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Autore: alga francoise14    11/06/2019    10 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente riusciamo a pubblicare! Per tirare le fila del discorso, visto che è passato un mese e mezzo dall’ultimo aggiornamento, vi lasciamo prima un breve riassunto degli ultimi capitoli (da non leggere, ovviamente, se siete capitati qui per caso e avete intenzione di iniziare a seguire questa storia!).
0 Buona lettura
A&F
 
Dove eravamo rimaste…
Dopo l’arresto di André, Oscar apprende dalla madre che il misterioso conte creolo Jean de Grammont è in realtà suo fratellastro, nato da una precedente relazione del Generale con la cugina Elodie de Jarjayes. In questo modo viene a conoscenza anche dei reali motivi che hanno portato il padre a concedere la sua mano a Victor: Augustin vuole infatti adottare Jean e nominarlo suo erede, non prima però di aver “sistemato” la figlia, convinto com’è di operare per il suo bene.
Dopo il necessario confronto con Jean, su suggerimento di quest’ultimo Oscar decide quindi di chiedere aiuto a Victor, che per amore accetta. Purtroppo, però, il Generale scopre le loro trame spiando una conversazione nell’ufficio di Victor, dove Oscar si è recata, sconvolta, dopo aver fatto visita ad André, gravemente malato.
Ovviamente Augustin reagisce con violenza, facendo saltare ogni accordo… l’unica speranza per Oscar diventa così l’aiuto di Jean. Questi, dopo essersi inizialmente tirato indietro, decide di venirle in soccorso per compiacere la sua amante, Amelie de Girodelle, la madre di Victor, per nulla contenta del fidanzamento.
Tutti i personaggi coinvolti ignorano però un inquietante segreto: il conte venuto dal mare è conosciuto tra i suoi uomini come il pirata “Le Requin”…
 
Candore e inganni
 
“Prego, signore”.
Con uno svolazzo della mano e un pomposo inchino, l’anziano monsieur Duvalle[1] invitò l’ospite a entrare nella stanza.“Come vi stavo dicendo poc’anzi, il Conte si scusa con Vossignoria, ma un improvviso impegno ha richiesto la sua presenza altrove” aggiunse subito dopo con deferenza “Ad ogni modo sarà di ritorno tra breve e vi prega di attenderlo qui, nel suo studio”.
“Immagino che uscire di casa dopo aver convocato qualcuno all’alba sia una tipica usanza d’oltremare” borbottò caustico il gentiluomo in divisa, varcando la soglia del salottino con un’espressione decisamente contrariata.
“Nel frattempo gradite del caffè? Oppure della cioccolata calda?” domandò il valletto senza scomporsi, fingendo di non aver udito l’aspro commento del suo interlocutore.
“Un caffè andrà benissimo” tagliò corto Victor de Girodelle volgendogli la schiena e avvicinandosi al camino, per tendere le mani intirizzite in direzione delle fiamme.
Avvezzo ai modi bruschi del suo padrone, il domestico capì di essere stato, di fatto, congedato e si affrettò a uscire. Soltanto allora, finalmente solo, l’ufficiale sbuffò stizzito mentre lanciava un’occhiata torva all’imponente ritratto sopra al camino, descrittogli dalla sua promessa sposa con tanta dovizia di particolari[2]. Che uomo irritante era quel Jean de Grammont… credeva forse di avere tutti al suo servizio? O voleva soltanto portarlo all’esasperazione?
Tentando di dominare la propria insofferenza, il Visconte si sedette e lasciò vagare lo sguardo intorno a sé per ingannare l’attesa; la poltroncina non era però particolarmente comoda, circostanza che acuì il suo malumore mentre accavallava le lunghe gambe in cerca di una posizione migliore.  Da una tasca della giubba estrasse quindi il biglietto che Grammont gli aveva fatto recapitare la sera prima e lo esaminò per l’ennesima volta. Erano soltanto poche righe, vergate con una grafia decisa e priva di fronzoli, ma continuava a rileggerle da ore, chiedendosi ogni volta, inquieto, quale potesse essere il misterioso interesse comune che aveva indotto il Conte a convocarlo con tanta urgenza in casa propria.
Aveva appreso da Oscar, infatti, che Jean si era praticamente chiamato fuori da qualsiasi coinvolgimento nei loro piani, pur rammaricandosi – ipocritamente, per sua opinione – della spiacevole situazione in cui si trovava la sua povera sorella e assicurandole che avrebbe fatto del suo meglio per riportare il Generale a più miti consigli nei confronti di André, delle cui condizioni, nel frattempo, avrebbe cercato di informarsi.
Alla luce di quell’unica, stentata promessa, c’erano buone ragioni per temere che l’uomo avesse cattive notizie da riferire proprio sul prigioniero.
In tal caso, che cosa avrebbe detto a Oscar?
Victor si passò nervosamente una mano fra i capelli, cercando di respingere quella voce maligna che da qualche giorno continuava a ripetergli che forse…nonostante tutto…se André Grandier fosse sparito per sempre dalle loro vite, avrebbe avuto almeno una possibilità. In fondo mancavano soltanto due mesi al matrimonio e sebbene fosse dolorosamente consapevole che Oscar non avrebbe mai provato nei suoi confronti l’ardente sentimento che l’aveva legata al suo attendente, col tempo, chissà… magari avrebbe imparato a volergli bene.
Magari sarebbero stati felici.
A quel pensiero, il volto del gentiluomo si contrasse in una smorfia.
Si odiava per quelle idee, ogni volta, eppure non riusciva a evitarle, frutto com’erano di uno struggimento continuo che, suo malgrado, non riusciva a soffocare.
Con uno scatto teso, si alzò in piedi e mosse qualche passo all’interno della stanza, ripetendosi meccanicamente che non avrebbe lasciato nulla d’intentato per la salvezza di André Grandier. Come avrebbe potuto guardarsi ancora allo specchio se avesse costruito la propria felicità sulla rovina di un innocente e, soprattutto, sulla disperazione della donna che amava?
Assorto in quelle cupe considerazioni, si fermò per un istante davanti alla finestra che si affacciava in Rue du Pas du Mule[3], osservando distrattamente il via vai delle carrozze lungo la strada. Era una rigida mattina di marzo, l’inverno era stato gelido e la primavera sembrava non volerne sapere di arrivare; un cielo terso, azzurro e limpidissimo ma incredibilmente freddo, sovrastava la città, che, ormai desta, brulicava di voci e di rumori anche nell’elegante quartiere del Marais. Quei suoni, però, gli giungevano quasi ovattati attraverso le ampie vetrate, per cui quasi sobbalzò, nell’udire la porta cigolare alle sue spalle.
“Oh, perdonatemi!” esclamò confusa una voce femminile mentre egli si voltava verso la soglia.
Rossa in viso, con un libro fra le mani portato d’istinto davanti al petto per nascondere la profonda scollatura della sua veste da camera[4], Aurore de Grammont farfugliò ancora qualche parola di scusa e fece per uscire.
“Madame, vi prego!” la bloccò tuttavia l’ufficiale “Di cosa dovreste mai scusarvi? Siete in casa vostra, sono io, piuttosto, a essere in difetto, e sono dunque io a dovermi scusare. A mia discolpa, però, permettetemi di aggiungere che non è mia abitudine disturbare la quiete del risveglio altrui e me ne sarei ben guardato se non fosse stato per un’esplicita richiesta fattami in tal senso da vostro marito…” puntualizzò dispiaciuto.
“La vostra presenza non m’importuna affatto, Visconte Girodelle” mormorò imbarazzatala fanciulla, richiudendo la porta dietro di sé “E sono davvero mortificata per non aver bussato prima di entrare, avrei dovuto: è vero che sono in casa mia, ma è pur vero che questo è lo studio di Jean”.
“Credetemi se vi dico che ben poche tra le signore che conosco, si farebbero lo scrupolo di bussare prima di entrare nello studio del proprio marito. La vostra delicatezza è encomiabile, contessa de Grammont” sottolineò Victor con un sorriso, che Aurore contraccambiò timidamente “Ad ogni modo, è un onore per me sapere che dopo tanto tempo ricordiate ancora il mio nome…” osservò subito dopo, piegandosi in un galante inchino.
A quelle parole le guance della giovane, se possibile, s’imporporarono ancora di più.
“Ecco, a dire il vero…”
“Immagino che avere una buona memoria per le persone sia tra le vostre innumerevoli doti” le venne in soccorso il suo interlocutore “Io invece sono un disastro, a meno che non si tratti di una creatura speciale” aggiunse per poi chiedere con disinvoltura il permesso di sedersi.
Rendendosi conto della sua mancanza, questa volta Aurore impallidì.
“Oh… Ma certo! Vi prego, visconte” si affrettò dunque a rispondere invitandolo ad accomodarsi con un gesto della mano mentre Victor, meravigliandosi ancora una volta della sua totale incapacità di nascondere le emozioni e al tempo stesso della sua semplicità, si compiacque di non aver aggiunto alle proprie parole quel “come voi” che per un attimo lo aveva tentato, pensando che, se lo avesse fatto, probabilmente la giovane contessa sarebbe svenuta.
Tuttavia, seppur in difficoltà, Aurore riuscì a recuperare il contegno e a intavolare una conversazione con sufficiente leggerezza.
“In effetti, ho la fortuna di rammentare anche a distanza di tempo volti e nomi… almeno così sostenevano le mie compagne a Bolléne[5]” replicò, sedendosi a sua volta su un piccolo canapè davanti al fuoco e poggiando il libro sulle ginocchia.
“Bolléne?” ripeté incuriosito Victor.
“È un piccolo paese della Provenza, dove sorge il convento delle Orsoline in cui studiò mia madre prima di sposarsi. Alla sua morte, il mio povero padre ritenne opportuno che fossi istruita nel medesimo luogo” gli spiegò brevemente lei.
“Quanti anni avevate, se posso chiedervelo?”
“Sei”.
“Eravate appena una bambina… “ constatò colpito il gentiluomo.
“Sì, è vero…” convenne la ragazza con una nota di mestizia nella voce “Ad ogni modo era l’età giusta per entrare in convento e comunque sono stata fortunata: le suore non erano poi così severe e hanno saputo crescermi con affetto. Sono rimasta lì fino alla mia partenza per Port-au-prince e conservo un caro ricordo degli anni passati tra quelle mura… dei pomeriggi estivi trascorsi all’ombra degli alberi del giardino, o delle lunghe sere invernali, quando ci riunivamo di nascosto tutte in una stanza a chiacchierare, immaginando come fosse il mondo fuori da lì…”
Una vita pressoché di clausura in un modesto convento di campagna e un animo probabilmente troppo sensibile e introverso: di colpo fu chiaro a Victor il motivo dell’insolita timidezza della Contessa de Grammont, catapultata suo malgrado, nel giro di pochi mesi, dalla quiete provenzale a un paese lontano, totalmente diverso da tutto ciò che conosceva, per poi tornare in Francia, a seguito del marito, e ritrovarsi a frequentare Versailles, la Corte più elegante e insidiosa d’Europa. In cuor suo non poté fare a meno di compatirla e di chiedersi, soprattutto, cosa avesse mai indotto un uomo di mondo come Jean de Grammont a scegliere in sposa una creatura, certamente bella e di ottima famiglia, ma assolutamente inadeguata per le sue ambizioni.
“Anche mia sorella sta studiando in convento, benché soltanto da pochi mesi… tuttavia per ora non ne parla in termini così lusinghieri” disse allora, spezzando il silenzio che si era creato tra loro “Non so se avete mai sentito nominare l’Abbazia di Penthemont[6]”.
“So che è uno dei collegi più prestigiosi di Parigi…”
“E a dire di mia sorella, anche uno dei più austeri… A quanto pare, lei non ha avuto la vostra fortuna e nelle lettere che ci manda, non fa che lamentarsi dell’acqua fredda e del fatto che non possa scambiare neanche una parola con le sue compagne tra una lezione e l’altra…”commentò ironicamente lui.
“Dunque avete una sorella minore?” domandò con interesse Aurore.
“Sì, si chiama Isabelle… e non mi vergogno di dire che in casa si avverte la sua assenza”.
“È un nome molto bello… immagino che si adatti perfettamente a colei che lo possiede, se è incantevole come vostra madre” osservò la ragazza, abbozzando un sorriso.
“In effetti, le somiglia molto, tranne che nell’indole fortunatamente… altrimenti, dopo il matrimonio di mio fratello Dominique, come avremmo mai potuto fronteggiare da soli, mio padre ed io, due donne di simile temperamento?”sospirò il Visconte, scuotendo la testa.
Era ovviamente una battuta, ma per un istante Aurore de Grammont lo fissò interdetta; poi, finalmente, la sua risata cristallina riecheggiò nella stanza.
Veder brillare il verde limpido dei suoi occhi fu per Victor una piacevole quanto inattesa novità. In quel momento la trovò deliziosa; peccato davvero che l’eccessiva insicurezza e la mancanza di qualsiasi forma di malizia la rendessero scialba e insignificante rispetto a dame dotate forse di minor fascino, ma di maggior spigliatezza.
“Ridete dunque delle mie sventure, madame?” pronunciò scherzosamente, inarcando un sopracciglio e cercando di assumere l’espressione più offesa che gli riuscisse.
“Perdonatemi, ma… all’inizio sembravate così serio!”rise ancora la fanciulla, mostrando i piccoli denti perfetti, bianchi e lucenti come due fili di perle. Nella leggerezza del momento, si lasciò sfuggire dalle mani il piccolo tomo dalla copertina cremisi che teneva poggiato in grembo. Victor si chinò prontamente a raccoglierlo.
“Catullo… vi piacciono quindi le poesie d’amore?” chiese porgendoglielo.
“Come a ogni donna, temo” rispose vivacemente la Contessa, allungando una mano per riprendere il prezioso volume. Così facendo, tuttavia, le ruches della sua manica si alzarono un poco, rivelando impietosamente all’ospite i segni violacei che le macchiavano la pelle candida.
Sgranò gli occhi attonito, Victor, e ad Aurore bastò seguire la direzione del suo sguardo per intuire le ragioni di quel repentino turbamento.
“Non è nulla” mormorò, aggiustandosi rapidamente la manica per coprire di nuovo i lividi.
“Se posso permettermi… come è successo?”domandò incupito il gentiluomo.
“Sono scivolata ieri mentre uscivo dalla vasca… e tutto per non aver voluto aspettare che la cameriera tornasse ad aiutarmi” replicò lei con un sorriso tirato.
“Un’imprudenza che potevate pagare a caro prezzo. Vi siete fatta visitare da un dottore?”
“Ho soltanto battuto un braccio, visconte, tra pochi giorni sarà sparito” minimizzò la giovane “Ma ditemi, avete già fatto colazione? Perdonatemi, stiamo già conversando da dieci minuti e non vi ho ancora fatto portare nulla, dimostrandomi per l’ennesima volta una pessima padrona di casa!” si rammaricò subito dopo, cambiando opportunamente discorso.
A quelle parole, per un attimo Victor tacque. Quell’improvvisa disinvoltura, unita a un atteggiamento sfuggente, sembrava un evidente tentativo di distogliere l’attenzione da quei segni, il che li rendeva sospetti. Certo, poteva essere che la Contessa volesse semplicemente non parlare di un incidente che la imbarazzava, eppure… c’era qualcosa che non lo convinceva in quella storia.
“Il vostro valletto sta già provvedendo” disse quindi affabilmente “Ma tornando a Catullo, non credevo che conosceste il Latino… di solito non è contemplato il suo studio nell’educazione di una fanciulla”.
“Infatti non lo conosco, ma accanto ad ogni carme c’è la traduzione in Francese” gli spiegò la Contessa, rasserenandosi un poco.
“Un dono di vostro marito?” le chiese lui con noncuranza.
“Oh no, per Jean sono soltanto inutili sdolcinerie!” ribatté Aurore scuotendo la testa “Fu una mia compagna a regalarmelo, il giorno in cui lasciai il convento”.
“Una lettura alquanto insolita per delle educande…” obiettò allora Victor con una punta d’ironia “Scherzavo, madame Aurore, vi prego!” esclamò poi, divertito, vedendo le gote della Contessa tingersi per l’ennesima volta di rosa “Catullo non è certo un autore proibito, sebbene alcune sue odi siano alquanto ardite... comunque, suppongo che la vostra amica lo abbia tenuto debitamente celato!”
“In effetti, sì” sorrise la ragazza, superato l’impaccio “Temo che suor Génevieve, una delle mie insegnanti più care, non avrebbe affatto gradito… il suo punto di vista non era poi così lontano da quello di mio marito”.
“E voi? Cosa pensate a riguardo?” la interrogò con tono greve Victor, scrutandola in viso.
“Ecco… forse un tempo avrei risposto diversamente, ma oggi credo che… avessero ragione loro” mormorò lei abbassando lo sguardo “L’amore descritto dai poeti non esiste, non è reale… anche se a noi donne piace immaginare che lo sia”.
Quella riflessione così disincantata stonava proprio sulle labbra di una giovane sposa; tuttavia, prima che Victor potesse replicare qualcosa, Jean de Grammont fece il suo ingresso nella stanza.
“Colonnello Girodelle, perdonatemi, sono davvero desolato!” esclamò allargando le braccia con aria contrita “Purtroppo sono dovuto uscire prima del vostro arrivo, per ragioni che vi spiegherò a breve… vedo comunque che avete potuto contare sulla compagnia della mia splendida consorte. State meglio, mia cara?” domandò quindi alla moglie “Monsieur Duvalle mi ha detto che ieri sera non avete neanche cenato, dopo che sono uscito”.
Un leggero tremito percorse lo sguardo di Aurore.
“Sì, ma non dovete preoccuparvi… si è trattato solo di un malessere passeggero”.
“Ne sono lieto… sapete quanto tenga a voi” mormorò il Conte con trasporto, chinandosi a prenderle la mano e deponendo un tenero bacio sulle nocche pallide, non prima di averle sfiorato lieve il braccio con il dorso delle dita.
 Quel gesto, per quanto casto, ebbe qualcosa che infastidì Victor. Forse fu l'intimità che svelava, che, seppur accennata, gli diede l'impressione di un'ostentazione fuori luogo, o forse la rigidezza con cui lo accolse Aurore, che gli parve qualcosa di diverso dal semplice imbarazzo; fatto sta che sentì la necessità di interrompere quel momento.
“Ebbene, conte, quali sarebbero le misteriose ragioni di cui parlavate poc’anzi?” domandò pertanto bruscamente, alzandosi “Devono essere di una certa importanza per avervi strappato dal letto così di buon’ora”.
Un ghigno sornione affiorò sulle labbra del giovane creolo.
“Si è trattato semplicemente di una questione di priorità… e credo che una volta udito quanto ho da riferirvi, concorderete con la bontà del mio operato e scuserete la mia condotta” rispose sibillino.
“Forse… forse è il caso che vi lasci ai vostri affari, Jean” intervenne a quel punto Aurore, alzandosi a sua volta.
“Sì, andate pure mia cara… sono faccende da uomini, non voglio che la vostra graziosa testolina possa rimanerne turbata” convenne Grammont “Vi raggiungerò appena possibile, ho qualcosa per voi…un piccolo pensiero per farmi perdonare”aggiunse addolcendo la voce.
“Non avete nulla da farvi perdonare” obiettò lei con un flebile sorriso.
“Oh sì, invece” asserì con convinzione il gentiluomo “Ne parleremo più tardi”.
“Va bene, Jean” annuì la fanciulla “Colonnello Girodelle, è stato un piacere” disse quindi rivolta all’ufficiale, che s’inchinò rispettosamente.
“Il piacere è stato tutto mio” replicò Victor “Vi auguro buona giornata, madame”.
Aurore de Grammont contraccambiò il saluto con un impercettibile cenno del capo e uscì dallo studio, proprio mentre da una piccola porta di servizio entrava finalmente una cameriera con due fumanti tazze di caffè; costei, tuttavia – poco più di una ragazzina dai capelli rossi e il volto punteggiato di efelidi, - su indicazione del padrone si affrettò ad appoggiare il vassoio su una piccola consolle e si congedò rapidamente, lasciandoli soli.
A quel punto Victor inspirò profondamente, preparandosi a un confronto che non si prospettava per nulla semplice. Gli sembrava, infatti, che Grammont stesse giocando con lui come il gatto con il topo, tenendolo volutamente sulle spine. La domanda che gli aveva rivolto pochi istanti prima era, di fatto, rimasta in sospeso e sembrava che il Conte avesse tutta l'intenzione di continuare a tergiversare, mentre con studiata indolenza prendeva in mano la tazza a lui più vicina e iniziava a sorseggiarne il contenuto.
“Allora, Conte?”lo incalzò spazientito.
“Sedetevi e bevete il vostro caffè prima che si raffreddi, Colonnello, e ditemi cosa ne pensate. È arrivato con la mia nave la scorsa settimana direttamente da Saint Domingue” replicò serafico il suo interlocutore.
“Non credo che mi abbiate convocato all’alba per farmi degustare il caffè delle vostre terre d’origine, conte de Grammont!” sbottò l’ufficiale “Siete libero di informarmi o no sulle ragioni del vostro ritardo di stamane, ma abbiate almeno la compiacenza di spiegarmi per quale motivo avete voluto vedermi!”
“In realtà, le due cose sono collegate…” disse l’uomo con un sorriso ambiguo “… ed entrambe riconducono a un’unica persona, la cui felicità, per quanto ne sappia, vi sta molto a cuore…”
“Intendete dire vostra sorella?”
Grammont aggrottò la fronte.
“Dunque sapete… La cosa non mi stupisce, in verità, immaginavo che Oscar ve ne avrebbe parlato prima o poi, vista l'amicizia e la complicità che vi lega... ”
“Avete ragione, siamo buoni amici e non abbiamo segreti, del resto è noto che l'amicizia raddoppia le gioie e divide le angosce[7]”citò Victor, tornando a sedere.
“Sì, mi pare di averlo sentito dire, in effetti… Quindi immagino che la vostra ottima amicavi abbia detto anche che sono stato io a suggerirle di chiedervi aiuto, chissà come non ci aveva pensato... ” insinuò il Conte con un’occhiata beffarda.
Victor incassò il colpo senza tradire alcuna emozione.
“A dire il vero no” ammise con tono pacato “Comunque, è un dettaglio senza importanza, suppongo invece che il vostro sia stato un consiglio fraterno…”
Jean strinse gli occhi sollevando per un attimo un angolo della bocca in un mezzo sorriso, quindi scosse la testa con sdegno.
“Esattamente….” ribatté facendosi serio “So che non vi vado a genio, Colonnello, e a dire il vero neanche voi mi siete particolarmente simpatico, ma qui non si tratta di me o di voi, due perfetti estranei che la vita ha fatto incrociare e che volendo possono tranquillamente decidere di ignorarsi, ma di una persona che per quanto poco conosca, è mia sorella, il mio sangue... E in quanto  tale non posso voltarmi dall'altra parte e continuare a fare finta di niente”.
“Che cosa state cercando di dirmi, Grammont?”
“Che sono disposto ad aiutare Oscar, Colonnello”.
Per un attimo Victor ammutolì rimanendo a fissare il suo interlocutore con un'espressione incredula.
“Voi vorreste aiutarla?” domandò infine dubbioso “E per quale motivo, di grazia, se appena dieci giorni fa vi siete rifiutato di farlo?”
“Perché sono un uomo di coscienza e non intendo avere parte nell'infelicità di mia sorella, negandole un aiuto che ho la possibilità di darle e lasciando che subisca le conseguenze di una decisione per lei tanto nefasta, sebbene dettata dalle migliori intenzioni” rispose asciutto Grammont “Se finora mi sono tenuto al di fuori da questa faccenda, è stato solo per non tradire la fiducia che il Generale, pur conoscendomi appena, aveva riposto in me quale suo figlio. Non ho nulla contro Oscar, né contro André Grandier, e a dire il vero ho una visione molto meno rigida del Generale su certi aspetti della società in cui viviamo e che, peraltro, ritengo retaggio di un mondo che si sta inesorabilmente avviando al declino”.
“Non condivido questo pensiero, tuttavia concordo che ci possano essere delle eccezioni che sfuggono alla regola” replicò secco Victor, che non aveva intenzione di mettersi ad ascoltare discorsi sull'eguaglianza da un altro nobile illuminato che non si rendeva veramente conto di quale fosse la posta in gioco e criticava l'orgoglio della sua classe pur continuando a goderne di tutti i privilegi “E certamente una persona fuori dal comune come Oscar de Jarjayes è tra queste. La limpidezza dei suoi sentimenti, come la purezza dei suoi principi e la sua volontà di autodeterminazione, sono tali che non potrà mai piegarsi a nessuna imposizione se non a quelle dettate dal proprio cuore, e il Generale più di chiunque altro avrebbe dovuto rendersene conto…”
Grammont pensò che il colonnello Girodelle fosse indubbiamente innamorato della sua eccentrica sorella come una pera cotta e che per quell’amore fosse stupidamente disposto a farsi strappare il cuore dal petto. Amelie aveva ragione, era uno sciocco, e quasi gli venne da ridere pensando a quanto sarebbe inorridita sua madre se lo avesse sentito in quel momento.
“Non è semplice per un genitore convinto di agire per il bene della propria figlia” si limitò invece a commentare “Ad ogni modo, è fuori discussione che l'ostinazione del Generale a voler piegare Oscar inizi a sconfinare in accanimento e temo che se non interverremo prima che rinsavisca da questa sorta di delirio, a farne le spese sarà quel povero diavolo di Grandier”.
 “Interverremo?” ripeté perplesso Victor, inarcando un sopracciglio.
“Sì, dobbiamo essere noi a farlo” ribatté deciso Grammont “Oscar dovrà restarne fuori”.
“Impossibile...”
“Necessario!”
“Oscar non accetterà mai di farsi da parte! Capisco che pensiate che sarebbe preferibile, dal momento che il suo coinvolgimento emotivo potrebbe portarla a commettere qualche imprudenza, ma considerate che è più che abituata alla pressione di situazioni rischiose...”
“Il Generale la fa seguire” tagliò laconico il conte de Grammont “Me l’ha confidato qualche giorno fa, ed è proprio per questo che ho scelto di parlare di questa faccenda con voi e non direttamente con mia sorella. Conosce ogni suo minimo movimento e dunque, se non vogliamo avere problemi, non possiamo coinvolgerla direttamente. In realtà anche voi dovreste rimanere defilato, la prudenza non è mai troppa… dunque sarà meglio che sia io a pensare a tutto”.
“In che modo, di grazia, se mi è lecito chiedervi, la cosa risulta difficile per me che pure ho conoscenze in ambienti chiave, come potreste farlo voi che siete a Parigi da pochi mesi?”
“Ho le mie risorse, non preoccupatevi… questo è il motivo per cui non ero qui fino a poco fa”.
“Quali?” insisté il Visconte.
“Colonnello, non sono uno sprovveduto, credo che almeno di questo me ne possiate dar merito… forse non ho conoscenze in ambiente militare come voi, ma oltre che le informazioni giuste, in quanto capitano di una nave ho uomini fidati che hanno buoni amici e amici di amici, che penseranno a ogni aspetto della fuga, senza che stavolta ci siano intoppi” replicò Grammont “André è ricoverato all’Hotel Dieu…[8] Nonostante tutto, mio padre non è quel mostro che credete e ha predisposto il suo trasferimento lì per fargli prestare le cure necessarie. Le accuse contro di lui, però, non sono cadute e dal momento che le sue condizioni di salute sono un poco migliorate, domani all’alba sarà riportato all’Abbaye… lo liberemo durante lo spostamento”.
“Negli ultimi tempi, a causa di alcuni disordini Parigi pullula di soldati e ci sarà sicuramente una scorta di uomini scelti , a vigilare lungo il tragitto… come pensate di farlo fuggire in piena città, senza ritrovarvi qualcuno alle calcagna?”obiettò il Visconte.
“Vi ho detto che non dovete preoccuparvi, le persone che ci aiuteranno conoscono la città forse anche meglio di voi, sanno cosa fare. Non mi esporrò in prima persona e anche voi non sarete direttamente coinvolto. Chiaramente a cose fatte il Generale penserà che ci sia la vostra mano e quella di Oscar dietro l’evasione di André, ma non ne avrà mai le prove. Mi auguro che ricambierete la cortesia con il vostro silenzio sul ruolo da me avuto in questa storia”.
“Sì, ovviamente” annuì Victor “Ditemi però che cosa devo fare”.
“Al tramonto, fatevi trovare con Oscar sulla strada per Bordeaux. Nei pressi di Villebone, c’è una vecchia masseria abbandonata, al bivio, sulla strada, un’edicola votiva… ci aspetterete là. Oscar deve portare solo lo stretto indispensabile per qualche giorno e il denaro di cui può disporre. Quanto al fatto che sia seguita, non dovete preoccuparvi, penserò anche a questo”.
“E poi?”
“Poi io e voi li scorteremo ancora sino a Orléans per assicurarci che non ci sia nessuno sulle loro tracce. Lì li lasceremo, torneremo indietro e ci comporteremo come se fossimo all’oscuro di tutto”.
“Ma perché proprio Bordeaux?”
“Da lì potranno imbarcarsi per le Antille in tutta tranquillità, perché quasi sicuramente il Generale li cercherebbe prima sulla strada per Calais… essendo più vicina a Parigi, sarebbe più logico pensare che vogliano lasciare la Francia attraversando la Manica. A questo proposito, prima che obiettiate qualcos’altro, ho già pronti i documenti per l’imbarco … ovviamente, sempre che vogliate aiutarli…”
“Certo che lo voglio!” ribatté piccato il Visconte ”Mi pare sia lampante!”
“Talvolta l’amore è egoista…” replicò Jean scrollando le spalle “e non ci sarebbe nulla di male se la purezza dei vostri nobili propositi si scontrasse con la forza del vostro sentimento e il desiderio di avere Oscar tutta per voi… Basterebbe che ora vi tiraste indietro e lei non ne saprebbe mai nulla” rimarcò con uno sguardo eloquente.
Quelle parole andavano ad affondare con lucida spietatezza nelle più infami debolezze della sua anima, ma il senso dell’onore di Victor de Girodelle fu più forte di qualsiasi tentazione.
“Ho preso da tempo la giusta decisione” dichiarò con fierezza.
“Allora il dado è tratto” sancì Grammont alzandosi in piedi “A questo punto ci vorrebbe un brindisi per suggellare il nostro accordo, ma non mi sembra l’orario più opportuno…”
“Tra gentiluomini è sufficiente una stretta di mano” disse Victor, sollevandosi a sua volta e stendendo il braccio in direzione dell’uomo.
Uno strano sorriso aleggiò sulle labbra di Grammont, mentre allungava la mano per stringere quella del Visconte.
“Ovviamente...”
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Per chi non lo ricordasse, è il valletto di Jean de Grammont nel capitolo 14, Fratelli.
[2] Non è altro che il dipinto raffigurante Jean sulle scogliere della Normandia (commissionato dal Generale), che compare sempre nel capitolo 14.
[3] La via in cui si affaccia lo studio di Jean, come è riportato anche nel cap. 11, Il seme del dubbio
[4] Piccola precisazione: non si trattava di una camicia da notte come la intendiamo noi oggi, ma di una andrienne, ossia di un vero e proprio abito, di moda soprattutto nella prima metà del Settecento.
[5] Cittadina provenzale, che durante la Rivoluzione vide l’arresto e la successiva condanna a morte di ben ventinove suore, tra Orsoline e Sacramentine, che fanno parte delle cosiddette “Beate Martiri di Orange”.
[6] Istituto religioso agostiniano in rue de Grenelle, a Parigi, destinato all’educazione di fanciulle appartenenti all’elite dell’aristocrazia, nonché ad accogliere nobildonne che desideravano allontanarsi dalla famiglia o dai propri mariti.
[7] Massima di Bacone
[8] Il più antico ospedale di Parigi, fondato nel 651 nell’Ile de la Cité, poi riedificato nell’Ottocento
   
 
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