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Autore: LeanhaunSidhe    14/06/2019    8 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Nell'eccitazione generale di quel loro singolare viaggio, Mu fu il primo ad accorgersi che qualcosa non quadrava. Lo vide nello sguardo di Seleina che evitava, stranamente scontrosa, quello di suo fratello. La ragazza fissava il terreno, inquieta. Non era la solita ritrosia per la diversità di aspetto. Gli sembrò il disagio di chi sa di dover eseguire un ordine che lo ripugna ma non può in nessun modo sottrarsi. Interpretare che la cosa avesse potuto coinvolgere Kiki fu un attimo.
Mu non prestò attenzione ai convenevoli di Imuen e diede una rapida occhiata all’arena, decisamente più piccola di quella del Santuario. La spiegazione sulla modalità dello scontro arrivò ai suoi orecchi come un discorso lontano e di scarsa importanza. Apprese di sfuggita che sarebbe stato ricreato il modo di agire dei perduti ed i ragazzi di Haldir avrebbero combattuto tutti insieme, in branco. Di fatto, i Dunedain li costringevano quindi ad agire in gruppo. Alcuni dei suoi compagni avevano borbottato: era un modo poco onorevole, diverso dal duello singolo. Il cavaliere studiò ancora la tensione di Seleina, per lui ancora più palese. Il sospetto che qualcosa di grave stesse per scatenarsi lo mise decisamente all’erta. Bloccò Kiki con la psicocinesi, per obbligarlo a restare fuori. Per il momento, decise che suo fratello sarebbe rimasto un mero spettatore.

All’inizio, Kiki aveva sbuffato. Li per li avrebbe voluto opporsi all’iniziativa del fratello. Poi, convinto sia dalle battute del maestro Shion che, neppure troppo velatamente, gli aveva ricordato che non sarebbe stato affatto male, per lui, imparare a coltivare la pazienza, si era arreso ad incrociare le braccia e, impotente, attendere l’evolvere degli eventi. Stava ancora immaginando i motivi di quell’assurda imposizione nei propri confronti, quando per il quadrato di combattimento si era alzata la nebbia. Non gli fu difficile indovinare che persino la temperatura, in quel piccolo spazio, fosse scesa velocemente. Era come se gli elementi si fossero scatenati in quei pochi metri quadrati. Percepiva le voci dei presenti ed i rumori dei colpi giungere ovattati ed alterati. Non faticava a credere che si trattasse anche di una battaglia di illusioni mentali. Del resto, parte dei poteri di Seleina avevano una natura simile. Aveva provato a concentrarsi, per spingersi a vedere oltre la cortina bianca ma era come se una barriera impenetrabile gli impedisse ogni intromissione. Sbuffando, aveva incrociato le braccia al petto. Gli sarebbe anche piaciuto assistere ai progressi di Seleina, sapere come se la cavasse con quei suoi nuovi e singolari compagni di lotta. Avvertì i cosmi di Ioria e Scorpio vibrare poderosi. Non immaginava che, presto, parte della sua curiosità avrebbe potuto essere placata: aveva visto i due cavalieri venire letteralmente sbalzati fuori dal perimetro e rialzarsi sbuffando, più per la pessima figura che per la botta presa. Li raggiunse, calmo, con le mani dietro la schiena, mentre si scrollavano la polvere di dosso. Li per lì ebbe addirittura l’impressione che lo avrebbero mandato subito al diavolo, se gli avesse domandato come e perché erano finiti a tappeto nel giro di pochi minuti.

 

Alla fine non aveva resistito alla tentazione di chiedere cosa era gli accaduto la dentro e, prima di ottenere una risposta, era stato trapassato da uno sguardo di biasimo del maestro Shion e dall’espressione a dir poco seccata dei commilitoni. Gli fu poi raccontato che non erano stati in grado di vedere quasi nulla, eccezion fatta per gli occhi dei ragazzi di Haldir, che sembravano paia di punti azzurri che galleggiassero ad altezza uomo, nell’aria rarefatta. Nel bianco, infatti, quelli si confondevano, sia per le uniformi chiare che per l’incarnato. I cavalieri avevano sentito il ghiaccio salire dai piedi alle gambe, immobilizzarli per impedire ogni movimento. Una tensione che non era mai appartenuta a nessuno di loro si era insinuata subdola, negativa, estranea e fastidiosa. Come la malia di una creatura che sussurri all’orecchio di sangue e morte, tentando. Spaventati, come se ne stessero per diventare preda, avevano cercato di contrattaccare, addirittura congiuntamente. Avevano sentito parole bisbigliate, lo scintillio di una lama nell’indistinto, il vento che diventava bufera come in risposta ad comando. Una tempesta tanto impetuosa e caotica quanto precisa, chirurgica, nello sbatterli fuori. Doveva essere il potere dei figli di Haldir che si univa, come se invece di tre fossero stati un unico guerriero. Probabilmente, il modo esatto di reagire sarebbe stato cercare di colpire l’unico punto in cui si ravvisava una minore concentrazione di energia avversaria. Peccato, tuttavia, che l’informazione era ormai inservibile per loro e comunicare con i compagni all’interno pareva impossibile. Kiki era rimasto attento, per certi versi col fiato sospeso a quelle supposizioni. Quando aveva rialzato il viso, non si riusciva ancora a scorgere nulla degli avversari. Tuttavia, piccole saette azzurre sfrigolavano veloci per l’arena. Una, in particolare, catturò la sua attenzione prima che il respiro si facesse più affannoso e la voce preoccupata di Shion gli giungesse in soccorso.
Fu solo in grado di spiegare che qualcosa gli tremava dentro, all’altezza dello sterno, sbalordito lui per primo, mentre le forze lo abbandonavano in fretta. Imuen che si avvicinava insieme a Zalaia erano un groviglio di immagini indistinte che sfocava nella sua retina. Non si oppose: lo trasportavano di peso in infermeria.

 

***

 

Dello scontro all’esterno, ormai, gli importava poco: Zalaia aveva disteso il lemuriano su un giaciglio e lo teneva sotto osservazione, nell’attesa che migliorasse.
Imuen gli aveva svelato pochi e vaghi particolari sul fatto che, quando Seleina avesse cominciato a servirsi dei suoi poteri in combattimento, probabilmente l’Altare ne avrebbe risentito, secondo le ancora più scarne informazioni ricevute da Haldir. L’unica cosa chiara era che i loro signori gemelli comunicassero pochissimo e per l’Altare stesse cominciando a tirare una brutta aria. Più che tamponargli la fronte con una pezza fredda e monitorare battito e respiro nell’attesa che si riprendesse, il giovane poteva poco altro. Aveva continuato a domandarsi dove fosse sua madre che, senza dubbio, con le sue facoltà avrebbe potuto recargli maggior sollievo. Il sospetto che solo Haldir avrebbe potuto salvarlo del tutto gettava ombre non proprio chiare sul destino di quel cavaliere. A peggiorare la situazione giungeva l’odore di Seleina, agitata, probabilmente sbattuta fuori dallo scontro simulato con un po’ troppa veemenza.
La osservò trattenendo il fiato, mentre zoppicava fino a dove era disteso l’Altare. Notò l’estrema delicatezza con cui gli aveva scostato poche ciocche sudate dalla fronte, come non staccasse

gli occhi da quelli di lui, quasi fossero stati calamitati gli uni negli altri da un legame che non conosceva e non gli era dato comprendere, nato in un periodo in cui c’erano solo quei due, senza il minimo spiraglio per nessun altro. Udì la preghiera di Seleina, sussurrata e tremante, che presto lui sarebbe stato di nuovo bene, una promessa sancita dal sorriso stentato del cavaliere.
A quella scena, Zalaia aveva sentito sottopelle la puntura della gelosia. La mascella si era contratta senza che lo volesse. Alzato di scatto, si era sbattuto la porta alle spalle con la scusa di dover prendere dei medicamenti nella stanza adiacente. Nel nuovo ambiente, le assi di un tavolo avevano sussultato alla rabbia del suo pugno, in un tintinnare di ampolle e di carte che scivolavano via dalle pile ordinate. Poi si era riavviato i capelli, prima di imporsi calma e dirigersi nuovamente alla porta. Tutto si aspettava, meno che Seleina lo raggiungesse con urgenza, spingendolo indietro di un paio di passi e facendo scattare la chiave dietro di sé. Fu agguantato per le spalle e spinto indietro, come se non bastassero a destabilizzarlo le emozioni che tratteneva a fatica dentro di sé.

***


“Tu lo sai come sta Kiki!”


Seleina aveva afferrato Zalaia per le spalle. Nonostante fosse più bassa, riusciva ad imprimere ai suoi gesti una forza tale da mozzare il respiro in gola. L’aveva costretto a indietreggiare fino a toccare la schiena contro la parete, senza possibilità di scampo se non la nuda verità, ad incatenarlo col mistero dei suoi occhi, a pretendere una risposta che non ammetteva di essere trattenuta.


“Sta male per colpa mia?”


Aveva insistito, scuotendolo leggermente, stringendolo più salda con la sua malia, del tutto incurante del fatto che non ne avrebbe avuto bisogno, non con lui. In quell’attimo, troppo concentrata su Kiki, non se ne rendeva assolutamente conto. Le lacrime erano sfuggite con più rabbia mentre attendeva di sapere cosa davvero stava accadendo a Kiki. Le parole di Zalaia, la conferma a quella domanda, spezzarono qualcosa in lei, completamente. I polpastrelli annichilirono mentre liberavano del tutto l’amico ed il capo si abbassava verso terra. Fu come se le pietre dell’argine franassero sotto il peso dei ricordi e della realtà. L’acqua aveva travolto ogni barriera della sua anima mentre le dita scivolarono lungo le spalle del ragazzo più alto, a disegnare tremanti il contorno delle sue braccia, dalle spalle ai polsi, senza intrecciarsi mai alle sue mani, solo al vuoto.
Seleina aveva capito cosa fare. Se ci fosse stata una sola minuscola possibilità di agire diversamente, essa era morta in quell’istante, trafitta dalla consapevolezza dell’unica cosa da fare. Da sola, l’avrebbe compiuta.
Aveva lasciato Zalaia da solo in quella stanza. Aveva percorso il tragitto verso l’arena a ritroso, del tutto incurante di Kiki che riusciva a mettersi seduto, del tutto all’oscuro del discorso che c’era stato poco prima, vicino a lui.
Seleina aveva sorpassato anche l’arena senza essere fermata, dove il confronto tra Dunedain e cavalieri di Atene continuava in perfetta parità. Lo spostamento d’aria causato da qualche sfera di energia le aveva scompigliato vesti e capelli. Senza essere fermata, quasi che nessuno si accorgesse del suo allontanamento, aveva continuato la sua strada, decisa a raggiungere il punto dove Haldir sarebbe atterrato. La mano che reggeva l’ampolla col veleno tremava sotto la casacca mentre la rabbia iniziava a crescere dentro di lei.
Quando era piccola, tante volte le avevano detto che era strana, poco intelligente, inquietante. Il vincolo che la univa ad Haldir la costringeva a servirsi dei suoi poteri ma pure al silenzio, ostinato, perfetto, implacabile. A sentire quelle infamie sul proprio conto ed a tacere. Era stata obbligata ad allontanarsi persino dalla sua famiglia, da ognuno dei suoi cari, pur vivendoci fianco a fianco. Era un marchio sugli occhi quello che la rendeva diversa. Lo aveva sempre accettato con sopportazione e coraggio: perché era necessario, perché così era giusto. La colpa di una antenata aveva condannato lei ed il gigante bianco. La vita di Kiki, però, no, era troppo. Ci dovevano per forza essere segreti che il gigante bianco sapeva e le aveva nascosto. Qualcosa con cui irretirla, tenerla in scacco, renderla la pedina utile e necessaria di un piano scellerato ed architettato ad arte. Ciò che pensava Haldir, ormai, non le importava più. I suoi disegni, le sue battaglie, erano fumo per lei. Ogni verità con cui l’aveva plasmata, pura menzogna. Strinse più salda la boccetta col veleno sotto la casacca, decisa a farla finita e ristabilire l’ordine. In qualche modo, poi, avrebbe chiesto perdono persino a suo padre ed a tutta la sua famiglia, dall’altra parte. Sorpresa, però, negò col capo mentre il fiato le si mozzava in gola. Qualcuno arrivava troppo presto ed era la persona sbagliata.

 

***

 

Zalaia era apparso all’improvviso. Le era letteralmente piombato addosso. Le chiedeva allarmato dove fosse la boccetta col veleno mentre lei fingeva di non capire. Sordo alle suppliche di andarsene, prima che fosse tardi, che quella faccenda non lo riguardava minimamente. Testardo, ripeteva che il liquido era inodore ed aveva bisogno di un’indicazione per rintracciarlo. Poi, avrebbe sistemato ogni cosa, rimettendo l’ampolla in infermeria. Una scusa l’avrebbe trovata per spiegare l’accaduto, per placare ogni accusa, ammansire persino Sire Haldir che mai avrebbe tollerato una diserzione del genere.
Nella concitazione del litigio, non si accorse che chi temeva era ormai li ed aveva già compreso. Zalaia era stato spaventato dal suo ringhiare ma non si era dileguato come i vigliacchi che lo accompagnavano, atterriti dalla quantità di energia che emanava e da quanto fosse oscura.
Avrebbe voluto intercedere ma fu bloccato dal volere di un essere infinitamente più potente di lui. Il giovane poté osservare il mistero celato nelle sue iridi profonde, incatenato da quel personaggio che assomigliava in tutto e per tutto al suo maestro ma era anche così diverso da scuoterlo fin nelle ossa. Anche se provò ad opporsi in tutti i modi, non riuscì a muoversi di un passo. Gli fu ordinato di tornare dal suo signore. Lui, costretto, eseguì. Voleva urlare, strepitare, tagliare con la falce. Invece, fu libero solo quando gli fu permesso. Si ritrovò padrone di sé davanti al suo maestro, che lo ricambiava affranto.

***


"Non c'è più nulla da fare. Non ci riguarda."


Con un montante allo stomaco, Imuen aveva privato l’allievo di coscienza e fiato. Con un viso per la prima volta nero come la sua armatura, l'aveva sorretto, impedendogli di cadere. L'aveva disteso lentamente a terra. La sua aura era spezzata a metà, offesa da un dolore sordo, feroce. Alla domanda del Gran Sacerdote su cosa stesse succedendo, rispose con occhi furenti.


"Gioisci. Il tuo prezioso cavaliere dell'altare sarò presto guarito."


Aveva bloccato all'istante gli spadaccini del gemello, terminando in malo modo i contendenti sull'arena.


"Andate via."


Ringhiò, d'un tratto, con astio, rivolto agli ateniesi. Gli spadaccini e Brunilde, arrivata poco prima insieme ad Haldir, si erano avvicendati al suo fianco. Di nuovo, ordinò agli estranei che se ne andassero, con un'urgenza apparentemente ingiustificata.
Quando pure l’Altare espanse il cosmo e pretese di sapere, la sua voce divenne ferina.


"Il tuo legame con la principessa di Asgard sta per sciogliersi."


Le sue iridi verdi, lontane, avevano richiamato un'immensa quantità di fuochi fatui, una moltitudine che cresceva ed abbracciava tutti.


"Appena l'anima della tua amica, per mano di Haldir, si aggiungerà a queste, sarai libero per davvero"


Alla minaccia di quel bamboccio che mai l’avrebbe permesso, Imuen si trasformò. Gli ricordò di essere un misero umano, poco più di un ragazzino. I fuochi fatui divennero persone, altri guerrieri. Fu intimato ancora di andarsene, se tenevano alla loro rinnovata esistenza: altro non sarebbe stato concesso. Oltre la sua cortina di fantasmi, stava per scatenarsi una condanna.


Note: ho provato a revisionare un po' nella speranza che il tutto fosse meno confusionario... ma non ho idea del risultato finale onestamente, se è meglio, uguale o peggio...

 

   
 
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