volta dai ricordi, dovetti chiudere gli occhi per non piangere. Stavolta non toccava a me, a trasferirsi era la famiglia della mia dolce amichetta Lucy, ma nonostante i due mesi quasi giunti al termine, ricordavo ancora la moltitudine di sentimenti provati durante il mio primo vero viaggio ad Eltaria. Come membri di un gruppo unito e compatto, ora lasciavamo Primedia per tornarvi, e con il ritmico suono degli zoccoli di Xavros a donarmi tranquillità, una vista in lontananza risvegliò i miei sopiti nervi. La mia casa. La mia vecchia casa, ancora abitata da mia madre e mia sorella, sembrava vuota. Sì, vuota. Le luci spente, le tende tirate fino a coprire le finestre e impedire l’accesso della luce, in una parola, desolata. Che era successo? Perché non erano lì per salutarmi? E soprattutto, dov’erano ora? Domande che si aggirarono nella mia mente furtive come ladre, e alle quali, anche guardando Christopher alla ricerca di risposte, non riuscii a rispondere. Il mondo cambiava in fretta, ed era vero, ma cosa stava succedendo? Perché mi sentivo così felice e allo stesso tempo così piena di dubbi? Sarebbero mai scomparsi del tutto? Cosa ci attendeva? Non lo sapevo, ma con lo scorrere del tempo e lo scurirsi del cielo che si preparava a tingersi di nero, non ebbi che paura. Stretta fra le braccia del mio amato, tentai con tutte le forze di scacciare i brutti pensieri, e sfiorandogli senza volerlo il petto, avvertii per l’ennesima volta quella stranissima sensazione, come di corrente elettrica intenta a serpeggiarmi fra le dita. “Va tutto bene? Stai bene?” mi chiese in un sussurro, abbassando il tono di voce per non farsi udire che da me. Guardandolo negli occhi, annuii a fatica, e cedendo ad una nuova tentazione imposta dai miei sentimenti, non esitai a baciarlo, non dando alcun peso alla presenza dei nostri due amici seduti proprio lì accanto, né a quella delle loro due figlie, ormai entrambe prossime al sonno. Unicamente concentrato su di me, anche Christopher prese parte a quel bacio, e stringendomi a lui in un abbraccio in tutto simile ad un porto sicuro, fui decisa ad abbandonarmi a quell’istante, lasciando che il mio cuore e la mia mente ottenebrati d’amore facessero il resto. Il pensiero di esagerare e spingermi troppo oltre date le due metà del mio cuore era sempre presente, ma non mi importava, e ignorando fastidio e dolore, dimenticai per un attimo ogni cupo scenario formatosi nella mia mente. Il tempo passava e stava passando, certo, ma nonostante tutto non avevo dimenticato la signora Vaughn e sua figlia Marisa, che peraltro non vedevo da tempo, ed era allora che le mie paure diventavano ansie. Stavano forse cercando di aiutarmi o mandarmi dei segnali? Incerta e spaventata, mi imposi di non pensarci, e quando quel meraviglioso bacio ebbe fine, mi rifugiai per il resto del tempo fra le braccia di Christopher, e addormentandomi, scivolai in un’incoscienza fortunatamente priva d’eventi. Il sole ci sorprese entrambi soltanto la mattina dopo, e con la presenza in cielo del dorato sole, forse agevolata dalla confusione del mio risveglio, una voce si fece spazio nella mia testa. “Non durerà. Vuoi salvarti e salvarli, ma non durerà.” Disse, per poi tacere e svanire così com’era arrivata. Sussultando, scossi la testa, e sperando che Christopher non mi notasse, tacqui quell’orribile scoperta. Le voci erano tornate con un’oscura promessa, e non appena scesi dalla carrozza di Aster, tremante e provata, rischiai di cadere. Per mia fortuna, Christopher e Isla furono lì per sorreggermi, e ritrovando l’equilibrio, respirai a fondo, pronta a varcare di nuovo le porte di Eltaria e immergermi nel mondo che stavo lentamente imparando ad amare. Emozionate come non mai, Lucy e Lune si guardavano intorno con mille stelle negli occhi, e sentendosi importante in quel luogo di fate e creature magiche, la seconda provò perfino a spiegare le ali e volare, riuscendoci solo per pochi secondi e rovinando poi fra l’erba. Preoccupati i genitori si precipitarono per aiutarla, sollevati nel vederla rialzarsi da sola e poi scoppiare a ridere a crepapelle. Divertita, risi a mia volta, e come me anche Christopher, che camminando, mi chiese mutamente di seguirlo. Annuendo, iniziai a camminare al suo fianco, e in lontananza, proprio sotto le colorate lanterne che avevano segnalato il mio arrivo in questi boschi, una figura mai vista. Forse un’altra umana, o forse una fata anziana, che comunque, anche sforzandomi, non riuscii a riconoscere. Spostando lo sguardo, mi concentrai sul mio cammino, ma la sua voce, forte e decisa, ci colse impreparati. “Voi!” gridò, con la rabbia in corpo e l’occhio invelenito. Atterriti, Christopher ed io ci avvicinammo, e rimasti in disparte, Isla e Oberon non osarono interferire. A quella donna loro non interessavano, e a quanto sembrava, ci aveva trovato e scelto. Non sapevo ancora per cosa, ma l’avrei scoperto presto, e lenta e silenziosa, Aster si unì a noi, restando però a debita distanza da quella che  probabilmente riconobbe come sua simile. Voltandomi, la pregai mutamente di arretrare, ma testarda, lei non mi diede ascolto. Ad ogni modo, dopo altro camminare fummo al suo cospetto, e guardandoci con occhi di ghiaccio, la sconosciuta parlò ancora. “Chi siete? I vostri nomi, subito.” Ordinò, secca. “Kaleia.” Risposi soltanto, trascinando l’unica parola che sapevo facesse parte della mia identità di essere umano oltre che magico. “E tu, ragazzo?” chiese poi, rivolta al mio amato ancora ridotto al mutismo. “Christopher.” Disse, senza la più pallida ombra di esitazione nella voce. “Bene. Fata e umano, giusto?” continuò la donna, indagando e scrutandoci con quegli occhi color dell’avorio resi freddi e glaciali dalla rabbia che intanto continuava a scagliarci contro. “G-Giusto.” Biascicai, iniziando inconsciamente a tremare come la voce che aveva faticato a uscirmi dalla bocca. Stranamente soddisfatta, la donna scivolò nel silenzio, e dopo attimi di quiete tale da rendermi sorda, una piccola voce si levò nell’aria. Mi voltai. Lucy. Sfuggita ai suoi genitori, aveva raggiunto me e Christopher, e con i pugni chiusi e un’aura di rossa rabbia attorno al corpo, lottò per prendere la parola e non piangere davanti a quell’adulta per lei così minacciosa. “No! No, non è vero! Loro sono miei amici, e si amano! Sei cattiva con loro, cattiva! Come ti permetti? Sono marito e moglie! Fata e protettore!” un urlo chiaro e forte, che in quel mattino appena accennato parve impietrire e sconvolgere l’intera foresta. In risposta, alcuni uccelli spiccarono il volo, il leggero vento tacque di colpo, e il freddo mi frustò la schiena. Mortificata, non seppi cosa dire, e balbettando scuse che in realtà non trovai, quasi scoppiai a piangere. Dando le spalle al mio Christopher, scappai via da lui e dal resto dei miei amici, troppo addolorata per affrontare quella realtà. Non potevo crederci. Eravamo riusciti a nascondere quel segreto e mantenerlo tale così da vivere serenamente, e in un solo istante, era tutto finito. Ora anche Eltaria conosceva il mio peccato, e vivere mi sarebbe stato impossibile. Forse quella donna mi avrebbe perdonata, o forse il mio amato ed io avremmo dovuto ritirarci altrove e tornare al nostro punto di partenza, e seppur con il sangue in fiamme per la collera, non riuscii a dare la colpa alla povera Lucy. Giovanissima e innocente, aveva alzato la voce per dar vita a un’opinione, che per quanto vera e nobile potesse essere, agli occhi degli abitanti suonava come un abominio o una grave e orribile colpa. Voltandomi ancora, rimirai i miei passi, e con le lacrime agli occhi mentre incontravo i suoi, lasciai che il mio cammino diventasse corsa, sperando invano che fuggire mi rendesse libera da me stessa, dal mio amore, da una pixie e dai suoi errori in buona fede.





Un buon pomeriggio ai miei cari lettori. A tutti voi il capitolo che stando alla mia tabella di marcia avrebbe dovuto essere online ieri, ma che ha visto la luce solo oggi. Mi scuso, ma non sono riuscita a fare di meglio, e prima di andare, ci tengo a informarvi che le prossime pubblicazioni saranno "sparse" diciamo così, per motivi da me indipendenti. Dopotutto, l'istruzione viene prima, vero? Comunque sia, grazie ad ognuno di voi per tutto il vostro supporto,


Emmastory :)
 
   
 
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