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Autore: DanShade    06/06/2019    0 recensioni
La mia storia riprende l'anime dei pokèmon, che più del gioco mi ha fatto emozionare con i suoi personaggi meravigliosi e le sue eccezionali avventure. Con pokèmon D-Burning mostrerò il mondo dei pokèmon visto con i miei occhi e con gli occhi dei miei personaggi
Dan Foster, il protagonista, si troverà immerso nelle avventure che ogni allenatore deve affrontare nel suo viaggio di crescita incontrando nuovi amici, nuovi rivali, nemici terribili e sopratutto tanti pokèmon.
Che l'avventura cominci!
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Pokémon DBurning
 
Capitolo – 01
 

Il Giorno Più Atteso
 
 
SPEEEE ROOOW
 
Quella giornata era iniziata come tutte le altre. La sveglia a forma di Spearow aveva suonato puntuale la venuta delle otto in punto, facendo destare il dormiglione dai capelli bi-cromatici, signore incontrastato di quella cameretta. «Dannato aggeggio! Chiudi il becco!», mormorò con l’astio nel cuore. Non badando agli acuti suoni dell’apparecchio, si giro da l’altra parte, mettendosi mezzo cuscino sopra l’orecchio. Quando la sveglia smise di rumoreggiare, si sentì più rilassato, ma come una folata d’uragano, un pensiero dilagò nella sua mente. «MA OGGI È IL GRAN GIORNO!», esordì, gridando a squarcia gola. Il suo tumulto fece sussultare la piccola volpina che dormiva con lui. “Vuuuuu…?!”, fece lei, chiedendosi il perché di così tanto fomento già a quell’ora del mattino.
«Ma come, Vulpix? Non ricordi? Oggi divento un allenatore a tutti gli effetti!», Dan sbarcò da letto con una sorprendete energia. Come prima cosa aprì la finestra, rivelando una bellissima giornata soleggiata e piena di azzurro. Forse il cielo aveva deciso di benedire quel sabato così speciale. Affacciatosi, vide la sua ridente cittadina risplendere ai primi raggi del sole estivo. Biancavilla era un piccolo paesotto di campagna, che fioriva nel cuore selvaggio della Regione di Kanto. I verdi campi che ricoprivano il paesaggio, ancora ricoperti dalle gocce di rugiada, brillavano all’insegna della genuinità della natura. Dan amava quella vista. Aveva fatto tante pressioni in famiglia per potersi accaparrare proprio quella camera. Rivolta verso Est, offriva una vista magnifica ad ogni sorgere del sole. Anche Vulpix adorava quella visione; quando i due riuscivano a svegliarsi in tempo, l’ammiravano insieme, con lo stesso sguardo perso. Ma per quanto si sentisse legato a tutto ciò, Dan sentiva l’insanabile desiderio di vedere qualcosa di nuovo. Fosse anche che nessun luogo, in tutto il mondo, eguagliasse ciò che contemplava da quella finestra, lui sentiva di dover andarci.
 
Un rumore alla porta fece rinsavire i due amici. Qualcuno bussò, obbligando Dan ad andare ad aprire. Con sua sorpresa, sullo stipite della stanza, c’era sua madre ad aspettarlo. «Ma che sorpresa! Oggi hai sentito la sveglia! Non sarà che il mondo sta per finire?!», con fare ironico la signora Foster diede il suo buongiorno al figlio, «Avevo fatto una scommessa con Clefable e Ninetales, avrei giurato che ti sarei venuta a svegliare io! A quanto pare ho perso!».
«Bello sapere che i tuoi Pokémon hanno più fiducia in me rispetto a te, mamma!», rispose Dan, stando al gioco.
«Sai com’è, conosco il mio pollo! Su, allenatore, devi fare colazione ora!», con un sorriso affettuoso, la donna si diresse verso la cucina. Prima di seguirla, Dan si sciacquò la faccia e si vestì. Per l’occasione aveva preparato il suo outfit migliore, ovvero quello che utilizzava ogni giorno per allenarsi. Per sua fortuna ne aveva diverse copie, così da poterle alternare senza ritrovarsi a puzzare come un Muk al sole d’Agosto.
«Eccoci!», precipitatosi in cucina, trovò un vassoio pieno di toast farciti che aspettavano solo lui per essere mangiati. «Spero non li abbia preparati tu, mamma! Oggi non posso farmi venire il mal di pancia, lo sai!», la donna seduta vicino a lui non apprezzò molto il commento. «Che spiritosone!», la signora assunse un’espressione un po’ imbronciata, «Tranquillo, li ha sfornati Clefable! So che le mie ricette non ti piacciono!». Il Pokémon in questione, un simpatico folletto rosa, era all’opera per preparare altri panini, conscio della fame che il ragazzo dimostrava a tavola. Invece del tostapane, il Poké-chef adoperava con genialità le nove lunghe code dell’amica Ninetales, utilizzando il loro calore per scaldare pane e companatico. «Clefable, sei magnifico in cucina! Ma grazia anche a te, Mamma Ninetales, senza le tue magnifiche code non potrei mai gustarmi certe prelibatezze!», i due amici Pokémon furono lusingati da quelle meritatissime lodi, sentendosi ripagati del loro lavoro creativo. Dopo averne passato uno anche a Vulpix, Dan cominciò ad addentare il primo sandwich. Ne mangiò ben otto, dimostrandosi sincero nelle adulazioni fatte ai due cuochi. «Ed ecco il nono!», schiamazzò mentre ne prendeva un altro.
«Ehi, golosone! Sbaglio o devi essere al laboratorio del Prof. Oak per le nove? Ti conviene sbrigarti o non troverai più neanche un Pokémon disponibile!», con la classica premura da madre, la donna dai capelli neri e rossi come il figlio, indicò a quest’ultimo di lasciar perdere il cibo e di sbrigarsi ad andare. «Dannazione! Me lo stavo per dimenticare! E pensare che mi sono pure alzato presto!», Dan mollò immediatamente il toast e si piombò sulla porta d’entrata. «Allora vado, a dopo!», accompagnato dal suo Vulpix, si mise a correre per la strada principale della città, lasciando a madre sull’uscio guardarlo con aria ansiosa. «Dan…!»
 
Correre era il modo più sfruttato dalla gente di Biancavilla per spostarsi di gran fretta. Non c’erano strade asfaltate e i veicoli erano veramente rari da quelle parti, salvo qualche sporadica bicicletta. La civiltà e la natura erano fuse alla perfezione, e le costruzioni umane si potevano contare su una mano. Ogni casa aveva un giardino immenso e non si trovava mai vicino ad un’altra. Nei prati sconfinati germogliavano alberi di ogni genere e dimensione, dai sempre verdi a quelli da frutto; i fiori erano una vera e propria decorazione per l’ambiente, anch’essi di molteplici specie e colore. Non c’era un solo periodo dell’anno in cui essi non sbocciavano ridenti, sostituendo quelli della stagione terminante.
L’area del paese era costellata da piccole colline fertili, che la proteggevano delle intemperie più furiose e massicce. Il luogo che Dan cercava di raggiungere era situato proprio in cima ad uno di questi colli minuti. Trovarlo non era affatto difficile, bastava alzare semplicemente lo sguardo. Infatti, come un gioiello posto sulla corona di Biancavilla, il laboratorio del Prof. Oak sovrastava ogni cosa, esprimendo a chi lo guardava la grande rinomanza di quel luogo. «Chissà che vista dev’esserci da lassù?», penso Dan, ormai prossimo ad arrivarci.
La proprietà dell’illustre esperto era immensa e comprendeva diversi ettari di terreno. Infatti, oltre ad essere un ricercatore, il professore era anche un appassionato osservatore di Pokémon; la sua passione lo aveva portato ad ospitare tutti i Pokémon che i suoi pupilli allenatori avevano catturato nei loro viaggi attorno al mondo. Alcuni venivano da molto lontano, oltre l’oceano e le montagne. Per questo motivo, il Prof. non poteva permettersi di avere una dimora contenuta, le varie esigenze dei suoi ospiti non badavano di certo a spese.
Il ragazzo dai capelli bi-cromatici giunse infine al cancello. Premette il bottone del citofono, e aspettò il suono d’apertura. Vulpix lo aveva seguito per tutta la strada e non vedeva l’ora di entrare a vedere. Dan, con suo sommo dispiacere, dovette dargli una cocente delusione. «Ascolta, è meglio se per ora entri nella sfera! Ci penserò io a chiamarti una volta preso il nuovo amico!». La Pokémon di fuoco reagì con mestizia, dimostrando che ci teneva molto a restare al fianco del suo compagno. Vederla così abbattuta gli fece male al cuore, ma Dan sentiva che era la cosa giusta da fare. Risolti li screzi con lei, oltrepassò il robusto cancello, procedendo per una scalinata di marmo che conduceva verso l’edificio. Aveva il cuore in gola ed era agitatissimo. Aveva già incontrato il professore altre volte, ma erano situazioni quotidiane. Ora invece lo avrebbe affrontato in una veste ufficiale, più severa ed autorevole. Arrivato in cima, bussò con forza alla porta d’ingresso. Con il groppo in gola, aspettò che gli venne aperto.
 
 «Oh! Ma buon giorno, Dan!», un signore aprì subito la porta, «Che strano vederti in giro a quest’ora del mattino! Ero convinto che ti saresti presentato in pigiama!», il vizio di Dan di dormire fino a tardi era, a quanto pare, una cosa ben nota in paese. «P-Professore! Non le mancherei mai di rispetto in questo modo!», rispose tutto teso.
«Su. Vieni dentro! Ne abbiamo di cose da dirci!», Oak lo invitò ad entrare. Dan fece un paio di passi, giusto quelli che lo portarono all’interno dell’atrio. «Permesso!».
«Evita i convenevoli! Ci sono solo io in casa!», lo richiamò lo studioso, «Andiamo nel laboratorio, seguimi!». Il padrone di casa marciò verso delle scale. L’atrio era una normalissima stanza, addobbata con immobili classici che riportavano alla mente la quotidianità delle giornate. Due divani, un tavolino da thè, una credenza con libri e oggetti riposti sopra; sembrava un interno come ce n’erano molti. Il cuore dell’edificio era il piano di ricerca, proprio sopra le loro teste. I due cominciarono a salire; Dan era preoccupato. Il Prof. Oak sembrava poco ben disposto verso di lui, e la cosa lo agitava. Anche se ricevere la qualifica di allenatore era un diritto di ogni giovane, era pur sempre il professore ad avere l’ultima parola in merito. C’erano storie di vari ragazzi che erano tornati a casa a mani vuote, senza titolo e senza Pokémon, semplicemente perché non erano stati ritenuti pronti. «Dimmi, Dan, cos’è questa storia che ora vuoi diventare un allenatore di Pokémon?», domandò serio l’uomo.
«Be’, ecco io…!», il ragazzo si trovò impreparato ad una simile domanda.
«È il classico quesito che faccio ad ogni aspirante allenatore! Di solito tutti rispondono qualcosa, fosse anche la cosa più banale del mondo! Se non mi dici nulla devo pensare che tu non abbia per niente le idee chiare!»
«Voglio viaggiare! Ecco!», rispose con impeto l’interrogato.
«Viaggiare, eh?!», lo studioso aprì la porta in cima alle scale, facendo entrare anche il ragazzo nel suo Laboratorio. Lo stanzone si presentava pregno di macchinari ma non per questo caotico. Il pavimento era tappezzato da grandi piastrelle color azzurrino, che ricoprivano la sua intera superficie. Le pareti laterali erano coperte da complicate macchine o da scaffali pieni zeppi di strumenti scientifici, come telescopi e microscopi. Sul vertice opposto della stanza c’era una scrivania molto ben ordinata e, girato verso di lei, un comodo divanetto arancione. Sopra di essi vi si trovava un soppalco, alla quale si poteva accedere grazie ad una scaletta in ferro. Sul muro, sopra il solaio, c’era una vetrata formata da tre finestre minori a forma allungata, che fornivano luce a tutto lo stanzone. Da essa era visibile il cielo terso e chissà quale altro panorama che Dan immaginava solamente.
Era la prima volta che il ragazzo metteva piede nel Laboratorio; vederlo dal vivo era impressionante, soprattutto per il fatto che nessuno si sarebbe mai aspettato che in un borgo campagnolo come Biancavilla si nascondesse così tanta tecnologia all’avanguardia. Ciò che attirò di più l’attenzione di Dan fu un cilindrico macchinario che stava a pochi metri da lui. Sopra di esso erano state riposte come vertici di un triangolo tre sfere bianche e rosse, probabilmente contenenti i famosi Pokémon iniziali destinati agli allenatori emergenti.
«Uh!?», Dan si sentì improvvisamente accalorato. Guardare i tre oggetti sferici gli faceva venire un caldo pazzesco. Più delle altre, una sfera lo faceva sentire strano. Più la guardava e più sentiva il calore salire. Oak lo scosse debolmente, «Ehi, ragazzo! Tutto bene? Sei sudato!». Quando distolse lo sguardo dalla sfera il calore cessò di botto, esattamente com’era iniziato. «S-si! … Tutto, tutto bene, professore!», stranito dall’evento, cercò di passare avanti.
«Devi sapere che è in questa stanza che i ragazzi diventano allenatori di Pokémon!», dicendo ciò, Oak prese uno strano oggetto dalla tasca, «È questo che conferisce ad un giovane il diritto di esserlo! Il Pokédex!», lo porse verso Dan. Questo rinomato oggetto era una specie di strana calcolatrice rossa fiammante. «La ringrazio!», esitante ma sorridente, Dan mosse la mano per prenderlo ma Oak se lo portò a sé, allontanandolo dal ragazzo.
«Ma ora io mi chiedo: perché dovrei dartelo?», domandò con tono serio e uno sguardo truce, «Si diventa allenatori a dieci anni e tu ne hai già tredici. Sei in ritardo di tre anni, senza contare che non ti sei mai presentato ad un mio corso di formazione né hai mai accettato i miei inviti per delle lezioni private! Per tutto questo tempo ti sei comportato a modo tuo; ora dimmi perché dovrei accontentarti e non ignorarti bellamente come hai fatto tu?», Oak stava mostrando il suo lato più severo e rigido, quasi non sembrava essere la stessa persona paciosa e gentile che appariva quando lo si incontrava in giro. Dan non seppe ribattere. Non aveva risposte che potessero soddisfare il suo interlocutore. Si limitò a digrignare i denti e a stringere i pugni così tanto che sentiva le sue stesse unghie premere sul palmo. «Io… Voglio… Voglio poter viaggiare!»
«Viaggiare? Cos’è, hai finito i passatempi? Diventare allenatore di Pokémon comporta enormi responsabilità! Non è qualcosa che diventi perché una bella mattina ti sei svegliato con l’idea di farti una scampagnata!»
«Questo lo so…!»
«A me non sembra! Hai avuto la tua possibilità come tutti, ma l’hai rifiutata! Ora, solo perché hai cambiato idea, pretendi che ti consegni la qualifica su un piatto d’argento? Un po’ troppo comodo, giovanotto!»
«Ne ho bisogno, professore!»
«Bisogno? E per far cosa? Hai passato gli ultimi anni a far nulla, senza interesse alcuno per il mondo, a piangerti addosso!»
«È PROPRIO PERCHE’ NON VOGLIO PIU’ FARLO CHE NE HO BISOGNO!», preso da un impeto di riscossa, Dan gridò a squarcia gola. Si rese subito conto del suo maleducato gesto, portandosi ambe due le mani alla bocca tappandosela, sperando che quelle parole non andassero oltre. Ma quest’infantile speranza svanì non appena guardò negli occhi il professore. Il suo sguardo era minaccioso e intenso; sembrava potesse scrutare persino l’anima del bersaglio.
Quando quella mattina Dan si era svegliato non avrebbe mai immaginato che il suo colloquio con il professore sarebbe andato così. Lo aveva sempre immaginato come un vecchietto bonario e attento alle difficoltà degli altri. Ma ora come ora si sentiva così stupido ad aver pensato che il carattere mite del professore lo avrebbe portato a passare sopra al suo comportamento indifferente. Quello che avrebbe dovuto essere il suo giorno speciale si stava trasformando nell’ennesima delusione che la vita gli aveva riservato, ed a peggiorare la situazione c’era la consapevolezza che tutto ciò era dovuto alla sua manchevolezza. «Voglio viaggiare! Per crescere, maturare, fare nuove esperienze! Non posso restare ancora qui fermo!», aggiunse tremolante, consapevole che queste sue ultime parole non avrebbero cambiato il verdetto finale del professore. Ormai vedeva il Pokédex e la qualifica di allenatore allontanarsi sempre più da lui.
«Dan, cosa devo fare con te?!», si chiese retoricamente lo studioso, «Ecco, tieni! Prendi il tuo Pokédex!». Quelle parole suonarono bizzarre al ragazzo. Praticamente rassegnato a dover rinunciare, si trovò davanti tutto d’un tratto un Prof. Oak sorridente che gli tendeva l’enciclopedia digitale, incitandolo a prenderla. «Ha detto che posso prenderla?»
«Certo che l’ho detto! Su, avanti!»
Dan portò avanti entrambe le mani e prese quel piccolo aggeggino con cura, come se fosse fatto interamente di cristallo. Lo guardò, palpitante, incredulo di averlo tra le dita. Per la prima volta da quando era entrato in quella casa fece un sorriso raggiante, ricolmo di soddisfazione e contentezza. «Quindi mi sta dicendo che ora… ora sono un allenatore di Pokémon a tutti gli effetti!?», domandò eccitato, in preda alla più sfrenata euforia.
«Be’, ecco, ci sarebbero altre due cosette che devo dirt…!», Oak non fece tempi a finire che Dan gli si avventò addosso per abbracciarlo. Fu colto di sorpresa e reagì di conseguenza. «Giovanotto, ma cosa…?!», anche se il ragazzo aveva il viso affondato nel suo camice bianco, vide due grossi lacrimoni di gioia solcare le sue gote rosee. «La ringrazio, professore! Le prometto che non la deluderò e che mi impegnerò tantissimo per diventare un allenatore di Pokémon sempre più bravo!». Oak gli accarezzò la testa, «Ascoltami! Devi scusarmi per come ti ho trattato poco fa! Volevo accertarmi che stessi prendendo sul serio l’idea di diventare un allenatore! In caso contrario, consegnarti la licenza non ti avrebbe aiutato in alcun modo ad andare avanti!». Dan gli sorrise innocentemente, asciugandosi gli occhi con le maniche della felpa. «E ora che ne dici di scegliere il tuo Pokémon!», aggiunse Oak, chiamando l’ospite vicino all’apparecchiatura sopra cui erano appoggiate le tre sfere. «Eh?!... Ah, s-si!»
«Sono certo che conosci già molto bene i Pokémon iniziali che vengono dati qui a Kanto, ma immagino che un ripasso non farà male! Ecco, il primo!», il professore prese una Pokéball e la lanciò in aria. Appena si aprì ne uscì un fascio luminoso, che dopo aver vorticato in aria, prese le sembianze di una piccola creaturina verde. «Questo è un Bulbasaur!», disse Dan, riconoscendo il Pokémon al primo sguardo. “Buba… Bubasoor!”, rispose lui per salutare il suo ipotetico futuro allenatore.
«Veniamo al secondo!», anche un’altra sfera fu lanciata. Accanto al già presente Pokémon d’erba apparve una simpatica tartarughina bipede dalla testa incredibilmente tonda. «Questo è uno Squirtle, invece!». “Squeroool pronto!”, fece allegro, sperando di farsi bello agli occhi del ragazzo.
«E infine arriviamo all’ultimo!», Oak stava per lanciare l’ultima Pokéball rimasta. Dan ricordò quelle sensazioni che aveva provato osservandola, nella foga della discussione di prima se n’era dimenticato, ma ora tornavano più forti che mai. Deglutì, in attesa di scoprire a chi appartenesse quella Ball. La terza ed ultima creatura fece la sua comparsa a fianco di Squirtle. “Chaaa … Chaamandar!”, cianciò quest’ultima, muovendosi animatamente. «Un Charmander, certo! Chi altro se non lui!», Dan aveva visto il trio di iniziali moltissime volte in televisione o su qualche rivista specializzata, ma vederli dal vivo era tutt’altra cosa. Erano carinissimi e sembravano tutti e tre dei promettenti compagni di avventure. Si era informato molto su ogni loro caratteristica e peculiarità. Ma la bilancia della sua scelta sembrava pendere su uno di loro in particolare: il focoso Charmander. Sentiva una stranissima affinità con lui e nonostante quello fosse il loro primo incontro, percepiva una profonda nostalgia guardandolo. Era una sensazione che risaliva da un’infanzia lontana e da ricordi nebulosi. «Sono tutti e tre dei Pokémon eccellenti per un novizio allenatore! So che è complicato, ma devi fare la tua scelta!», ribadì il professore.
«L’ho fatta!», Dan rivolse un sorriso a tutti e tre i Pokémon, per poi voltarsi verso l’unico altro umano nella stanza, «Non scelgo nessuno!», disse sonoramente.
«C-cosa? Ho sentito bene?»
«Benissimo, professore! Non prenderò nessun Pokémon iniziale con me!»
Oak e i tre starter rimasero attoniti a tale affermazione. I Pokémon si agitarono cercando di attirare l’attenzione, ma Dan non sembrava intenzionato a cambiare idea. «Sa, questa mattina ero ben deciso a prendermi Pokédex e Pokémon! E, le dirò, vorrei anche tutt’ora potermi occupare di uno di questi meravigliosi amici; però io possiedo già un Pokémon. E mi alleno quotidianamente con lui!», accarezzò uno per uno i tre mostriciattoli, «Penso che sia ingiusto nei confronti degli altri allenatori se io ora prendessi uno di questi Pokémon con me! Le sue parole di prima mi hanno fatto pensare e grazie ad esse ho preso la mia decisione! Comincerò il mio viaggio solamente con Vulpix e creerò la mia squadra andando avanti per la mia strada!», con un filo di rammarico nella voce, Dan concluse il suo discorso. Oak lo guardò sorpreso, ma anche colpito da una dimostrazione così improvvisa di maturità. Lui non la pensava in modo così drastico, ma decise di non insistere e di rispettare la decisione del suo nuovo allenatore. «Così sia, allora! Certo che sei proprio un tipo singolare! Ci sono volte in cui i Pokémon terminano, facendo disperare alcuni allenatori; e tu che li hai tutti e tre a disposizione rifiuti di accudirne uno! Ora posso dire che averle viste proprio tutte!», Oak si lasciò scappare una briosa risata, «Comunque ti auguro ogni bene per il tuo viaggio, Dan Foster!».
«La ringrazio di tutto! La renderò fiero, Prof. Oak, come lei rende fieri noi cittadini di Biancavilla ogni giorno!», Dan fece un inchino di profondo rispetto. Salutò i tre starter con aria mogia e prese la via delle scale per il piano di sotto. Bulbasaur e Squirtle erano rimasti molto delusi, sembrava avessero voglia di partire per un viaggio. Charmander, invece, non aveva mai staccato gli occhi dal giovane e anche quando sparì dalla sua vista, continuò a fissare ossessivamente le scale dalle quali era sceso. “Chaaar!”.
 
 
«Non hai scelto nessun Pokémon?», la sig.ra Foster reagì in maniera più incredula del professore stesso. «E dire che sembravi elettrizzato all’idea!». Dan era tornato a casa in fretta e furia per preparare gli ultimi dettagli della sua partenza. Con ormai tutto pronto, si era seduto con la madre in cucina, per poterle raccontare del suo colloquio al laboratorio.
«Già, lo ero! Ma poi il professore mi ha fatto una bella ramanzina e ho capito che non me lo meritavo! Ho ricevuto il Pokédex, e solo questo è più di quello che merito!», il ragazzo bi-cromatico credeva fermamente in ciò che stava dicendo e appena finì di parlare sentì l’amorevole stretta di sua madre avvolgerlo in un abbraccio. «Il mio bambino si è messo a fare discorsi così seri! È proprio cresciuto!», scherzò lei, lasciando trasparire molto orgoglio. «Adesso è meglio che tu parta! Va a prendere lo zaino, su!»
«Vado! Ma non abbracciarmi più come se avessi quattro anni!», ribatté lui con un po’ di vergogna. Lasciato l’affettuoso avvinghio materno, Dan corse nella sua camera per prendere lo zaino che aveva preparato la sera prima. «Bene, ora sì che sono pronto!». Uscì dalla sua stanza, ritrovandosi nel minuto corridoio ove si affacciavano il bagno e tutte le camere da letto della casa. Ce n’erano tre; la sua, quella dei suoi genitori e un’altra che chiudeva l’androne. Quel locale era vuoto da tanto tempo ed era da molto che nessuno dormiva più tra quelle quattro mura; l’ospite aveva lasciato la casa senza farne più ritorno. Fissarne la porta manifestava in Dan una certa malinconia. «Spero di ritrovarti!», con un sospiro profondo, si mise in spalla lo zainetto e ritornò dalla madre in cucina.
 
«Bene, allora io vado!», annunciò sullo stipite della porta d’ingresso. Vulpix era uscita dalla sfera e insieme al suo allenatore si accingeva a partire verso l’ignoto. A salutare il duo in partenza c’erano la sig.ra Foster e i suoi due Pokémon, Clefable e Ninetales, tristi quanto lei di vederli partire. «Clefable! Mamma Ninetales! Grazie per tutto quello che avete fatto per me! Immagino sia stato un bel lavoraccio stare dietro alle mie marachelle e ai miei capricci in tutti questi anni!», Dan si rivolse ai due Pokémon con gratitudine. Erano stati sempre con lui per tutta la sua infanzia, gli sembrava impossibile doverli lasciare. «Penserò a voi due ogni giorno!», singhiozzò, «Lo prometto!». Si strinsero in un caloroso abbraccio d’addio, includendo anche la piccola Vulpix. La volpe dalle nove code diede una dolce leccatina a quella più piccina, raccomandandole qualcosa di incomprensibile per le orecchie umane di Dan.
«Bene, credo di dover salutare anche te, mamma!»
«Quindi ora tocca a me?! … Promettimi solo che starai attento, tesoro!»
«Promesso! Appena arrivato a Smeraldopoli ti farò un colpo di telefono!»
«Allora, buona fortuna!», Joyne Foster porse la mano al figlio con un luminoso sorriso sul volto, «So che mi darai grandi soddisfazioni!»
«Farò del mio meglio! Diventerò un allenatore di Pokémon fantastico!», Dan gliela strinse. Forse quello non era un gesto tipico tra una madre e un figlio, meno caloroso di un abbraccio e meno dolce di un bacio sulla fronte; ma nessun gesto avrebbe potuto esprimere chiaramente l’angoscia che Joyne in quel momento, mentre guardava il suo bambino partire alla volta di mete lontane, ma anche l’orgoglio di vederlo così determinato e pronto ad affrontare il mondo da solo.
Dan rivolse un ultimo sguardo a tutte le presenti. Fece un inchino appena accennato e si voltò, raggiungendo la strada che portava fuori città. Con Vulpix in spalla prese a camminare verso nord, dove poco più in là di Biancavilla sorgeva il Bosco Smeraldo, prima tappa del suo viaggio. Joyne lo vide allontanarsi, «Se n’è andato anche lui! Ora mi sentirò un po’ sola qui!».
 
 
«Eccoci qui!», Dan e Vulpix erano arrivati al confine di Biancavilla. Sarebbe bastato loro attraversare il cartello che dava il benvenuto agli stranieri per cominciare le loro avvincenti avventure. «Ancora un passo e il nostro viaggio avrà ufficialmente inizio!».
“Chaaaaar!”
«Uh?», un suono inaspettato fece trabalzare il ragazzo e la piccola volpina, «Ma cos…?», si voltarono all’indietro, notando di essere stati seguiti da qualcuno. “Char! Char!”.
«Ma tu sei … sei Charmander!?»
 
   
 
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