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Autore: LeanhaunSidhe    02/06/2019    11 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Alla fine della fiera, il banchetto c'era stato davvero. Imuen aveva fissato sconsolato la miriade di forchette che costellavano il piatto davanti a cui l'avevano fatto accomodare. Era certo, nelle ere passate, di aver rivelato ad Athena che la loro dieta non fosse propriamente simile a quella umana.

Che mangiavano solo roba cruda appena dopo averla uccisa e non tutti tra loro avevano bene idea di cosa potesse essere un piatto. Si consolò, convinto che il gemello si trovasse sulla sua stessa barca. Quando lo vide, invece, usare le posate disinvolto, sciolto nello scegliere quella adatta tra le sedici in base alla pietanza, ebbe quasi voglia di prenderlo a sberle.

"Dove accidenti hai imparato?"

Serafico, gli era stato risposto che mentre lui aveva scelto un'ancella, senza offese per la sua donna, lui aveva gusti più sofisticati. Imuen intuì che erano vere le voci per cui quel bastardo del suo gemello ogni tanto facesse visita a qualche nobile ben disposta di Asgard e gli era bastato per apprendere. Si girò verso Zalaia, che evidentemente era stato educato a dovere da sua madre. Seleina doveva saper mangiare in quel modo assurdo per forza, vista la sua infanzia. Brunilde, Gona e Tabe erano un'altra storia. La valchiria copiava tranquilla tutti i gesti dell'amica che, a rapidi cenni, cercando di non farsi intendere dagli nessuno tra i commensali, le indicava esattamente cosa, come e quando prenderlo. Gli altri due era già tanto se non avevano buttato le forchette in terra per mangiare con le mani. Tra loro, Seleina si rifiutava categoricamente di consumare cibi crudi, se non costretta, e Zalaia, abituato alla città per via delle lezioni universitarie, qualcosa che gli facesse meno schifo del cibo umano, certo l'aveva trovato. Per sua moglie faceva sempre servire cibo umano di un certo pregio ma lui, di provare le loro pietanze, faceva volentieri a meno. Sospirò e bevve. A quel banchetto giravano pochi alcolici. Gli odori, in quell'ambiente così stretto e ricco di persone, iniziavano ad essere fastidiosi, per non parlare dei rumori. Tamburellò le dita sul tavolo, desideroso che quella pantomima terminasse in fretta. Se non altro, dopo vegetali di vario genere a cui in vita sua non si sarebbe mai avvicinato, Atena, appositamente per loro, aveva fatto servire portate di carne molto abbondanti e molto poco cotte. Non erano appena cacciati ma di certo erano più gradevoli dei cibi che i cavalieri e gli altri umani stanno finendo nei loro piatti.

Imuen centellinava i secondi che lo separavano dal dolce come se fossero ore. Aveva iniziato a battere il piede a terra ed Athena pensò che si stesse annoiando. Propose quindi della musica per intrattenerlo e lui avrebbe voluto letteralmente sbattere la testa contro al muro. Si girò verso il gemello, come ad implorare il suo aiuto ed il bastardo, invece di trovare delle belle parole, come era stato in grado durante il sunagein, se ne uscì con la strabiliante idea che Zalaia avrebbe potuto suonare per loro, visto che era anche uno dei musici più capaci.

Il ragazzo, sconcertato, raggiungeva il centro della sala, facendo sparire l'armatura e materializzando il violino. Aveva schioccato le dita nella solita maniera elegante con cui caratterizzava ogni sua esibizione e scelse la musica che gli sembrava più classica e delicata, tra quelle che conoscesse. Le note plasmate dalle sue dita, come al solito, erano sublimi. In un ambiente così ristretto, però, avrebbero dovuto rimbombare come boati agli orecchi dei Dunedain, che amavano si quei suoni, ma in locali più ampi e con meno persone. Li in mezzo sarebbe stato come avere petardi a due centimentri dai timpani. Haldir, non ancora soddisfatto, rincarò pure la dose, ordinando addirittura a Brunilde di cantare. Imuen iniziava ad essere davvero stufo. Non riusciva a capire come gli altri suoi simili riuscissero a sopportare quello strazio di baccano ed odori. Poi, si accorse che tutti si erano passati una boccetta con la mistura che i ragazzi usavano per inibire olfatto ed udito, se dovevano esercitarsi nelle tecniche speciali. Haldir, tranquillo, girò il flacone senza tappo, mostrandoglielo vuoto, sorridendogli, prendendolo apertamente per i fondelli. Era il suo modo di ringraziarlo per averlo lasciato solo, in tutti quei secoli. Imuen incassò il colpo, comprendendo. Dopotutto, se la sarebbe cavata solo con un forte mal di testa. Conoscendo Haldir ed il suo destro, gli andava davvero di lusso.

 

Non appena fu certa che i suoi compagni avevano più o meno chiaro come usare le posate, Seleina, col cuore in gola, percorse con lo sguardo l'intera stanza. La sostanza che inibiva l'olfatto la obbligava a servirsi solo della vista e non riusciva a trovare suo padre. Non appena lo localizzò, al fianco di quello che aveva intravisto tempo prima ad Asgard e conosciuto come Acquarius, lo raggiunse. Non aveva molto da dire ai cavalieri. Desiderava solo chiarirsi definitivamente con suo padre.

Da parte sua, Cristal l'aveva individuata immediatamente ma non si era mostrato. Non sapeva bene come l'avrebbero presa i suoi attuali compagni e averla vista serena ed in salute, era per lui più che sufficiente. Certo, non gli piaceva rendersi conto dei pericoli che avrebbe corso, se Haldir l'aveva messa tra i suoi allievi. Ma era una situazione su cui non aveva potere. Quando ne udì però la voce, chiamarlo bassa nadecisa, si girò di scatto. Si alzò e l'abbracciò forte. Non riusciva ancora a credere che fosse diventata così alta e robusta. Ora, la superava di pochi centimetri in altezza, mentre prima, quando sua figlia stava per svenire, gli poggiava la testa sul braccio ed arrivava a malapena alla spalla. Seleina, certo non era più la ragazzina che aveva lasciato. Cristal le pose le mani ai lati del viso e specchiò gli occhi in quelli di sua figlia che, nonostante tutto, non erano affatto cambiati.

"Quante volte mi hai rimproverato che dovevo imbracciare le armi contro il male dilagava ad Asgard, che se avessi potuto l'avresti fatto da sola?"

Nonostante tutto, anche se ad Asgard le avrebbero rimproverato come un disonore aver seguito quella razza, in sua figlia, lui tutto vedeva meno che quello.

"Sei nella loro guardia ora?"

Kiki gli aveva detto che Seleina aveva raggiunto il settimo senso. Cristal ne era orgoglioso, anche se non era da lui che avrebbe imparato a difendersi. Seleina non aveva colto il senso profondo della domanda di suo padre.

"No. Mi ci alleno solo."

Aveva impugnato la spada e Cristal aveva scorso tantissime cicatrici, su una pelle prima intatta.

"Sto migliorando."

Il cavaliere del Cigno avrebbe sempre distrutto volentieri Haldir, ma una cosa doveva riconoscerla. Era grazie a lui che sua figlia era in salute e poteva provare a realizzare il suo desiderio.

L'altra persona che Seleina voleva vedere era seduta poco più in là, allo stesso tavolo. Si portò le mani alla bocca che quasi non riusciva a crederci. Kiki aveva spalancato le braccia ad accoglierla e gli era volata letteralmente addosso. Non poteva farle fare un paio di giri in aria come quando era bambina, ma la voglia c'era tutta.

"Cavaliere d'Argento? Tu?"

Incerta, aveva toccato lo stemma sul pettorale, non capendo bene la costellazione.

"Altare?"

"Pare che sia già appartenuta ad uno della mia terra."

Kiki si era passato la mano tra i capelli, vagamente in imbarazzo.

"Così non litigherai con Mu per l'armatura d'Oro!"

Kiki le aveva offerto una sedia vicino a sè e lei l'aveva occupata senza nemmeno pensarci, sedendosi scomposta, appoggiando le mani e la testa sopra lo schienale, in una posa che assomigliava a quella di una bambina e poco a quella di una principessa.

"Litigare? Io e Mu? Due paladini della dea Athena?"

Dondolava una gamba e ridevano insieme, quando già qualche ancella iniziava ad invidiarla per quella confidenza con un cavaliere di alto rango, senza che lei ci prestasse troppo caso. Non era la prima volta.

"Due? Uno e mezzo."

Fu Kiki che trascinò in mezzo suo fratello, con la scusa che dovesse smentire un'accusa infamante nei suoi confronti. Perchè se lo difendeva il suo maestro e mentore, la parola di chiunque altro sarebbe stata vana.

Mu non partecipava volentieri a lazzi con persone che non conosceva ma l'ilarità di Kiki e la naturalezza con cui l'altra lo ricambiava, stavano sciogliendo in lui ogni riserva. Un po' perchè gli erano mancati davvero tantissimo i momenti spensierati con suo fratello, un po' perchè iniziava ad averne voglia, si lasciò coinvolgere dall'entusiasmo degli altri due. Tanto che ci passò volentieri mezza serata.

 

 

 

La visita al Grande Tempio aveva smosso correnti silenziose anche all'interno dei Dunedain. Seleina aveva iniziato ad allenarsi coi due spadaccini di Haldir, Brunilde aveva preso una pausa dagli allenamenti con l'ascia per documentarsi su testi alchemici che non si sapeva dove avesse reperito ed in che modo avrebbero potuto rivelarsi utili in quel frangente. Zalaia, dal canto suo, continuava a disciplinare gli allievi più giovani e tenersi attivo lui stesso. Vedeva il suo signore inquieto, più del solito. Se ripensava al gemello del suo signore, invece, non poteva fare a meno di notare un cambiamento potente ma inarrestabile che lo stava modificando profondamente, per quel poco che avesse avuto modo di sentire e conoscere su di lui. Anche al suagein, immaginava che a parlare sarebbe stato soprattutto sire Imuen, invece sire Haldir era stato travolgente, per certi versi. Aveva visto chiaramente lo sconcerto di diversi tra i cavalieri d'oro. Che la promessa della testa di Ade fosse un dono allettante, per gente che vive ogni attimo della propria esistenza solo per opporsi a quella divinità? Sua madre gli aveva raccontato qualcosa in proposito ma lui non si era mai curato di capire davvero a fondo. Gli ripeteva che, mentre un Dunedain ha scelta, fino a che non decida come tracciare la sua strada, per i cavalieri di Atena era diverso, loro erano destinati dalle stelle e non c'era assolutamente modo di scampare a quella cosa. Forse era per quel motivo che vivevano arroccati nella loro torre d'avorio, avulsi dal pulsare del mondo. Come se avessero dovuto tenersi lontani dalla tentezione di poter decidere della propria vita. Forse, incosciamente, cercava di giustificare quella carogna di suo padre, perchè è sempre comodo l'alibi che si è costretti ed in guerra non ci si può basare sul libero arbitrio. Peccato che lui fosse nato per desiderio di una scelta, di suo madre di farlo nascere, del suo signore di crescerlo qualc suo erede, suo di sfruttare il potere che aveva ricevuto in dono, per allenarsi e metterlo a servizio della sua gente. Aveva sbuffato. Non riusciva a giustificare suo padre e quella gente. Lui era la prova vivente della forza inarrestabile di una scelta voluta con tutti se stessi. Arrendersi ad un destino designato? Troppo comodo.

Si liberò del mantello ed attirò l'attenzione degli spadaccini di Haldir. Come si aspettava, da nessuno dei due ottenne parola. Gli chiese comunque se poteva allenarsi con loro nel corpo a corpo. Era troppo che non si misurava con un avversario degno e francamente si era un po' stancato di lottare solo con sire Imuen. Come si aspettava, stavano insegnando a Seleina una tecnica precisa mostrandola direttamente. Difficile per loro riappropriarsi delle parole. Quella mattina Zalaia non la degnò di uno sguardo. Aveva bisogno di adrenalina, per schiarirsi i pensieri. Quale modo migliore che menare le mani con uno della vecchia guardia? Quello leggermente più alto, gli sorrise e si fece incontro. Espressione ben diversa di quella che aveva con i cuccioli o Seleina. Quando guardava lui, riconosceva infatti un suo pari, qualcuno di pericoloso. Si indicò gli occhi, come a chiedere se avrebbero dovuto usare anche i loro poteri di Dunedain o solo forza ed armi. Zalaia negò, gettò la falce sul bordo dell'arena e si tolse la parte superiore dell'uniforme, facendo schioccare le dita. Gona annuì, serio, aveva compreso. Sciolse la cinta che teneva in vita e ripose con cura le spade che si portava sempre appresso, nella polvere, al fianco della falce del suo avversario. Aveva iniziato a precederlo al centro dell'arena. Poi si era voltato, silenzioso, in attesa. I capelli, ricci, pieni di nodi, nascosero per un attimo gli zigomi pronunciati. Schioccò le dita anche lui, leggermente piegato in avanti,

Come si immaginava, cercare anche solo di sfiorare Gona si stava rivelando quasi impossibile. Era veloce come lui ma imprevedibile, anticipare le sue mosse pressochè impossibile. Quando sembrava che stesse per scattare in una direzione, che l'evoluzione naturale ed instintiva di una tecnica avrebbe dovuto essere quella, ecco che quello scartava nella direzione opposta, o faceva un passo indietro o si bloccava di scatto, strappandogli qualche imprecazione. Gona giocava e studiava.

Non parlava ma, pure senza usare i suoi poteri di figlio di Haldir, entrava nella sua mente, nei suoi piedi, nelle sue dita. Lo sfuggiva come il ballerino evita il passo di danza scomodo e coinvolge lo spettatore nei movimenti che più gli aggrada. Pian piano, lo spadaccino smise di schivare, allungò il braccio per colpirgli il viso ed il graffio del suo artiglio gli segnò la guancia. Ormai lo aveva analizzato a sufficienza. Aveva imparato il suo stile ed immaginava bene come metterlo in difficoltà. Gona spostava veloce il peso da un piede all'altro, pur restando sul posto. Zalaia non aveva dubbi che, presto, gli si sarebbe scaraventato addosso. Una frazione di secondo dopo, scansò il suo attacco diretto quasi per miracolo. Il suo oppontente era formidabile, ben più di quanto si potesse immaginare dal fisico asciutto. Zalaia ne osservò i muscoli tesi mentre le loro dita si incrociavano e provavano a ferirsi a vicenda. Aveva puintato i piedi a terra ma presto si ritrovò comunque a perdere terreno: l'altro lo stava letteralmente spingendo fuori dall'arena. Poi però doveva essersi stancato. Gli assestò all'improvviso un calcio allo stomaco, facendolo volare fuori dal quadrato che designava il perimetro da combattimento. Quando fu fuori, il rosso si vergognò di se stesso. Erano anni che non faceva una figura barbina come quella. Un altro maschio si sarebbe avvicinato per deriderlo. Gona, invece, gli allungò la mano, amichevole, tirandolo verso di sè, nuovamente sul campo. Lo avrebbe lasciato andare solo dopo mezzo pomeriggio, quando sarebbe riuscito ad assestargli un pugno al mento, guadagnandosi anche agli occhi di tutti il rispetto che quel figlio di Haldir gli aveva riconosciuto prima ancora di metterlo alla prova.

L'allievo di Imuen aveva provato a chiedere al suo maestro se era quel guerriero formidabile o lui stesso che si era rammollito.

Nei giorni seguenti, Imuen aveva notato il malumore non proprio velato di Zalaia. La sconfitta iniziale contro Gona non poteva certo esserne il motivo. Non aveva tirato su un guerriero così immaturo. Conoscendolo, però, sapeva di dovergli un modo per menar le mani contro chi avrebbe voluto. Del resto, lui stesso si era già misurato contro quel cavaliere. Sapeva benissimo del risentimento che l'allievo aveva verso suo padre. L'aveva sperimentato esacerbare negli anni, nella solitudine auto imposta di Mnemosine, e nell'impotenza di suo figlio di lenirla del tutto. Quel ragazzo era venuto su con la certezza che fosse solo colpa di Cancer. Non l'avrebbe mai convinto del contrario. Sospirando, che tanto al Santuario di Atene avrebbero dovuto presto tornarci, propose al fratello di recarcisi per primo, da solo, in modo che lui potesse preparare a dovere anche la recluta più inesperta. La verità era che voleva ridurre al minimo gli spettatori di quella che sapeva sarebbe stata una sfida plateale. Perchè Zalaia, appena entrato nel santuario, avrebbe preteso di misurarsi contro qualcuno e non sarebbe bastato, una seconda volta, l'ordine di star fermo impartito dal suo signore. O meglio, sarebbe stato sufficiente, ma si sarebbe anche trattato di una cattiveria inutile. Avvertì Athena con un semplice messaggio telepatico: di tanti fronzoli non c'era più bisogno. Si sarebbe presentato con Zalaia la mattina seguente, direttamente all'arena del santuario, per aiutare i cavalieri d'oro a prepararsi contro i perduti, anche se, in realtà, le sue tecniche erano diverse da quelle dei figli di Haldir. Non appena comunicò la cosa al suo allievo, lo vide sorridere in maniera che, addirittura per lui, si sarebbe potuta definire sinistra, mentre accarezzava la parte tagliente della propria arma, che brillava come una falce dell'astro lunare nel cielo scuro.

"Converrai, però, di non dover uccidere nessuno. Siamo troppo pochi per permettercelo."

Iniziò a dire, un po' per celia poi come un ordine, per comunicargli i limiti entro cui scatenare la sua furia. Dal momento che non cambiava faccia, intuì che non era affatto riuscito a convincerlo.

"Poi non credo che Seleina apprezzerebbe il fatto che tu faccia fuori uno dei cavalieri che è tornato in vita a prezzo del suo sangue."

Come sperava, la carta del malumore di quella recluta sembrò ristabilire un po' la calma. Imuen ringraziò il minuto in cui si era accorto di quell'infatuazione, che altrimenti avrebbe avuto vita ben più difficile a tener a bada quello scriteriato. Erano miracoli, come ripeteva spesso il suo gemello, che poteva solo una femmina. Effetto opposto, invece, avrebbe ottenuto nominandogli la madre.

 

 

Non appena si era levato il sole, erano apparsi nel cielo luminoso del mattino. Il loro manto riberverava appena, lucido, qualche raggio più insistente. Imuen atterrò per primo al centro dell'arena, sollevano una nube di polvere. Zalaia gli era al seguito, leggermente più piccolo del suo signore. Non appena fu li, indagò uno a uno i presenti, pronti nelle loro luccicanti corazze dorate. La sua, nera come il suo manto, riluceva di bagliori scuri, simili a quelle degli specter. Il suo colorito più pallido, i capelli del rosso tipico della sua razza, lo rendevano anche del tutto diverso da loro. Perchè gli specter, semplicemente, erano uomini. Nessuno, invece, avendo di fronte lui, avrebbe dubitato che fosse qualcosa d'altro. Al chiarore del giorno, i fuochi fatui che lo accompagnavano, schiarivano lattigginosi e spenti. Sorrise, mostrando le zanne, in quel modo che gli umani gradivano poco, perchè sembravano più fiere che mostravano le fauci, rispetto a persone felici. Era esattamente l'effetto che cercava, mentre girava, lentamente, il viso verso suo padre.

Shion, vedendolo, ebbe modo di ricredersi, sul fatto che l'amica di Kiki lo infastidisse. Perchè se quella si vergognava della diversità delle sue facoltà ed aspetto, quel giovane ne faceva una mostra ossessiva, col chiaro intento di stupire ed intimorire. Pensò che fosse una manifestrazione di superiorità, nei confronti di tutti loro. Poi, un pensiero gli balenò nella mente, osservandolo meglio, che non poteva essere per davvero. Senza dubbio, in lui, qualcosa stonava. Come la principessina, anche lui aveva qualcosa di umano, nei lineamenti, nella goffaggine in cui sperava, in quel modo, di rendere nota la sua maggiore capacità. L'allievo di Imuen aveva reso più visibili i fuochi fatui che lo circondavano, spegnendo, in qualche modo, i i colori del mattino. Era giovane. Bramava un conto da saldare. Mentre passava in rassegna ognuno di loro, senza vederli. Imuen sembrava deciso a non curarsi dell'atteggiamento dell'allievo, della strafottenza silenziosa che ostentava. Shion osservò il giovane avvicinarsi come un cacciatore spietato verso la preda a cui dare il colpo di grazia, mentre il manico della falce prendeva forma dalle sue mani e la lama brillava accecando. Aveva superato i custodi delle ultime case e si apprestava a quelli delle prime. Istintivamente pensò a Mu, come uno sciocco, alla sua incolumità. Zalaia, invece, si bloccò davanti a Cancer.

"Voglio giocare con te, umano."

Era palese che tra quei due ci fosse una questione in sospeso. Conoscendo il passato di Cancer, c'era da appurare bene chi dei due avesse ragione e chi torto. Death Mask pareva esitare, forse spaventato, incerto. Per una volta, pareva inconsapevole dell'astio del suo avversario. Tuttavia, anche solo per non perdere la faccia, si esibì nel suo ghigno migliore.

"A disposizione, moccios."

Era palese chi dei due fosse più incauto, dubbio, tuttavia, l'esito della battaglia. L'unica cosa chiara, era di non dover andare per il sottile.

Shion li scrutò entrambi. Stessa altezza, stesso modo di camminare, identica aria spavalda mentre raggiungevano il centro dell'arena. Deciso, si portò al fianco di Imuen.

"Quale mistero nasconde il tuo allievo?"

Imuen, dal suo mezzo metro in più d'altezza, sembrò deriderlo in maniera bonaria.

"Starete correndo troppo con la fantasia, Gran Sacerdote?"

Gli rispose, infatti, per nulla credibile, chiaro come il sole che non lo aveva affatto convinto.

Imuen controllava attentamente il discepolo, che allargava le braccia a richiamare quanti più fuochi fatui poteva. Presto, questi scurirono galleggiando, nell'aria satura del mattino. Confondendosi nella caligine, ingrandirono in ovali, fino a mostrare delle maschere, in una rappresentazione feroce di ciò che tanti anni prima deturpava la quarta casa. Zalaia piegò il viso di lato, in una smorfia che mimava il domatore compiaciuto che mostra i suoi leoni ammaestrati. Stuzzicava l'avversario, che fino ad allora non sembrava essersi scandalizzato troppo, ad imbastire una scena migliore della sua.

Cancer, che fino ad allora era rimasto a braccia conserte, dovette ammettere che l'effetto finale non era affatto male, ma era tempo di finire i giochi. Unì i palmi sopra la testa, richiamando l'energia della sua costellazione, pronto a scagliare subito il suo colpo migliore. Soddisfatto, notò subito che il ragazzo iniziava ad essere trascinato verso il vortice che si apriva alle sue spalle. Senza scomporsi, Zalaia aveva materializzato la falce, alzandola, con un solo braccio, fino a portarla parallela al terreno, sopra la testa. Impresse poca pressione all'arma, lasciandola poi andare verso Cancer. Si accorsero che non era un gesto casuale, quando notarono che la traiettoria del lancio non era dritta, verso il vortice della costellazione di Praesepe, ma circolare, come se non venisse affatto risucchiata. Improvvisamente, la falce scomparì. Zalaia sorrise. Death Mask fu abile a scartare all'ultimo secondo. Una ciocca dei suoi capelli scivoloìò a terra, mentre l'azione del Sacro Cancer si estingueva. La falce era apparsa a pochi centimetri dal suo collo e terminava il mezzo giro che aveva compiuto, tornando esattamente nelle mani del legittimo proprietario.

"A quanto pare il mio spettacolo è più divertente del tuo, vecchio."

Lo prese a quel punto in giro il rosso, dando infine forma agli esseri che erano, inerti, vicino a lui, senza essere risucchiati. Doveva essere ancora abbastanza scosso perchè, invece delle solite sembianze umane, quella volta, Zalaia aveva dato forma a zombie. Aveva voglia di misurarsi nel corpo a corpo. Si lanciò come una furia addosso al padre. Sarebbe stata una sfida a chi picchiava più duro. Solo che lui aveva anche una moltitudine di non morti dalla sua.

 

Per un po' Imuen aveva deciso che lo avrebbe lasciato sfogare. Non era un caso che Cancer non avesse capito nulla della persona che aveva di fronte e ardeva dalla voglia di gonfiarlo come una zampogna. Imuen stesso aveva imposto un sigillo alla mente del cavaliere, per evitare che cercasse Mnemosine dopo la loro breve avventura. Era stato un periodo in cui tutto si sarebbe potuto permettere, meno che occuparsi dei capricci di un umano, specie oscuro come Cancer, quando era talmente concentrato sulle proprie sventure da abbandonare a loro stessi persino i suoi figli. In quegli anni difficili, Mnemosine e quel suo cucciolo inaspettato, erano stati l'unico motivo per cui non era impazzito del tutto.

Forgiare Zalaia quale suo migliore allievo era l'unica azione del suo recente passato di cui andava fiero, tanto che, nonostante il suo primogenito fosse nato, mai per un secondo aveva pensato di mutare il suo rapporto con quel ragazzo per cui, più che un maestro, era quasi diventato un padre adottivo. Ne era orgoglioso. Del guerriero potente che era, della persona eccezionale che stava diventando. Vedendolo, però, vicino a Cancer, si sentì come se avesse rubato qualcosa di prezioso, quasi sacro. Non aveva mai biasimato Death Mask di fronte al ragazzo, anzi, aveva provato anche simpatia nei confronti del cavaliere della quarta casa. Al campo, però, i pettegolezzi correvano veloci come al Santuario. Non era bastato provare a convincerlo a non ascoltarli. Perchè le lacrime di Mnemosine ad ognuna di quelle parole perfide, versate nella solitudine e nel silenzio, Zalaia le conosceva una per una. Una per una le avrebbe fatte pagare a Cancer, salate come era costato piangerle. Perchè per Zalaia, un guerriero del livello di Cancer, se avesse amato sua madre la decima parte di quanto lei aveva amato lui, mai sarebbe stato soggiogato da un tranello puerile come poteva essere un sigillo. Il ragazzo ne era incrollabilmente convinto, mentre rispondeva ai pugni di suo padre con una rabbia che ancora non scemava. Poichè quando si sceglie di amare, non può essere un sigillo a darti la scusa per dimenticare. Aveva il labbro spaccato ed un livido allo zigomo quando sollevava Cancer, con una mano, tenendolo per il collo. Il primo richiamo di Imuen non sortì effetto. Il secondo, più forte e deciso, fu l'ordine di cui il seguace aveva bisogno per non macchiarsi di un delitto che, in tutto e per tutto, l'avrebbe reso simile al suo genitore, prima che si redimesse.

Rimettendosi in piedi e toccandosi il collo, Cancer si trovò costretto a complimentarsi con quello sbarbatello che non lo degnò neppure di risposta.
Imuen, con un cenno, comunicò a Zalaia di ritirarsi. Questi non se lo fece ripetere due volte e, trasformatosi, aveva ripreso la via del campo. Tutto aveva voglia, fuorchè restare più a lungo in quel posto. Il gigante in nero, invece, tese la mano a Cancer, convinto che fosse ora di rimediare ad un madornale errore del passato. Era il gesto di scuse di un maestro che avrebbe dovuto trattenere un allievo indisciplinato e aveva fallito ma anche il modo di sciogliere una volta per tutte il sigillo che aveva imposto, rendendo i ricordi di Death Mask con Mnemosine, fino ad allora poco più che mero sogno. Mentre il cavaliere, immobile e sbalordito, riprendeva coscienza di quei giorni perduti del suo passato, Imuen si chinò fino al suo orecchio. Gli sussurrò chi fosse quel ragazzo, scusandosi.

Non si oppose al destro che gli arrivò in pieno viso, che se l'era meritato tutto. Alla giusta pretesa di delucidazioni di Death Mask, che sarebbe venuto con lui al campo dei Dunedain in ogni caso, per chiarire subito quella situazione, negò però, inflessibile.

"Se torni oggi, corri il rischio di essere sbranato."

Gli chiarì, semplicemente.

"Athena ti ha perdonato ma Mnemosine e Zalaia hanno dovuto dimostrare molte volte, più di tutti, quanto valevano, per non essere accomunati alle nefandezze che tu hai compiuto in passato. Non ti permetterò di avvicinarti a loro, finchè non dimostrerai di essere diventato davvero l'uomo che meritano. "

Fra tutti i presenti, l'unico a rendersi conto di tutto fu Shion. Egli, infatti, avrebbe voluto interventire prima a bloccare quello che si stava dimostrando uno scontro impari ed inutilmente feroce. Poi, appurati i fatti, preferì tacere. Semplicemente, salutò Imuen, permettendogli di andare, ed ordinò agli altri cavalieri d'oro di ritirarsi. C'erano modi migliori di gestire situazioni delicate come quella. Ma che diritto aveva, lui, di metterci bocca, quando non aveva mai avuto modo di misurarsi con situazioni anche lontanamente simili? Riguardava Cancer, suo figlio, la donna con cui l'aveva concepito e forse Imuen che ci si era messo in mezzo. Se tutta la rabbia di Zalaia nasceva da sciocche chiacchiere, non aveva senso alimentarne altre. Era tempo di rientrare alle rispettive case.

   
 
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