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Autore: LeanhaunSidhe    09/06/2019    11 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Quando Gona incrociò il pupillo di Imuen di ritorno dal Santuario di Atene, solo, con quella faccia, con l'odore del sangue di quel personaggio addosso, ci mise un attimo a realizzare che la scena madre si era svolta esattamente secondo copione.

Aveva seguito il compagno d'armi fino alla radura dove era arrivato e si era portato al suo fianco, silenzioso. Lo aveva squadrato senza emettere un fiato e, quando il giovane gli ringhiò addosso, gli lanciò un'ampolla con un sapone speciale per togliere gli odori. Aveva maturato subito una simpatia per quel guerriero così collerico. Ne aveva intuito il potenziale, nonostante ci si fosse battuto per poco tempo. Gli ricordava Tabe, per molti versi. Sapeva che non gli avrebbe chiesto aiuto, benchè gli avrebbe fatto comodo. Del resto, erano secoli che non agivano più in sinergia, tra figli dei domatori di anime. Erano cose che rammentava vagamente, di centinaia d'anni prima, quando era stato cucciolo. Lo fissò per qualche istante, mentre tornava dal fiume dopo essersi lavato ed aver usato tutto l'unguento. Almeno, quello non puzzava più del sangue di suo padre.

Sentendosi oggetto di quella minuziosa osservazione, Zalaia si imbestialì immediatamente. Gli urlò contro di parlare chiaro, di specificare che problemi avesse con lui. Si diede poi dello sciocco, ricordando che Gona e le parole non si incontravano facilmente.

"Vuoi ... aiuto?"

Il suo simile aveva una voce bassa, stentorea. Non era da poco lo sforzo che stava compiendo, con quelle poche sillabe. Colpito dal gesto, Zalaia negò. Forse, quel guerriero antico aveva bisogno di qualcuno con la pazienza di ascoltare quel poco che avesse avuto da dire.

"Chiamo Seleina?"

Inteso che lo stava prendendo in giro, la tensione del rosso si frantumò in una fragorosa risata. Non si rese conto se Gona lo avesse privato del suo dolore senza versare lacrime. A quanto sapeva lui, per riuscirci, i figli di Haldir dovevano toccare una persona e la loro azione era visibile dal fatto che piangessero, oltre che dal sollievo che davano.

"Risolvo da solo i miei problemi... ma grazie comunque del bagnoschiuma."

Rispose calmo, al suo interlocutore, sdraiandosi nell'erba. Era più che sufficiente che sua madre non avrebbe saputo niente della sua scaramuccia col padre, fiutandogliene il sangue addosso.

Stirò le braccia, prima di incrociarle sotto la testa. Divenne serio.

"Perchè vuoi aiutarmi? Al campo mi temono ma nessuno si è mai occupato del mio benessere."

Aveva alzato le spalle.

"E' sempre stato così."

Si sentì guardato ancora da Gona, dal suo viso sereno.

"Siamo un branco. Ci si aiuta."

Si portò allora a sedere, stralunato, confuso dal senso di quelle parole. Un po' ne fu commosso. Poi, come suo solito, la buttò sullo scherzo.

"O sarà che il branco è forte quanto il suo elemento più debole? E tu ne sei il capo."

Gona, soddisfatto, confermò con un cenno. Il più giovane stava meglio. Aveva raggunto l'obiettivo prefisso.

"Non hai paura che un giorno possa soffiarti il tuo ruolo di prestigio, capo?"

Gona, allora, si alzò in piedi. Perchè un conto era essere gentili, un altro passare da fessi.

"Diventa più forte qui, allora."

Lo schernì, spingendolo di nuovo a terra, con la punta della spada calzata nel fodero, puntandogliela al petto.

"Perchè in un duello serio, io combatto con ogni mezzo."

Zalaia lo scambiò con aria di sfida. Non aveva velleità di comando ma possedere il pungolo di un avversario così stimolante, lo eccitava.

"Stanne certo, diventerò molto più forte, capo branco."

Scansata la spada del più maturo da sè, tornò eretto con un colpo di reni.

"Solo per farti contento."

Gona, inarcando le sopracciglia, gli aveva scompigliato la chioma immensa, come faceva con i cuccioli, approfittando dei suoi dieci centimetri in più d'altezza e di qualche secolo sulle spalle.

"Intanto impegnati."

Lo canzonò di nuovo, prima di trasformarsi e sparire.

 


Imuen era tornato al campo piuttosto teso. Istintivamente aveva annusato l'aria in cerca di Zalaia. Apprendere che fosse in compagnia di Gona e non puzzasse più del sangue di Cancer lo lasciò perplesso. Il cosmo dell'allievo era pacato. Aveva sempre considerato eccentrici i sottoposti del gemello. Se, però, Gona era riuscito così facilmente a tranquillizzare un tipo turbolento come Zalaia, evidentemente era molto più intelligente di quanto immaginasse.

Come richiamato dai suoi pensieri, Gona era atterrato poco dopo di lui. Imuen gli si fece incontro. Non ebbe bisogno di chiedergli nulla, come accadeva spesso per il gemello. Da solo, l'altro gli riferì che Zalaia era sereno. Il problema, era invece il messaggio da parte di Haldir. Sua signoria mandava, infatti, a riferire che aveva da fare, non si sapeva cosa o dove, per qualche giorno. Nel frattempo, erano stati invitati il Gran Sacerdote e chiunque egli avrebbe voluto portarsi dietro, dei cavalieri del Grande Tempio, a visitare il loro campo. Gona, da capo branco, avrebbe diretto i suoi ragazzi. Per il resto, Imuen era libero di agire come più gli aggradava. Gli suggeriva solo di indagare bene la questione di Zalaia e di sua madre. Questo, almeno, fu ciò che Imuen riuscì ad interpretare, nei monosillabi strozzati di Gona che, per quanto si impegnasse, faticava ancora parecchio a rendersi comprensibile per discorsi di una certa lunghezza. Congedò allora il sottoposto, ringraziandolo di nuovo per l'aiuto con Zalaia.

Raggiunse l'infermeria. Voleva approfittare del fatto che Mnemosine fosse sola, senza il figlio, per informare anche lei. Era deciso ad affrontare una rogna per volta. Quando, però, stava per spalancare la porta della piccola struttura, percepì l'odore di un seguace di Haldir, dentro. Stupito, trovò dentro Tabe, con la bocca spalancata, che sanguinava davanti. Si girò verso Mnemosine, in cerca di chiarimenti. Gona non poteva essere stato e la botta sembrava fresca.

"Che gli è successo?"

Mnemosine, disinfettando veloce la ferita, prima che le zanne ricominciassero a crescere, rispose vaga.

"Solo un pugno ben assestato."

Tabe, ridendo vivace, aveva chiuso la bocca per qualche istante, sputando un grumo di sangue. Si era sgranchito la mandibola, prima di aprire la bocca di nuovo.

"Gli hanno fatto saltare due denti ma ora il taglio è pulito."

Mnemosine aveva dato allo spadaccino un balsamo medicamentoso.

"Nel giro di un'ora sarà come nuovo."

Compreso il tutto, Tabe era uscito dall'infermeria, a godersi gli ultimi raggi del sole. Il domatore delle anime dei morti, sospettoso, aveva preteso chiarimenti, prima di continuare.

"E' stato Zalaia?"

Aveva indagato, temendo il peggio. Mnemosine, sorpresa ma non troppo del quesito, vista l'indole del figlio, aveva negato.

"Allora chi?"

La guaritrice non amava i pettegolezzi. Quella volta non faceva eccezione. Rispose a malincuore.

"Una figlia di Haldir che non ha gradito le sue attenzioni, sull'arena."

Imuen si consolò col fatto che dovevano avere qualche altra femmina di tutto rispetto se, in ogni caso, era riuscita a sorprendere quell'impiastro. Cosa sarebbe accaduto, però, se certe scene si fossero verificate durante la visita degli ateniesi? Era certo che Haldir, ovunque fosse finito, gli augurava che succedesse.

 

 

Haldir aveva annusato l'aria, ringhiando. Il vento sferzava il suo manto pallido, mentre ululava alla luna. Aveva perlustrato il perimetro di tutti i villaggi umani di Asgard, in attesa. C'era sempre meno tempo. Il suo sigillo scemava. Presto, avrebbe rivisto i suoi figli perduti, per l'ennesima volta. Si leccò il naso, scansando qualche cristallo di neve, che ci si era posato sopra. Nervoso, ululò ancora. Sentiva che, in mezzo a quel male, stava mutando qualcosa. Attirato dal branco che si riformava, l'aura di Gona ne aveva attirato qualcuno, dimenticato. Ornan si apprestava al suo signore, ringhiando anche lui. Emergeva dagli abissi delle foreste. C'er aun cucciolo che sonnecchiava, stretto alla sua pelliccia chiara. Haldir lo annusò distratto. La sua progenie proseguiva anche senza di lui, dopotutto, nascosta agli umani ed altri dunedain. Era ancora presto per rientrare al campo. Precedeva un altro suo figlio al villaggio natale di Brunilde. Doveva aveva ancora finire di creare, là.

 

Con la sua box d'argento sulle spalle, Kiki aveva raggiunto Mu, alla prima casa. Anche se, alla fine, gli era stata assegnata una cloth di livello inferiore, non erano cambiate di molto le sua mansioni di riparatore. Per il momento, il lavoro era poco ed erano in due a dividerselo.

Era parecchio seccato dal fatto che solo i cavalieri d'oro fossero stati ammessi alla prima visita di Imuen. Avrebbe assistito allo scontro tra Cancer e l'allievo del domatore dei morti volentieri.

Mu, in quel caso, era stato molto avaro nei particolari e Kiki lo scrutava attento, convinto che lui e Shion gli nascondessero qualcosa. D'un tratto, stizzito, aveva agguantato l'orialco prima che il fratello se ne servisse, deciso a farsi dare i chiarimenti che desiderava. Costrinse Mu a fissarlo. Se non avesse parlato, gli avrebbe cavato le informazioni che voleva leggendogli la mente. Dopotutto, avevano entrambi il fuoco dell'ariete nelle vene, solo che Mu lo liberava da costretto.

"Perchè tanto mistero con me?"

Sospirando, per il momento determinato ad evitare lo scontro, il cavaliere d'ariete gli aveva spiegato, per l'ennesima volta, che non c'era nessun mistero di cui veniva tenuto all'oscuro. Kiki, però, non era affatto convinto. Tirò di nuovo fuori l'assurda questione della diversità di trattamento per la differenza di casta. Non appena si rese conto dell'ingerenza del fratello nella sua mente, però, il fastidio montò in rabbia: Mu spinse indietro l'altro con la telecinesi, facendolo ruzzolare a terra. A quanto sembrava, almeno in quello era ancora superiore.

Rialzatosi, Kiki pareva in imbarazzo. Aveva balbettato delle scuse, per il suo modo di fare irruento. Il maggiore aveva annuito, considerando chiuso il discorso.

"E' palese però che il maestro Shion sappia qualcosa."

Evidentemente, aveva sperato a vuoto.

"Come hai appurato da te, intrufolandoti tra i miei pensieri, con me non ne ha fatto cenno."

Doveva aver usato un tono palesemente nervoso, perchè Kiki aveva alzato le mani in segno di resa e lo rimproverava di essere un po' troppo permaloso. Lo avrebbe volentieri punito, se non fosse che, ormai, il minore era più alto e robusto di lui.

"Certo che tu ed il tuo maestro parlate poco."

Quell'affermazione, pero, un po' stonava. Diede tempo, al più giovane, di terminare il discorso.

"Io e te eravamo in confidenza mille volte più di te e Shoin, dai. Fa strano, sapervi così, tu ed il tuo maestro."

Riflettendoci, forse in parte era vero.

"Ti faccio notare che quella che tu scambiavi per confidenza, era in realtà affetto fraterno; io e Shion siamo prima di tutto maestro ed allievo. E' diverso."

Kiki lo aveva guardato da sotto in sù, con quei modi un po' da bambino, che non aveva ancora abbandonato del tutto.

"Bella fregatura hai avuto da piccolo, fratellone."

Mu scosse il capo. Forse, se in passato avesse trattato Kiki più come un allievo, invece che come un fratello, gli avrebbe risparmiato la sua mancanza e dell'aiuto di Seleina, lui non avrebbe mai avuto bisogno.

Kiki, invece, si era alzato di scatto. Lo aveva costretto ad esprimere a parole quel concetto assurdo.

"Io sono più felice di aver avuto un fratello a crescermi e non un maestro. Ti faccio notare che, con questo metodo, sono venuto su più potente di te."

"E più indisciplinato."

Lo corresse, alla fine, Mu, più leggero nell'anima. Sapeva benissimo, cosa se ne facesse il minore, della disciplina.

Completamente dimenticati litigi e cattivi pensieri, gli parlò invece dell'imminente visita al campo dei Dunedain, che Shion doveva ancora scegliere chi mandare, se qualcuno o tutti. Come si aspettava, Kiki non si sarebbe mai perso l'occasione di vedere all'opera i Dunedain e rivedere la sorellina adottiva, tanto più che era riuscito a cavargli il particolare di chi fosse il farfallone come lui che gli ronzava attorno.

 

 

Come Imuen si aspettava, il Gran Sacerdote ed i cavalieri di Athena giungevano prima del suo adorato gemello, disperso ancora chissà dove per chissà quando.

Imuen aveva fatto accendere uno dei fuochi ai vertici dell'accampamento, pronto a far alimentare in rapida sequenza i restanti tre, appena i loro ospiti fossero stati visibili. Li attendeva alla porta principale. Era un bene che Cancer non fosse presente. Aveva informato Mnemosine di aver liberato il cavaliere del suo sigillo ma non si poteva sapere se Zalaia sarebbe ripartito subito alla carica, avendolo di fronte. Per fortuna, Shion aveva compreso ed aveva adattato la sua linea, di affrontare un rischio per volta. Se aveva fatto bene i conti, azzardò che il Gran Sacerdote di fosse portato appresso cinque cavalieri d'oro più l'amico della recluta. Si trattava di troppi psicocineti secondo lui, ma quel Kiki sapeva essere indisponente come Zalaia, ci scommetteva. Meglio averli vicino, a tiro di schiaffoni, tipi così, invece che a causar danni al campo base. Altro punto a favore dell'intelligenza del vecchio lemuriano. Ci dovevano essere poi Virgo e Kanon dei Gemelli. Si erano portati dietro l'artiglieria pesante. Sugli ultimi due non era certo. Leo e Scorpio? Quando li aveva affrontati, li aveva trovati interessanti.

Arrivati ad essere individuabili col fiuto, che le coordinate esatte del loro accampamento le avevano confuse pure per Mu dell'ariete, che già c'era stato, Imuen ordinò di essere pronti ad aprire il portone principale.

Alle sue spalle, Gona e Zalaia marciavano affiancati. Seleina e Tabe, invece, si mantenevano a breve distanza, scura in viso la prima, che quasi scoppiava a ridere il secondo. Fingendo di non farci caso, speranzoso di aver placato animi e bollenti spiriti con le minacce efficaci che aveva affinato nel tempo, mentre si occupava di Zalaia, Imuen raggiunse i suoi ospiti.

Spalancò le braccia. Poi, con un lieve inchino, gli fece strada oltre l'accesso che separava il loro campo dal mondo esterno. Con soddisfazione, notò che non si era sbagliato sull'identità degli invitati.

"Benvenuti alla Corte dei Miracoli."

Esordì, teatrale, cercando di darsi un contegno. Voleva illudersi che quei quattro non gli avrebbero fatto fare la figura dello scemo, per non dire di peggio. Aveva agguantato Seleina appena Gona gli era arrivato vicino, che traducesse alla gente di Athena ogni parola, al bisogno.

"La valchiria dov'è?"

Grugnì poi sottovoce, seccato. Gona aveva biascicato che fosse con Haldir. Imuen, invece di imprecare, si impose di restare calmo. Ne avrebbero visti, i loro ospiti, di miracoli, alla loro corte.

   
 
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