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Autore: LeanhaunSidhe    11/06/2019    9 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Per amore di un figlio

 

Mnemosine si era affacciata alla finestra. Spiava i nuovi arrivati. Attenta, osservava suo figlio, concentrato. Dopo la rivelazione di Imuen, quel tarlo le aveva roso la testa ogni momento. Se voleva parlare con Cancer senza che Zalaia se ne accorgesse, aveva solo quella manciata di ore. Recuperò il mantello e guadagnò l'uscita. Sperava solo di ricordare bene la strada per Rodorio. Per sua fortuna, la memoria non la ingannava. Aveva anche imboccato il sentiero che costeggiava le dodici case. Il primo tempio ed il terzo tempio erano vuoti. Il secondo, presieduto da un custode così di buon cuore da salutarla, addirittura, con un cenno del capo, credendola un'ancella. Si era sentita a disagio a prenderlo in giro ma il tempo a sua disposizione era poco. Non poteva sprecarlo in sensi di colpa. Giunta alla soglia della quarta casa, vacillò appena. Aprì il palmo della mano ad accogliere un paio di fuochi fatui, che le rischiarassero l'ambiente tetro, circostante. Il tempio era stato sì purificato ma non era poi migliorato molto. Era evidente il lungo stato di abbandono. Probabilmente la servitù aveva paura a farsi avanti, visto il carattere minaccioso del quarto custode e la sua sinistra fama. Tentennò di nuovo. Fosse stato per lei, mai si sarebbe abbassata a tanto ma, per suo figlio, era disposta a tutto. Zalaia necessitava dell'aiuto di suo padre per eliminare quell'unico punto debole che ancora restava a renderlo vulnerabile, nella guerra che si profilava. Lei era sempre stata una di quelle madri disposte a tutto, per la salvezza di un figlio, anche ad offrire l'anima al diavolo, se necessario. Strinse i pugni, decisa ad incatenare il proprio cuore in una corazza più resistente di un'armatura. Doveva riuscire per forza, davanti a quella persona. Strinse i pugni. Calmò il proprio respiro e palesò finalmente la sua presenza. Solo dopo qualche minuto, colui che aspettava si sarebbe fatto avanti.

 

 

Era ancora impegnato a fasciarsi le ferite, furioso per l'affronto subito. Non sapeva se era stato peggio essere stato sconfitto da un ragazzino o apprendere che quel moccioso che pestava come un ossesso era sangue del suo sangue. Si guardava allo specchio. Mai come in quel momento aveva provato disgusto verso se stesso. Come aveva potuto dimenticare quella donna e ciò che c'era stato? In realtà, la rimembrava perfettamente ma era stato portato a convincersi che lei era solo frutto di un sogno, l'attività onirica della sua mente perversa alla disperata ricerca di un briciolo di pace. Chi l'aveva ferito più di tutti, però, non era stato Imuen ma se stesso. Il momento esatto in cui, ripreso a respirare, si era complimentato con Zalaia e lui l'aveva ricambiato con un attimo di puro odio e poi spietata indifferenza. Si era specchiato in suo figlio e lui l'aveva ricambiato con la ripugnanza peggiore che si poteva provare nei confronti di una creatura vivente. Si alzò e raggiunse lo specchio. Guardava se stesso e vedeva Zalaia. Avevano entrambi la stessa espressione. Detestavano Death Mask nella stessa rabbiosa maniera.

Le vibrazioni che avvertì provenire dall'entrata del suo tempio, tuttavia, interruppero quel pastoso groviglio di pensieri. Non ebbe dubbi su chi lo cercava. Lei veniva come un sogno a portare un altro pezzo di realtà. Non indossò l'armatura per andarle incontro. Voleva vedere se anche lei detestasse non Cancer ma Death Mask allo stesso modo.

 

Nella penombra silenziosa della quarta casa, Mnemosine riconobbe subito chi si apprestava. Ebbe un sussulto ed i fuochi fatui che l'accompagnavano si allontanarono subito, come in risposta al suo scatto ansioso. Death Mask arrivava come uno dei fantasmi che domava Zalaia. Quando, però, l'ebbe davanti, sentì il suo cuore battere, il suo odore da vivo. Istintivamente, si portò le mani alla bocca, vedendo le tumefazioni, i graffi, i lividi. Inorridì al pensiero che fosse stato suo figlio e, per un attimo, sentì quasi le gambe cedere. Incerta, provò a toccare un segno più evidente allo zigomo dell'uomo. Questi non si sottrasse alle sue dita leggere. Mnemosine, sul corpo del cavaliere, sentiva forte l'odore del sangue di Zalaia. Aveva visto tanti feriti in condizioni peggiori ma allora, ad essere conciato in quel modo, era l'uomo che aveva amato e ad avercelo ridotto era lo scopo della sua vita. Iniziò a temere che la sua visita si sarebbe trasformata in un doloroso buco nell'acqua. Doveva rischiare.

"Perdonerai mai tuo figlio?"

Per un attimo, Death Mask credette di non aver bene inteso il senso di quell'assurda domanda. Ripensò a come era conciato. Un allievo capace di ridurre così il proprio padre sarebbe stato la gioia del maestro che aveva allevato lui e anche del vecchio Cancer. Spiegare, tuttavia, una cosa del genere ad una come Mnemosine, certamente estranea a simili regole di battaglia, non era semplice. Significava poterla allontanare prima ancora di riavvicinarsi. Si aspettava il rimprovero astioso per essere stata dimenticata, uno schiaffo che ci stava tutto. Invece, le prime parole che gli furono offerte erano la preghiera accorata di una madre.

"Non devo perdonare nulla a nessuno."

Rispose, infine, asciutto. Non si mosse quando lei lo abbracciò con slancio, ripetendo mille volte un grazie che non meritava. Il dolore alle costole lo trafisse. Il suo adorato bambino doveva avergliene fratturata qualcuna. Il perdono ci stava tutto ma anche quattro o cinque calci nel sedere. Lei doveva essersene accorta, perchè si era slacciata da lui e gli guardava il busto.

"Perchè non ti sei fatto curare?"

Incerto, aveva spiegato di non averne bisogno. Lei, allora, aveva inarcato le sopracciglia. L'aveva preso per mano ed era stata lasciata fare.

 

Era lesta Mnemosine. Lo aveva rimesso a nuovo nel giro di pochi minuti. Le sue dita correvano celeri sulla sua pelle e l'azione di un cosmo particolare sanava in pochi momenti le ferite più difficili. Death Mask l'aveva osservata fare un fagotto di cerotti e bende insanguinati, da gettare nella spazzatura. Evidentemente, lei ricordava bene come erano disposti i suoi appartamenti privati e ci si muoveva agilmente.

"Al tuo compagno sta bene saperti qui? O sei venuta senza dire nulla?"

Le chiese il cavaliere all'improvviso, mentre era di spalle. La domanda, tuttavia, l'aveva colpita. Si era girata lentamente.

"Non ho un compagno a cui rendere conto e non ti cerco per passare qualche ora in compagnia, se è ciò che temi. Ruberò ancora poco del tuo prezioso tempo. Poi potrai tornare a sollazzarti con la femmina che più ti aggrada, in questo momento."

Bella, dolce e battagliera. Tale e quale a come la ricordava.

"Magari ho una compagna."

Lei aveva scosso il capo. Lo conosceva troppo bene.

"Tu una compagna fissa? L'unica cosa simile ad una donna stabile che ti gira per casa sarà il cavaliere dei Pesci."

Poi, però, era tornata seria. Si era sedua vicino a lui, sul letto. Lo fissò intensamente.

"Se però il sentimento che ci ha uniti una volta, anche per te valeva qualcosa, devi concedergli il tuo aiuto."

Quel gli, agli orecchi di Death Mask, aveva stonato subito.

"Chi diamine vuoi che aiuti?"

Chiese, sconfitto, immaginandosi già il patetico terzo incomodo nella nuova famiglia della sua ex.

"Tuo figlio."

Il cavaliere si girò di scatto. Sentì di nuovo, tutte insieme, le botte che quell'angelo gli aveva regalato.

"A fare che? Ad ammazzarmi del tutto? Non lo voglio vedere neppure in cartolina senza museruola!"

A quelle insinuazioni, Mnemosine avrebbe dovuto schiaffeggiarlo. Invece, sorrise intenerita. Qualcosa, in lei, si sciolse e non era un bene. In quella battuta infelice, padre e figlio tradivano la stessa ironia.

"Non è colpa sua se ha ripreso il tuo caratteraccio."

Rispose piccata.

"Non può occuparsene il suo maestro?"

In quel tergiversare, però, Mnemosine non vedeva codardia ma la vergogna di porre una domanda precisa, su come se la fossero cavata senza di lui, se per lui ci fosse almeno un piccolo posto. La donna sospirò, che per certe sfumature non aveva tempo.

"Per gestire questa cosa c'è bisogno di suo padre, quello biologico."

Death Mask la trapassò coi suoi occhi scuri. L'aveva convinto.

"Che vuoi che faccia per lui?"

La rossa, sollevata, lo ringraziò.

"Insegnargli ad unsare il cosmo di Cancer da umano."

Death Mask si chiese se aveva inteso bene o si burlasse di lui. Apprese così che i Dumedain, se metà umani come suo figlio, potevano perdere per poco tempo i poteri della razza superiore, in determinati periodi. Poichè il ragazzo, senza le facoltà del sangue di Imuen, aveva un cosmo del tutto simile a quello di Cancer, era un misfatto lasciarlo con quell'unico punto debole.

"Io voglio che mio figlio sopravviva a questa battaglia."

Il cavaliere del Cancro, scettico, annuì, dimostrandosi molto più disponibile di quello che ci si sarebbe potuto aspettare da uno della sua indole.

"Immagino che da umano sia più gestibile che da Dunedain."

Affermò, pregustando il momento in cui gli avrebbe restituito, almeno in parte, le carezze del loro primo incontro.

"Sì. Ma non pensare di poter fare i tuoi comodi con lui. Mio figlio è parte del branco. Il branco protegge i suoi membri. Ognuno sa cosa accade all'altro."

Sorrise a quel punto sua madre. Death Mask notò allora, per la prima volta, le zanne addirittura su quella bocca, che un tempo aveva baciato, inconsapevole. Lo capì allora. Quella perla di ragazzo, sarebbe sopravvissuto sicuramente, in un modo o nell'altro, esattamente come sua madre desiderava.

 

 

 

 

Per amore di un fratello

 

Seleina aveva un'ombra scura sul cuore e in quel momento, in cui presto avrebbe avuto davanti il suo fratellone acquisito, il cuore le sanguinava. Perchè le parole di Haldir, nei giorni scorsi, erano state chiare ed intollerabili.

Il domatore delle anime dei viventi, prima di partire, l'aveva presa da parte. Le aveva spiegato, una volta per tutte, che il legame mentale che condivideva con Kiki non sarebbe stato possibile da spezzare e lei avrebbe dovuto farsene una ragione.

I Dunedain apprendevano in un'età ben maggiore di quando aveva iniziato a servirsene lei, come usare correttamente le facoltà che gli derivavano dal sangue, senza esserne dominati. Lei aveva iniziato che era troppo piccola. Certe regole di base non le erano state insegnate.

Se tra loro si facevano chiamare domatori e non signori c'era un motivo. Se entravano in contatto con qualcuno che gli era superiore, finivano per esserne schiacciati, invece di aiutarlo, in un circolo vizioso che terminava una volta per tutte solo quando cedeva uno dei due: l'anima vivente o chi la dominava. Kiki, quando la faccenda era iniziata, le era tremendamente superiore, come lo era ancora.

Al punto in cui erano arrivati, la sua unica scelta sarebbe stata diventare più forte del cavaliere, per recidere quel legame lei stessa. Ma lei, così forte, ancora in parte umana, mai e poi mai ci sarebbe diventata. Di sicuro, quando avrebbero affrontato i perduti, tutte le paure, le emozioni negative, le debolezze da guerriera inferiore che lei si sarebbe portata inevitabilmente appresso, avrebbero destabilizzato Kiki al punto da renderderlo debole preda di ciò che si stava per scatenare. Lei, però, aveva il branco a proteggerla. Sarebbe sopravvissuta. Per il lemuriano era tutta un'altra storia.

 

A quelle rivelazioni, Seleina aveva smesso di respirare. Si era sentita morta in un corpo con un cuore che batteva. Aveva fissato Haldir e, per la prima volta, aveva avuto la certezza che mai e poi mai avrebbe dovuto fidarsi di lui come, sciocca, aveva sempre fatto. Per l'ennesima volta aveva perso ogni punto di riferimento. Tutti, eccetto uno. E la sola cosa da fare le era apparsa chiara.

"Per vivere, insomma, dovrei lasciarlo morire?"

Haldir spietato, senza parole, aveva confermato. Lei aveva smesso di guardare il maestro, per vedere il boia.

Ci aveva pensato a lungo, Seleina, a come risolvere quella questione. Più ci rifletteva e più si sentiva presa in giro: nell'anima, nel corpo, nelle ossa. Perchè Haldir lo sapeva cosa sarebbe diventata, donandole il suo sangue. Lo sapeva cosa sarebbe accaduto a Kiki, in quel caso. Ed era anche consapevole, lui che conosceva le anime di tutto e tutti, che lei mai e poi mai lo avrebbe accettato.

Aveva rubato quella boccetta di veleno dall'infermeria per uno scopo preciso, perchè era inodore, e nessuno dei Dunedain se ne sarebbe accorto.

La probabile fine del giovane lemuriano, aveva concluso Haldir, prima di lasciare il campo per i suoi peregrinaggi, sarebbe stata solo un inconveniente di guerra. Succedeva. Lei non poteva farci niente. Se non accettare e continuare a combattere.

Seleina rigirò il liquido nero tra le dita. Strinse forte il cristallo nella mano, nascondendolo in una tasca interna della casacca. Ormai, i cavalieri d'oro erano tornati in vita. Ciò che poteva fare per aiutare la terra, come principessa, come essere umano diviso a metà col mondo dei Dunedain, lei l'aveva già compiuto.

Allora avrebbe combattuto, sicuramente, anche se non sarebbe mai e poi mai diventata abbastanza forte. Ma una soluzione l'avrebbe trovata, una volta per tutte. Mai. Mai per mano sua ci sarebbe stato un inconveniente di guerra.

Lo sapeva nelle ossa, nel corpo, nell'anima. Lei una scelta l'aveva trovata. Kiki avrebbe vissuto. Semplicemente perchè lei lo desiderava.

   
 
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