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Autore: Freelion7    15/06/2019    0 recensioni
Come al solito, quella mattina il cielo londinese era totalmente plumbeo. L’aria era umida e qualunque cosa era avvolta in un sottile strato di brina. Era inverno e, logicamente, faceva freddo. Quel tipo di freddo che faceva solo desiderare una coperta calda, ma soprattutto asciutta, del the e poco altro. Tutto ciò che serviva a rendere la giornata straordinariamente ordinaria, monotona ed irritantemente noiosa. Era terribile. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Non un caso, non una distrazione. Odiava il natale, si… col fatto che a Natale siamo tutti più buoni nessuno uccideva nessun altro. Noia. Noia. Noia.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20 febbraio 2028, Londra

 

Matilde chiuse la telefonata. Era un pezzo di ghiaccio. Aveva appena dovuto fare la chiamata più strana e spiacevole avesse mai fatto. Guardò John con gli occhi lucidi e spaventati.

 

“Cosa succede” domandò John. Non gli piaceva quello sguardo e nemmeno il mancato rientro di Sherlock e della sua editor. Aveva la persistente sensazione che le due cose fossero collegate. . Perché non poteva andare tutto bene, ogni tanto?

 

“Moriarty” avrebbe recuperato il suo Sherlock a ogni costo. Si mise veloce cappotto e sciarpa cercando di non pensare cosa potesse star succedendo ai due.

 

Il militare strinse la pistola nella giacca ed uscì, chiamando il taxi per entrambi. Moriarty non gli avrebbe portato via in un colpo solo il migliore amico e la ragazza. Non lo avrebbe permesso o sarebbe morto nel tentativo, era poco, ma sicuro.

 

La ragazza si fiondò nel taxi. La gamba le tremava ed era distante con la mente. Pensava a Brunella, pensava a Sherlock e pensava a Jim. Pensava e non riusciva a rimanere calma.

 

“Avremo bisogno di sangue freddo entrambi, Mati. Se vuoi sfogati ora, ma dopo lucida come un proiettile intonso” mormorò il militare alla giovane che gli stava accanto. In quel momento stava ringraziando l'addestramento. Avrebbero tirato i due amici e fidanzati.

 

Scesa dal taxi e corse veloce al parcheggio. Per fortuna Jim le aveva dato le indicazioni giuste. Si assicurò che il militare le stesse dietro,ci mancava solo perdere anche lui. “Quando saremo con lui, tu lascia parlare me, intesi?”

 

“Si Mati, farò il bravo soldato"nonostante le parole dette in tono leggero, lo pensava davvero. Se lei diceva di lasciarla parlare, avrebbe eseguito. Si fidava di quella giovane abbastanza da averle affidato il migliore amico.

 

Matilde scese giù nel parcheggio. Il cuore le batteva a mille e non sapeva cosa aspettarsi, ma doveva rimanere calma, solida. Lo vide. Era lì davanti a lei.

 

“Matitina ♡” esclamò Jim Moriarty. Era felice di vederla, era innegabile. Non sembrava nemmeno uno spietato ed annoiato consulente criminale, solo un giovane uomo felice di vedere qualcuno, nulla di più. “John Watson, un piacere rivederti” sorrise divertito. Nessuno dei loro incontri era stato pacifico, però si poteva dire senza timore di smentita che erano sempre stati intensi.

 

John era perplesso. Non pensava che qualcuno sarebbe sopravvissuto dopo aver chiamato l’amica in quel modo, ma, come da ordini, tacque.

 

“Jim, dove sono?” tagliò corto la ragazza. Non aveva tempo da perdere in inutili chiacchiere con l'ex, aveva un'amica e un fidanzato da trovare e da porta fuori da quel posto. Si avvicinò al consulente criminale con la voglia di giocare pari a quella di un ippopotamo incazzato.

 

“Ma matitina, dopo più di un anno che ci siamo lasciati, ancora ce l'hai con me?” si imbronciò infantile Moriarty “Nemmeno un sorrisino piccino? Non pensavo che tenessi così tanto alla tua amica… sono contento che tu le abbia parlato di me” quasi cinguettò conducendo la ex fra i corridoi.

 

Quei due erano stati insieme? Era lui il Jim che aveva lasciato più di un anno prima? John non poteva e non voleva crederci.

 

“Ti farei un sorriso piccino se avessi davvero mantenuto la tua promessa. Non sei cambiato per niente. Continui a rapire le persone. Ora portami da loro.” le faceva male vederlo così. C'era stato qualcosa di davvero importante tra di loro, ma i crimini da lui commessi non erano trascurabili.

 

“Ma non ho più rapito bambini… okay solo una volta, ma non rischiavano la vita. Non li ho rimpinzati di cioccolata avvelenata, erano solo in una stanza chiusa a giocare, non se ne sono neanche accorti” sorrise genuino, anche se innocente non era. “sono qui dietro, va bene va bene” disse fermandosi davanti ad una porta ed alzando le mani in segno di resa, consegnandole una chiave con un bigliettino che recitava sa tutto ma non parla, ha le orecchie ma nulla sente “Prima la domanda, altrimenti dove sta il divertimento, matitina?”

 

John si sforzò di non prendere a testate il consulente criminale. Come poteva scherzare su una cosa del genere? Come poteva? E porre un indovinello da bambini, peraltro.

 

“Sul serio? Un indovinello?” gli era sempre piaciuta quella parte di lui, un po’ infantile. In effetti anche Sherlock era un bambino alcune volte. Voleva riabbracciare il suo Sherlock. Solo questo. Guardò Jim “Il dizionario. ”

 

“Uffa, di già, si, prego” si trattenne a stento dal battere un piede per terra. Era l’indovinello con cui si erano conosciuti, non poteva non saperlo.

 

John non riusciva a perdere d'occhio Moriarty, non si fidava, per nulla, ma aveva ceduto il potere di parola all'amica.

 

Matilde entrò nella stanza rapidissima. Quando li vide le si riempì il cuore di gioia. Gli era mancato così tanto… era vero che lei è il fidanzato non si erano visti solo per un po’ di ore, ma il saperlo in pericolo gliele aveva fatte pesare come secoli. Si avvicinò ai due con passo spedito.

 

Sherlock al vedere la ragazza si illuminò e scattò verso di lei. Ci provò, insomma, era legato alla sedia ed alla editor, non poteva permettersi certi movimenti.

 

Brunella dal canto suo aveva solo sorriso sollevata. Erano venuti a prenderli, erano sopravvissuti fino a quel punto. Quando fossero stati tranquilli si sarebbe potuta rilassare completamente, ma iniziava a vedere la fine di quell'avventura.

 

John le corse incontro. Al diavolo il contegno. La strinse a sé e le prese il viso fra le mani. “stai bene, piccola?” le sussurrò cercando di scrutare gli occhi alla ricerca di qualsiasi sfumatura delle sue emozioni.

 

Matilde era arrivata dal fidanzato. Si erano guardati, era bastato quello per fargli sapere che lo avrebbe tirato fuori. Fece per liberarlo quando vide che serviva un'altra chiave. “Jim, la chiave.”.

 

“Se è fresco è caldo” sorrise il consulente criminale divertito. Non aveva resistito alla doppia chiave, non ci era riuscito.

 

“Sul serio? Mi credi così tanto stupida? È il pane. Ora la chiave.” Matilde porse la mano all'ex. Voleva che tutto quello finisse al più presto, così che Sherlock e Bruni fossero liberi e potessero tornare con lei e John a casa per festeggiare.

 

Quando John ebbe verificato che stavano entrambi bene, tornò a respirare. Annuì brevemente verso Matilde per comunicarle l'informazione. Non aveva ancora aperto bocca da quando erano  scesi nel parcheggio.

 

Sherlock sentiva imperioso il desiderio di stringere a sé la fidanzata e sbattere in faccia alla propria nemesi di avere vinto, che era lui e non l'altro a stare con Matilde -la sua Matilde. Il tumulto interiore era visibile solo dalle dita, che si muovevano nervosamente dietro la schiena.

 

“Un'ultima domanda per uscire” canticchiò Moriarty “passa i vetri ma non li rompe” sorrise obliquo, dondolando una chiave dall'aspetto solido.

 

“Ora mi sento insultata. La luce. Mi dai la chiave?” aveva poca voglia di giocare. Guardò Sherlock alla ricerca di una rassicurazione, una che solo lui le sapeva dare. Matilde si voltò nuovamente verso Jim in attesa della sua chiave. Non poteva essere normale? Non poteva essere un normalissimo ex che normalmente cercava di riavvicinarsi? Non poteva essere tutto normale? Sospirò.

 

John le prese il viso fra le mani “Bruni, ora ti portiamo via, ok? Ti ha fatto del male?” era veramente preoccupato. Nessuno le poteva anche solo torcere un capello. Aveva ancora nella tasca della giacca la pistola. Per sicurezza. Non avrebbe esitato ad usarla in caso di necessità.

 

La editor annuì solo, piano. La voce non sarebbe stata ferma, ma tranne lo spavento ed i segni delle manette, probabilmente di quella serata non sarebbe rimasto nulla. Le erano mancate quelle mani, Buona Elizar se le erano mancate. Vi si appoggiò piano.

 

Sherlock ricambiò lo sguardo di Matilde. Sarebbero usciti da lì, anche se dove quel si trovasse, rimaneva un mistero.

 

Jim avrebbe voluto davvero poterla stuzzicare ancora un pochino, abbracciarla, giocare con lei, ma aveva imparato col tempo che era meglio non farlo quando era arrabbiata ed in quel momento gli pareva che fosse un drago inferocito. Con lui.

 

“La chiave. Jim, non sto scherzando.” era furiosa. Non c'erano altre parole per descriverla. Si alzò in piedi e in pochi passi era a un millimetro dal volto di Jim. “Jim, la chiave.”.

 

Gli era mancata quella pelle, il suo profumo. Se fosse stato per il soldato una pallottola a Moriarty non l’avrebbe evitata nessuno.

 

“Portami a casa” sillabò la editor. L'adrenalina la stava abbandonando e la stanchezza, lo stress, lo spavento iniziavano a farsi sentire. Di quel gruppo era sempre stata lei l'anello debole con cui ricattare gli altri, realizzò abbattuta.

 

Sherlock si incantò un momento. Quanto era bella la sua ragazza inferocita? Stupefacentemente tanto, specialmente se non ce l'aveva con lui. Specialmente se stava mettendo alle strette niente poco di meno che Jim Moriarty.

 

Il consulente criminale, al vedere la propria ex ad un soffio dal proprio naso, si trattenne a stento dal baciarla, ma era certo che gli avrebbe staccato la lingua a morsi e ci teneva ad essere integro. Sfiorandole le dita -almeno quello gli era concesso, giusto?- le consegnò le chiavi “Lasciamele all'uscita o rivediamoci per un the, matitina ♡”

 

Matilde prese le chiavi senza dargli una risposta e liberò veloce i due prigionieri. “Devi sempre rendere tutto difficile, Jim.” constatò amara mentre controllava che i polsi del fidanzato non fossero segnati.

 

Non appena Brunella si tolse le manette John la strinse saldo a sé e le accarezzò la testa. “Va tutto bene, amore mio. Andiamo a casa”. Averla fra le braccia era la sensazione più bella che avesse mai provato.

 

La giovane, dal canto suo, si impose di non piangere e di non crollare in alcun modo. Appena malferma, si mise in piedi, sostenuta fortunatamente dal medico.

 

La prima reazione di Sherlock -che venne soppressa- fu di ridergli in faccia. Incontrollatamente. Molto più pacificamente, optò per abbracciare la detective e mormorarle all'orecchio un ringraziamento e lasciarle un bacetto proprio dove sapeva di farle salire un brividino.

 

Al consulente criminale non rimase che indicare loro la strada per uscire. Peccato, gli sarebbe piaciuto passare ancora un po’ di tempo con la ex, col suo miglior nemico e coi loro amichetti…

 

A Matilde salì un brivido. Era il suo punto debole e Sherlock lo sapeva bene. Si ridiede un contegno e lasciò le chiavi in mano al fidanzato. “Uscite fuori. Vi raggiungo dopo” sussurrò al moro prima di girarsi verso Moriarty.

 

Il medico teneva la fidanzata stretta a sé. Non appena gli fu dato il via libera da Matilde sempre tenendo Brunella a sé si incamminò verso l'uscita. Non perdeva d'occhio le guardie né le loro pistole. Era pronto a qualsiasi evenienza, ma avrebbe preferito non dover sparare.

 

Non che non si fidasse dell'amica, ma dell’uomo che li aveva rapiti. Lo aveva visto cambiare di espressione da un secondo all'altro e non era tranquilla a lasciare uno di loro indietro. Anche se era il punto debole del rapitore.

 

Sherlock sapeva di doversi fidare della fidanzata, ma non riusciva a lasciarla e meno che mai a lasciarla sola col suo ex, nonché il proprio rivale. Era al di sopra delle sue capacità.

 

Jim si aprì in un sorrisone, facendo un cenno ai suoi minion che accompagnassero fuori gli ospiti. E che lo lasciassero solo, soprattutto.

 

Matilde aspettò che tutto fosse fatto. Che i suoi amici fossero fuori pericolo. Non guardò Sherlock nemmeno di striscio : sapeva cosa avrebbe trovato dentro il suo sguardo. Sapeva che stava correndo un rischio e anche grosso, ma era necessario. Maledetta sindrome da crocerossina.

 

John dovette portare via Brunella quasi di forza. Non voleva lasciare sola l'amica, il che era comprensibile,ma il medico non l'avrebbe lasciata indietro a costo della vita. Cercò di rassicurarla con parole dolci e carezze, ma sapeva che si sarebbe tranquillizzata solo quando sarebbero stati tutti e quattro fuori pericolo a casa.

 

Alla maggiore delle due dispiaceva essere così tanto un peso. Le dispiaceva davvero. Si impose di riprendere il controllo di se stessa e di camminare dritta. Non ci riuscì perfettamente, dato che una vecchia cicatrice mal cicatrizzata sul ginocchio aveva ripreso a farle male, come sempre in situazioni di stress emotivo eccessivo.

 

Sherlock fu portato via di peso dai minion del rivale. Non avrebbe lasciato sola Matilde. Non volontariamente. Mai.

 

Quando il consulente criminale e la detective furono soli, l'uomo si sedette comodo “Un the, matitina?” domandò insospettabilmente dolce. Lei era stata il suo unico punto debole ed, a quanto pareva, lo era ancora.

 

“Un the e una sedia, grazie.” Matilde si preparò psicologicamente alla discussione che la stava aspettando. Moriarty, per quanti difetti potesse avere, aveva una certa armonia. Eleganza.

 

Il medico tornò a respirare solo quando furono fuori. Strinse in un abbraccio protettivo Brunella. “Sei salva, amore, va tutto bene” le sussurrò dolce all'orecchio.

 

“Non ancora.” puntualizzò stanca la editor “Non è ancora finita” si strinse contro il fidanzato e tacque.

 

Sherlock rimase a fissare la porta da cui erano usciti in ostinato silenzio. Un silenzio denso, stanco ed iroso.

 

Jim si premurò di soddisfare personalmente entrambe le richieste, sorridendo vivace e canticchiando “Lo so, la stanza non è un gran che, ma non credo tu voglia spostarti nel mio salottino privato, giusto?”

 

“Se stiamo più comodi e parli più volentieri ci spostiamo.” tutto pur di mettere un punto alla faccenda. Voleva sapere perché li avesse rapiti, perché si fosse di nuovo fatto vivo e perché non aveva rispettato la sua parola in merito allo smettere coi crimini.

 

“È ancora arredato come lo avevamo deciso insieme” sorrise Moriarty alzandosi e porgendole il braccio, galante. Non lo avrebbe mai fatto per nessuno, ma lei era diversa, lo era sempre stata.

 

“Sono molto arrabbiata con te” non accettò il braccio, ma lo seguì fino al salottino. Si ricordava ancora quanto avevano discusso per scegliere le poltrone. Sfiorò con la punta delle dita la pelle dello schienale. Prese posto e accavallò le gambe, elegante.

 

“Mi annoio terribilmente e Sherlock rimane un fantastico passatempo. È interessante, ammetterai” sorrise il consulente criminale, ignaro del legame sentimentale fra i due “e la tua coinquilina è stata una combinazione… mi ha riconosciuto lei”

 

“Dov'è il mio the?” chiese la giovane, stanca. Era stufa dei suoi cambiamenti di discorso. “Hai molti perché da spiegarmi.”. Giocava con l'anello fine in argento che aveva comprato con Jim tempo fa.

 

John si sedette sulla panchina appena fuori il parcheggio e si tirò la fidanzata in braccio. “Riposati. Non ha senso che rimani sull'attenti. Ti sveglio quando esce.” coccolandole il viso e i capelli.

 

La giovane cercò disperatamente di rilassarsi fra le braccia del fidanzato partendo dalle punte dei piedi a risalire. Provò a chiudere gli occhi, ma, a quanto pareva, era una pessima idea e li riaprì di scatto, con ancora la sensazione della canna gelida sulla pelle. A sproposito: dove era finito il suo manuale?

 

Sherlock stava giocando nervosamente con una pistola. Carica. Da dove l'avesse presa rimaneva un mistero. Pericoloso.

 

Moriarty suonò una campanellina ed estrasse una scatola a comparti in ebano “the nero, come sempre” ipotizzò mettendole davanti un piccolo contenitore metallico per le foglie.

 

“Te lo ricordi ancora…” era incredula… Non si aspettava se lo ricordasse. Era stupita, ecco. Abbassò gli occhi per non far vedere all'ex la sua espressione. Già la sapeva leggere normalmente con abbastanza facilità, servirgliela su un piatto d'argento non le sembrava l'idea del secolo.

 

“Come tutto, Matitina” sorrise mesto l'uomo. Non aveva perso nemmeno un dettaglio. Nemmeno il più misero “Dimmi” la esortò ancora nostalgico.

 

“Sai perfettamente i perché a cui mi devi delle risposte. Non me ne andrò via fino a quando non mi avrai risposto.” prese il proprio the e nascose gli occhi nostalgici dietro alla tazza. La storia finita da poco ancora bruciava come fuoco vivo. Tanto era stato acceso il loro rapporto, tanto continuava a far male.

 

Jim guardò la ex sincero come raramente. “Sto passando il mio tempo a scrivere un trattato sulla criminologia, per fare qualcosa, ma mi manca l'azione ed ogni tanto mi concedo, anche se lo so che non approvi, di giocare con qualcuno. Ma non ho ucciso nessuno, davvero!” Sherlock rimaneva la sua preda preferita. Era interessante parlare con qualcuno che fosse alla sua altezza ed era irritantemente raro.

 

Matilde posò la tazza prima di lanciargliela addosso. “Ci mancherebbe altro, Jim Moriarty!” il nome completo non era mai un buon segno. Preannunciava guai. “Ne avevamo già parlato. E poi non devi toccare Sherlock. Chiaro?! Va bene un the con lui, ma se ci tieni davvero a me, non lo toccare.” disse tutto d'un fiato.

 

John le diede un libro “Scusa, lo so che non vuoi che nessuno tocchi il tuo manuale, ma lo stavi dimenticando lì sotto… Tieni”. Già si aspettava una bella tirata di orecchie. Si appoggiò col viso alla spalla della ragazza nella speranza che un po’ di coccole gli avrebbero evitato la sgridata e l'avrebbero calmata in generale.

 

La giovane si strinse al petto il volume. Girò il viso verso il fidanzato, quasi con le lacrime agli occhi “Grazie” sussurrò infine. Le aveva ritrovato tre anni di appunti, rimeditazioni, considerazioni, citazioni ed un compagno di avventure, tutto in un solo manuale. Non poteva anche avercela con lui.

 

Sherlock aveva iniziato a caricare l’arma che aveva in mano e riaprirla per togliere i proiettili a velocità crescente. Decisamente la pazienza non era il suo forte, no.

 

Per quanto fosse non-da-Jim-Moriarty, l'uomo prese fiato e si decise a chiedere uno “le sto provando tutte, idee?” due “qualcuno che mi guardi il libro senza minacce di morte?” tre “state insieme, vero?”

 

Uno “c'è sempre un altro modo. Potevamo trovarlo insieme, ma hai preferito mentirmi e continuare per la tua strada.” due ”non conosco il libro. Non so risponderti.” tre ”Sì, stiamo insieme.” rispose senza interruzioni, con gli occhi appena lucidi e la voce non ferma come suo solito. Si stava impegnando a non lasciarsi andare alle emozioni contrastanti che provava in quel momento.

 

Uno “La semplice astinenza mi fa impazzire” due “Trattato sul delitto perfetto, il criminale funzionale” in pratica si trattava del piccolo chimico edizione criminale per adulti. Tre “Mi hai lasciato per lui?” dovendo scegliere un rivale, Sherlock era quello che gli andava meglio. Il valore del tuo nemico ti onora.

 

Gli occhi ormai erano più che lucidi. Cercava disperatamente di mantenere la voce ferma. Non avrebbe pianto. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Uno “Non puoi uccidere le persone, Jim. Pensa se qualcuno, che la pensa esattamente come te, mi rapisse. O peggio, mi uccidesse. Cosa faresti? Lo elogeresti? Ti farebbe piacere?”. Due “Se lo spacciassi per un giallo? Un qualcosa di fantasia?”. Tre “No. Non ti avrei lasciato per nessuno. Ti ho lasciato per i tuoi comportamenti. Ti ho lasciato per te.”. Prese un'altro sorso di the e ancora una volta nascose gli occhi all'ex.

 

Uno “Ci sto provando. Uno all’anno non mi pare un brutto risultato” due “Mh, va bene, ma poi mi trovi qualcuno?” tre “...” abbassò lo sguardo sulle mani di lei, strette intorno alla tazza “va bene” accettò mestamente “Ma prima di andartene guardami ancora una volta” gli sfuggì, infantile.

 

“Perché non mi rispondi? Perché? Dimmi, avanti, se venissi rapita o uccisa da uno come te, ti farebbe piacere?” due “se fossi stato sincero con me da subito e se non mi avessi mentito ti avrei aiutato.” tre “stavamo bene insieme. Ma non riesco a guardarti in faccia dopo i bambini. Sai perfettamente a cosa mi riferisco. Erano bambini, Jim. Bambini.”

 

John era a dir poco stupito, positivamente. “Non piangere bimba, ok? Ora torna Matilde e ti prometto che andiamo via. Te lo giuro.” le sorrise e le asciugò dolcemente le lacrime con i pollici. Gli faceva male vederla così.

 

“Vorrei poterlo già fare, ma non mi perdonerei mai di lasciarne uno indietro. Non ce la farei.” tacque prima di crollare definitivamente. Non era il caso, né il momento adatto “Dove era il mio piccolo tesoro, J?” domandò riferendosi al volume. Doveva distrarsi. Necessariamente.

 

Sherlock che caricava ed apriva la pistola era oramai diventato rumore bianco nella stanza. Dapprima le guardie lo avevano guardato in allarme, poi, quando avevano capito -sperato, dato lo sguardo del detective- che non sarebbero stati uccisi a pallottole, si erano rilassati appena e lo avevano lasciato fare.

 

“Sarebbe un uomo morto prima di poterlo fare” sibilò feroce il consulente criminale. Nonostante la curiosità, l'unica cosa che si era concesso era una spia di pericolo: se la ragazza fosse stata davvero in pericolo, lui l'avrebbe saputo, ma niente altro. “Non lo troveresti per me nemmeno se mi aiutasse a non uccidere?”domandò cucciolo. Era il suo grande tentativo: organizzare omicidi virtuali. Il personaggio rimaneva morto, ma almeno la persona era viva.

 

“Lo farei per te. Ti aiuterei. Ma non posso pensarti che uccidi. Ogni giorno mi sveglio e penso: se mai gli passasse per la testa che non gli sto più simpatica, mi ucciderebbe?”. Concluse. Una sola lacrima abilmente nascosta dietro la tazza le scivolò lungo il viso. Silenziosa. Inarrestabile. Se la asciugò rapida.

 

“Non sarei in grado. Sei una persona interessante. Senza il mondo è più noioso” sorrise timido offrendole un fazzoletto in stoffa pregiata ripiegato per asciugarsi le lacrime. La lacrima, a dire il vero.

 

La ragazza prese il fazzoletto e si asciugò la lacrima. “Perché mi cerchi ancora?”. Glielo doveva. Doveva dirle perché gli importava ancora di lei dopo la loro separazione. In più voleva anche sapere come si sarebbe comportato con Sherlock dal momento che sapeva di loro.

 

“Non lo toccherò, se ci tieni tanto” cominciò l'uomo dalla domanda inespressa. Non gli faceva particolarmente piacere dover lasciare la sua preda preferita, ma se poteva servire per riappianare i rapporti, lo avrebbe fatto. “Ci tengo a te e non ho invaso il tuo spazio volontariamente. Non sapevo che tu e Sherlock steste insieme e nemmeno che fosse quella la tua coinquilina. Era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato”

 

“Ora rispondi alla mia domanda.” disse questa volta guardandolo dritto negli occhi alla ricerca di un barlume positivo a cui aggrapparsi. Doveva darle qualcosa in cui sperare. Doveva riuscire a farle continuare a credere che c'era del buono in lui, che non era tutto da buttare.

 

“l'ho trovato per terra nel parcheggio. Credo sia caduto quando siete stati portati fuori dalla macchina.” si zittì. Tornò a guardare il cielo di Londra e ad ascoltare il rumore delle macchine che passavano in lontananza. Un piccolo sorriso gli si formò in viso. “L'ho riconosciuto subito. Sapeva di te.”.

 

“Grazie J” sorrise a sua volta la editor stringendoglisi contro ed abbracciandosi con le braccia di lui. In quel momento aveva bisogno di sentirsi protetta. Ne sentiva il bisogno fisico.

 

Sherlock stava seriamente perdendo ogni forma di pazienza. Se non fosse successo qualcosa in fretta, sarebbe impazzito. E non in senso positivo, nemmeno lontanamente. Sarebbe salito ed avrebbe cercato la fidanzata ed anche, per lo spavento ed il rapimento, smontato e consegnato a suo fratello il rivale. Con somma gioia.

 

Moriarty piantó lo sguardo in quello della ex “Ho fondato una scuola di criminologia” ammise. Se chiunque altro avesse osato anche solo insinuare una cosa del genere, probabilmente non avrebbe avuto una risposta piacevole, per nulla, ma siccome era lei, poteva anche ammettere di aver compiuto un'opera buona deliberatamente.

 

Matilde lo abbracciò. Allora non aveva completamente sbagliato con lui. Non era un angelo, questo era ovvio, ma non era nemmeno un mostro. Questo non avrebbe cambiato nulla fra di loro. Non sarebbero tornati insieme. Però era un ottimo punto di partenza per far ripartire la loro amicizia.

 

Come due anni prima, Jim si perse fra quelle braccia. Sapeva che non sarebbe cambiato nulla di sentimentale, ma andava bene anche così. “Vai prima che qualcuno faccia irruzione. Prenderemo un the più piacevole un’altra volta, tanto non hai cambiato cellulare o segretaria, no?”  sorrise liberandola. Avrebbe passato ancora delle ore a parlare con lei, ma conosceva la propria nemesi come, beh, come se stesso.

 

La ragazza gli concesse un ultimo sorriso “Al prossimo the, Jim.”. Detto questo prese le proprie cose e si avviò per uscire dal parcheggio. Voleva rivedere i suoi amici. Sapeva anche che avrebbe dovuto placare Sherlock, ma si sarebbe inventata qualcosa.

 

Jim la guardò allontanarsi. Avrebbe preparato con cura il the successivo. Prima che scomparisse dalla vista, la chiamò e le lanciò una scatolina col suo biglietto da visita ed un orecchino con una piccola matita d'oro bianco. Un pensiero innocente che aveva dall'anno prima e che non aveva mai avuto l’occasione di darle.

 

Matilde prese al volo la scatolina e l'aprì. Era quasi commossa. Anzi, era commossa. Richiuse con cura la scatolina e se la mise in tasca. “ti chiamo” disse al consulente criminale prima di andarsene definitivamente.

 

Quando vide arrivare l'amica, il soldato richiamò l'attenzione della fidanzata. “Bru, è fuori.”. Era contento di constatare che era tutta intera e non era nemmeno troppo scossa emotivamente compatibilmente con la situazione.

 

La giovane balzò in piedi e corse ad abbracciarla, stavolta attenta a non lasciare in giro il libro, sollevata “Stai bene? sei tutta intera? Come è andata? Non ha fatto niente di male, vero? Andiamo a casa?” forse aveva esagerato con le domande, ma era preoccupata per l'amica. Tanto.

 

Per Sherlock vedere ricomparire la fidanzata equivalse a tornare a respirare. La strinse a sé “Come stai?” domandò solamente, sottovoce, al suo orecchio.

 

“Sto bene, è andata bene, sono intera, andiamo a casa e sherlock dammi immediatamente quella pistola.” disse con un sorriso porgendo la mano al fidanzato. Era potenzialmente pericoloso con l'arma in mano e Moriarty nei paraggi. Non una bella accoppiata.

 

“Avanti, lasciatela respirare.” il suo soldato interiore spingeva per l'ordine.  “l'avete sentita, si torna a casa.” sorrise trionfante prima di chiamare un taxi per tutti.

 

Brunella liberò l'amica dalla stretta e si appoggiò al suo J. Tornare a casa iniziava a diventare urgente: senza adrenalina in corpo, stava crollando sempre più in fretta.

 

Al posto di consegnare l'arma a Matilde, Sherlock la consegnò a Jawn e tenne per sé la mano della fidanzata. Non era passato molto tempo, era vero , ma era stato lunghissimo. Praticamente eterno.

 

Matilde gliela strinse e lo guardò negli occhi. Non erano quel genere di coppie da coccole in pubblico, tutte dolciose e zuccherine. Erano più da carezze leggere e furtive, apparentemente insignificanti date per casa mentre si lavorava, da grandi sguardi, chiacchieravano molto con gli occhi, oppure da grandi passioni, quei momenti in cui ci si dimenticava del mondo e i vestiti venivano addirittura strappati dalla foga.

 

Quando arrivò il taxi John aprì la portiera alla fidanzata. “Prego, amore” le disse sorridendo. Entrato dopo di lei se la accoccolò al petto e le cosparse il viso di baci piccoli e dolci. Adorava coccolare la sua bimba, in ogni modo possibile.

 

Brunella, dal canto suo, adorava farsi coccolare, soprattutto dal militare. Soprattutto se era sconvolta e stanca ed in quel momento tutte e tre le condizioni erano verificate. C’era da ammettere che adorava a prescindere le coccole, ma in quei momenti le erano essenziali. Si addormentò  letteralmente di schianto sulla spalla del fidanzato.

 

Sherlock non riusciva a smettere di guardare Matilde. Lei era viva, lui era vivo. Non poteva chiedere altro. Sapeva di avere spezzato il loro abituale modus operandi, ma aveva bisogno di sentirla. Piano, molto più dell’altra rapita, si rilassò.

 

Matilde gli accarezzò col pollice il dorso della mano.  Questa sera dopo la festa seratina solo noi? Ne ho bisogno. chiese al fidanzato con un sguardo limpido prima di perdersi in quelle sue maledette iridi color ghiaccio. Si strinse a lui nella speranza di non risultargli invadente, ma solo qualcuno che aveva bisogno di lui in quel momento.

 

Passarono una decina di minuti abbondanti prima che il taxi si fermasse davanti al 221b di Baker Street. John prese in braccio Brunella, pagò il tassista e uscì. Non vedeva l’ora di sedersi in poltrona con un buon libro e una tazza di the. Magari anche la fidanzata con qualche voglia piccantina nel pieno delle forze. Quello sarebbe stato decisamente perfetto.

 

La editor non si svegliò affatto per lo spostamento, meno che mai per il cambio di ambiente. Stava così bene fra le braccia di john, protetta, al sicuro, al caldo. Non aveva un motivo al mondo per svegliarsi, quantomeno a quanto ne sapeva.

 

Quando Sherlock percepì la fidanzata stringerglisi al fianco, la prese di peso e la spostò sulle proprie gambe. Anche lui aveva bisogno di sentirla vicina e di passare del tempo con lei, decisamente. “Svegliamo la festeggiata, festeggiamo e ci dileguiamo?” era evidente che avrebbe fatto volentieri a meno di tutte le fasi prima di dileguarsi, ma dopo essere stato rapito per fare da diversivo all’organizzazione di una festa a sorpresa, esigeva che quella festa ci fosse. Non aveva nessuna intenzione di essere rapito di nuovo e nemmeno di fare da diversivo. Quando il taxi -finalmente!- si fermò, il detective tenne aperta la porta a Matilde.

 

“La svegliamo, festeggiamo un paio di ore e poi seratina noi. Dobbiamo solo scegliere se io e te rimaniamo da te o da me. Però solo noi. Niente casi tu e niente libri io, intesi?” chiese entrando nell’appartamento. Aveva decisamente bisogno di contatto intimo, psichico e fisico col fidanzato.

 

Una volta in casa John adagiò delicatamente la fidanzata sulla poltrona. “Bruni...ehi piccola…” le accarezzò il viso per svegliarla. Avevano comunque una festa da festeggiare. La torta c’era, i palloncini anche, i festoni pure, c’era davvero tutto il necessario. Inoltre non vedeva l’ora di darle il suo regalo. Si era dannato per trovarlo, voleva vedere la sua espressione quando l’avrebbe aperto.

 

Brunella aveva il sonno piuttosto pesante ed a stento aprì un occhio quando venne chiamata, anzi si appropriò della mano che le stava accarezzando il viso, se la strinse al petto come un peluche e si girò dall’altra parte, continuando placida a dormire.

 

“Rimaniamo dove non sono loro, semplice” sorrise il detective, che condivideva lo stesso desiderio della fidanzata. “Prima comincia, prima finisce e prima solo noi” ultimò con l’oramai celebre occhiolino ed una carezza leggera lungo il dorso della mano.

 

Sussurrò al suo orecchio “Maledetto il tuo dannato occhiolino, Sher.”. Andò a preparare la sala e a tirar fuori le pietanze dal frigo. Non vedeva l’ora di essere sola col suo micio.

 

John imperterrito continuò ad accarezzarla piano, ma alzò il tono di voce. “Bruni, svegliati. C'è una festa che ti sta aspettando”. Doveva svegliarsi. Non poteva costringere i due amici a ritardare il loro riavvicinamento amoroso.

 

Dopo alcuni -svariati- tentativi, la giovane aprì gli occhi chiari “Buo…”sbadigliò stiracchiandosi sulla poltrona come un gatto “...ngiorno” tornò ad accoccolarsi, finalmente sveglia, allo schienale. Dopo un paio di istanti ancora era totalmente sveglia, o almeno abbastanza per rendersi conto dei festoni che coloravano la stanza. Sgranò gli occhi, sorpresa e contenta come una bambina “ma quando….” balbettò appena, poi saltò al collo di tutti e tre, entusiasta.

 

Quando Sherlock si vide abbracciato, pensò che uno dei due sarebbe morto. Era allergico a tutti i tipi di abbracci, tranne quelli della fidanzata. Okay, a quelli della editor era solo intollerante, ma erano praticamente impossibili da evitare completamente.

 

Matilde sorrise e accarezzò leggera il braccio del detective in una sorta di gesto tranquillizzante. Strinse la sua amica “Buon compleanno Bru”. Lei non amava gli abbracci, anzi, li odiava proprio. Non le piacevano baci, carezze, insomma, tutto ciò che era fisico, a meno che non fosse del suo fidanzato. Diciamo che per la sua amica aveva fatto un'eccezione,un'eccezione che ormai andava avanti da anni.

 

John le bacio tutta la guancia, entusiasta “Buon compleanno amore mio!”. Era un soldato felice e soddisfatto. La sottrasse ai due amici e la fece girare tenendola stretta a sé.

 

Quando le si staccarono i piedi da terra, la editor trillò felice. Adorava volare e non ne faceva particolare mistero. Scopertasi affamata, si lanciò sui biscotti.  Non poteva crederci, le avevano fatto delle pagine di biscotto, con tanto di scritte, dovevano -Matilde doveva, a ben pensarci-averci lavorato tantissimo.

 

Sherlock lanciò un'occhiata di ringraziamento al coinquilino, anche se era certo che non lo avesse fatto per lui. Prese un momento per guardare il lavoro della fidanzata. Era considerevole e lo era anche che lui lo considerasse tale, data la base di partenza molto elevata data dai dolci del fratello.

 

Matilde guardò la coinquilina e poi le mise davanti la torta decorata “Tanti auguri a te… “. La ragazza intonò la tipica canzone e guardò gli altri due in un chiaro invito a seguirla.

 

John la seguì a ruota e strinse da dietro la sua fidanzata accarezzandole il collo col naso. Gli piaceva parlarle sul collo, era intimo e la sua pelle era morbida e profumata. Deliziosa.

 

Brunella si coprì di brividi quando il militare si unì al canto. Forse per la prima volta in svariati anni stava apprezzando quella canzoncina. J aveva un accento terribile, quasi conico, ma apprezzò che l'amica avesse iniziato in italiano.

 

Sherlock aveva capito come sottrarsi all'obbligo di cantare: strinse il violino ed iniziò a suonare, stretto alla fidanzata.

 
   
 
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