Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Il cactus infelice    15/06/2019    3 recensioni
La guerra è finita, Harry Potter ha sconfitto il Signore Oscuro e ora tutti si apprestano a tornare alla normalità. Kingsley Shacklebolt è diventato il nuovo Ministro della magia, Hogwarts ha riaperto i battenti apprestandosi ad accogliere nuovamente gli studenti, linfa vitale del futuro della società magica. I morti per la giusta causa vengono ricordati con onore, i Mangiamorte che sono fuggiti vengono arrestati e chi ce l'ha fatta cerca di riprendersi la vita leccandosi le ferite e ricordando i cari persi.
Ci vuole tempo per guarire, per superare i traumi, c'è chi ci mette di più e chi un po' meno. Ma, in mezzo al dolore, tutto il Mondo Magico è felice per la sconfitta di Lord Voldemort. Tutti, eccetto Harry.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PAPÁ

 

Ginny si accasciò sul tavolo della cucina con la faccia sulle mani. Harry rise versandosi del caffè. 

“Ne vuoi un po’ anche tu?” chiese alla ragazza che alzò gli occhi su di lui solo per lanciargli un’occhiata di sbieco. 

“Se metto qualcosa nello stomaco lo vomito”. 

Harry ridacchiò di nuovo. 

“Ehi! Come andiamo?” domandò Sirius facendo il suo ingresso in cucina. 

L’occhiata che prima Ginny aveva rivolto ad Harry ora fu lanciata a Sirius. 

“Potresti non urlare?”

Sirius lanciò uno sguardo complice al figlioccio che scrollò le spalle. 

Di soppiatto, senza fare rumore, Black si avvicinò alla ragazza. “Se parlo così va bene?” le chiese urlandole nell’orecchio. 

Fu fortunato che Ginny non avesse con sé la bacchetta altrimenti non sarebbe rimasto nulla del mago. 

“Maledetto bastardo!” 

“Si, sono anche quello”. 

Harry scoppiò a ridere rumorosamente. 

“Vi maledico. Tutti e due!” 

“Ah questi giovani”, borbottò Sirius uscendo dalla cucina. 

“È colpa di Kiki che mi ha fatto bere quei cocktail”.

Prima di sparire al piano superiore, Sirius riemerse di nuovo in cucina ma solo con la testa. “Ah Harry, i tuoi sono a fare la spesa. Io vado al lavoro”.

“D’accordo”.

 

Harry e James erano nel retro del giardino, il primo impegnato a tirare una pallina al cane che la rincorreva e gliela riportava e il secondo a piantare delle rose con l’aiuto della bacchetta. Con un incantesimo prima creava un buco nel terreno dove era più morbido e poi piantava le rose che Lily aveva deciso di comprare. 

“Per fortuna ero bravo in Erbologia altrimenti tua madre me la pagava cara”.

Harry ridacchiò. “O magari potresti non farti schiavizzare da lei”. 

James inarcò un sopracciglio in direzione del figlio e scrollò le spalle. “Sai com’è tua madre, non le puoi dire di no o diventa una iena”.

Harry sospirò; qualcosa gli diceva che a James non dispiaceva fare quelle cose per Lily, non gli sarebbe mai dispiaciuto. 

James rimase per qualche tempo a osservare il proprio lavoro ma in realtà la sua testa era da tutta un’altra parte: Harry non li aveva mai chiamati mamma e papà, nemmeno per sbaglio e nemmeno quando parlava di uno dei due all’altro. Non li chiamava nemmeno James e Lily. Erano sempre lui o lei. Naturalmente, non poteva pretendere di diventare improvvisamente papà quando erano 17 anni che non vedeva il figlio e nell’aspetto sembrava un ventenne. Però avrebbe mentito se avesse detto che la cosa non gli mancava. 

Sentiva anche la necessità di parlare con il figlio, non sapeva esattamente di cosa ma di qualcosa.  Avevano fatto degli immensi passi in avanti per conoscersi e allacciare un rapporto però sentiva che c’erano ancora delle cose che mancavano. E temeva che sarebbero mancate sempre. 

“Che ne pensi?” chiese al figlio cercando di distrarsi da quei pensieri. 

Harry gli si affiancò e osservò quel lavoro fingendo parsimonia. 

“Sembra a posto. Ma farai meglio a chiederlo a colei che ti ha incaricato il lavoro”. 

James percepì il tono scherzoso che il figlio aveva usato ma non poté fare a meno di tornare ai pensieri di poco prima. 

“Andiamo dentro?” 

“Va bene”.

I due rientrarono in casa, preceduti dal cane che si affrettò alla sua ciotola dell’acqua. Fu nell’ingresso che lo sentirono, il suono. Il forte rumore di una Materializzazione e poi dei passi affrettati che fecero accapponare la pelle a entrambi i Potter. 

Passarono pochissimi istanti prima che sentissero la porta di ingresso esplodere in mille pezzi dietro di loro, troppo pochi perché uno dei due avesse il tempo di reagire o capire cosa stesse succedendo. Harry si sarebbe chiesto col senno di poi se fosse stata una distrazione o semplice impreparazione. Ma la guerra gli aveva insegnato a tenere i sensi all’erta, a non abbassare mai la guardia. Solo che non erano più in guerra. Merlino, perché nella sua vita doveva finire tutto così male? 

“Potter!” gridò un uomo fissandolo come se volesse ucciderlo solo con lo sguardo. Delle cicatrici gli solcavano il volto, i capelli sporchi e troppo lunghi gli stavano appiccicati in faccia e anche i vestiti non erano certamente freschi di lavanderia. Harry notò il tatuaggio dei mangiamorte attraverso la manica strappata della camicia. 

Prima di avere il tempo di reagire, l’aggressore li disarmò senza troppa fatica. 

“Harry, va via! Scappa di sopra. Io lo trattengo!” gli urlò James. 

Harry sentì una paura tremenda attraversarlo dalla punta dei piedi fono alla radice dei capelli. E non era la pura per la propria vita, a quello era abituato. 

“Col cazzo che ti lascio qui!” gridò di rimando a James. 

Felpato arrivò di corsa avventandosi sulla caviglia del Mangiamorte che venne colto alla sprovvista ma fece presto a riprendersi e a colpirlo con uno Schiantesimo che lo mandò a sbattere con un guaito contro il tavolino del salotto. 

Harry seguì la traiettoria con orrore.

“Cosa vuoi?” chiese James al loro aggressore sperando di guadagnare del tempo; non che avessero molte possibilità di chiamare aiuto, le loro bacchette erano in mano a quel Mangiamorte. 

“Solo vendicare il mio Signore. Uccidere il ragazzino”. 

“Dovrai passare sul mio cadavere”.

“Quello lo farò di sicuro”.

Prima che Harry o James avessero il tempo di fiatare, James si vide sbalzare sulle scale e sbattere di schiena su uno dei gradini. Una fattura tagliente gli passò il braccio da parte a parte facendolo urlare di dolore. 

Harry sentì che stava cominciando a iperventilare. Non poteva farsi prendere da un attacco di panico in quel momento. 

Non di nuovo, non di nuovo, continuava a ripetersi come un mantra nella testa. 

Quando il Mangiamorte lanciò una cruciatus contro suo padre trovò la forza di reagire. 

“Lascialo stare! É me che vuoi? Allora prenditela con me”.

“Harry, no”.

Il Mangiamorte sorrise sadico nella direzione del più giovane. 

“Sempre il solito eroe, eh Potter?” 

Harry rimase immobile augurandosi che le sue parole avessero avuto effetto. Il Mangiamorte immobilizzò James con delle corde e cominciò a lanciare Cruciatus contro Harry. La prima lo spedì a terra, col sedere sul primo gradino. Ma non urlò. 

“Harry!” sentì il padre urlare dietro di lui. 

“Questo si che è divertente”, mormorò il Mangiamorte. 

Alla seconda cruciatus Harry dovette aggrapparsi al corrimano e mordersi la lingua. Non voleva urlare, non voleva far preoccupare suo padre. Stava bene, poteva resistere, tempo fa le Cruciatus non gli avevano fatto così male. No certo, perché era mentalmente debilitato. Ora era un po’ diverso. 

“Crucio!” urlò il Mangiamorte una terza volta.

“Ti prego, lascialo stare”, lo supplicò James strattonando le corde. “Lascialo stare, è solo un ragazzo”.

“Un ragazzo che ha ucciso il mio Signore”.

“Il tuo fottuto Signore era un pazzo”.

Harry si piegò in avanti sentendo gli occhi pungere per le lacrime e fitte in tutte le parti del corpo. Aveva come la sensazione che sarebbe esploso. 

“Facciamo così. Più parli più lui si becca le cruciatus. Crucio!”

Questa volta Harry non poté impedirsi di tirare un urlo che però gli morì in gola poco dopo. Sarebbe volentieri svenuto, magari si sarebbe solo lasciato andare. Ma non poteva perché allora suo padre sarebbe rimasto alla mercé di quel tizio. James continuò a dimenarsi ma non si arrischiò a dire nulla. 

Fu allora che venne colto da un’illuminazione. Avrebbe dovuto pensarci prima, era sempre la sua poca agilità mentale a distrarlo; sopra la testa del Mangiamorte c’era un lampadario grande abbastanza per abbattere l’uomo se gli fosse caduto sopra. Harry si era allenato a fare incantesimi senza bacchetta, avrebbe solo dovuto far cadere quel lampadario sulla testa dell’aggressore... Peccato gli servisse la concentrazione e le Cruciatus non abitavano.

Tuttavia, non demorse. Con un piccolo contatto visivo, per non farsi notare, fissò il lampadario immaginandolo cadere addosso al Mangiamorte. Gli ci volle più di qualche tentativo. Solo quando sentì l’altro pronunciare Avada - non sapeva se nella sua direzione o in quella di suo padre - ce la fece con un ultimo sforzo mentale che lo prosciugò. Il lampadario crollò con un gran fracasso addosso al Mangiamorte che finì a terra sotto il peso dell’oggetto e non si rialzò. James venne immediatamente rilasciato dalle corde magiche e si precipitò dal figlio ancora prima di controllare se il nemico fosse davvero svenuto. 

“Harry!” lo chiamò prendendogli un braccio.

Harry si girò verso di lui con il viso bagnato di lacrime e l’espressione sofferente. Stava respirando male.

“Stai sanguinando”. 

Disse al padre guardandogli il braccio pieno di sangue. 

“Non importa”.

“Devi andare al San Mungo”. 

Harry non sembrava del tutto cosciente di quello che stava dicendo. 

“No. Devo mandare un Patronus. Non possiamo lasciarlo incustodito. Ci serve aiuto”.

James si allontanò dal figlio solo per prendere la propria bacchetta ed evocare un Patronus da mandare agli Auror. 

Poi tornò da Harry e lo cullò tra le proprie braccia finché non arrivò l’aiuto. 

 

“A quanto pare le barriere attorno alla casa sono cadute”, disse Sirius quando tornò da James che sedeva pazientemente sul letto della stanza del San Mungo che avevano riservato a lui e Harry. I Medimaghi avevano ricucito il braccio a James - per fortuna non era una ferita profonda ma gli avrebbe fatto male per qualche giorno - e avevano detto che sarebbero tornati a visitarli più tardi in quanto non erano così gravi, per la scontentezza di James che aveva detto loro che Harry era stato torturato con le Cruciatus e col cazzo che non era grave. Ma Harry si reggeva in piedi, anzi, in quel momento stava camminando avanti e indietro per la stanza e quindi ai Medimaghi era sembrato altro che grave; dopotutto avevano altri pazienti da curare. 

“Ora le ho rimesse su e ho sistemato il casino”.

“E il Mangiamorte?” 

“Morto”.

Harry sussultò. 

“Era legittima difesa”.

Il Ministero si curava troppo poco ormai dei Mangiamorte - potevano essere biasimati? - e a nessuno importava quando un Mangiamorte moriva. Ma era un’altra persona che si aggiungeva alla lista dei cadaveri collezionati da Harry, non importava che gli dicessero che era legittima difesa. 

“Tesoro, perché non ti siedi?” gli chiese James indicandogli il letto. 

“Sto bene”, mormorò il ragazzo senza guardarlo. Si sentiva ansioso, nervoso. Un Mangiamorte era penetrato nella sua casa, aveva aggredito suo padre e tutto perché stava dando la caccia a lui. Era colpa sua, di nuovo. Sarebbe potuta finire male se... no, non osava pensarci. 

“Non puoi stare bene”. 

“Harry”, lo chiamò Sirius piano “Per favore, mettiti a letto”.

Harry non fece in tempo a rispondere perché in quel momento Lily spuntò sulla soglia della porta, gli occhi pieni di preoccupazione.

“Jamie, che è successo?” chiese andando verso il marito. 

“Non ti preoccupare. Un Mangiamorte ci ha attaccati ma stiamo bene”.

“Sei sicuro?” 

“Certo”, le rispose Potter confermando la risposta con un bacio. “Harry lo ha messo al tappeto”, aggiunse con un sorriso in direzione del figlio. 

Lily si girò verso di lui, gli occhi dolci ma senza perdere quel velo di preoccupazione. Fu in quel momento che Harry sbiancò di colpo e la stanza attorno a lui prese a girare come una giostra. Dovette appoggiarsi al muro dietro di lui che per fortuna non era troppo lontano. Gli altri tre se ne accorsero subito ma fu Sirius che lo raggiunse per primo e lo prese al volo perché non cadesse. 

Harry aveva avuto un mancamento ma non era svenuto. 

“Cazzo!” esclamò Felpato. “Continuerai a dire di stare bene?” gli chiese con un velo di rabbia nella voce. “Vieni a letto”.

Harry si lascio accompagnare a letto, questa volta senza opporre resistenza; si sentiva tutto d’un tratto svuotato e stanco. 

“Chiama un’infermiera”, gli disse James.

“Sirius”, chiamò Harry con voce debole aggrappandosi alla maglietta dell’uomo prima che potesse allontanarsi. Guardava per terra e respirava a fatica. “Devo vomitare”.

I riflessi di Sirius fecero appena in tempo ad afferrare un cestino nelle vicinanze e a metterlo davanti a Harry prima che questi si svuotasse lo stomaco. 

“Vado a chiamare qualcuno”. Lily uscì dalla stanza di corsa. Nel frattempo Sirius ripulì il vomito dal cestino e aiutò Harry a stendersi, premendogli una mano sulla fronte. Era caldo, doveva avere la febbre.

“Come sta Felpato?” chiese Harry allora, sempre molto debole. 

Sirius gli sorrise dolcemente e gli si inginocchiò davanti per guardarlo negli occhi umidi. “Sta bene. È un po’ sotto shock ma si è ripreso. Credo dovrai fargli qualche coccola in più e dargli dei biscotti”.

Harry bofonchiò qualcosa e chiuse gli occhi. 

 

Verso sera James e Harry vennero dimessi e poterono tornare a casa. I medimaghi fecero tutte le visite che poterono su Harry fino a che non lo dichiararono fuori pericolo; avrebbe avuto qualche tipica conseguenza post-Cruciatus, come febbre e nausea, ma tutte cose che sarebbero passate con una buona dose di sonno. Gli diedero solo un paio di pozioni stabilizzanti per precauzione. 

Perciò, non appena messo piede in casa, Harry si rannicchiò sotto le coperte insieme a Felpato che si fece volentieri fare le coccole. 

Dopo qualche minuto sentì bussare alla porta. 

“Possiamo parlare un attimo?” gli chiese James fermo sulla soglia. 

Harry annuì sollevandosi leggermente dal letto. 

James si sedette sul bordo accanto a lui e prese un grosso respiro. 

“Quello che hai fatto oggi è stato dannatamente coraggioso. Coraggioso ma stupido. Ti prego, non farlo mai più”.

Harry abbassò lo sguardo. “Avresti preferito che torturasse te?”

“Certo”, rispose James senza esitare. “Avrai anche salvato il mondo ma il compito di proteggerti resta sempre mio e di tua madre”.

Harry sentì pungere gli occhi per le lacrime ma non volle piangere. Non sapeva se essere arrabbiato o preoccupato. 

“Lo avete già fatto ed è stato abbastanza”.

James gli poggiò una mano sulla schiena accarezzandogliela lentamente. Harry incontrò il suo sguardo. Non c’era severità negli occhi di James e nemmeno durezza. Forse solo comprensione. Allora anche Harry addolcì il proprio sguardo. 

“Non sarà mai abbastanza. Tu non hai idea di cosa sarei disposto a fare per te, perché tu stia bene. Pensi che sia stato piacevole vedere il Mangiamorte che ti torturava e non poter fare niente?” 

“Non voglio che vi succeda qualcosa”, disse Harry lasciandosi ricadere sul letto con un tonfo come se il corpo gli pesasse troppo per poterlo sostenere. “Non posso perdervi di nuovo, te e la mamma. Non posso, non lo sopporterei”. Finalmente lasciò cadere una lacrima. Forse era anche la febbre a renderlo così emotivo, pensò.

James gli tolse alcuni capelli dalla fronte calda, indugiando per accarezzarlo. Vederlo così gli spezzava il cuore, capì che c’erano ancora tante cose che tormentavano suo figlio.

“Tu ti senti ancora in colpa per me e la mamma”, disse a quel punto James quasi sussurrando. Sembrava una constatazione che faceva più a sé stesso che una domanda rivolta a Harry. 

Harry comunque annuì.

“Posso prendere tutti gli appuntamenti che vuoi dalla dottoressa McNahmara, posso assumere tutti gli antidepressivi del mondo e posso ascoltare ogni parola di conforto, ma nessuno mi toglierà mai dalla testa che sia stata colpa mia. Mi dispiace”. 

James chiuse gli occhi per qualche istante senza smettere di accarezzare i capelli del figlio. Sospirò.

“Fa parte di te”, disse piano come colto da una realizzazione. C’erano stati troppi traumi nella vita di suo figlio perché li potesse superare così facilmente. O perché li potesse anche solo superare. E faceva un male cane. Faceva un male cane ma non poteva farci niente. 

Harry annuì mordendosi il labbro inferiore. Era una cosa che aveva già capito da un po’ e sapeva che doveva solo imparare a conviverci. Non andava male, poteva ancora funzionare bene, divertirsi e stringere relazioni, ma ogni tanto quei pensieri prendevano il sopravvento e allora la giornata diventava meno buona. Ma era così, faceva parte di lui, quello era lui. Lui era i suoi traumi, i suoi sensi di colpa. E andava bene così. 

“Ti lascio riposare”, disse a quel punto James alzandosi e andando verso la porta. 

“Papà!” chiamò Harry sollevandosi di colpo e guardando il padre negli occhi, già mezzo fuori dalla porta. “Ti voglio bene”.

“Ti voglio bene anche io”, rispose James sforzandosi tantissimo per mantenere ferma la voce. Solo quando fu in corridoio, lontano dalla stanza di Harry, si permise di lasciar andare un singhiozzo insieme alle lacrime. Ma in mezzo a tutto quello, stava sorridendo. 

Harry lo aveva chiamato papà.  

 

Fu così che James tornò in camera da Lily alcuni minuti dopo, trovando la moglie seduta sul letto intenta a spalmarsi un unguento sulle mani. 

La moglie non gli badò troppo quando lo vide rientrare ma non appena notò il suo sospettoso silenzio, alzò lo sguardo e vide che aveva ancora il volto bagnato di lacrime e gli occhi arrossati.

“Jamie, tesoro! Che succede?” chiese lei accompagnandolo a sedersi e abbracciandolo dal lato. 

“Harry mi ha chiamato papà”, sospirò lui con la voce incrinata fissando l’armadio davanti a lui. 

Lily lasciò andare una risata che cercò di frenare quasi subito; in realtà le veniva da ridere per la tenerezza nel vedere James così commosso per una cosa del genere, ma sapeva quanto per lui fosse importante essere chiamato Papà da Harry e non voleva che la sua risata sembrasse una presa in giro. Ma sentiva il cuore caldo di dolcezza.

“Oh tesoro, ma è bellissimo. Te l’avevo detto che prima o poi sarebbe successo, gli serviva solo del tempo”.

“Lo so ma... Non pensavo...”, mormorò l’altro finalmente incrociando gli occhi verdi di Lily che gli sorrideva con quella dolcezza che possedeva solo lei. 

Lei gli passò una mano sulla schiena e appoggiò la fronte sulla sua spalla, circondandolo con le braccia. Poi lasciò andare un sospiro. 

Quello era il momento giusto, si disse, aveva aspettato anche troppo. Doveva dirglielo.

“Amore”, lo chiamò piano, quasi con cautela. Non alzò subito lo sguardo su di lui, lasciò che prima le rivolgesse tutta la sua attenzione. 

Poi si raddrizzò e gli prese entrambe le mani tra le proprie, sistemandoglisi più vicina. James alzò un sopracciglio perplesso e leggermente preoccupato. 

“Sono contenta che a te e Harry non sia successo niente”, disse seriamente. 

“Be’, grazie”, fece James in tono ironico non sapendo come dover prendere quella affermazione.

“No, intendo...”, continuò Lily, gli occhi che guardavano da una parte all’altra come se cercasse da qualche parte le parole da usare. 

Al diavolo!, si disse alla fine. Sarebbe andata dritta al punto. 

“Mi sa che presto ci sarà un’altra persone che ti chiamerà papà”.

James corrucciò il viso in un’espressione perplessa. Lily non disse nulla, voleva lasciare che fosse il marito a tirare le conclusioni, tuttavia tenne gli occhi fissi sul suo volto per studiarlo; James era un libro aperto per lei.

Quando le parole parvero trovare il loro posto nella testa del mago, lui spalancò occhi e bocca, una perfetta O di sorpresa. 

“Sei...”.

“Sì, sono incinta”, esalò lei con un sorriso tra il contento e il dubbioso. Non era sicura se James avrebbe preso bene quella notizia, anche se forse era brutto pensarlo da parte sua. 

“Oh Santo Godric. Avremo un altro bambino”.

“Sì!” 

James portò le mani di Lily alle proprie labbra e le baciò con forza. Poi la tirò a sé e la strinse in un abbraccio, affondando il viso nei suoi capelli profumati. 

Lily finalmente si lasciò andare in una risata di pura gioia, senza più alcun dubbio. 

“Avremo un altro bambino”. 

 

***

 

Hahaha ops, Lily è incinta.

 Be’ fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo. 

 

Un bacio,

C.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Il cactus infelice