Capitolo quinto
Oh yeah, I'm
haunted by the distant past
Called to the skies but she was overcast
But I won't
never give up, no, never give up, no, no
No, I won't never give up, no, never give up, no, no
And I won't let
you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh
I won't let you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh
I'll find my way, find my way home, oh, oh, oh…
(“Never give
up” – Sia)
Giunto a Palazzo Albizzi, Giovanni rimase
ancora più sbalordito: quella dimora era addirittura più grande e lussuosa di
Palazzo Medici, soltanto che lì parevano abitarci solo Rinaldo e suo figlio.
“Bene, visita pure il palazzo, se vuoi, poi
accomodati dove preferisci” gli disse Albizzi. “I miei servitori ti porteranno
quello che chiederai. Io devo uscire di nuovo, ho alcuni… beh, impegni con mio figlio e con la
Signoria. Tornerò stasera.”
Giovanni era più stranito che mai: se doveva
restare comunque da solo, tanto valeva che fosse tornato a Palazzo Medici… ma,
in realtà, aveva rinunciato da tempo a cercare di star dietro agli ingranaggi
mentali di quell’uomo!
La giornata, comunque, passò in fretta nell’esplorazione
delle tante stanze di quel palazzo ed era già sera quando Rinaldo rincasò.
Giovanni aveva già cenato da solo e l’uomo non si fece tanti scrupoli a
prenderlo e portarselo nella sua stanza.
“Messer Albizzi, è successo qualcosa?
Sembrate più scontroso del solito” commentò il ragazzo con la consueta
sfacciataggine.
“Sembra che i malati nella Cattedrale stiano
guarendo e che l’epidemia di peste sia passata. Entro pochi giorni Firenze
dovrebbe essere liberata da questo flagello” rispose lui, come se la cosa gli
arrecasse un danno personale.
“Ma questa è una bella notizia, non c’è
bisogno di fare la faccia da funerale” replicò Giovanni, che poi non poté
trattenersi dall’aggiungere una frecciatina… “Avete visto che non era colpa della cupola? Anzi, magari è
proprio per questo che siete seccato, avete avuto la dimostrazione che vi
sbagliavate!”
Albizzi lo fulminò con lo sguardo. Giovanni
ci aveva preso in pieno, come sempre.
“Ti consiglio di non riportare il discorso su
questa storia” sibilò. “Comunque Cosimo è stato davvero un irresponsabile nei
tuoi confronti: ha portato la sua famiglia in campagna ma ti ha lasciato qui a
rischiare il contagio. Non eri forse sotto la sua responsabilità?”
E ti pareva! Per Albizzi, Cosimo era
responsabile di tutti i mali del mondo passati, presenti e futuri e ogni
occasione era buona per rimarcarlo.
“No, non è andata così” ribatté il giovane.
“Messer Cosimo voleva portare anche me nella sua villa in campagna, sono stato
io a rifiutare. Per tutta la vita ho desiderato venire a vivere a Firenze e,
adesso che ci sono finalmente riuscito, non sarà una pestilenza qualsiasi a farmi andare via!”
Suo malgrado, Rinaldo lo fissò con
ammirazione: quel ragazzo lo stupiva ogni giorno di più e… beh, sì, doveva
ammettere che gli piaceva, e anche parecchio.
“Sei coraggioso oltre che sfacciato,
ragazzino” commentò. “Pensi più a Firenze che alla tua stessa incolumità.”
Per la prima volta Giovanni gli rivolse un
sorriso spontaneo.
“Mi sembra che questo valga anche per voi,
allora, non è così, Messer Albizzi? Nemmeno voi avete lasciato Firenze come
invece hanno fatto tanti altri nobili” disse.
“Forse siamo più simili di quanto pensassi”
ribatté Albizzi, al quale la cosa piaceva assai.
Prese Giovanni e senza perdere altro tempo in
chiacchiere lo strinse a sé e iniziò a baciarlo. Però si rendeva conto che
quella che inizialmente era stata solo una ripicca nei confronti di Cosimo
adesso si stava trasformando in qualcosa di diverso e lui si sentiva davvero
meglio stringendo tra le braccia quel ragazzino
impertinente, come lo chiamava lui. Anzi, si sentiva bene come non gli
accadeva più da tanti, troppi anni…
Albizzi
distese Giovanni sul letto e continuò a baciarlo a fondo e lungamente. Le
attenzioni audaci dell’uomo, sulle prime, sconvolsero il giovane Uberti, che
decisamente non aveva pensato che la faccenda prendesse quella piega…ma Rinaldo dimostrò pazienza e un’attenzione che
non ci si sarebbero mai aspettate da lui e il ragazzo, sempre più sorpreso, scoprì
che il suo corpo rispondeva inspiegabilmente a ogni sollecitazione e si
abbandonò, lasciando che il nobiluomo facesse di lui tutto ciò che voleva e
perdendo completamente ogni concezione di spazio e tempo in quel vortice
confuso di sensazioni.
Quando
si risvegliò nel letto di Albizzi, la mattina dopo, Giovanni ci mise un po’ a
capire dove si trovasse e perché, poi ricordò… e rimase ancora più incredulo
per essersi lasciato andare così.
Insomma,
quell’uomo non gli stava nemmeno granché simpatico e gli aveva permesso di fare
di lui tutto quello che voleva (non che avesse avuto voce in capitolo in ogni
caso, ma vabbè…)? E per giunta si era anche sentito… beh, la cosa non era stata
poi così spiacevole, ecco!
E
ora che sarebbe successo?
Apparentemente
nulla di nuovo. Rinaldo Albizzi si era già alzato e si stava preparando per
andare a causare guai da qualche parte.
“Ah,
sei sveglio, credevo che intendessi dormire tutto il giorno” gli disse l’uomo,
come se tra loro non fosse successo niente di particolare.
“No,
certo, anzi, adesso mi dovrò preparare e ritornare a Palazzo Medici” rispose il
ragazzo, alzandosi dal letto. “Se davvero la pestilenza è passata, allora
torneranno anche gli altri dalla campagna e io ho voglia di rivedere Piero,
Lucrezia e Messer Lorenzo. Del resto anche voi state uscendo, immagino andrete
ad una riunione della Signoria, no?”
“Sì,
tra le altre cose” replicò Albizzi, senza meglio specificare quali fossero
queste altre cose, di certo nulla di
buono. “Tuttavia, per adesso, dovresti rimanere nel mio palazzo almeno per
qualche altro giorno. Come hai visto, è un palazzo molto grande e praticamente
vuoto. Mia moglie vive in campagna e viene a Firenze molto di rado, solo per
occasioni di rappresentanza, perciò…”
Quell’informazione
turbò Giovanni molto più di quanto si sarebbe aspettato.
“Ah,
dunque c’è pure una Madonna Albizzi?”
fece, piccato e senza sapere perché la cosa gli scocciasse tanto.
La
sua frase strappò un sorriso a Rinaldo.
“Sei
forse geloso, ragazzino
impertinente?” commentò, divertito. “Da dove credevi che fosse venuto fuori
Ormanno, scusa? Comunque, come ti ho già detto, lei non vive qui e viene a
Firenze molto raramente. Ormanno va a trovarla spesso e per il resto ad
entrambi va benissimo così.”
Il
che non era certo una stranezza nei matrimoni di quel tempo… e anche in diversi
di adesso, oserei dire. Però a Giovanni non piaceva lo stesso!
“Dovrei
davvero tornare a Palazzo Medici” ripeté, stizzito e iniziando a vestirsi.
“E
io dico che ci tornerai quando sarò io
a darti il permesso” tagliò corto Albizzi.
Giovanni
sgranò gli occhi.
“Cos’è
questo, un rapimento? Adesso fate anche prigionieri,
Messer Albizzi?” protestò.
“A
volte, ma non è il tuo caso” fu la risposta niente affatto rassicurante
dell’uomo. “Semplicemente, per adesso preferisco che tu non abbia contatti con
i Medici. Ormai li conosco troppo bene e ho il sospetto che Cosimo ti abbia
mandato da me per scoprire cose che potrebbe poi usare per danneggiarmi… e del
resto non sarebbe la prima volta, no?”
“Vi
ho già detto che sono addolorato per quello che vi è accaduto vent’anni fa, ma
sapete bene che non fu colpa di Messer Cosimo” replicò Giovanni, “e, comunque, io non sono un Medici e non tradirei mai la vostra fiducia. Almeno di me vi
dovete fidare, se non volete fidarvi di Messer Cosimo!”
“Magari
di te mi fiderò, prima o poi, ma non mi fido dei Medici e per questo non ti permetterò di tornare da loro, almeno
per ora” concluse Albizzi, e quella era chiaramente la sua ultima parola
sull’argomento. “Oltretutto, tu sei un Uberti, un nobile, perciò il tuo posto è
qui e non certo con quella famiglia di usurai.”
Sì,
Rinaldo Albizzi tendeva leggermente a
ripetersi…
Tuttavia,
compiaciuto di aver ancora una volta messo in chiaro la situazione, l’uomo si
chinò a baciare Giovanni e poi se ne andò.
Era
più che ovvio che non pensasse nemmeno lontanamente di lasciare che Giovanni
tornasse a Palazzo Medici: aveva finalmente trovato una scusa per far arrestare
Cosimo, grazie alle informazioni ricevute dal figlio il pomeriggio precedente,
e proprio quella sera avrebbe avuto la sua rivincita. Visto che Cosimo sarebbe
finito presto in prigione, tanto valeva che Giovanni restasse nel suo palazzo.
Se poi fosse riuscito a convincere la Signoria a giustiziarlo, ancora meglio e,
a quel punto, il ragazzo non avrebbe più avuto motivo di far ritorno a Palazzo
Medici, no? No?
Aveva
pensato proprio a tutto!
Quello
che non aveva previsto, però, era la reazione che avrebbe avuto Giovanni.
Quella sera, ovviamente, Albizzi si guardò
bene dal dire qualcosa al ragazzo, sebbene fosse tornato giusto allora dalla
sua bella pensata, vestito più elegante del solito tanto per dimostrare che
lui, almeno, il bastardo lo faceva con un certo stile… Tanto per dirla in due
parole, aveva convocato Cosimo al Palazzo dei Priori con l’inganno e poi lo
aveva fatto arrestare con un pretesto, subito prima di tornarsene a casa
tranquillo e soddisfatto. Si prese tra le braccia Giovanni e se lo portò a
letto come la sera precedente. E, ancora una volta, il ragazzo si abbandonò
totalmente a lui, perdendosi in quel caos di sensazioni che lo facevano sentire
come se fosse finito in un’altra dimensione.
La mattina seguente, però, Giovanni era ben
più lucido e la storia dell’arresto di Cosimo venne fuori.
“Questa mattina avrei piacere di passare da
Palazzo Medici per salutare i miei amici” disse il giovane, prendendola molto
alla lontana.
“No, oggi decisamente
non è il caso” tagliò corto Albizzi.
“Ma perché no? Non vi capisco! Voglio solo
salutare Piero e Lucrezia e poi tornerò qui, se questo è ciò che volete”
protestò Giovanni.
A quel punto, Rinaldo pensò che tanto valeva
dire la verità: il ragazzo sarebbe comunque venuto a saperlo, prima o poi.
“Non c’è ragione che tu vada a Palazzo Medici
perché ieri sera ho fatto arrestare Cosimo e ci sarà una gran confusione, non
credo che qualcuno avrà il tempo per badare a te” spiegò, come se stesse
parlando del tempo.
Giovanni trasecolò.
“Avete fatto arrestare Messer Cosimo?” ripeté,
sperando di aver capito male.
“Beh, sì. Mio figlio ha scoperto che quell’usuraio ha mandato il suo sicario
a uccidere delle persone che gli davano fastidio e così…”
“Ma avete perso
completamente la ragione?” esclamò Giovanni, sconvolto.
Come sempre, il ragazzo non si faceva
scrupoli di dire quello che gli passava per la testa. In quel caso, però,
Albizzi se ne risentì, forse perché, in fondo in fondo, ma parecchio in fondo,
non si sentiva del tutto con la coscienza a posto. Sentendosi aggredito ingiustamente, aggredì a sua volta.
“Non devo certo discutere con te delle decisioni che prendo. Ho
ritenuto che Cosimo fosse un pericolo per Firenze e l’ho denunciato alla
Signoria” dichiarò, con la solita faccia di bronzo.
“Messer Cosimo ha cercato di riconciliarsi
con voi, voleva che dimenticaste finalmente quel fatto di venti anni fa,
probabilmente mi ha mandato da voi proprio come gesto distensivo e voi, invece…” protestò il ragazzino.
“Cosimo si è forse illuso che, vendendoti a
me, io avrei potuto perdonare quello che ha fatto a me e alla mia famiglia?”
replicò Albizzi, ma capì subito di aver detto qualcosa di molto sbagliato,
qualcosa di imperdonabile, addirittura.
Giovanni gli si parò davanti con gli occhi
colmi di rabbia, vergogna, dolore e mille altre emozioni. Se avesse potuto, lo
avrebbe fulminato sul posto.
“E’ questo dunque che pensate di me, di un Uberti?” gridò, infuriato. “Io mi
sarei venduto a voi? E’ così che la
vedete?”
La rabbia di Giovanni era talmente violenta
che Rinaldo tentò invano di arginarla. Il ragazzo era fuori di sé e non lo
ascoltava nemmeno più.
“Avete oltraggiato Messer Cosimo e, cosa
ancora più grave, avete oltraggiato me!
Un’offesa come questa dovrebbe essere lavata con il sangue, ma sapete cosa vi
dico? Voi non meritate nemmeno che mi prenda il disturbo! Siete un essere
ignobile e meritereste di starci voi nella prigione dove avete fatto
rinchiudere Messer Cosimo, a marcire fino alla fine dei vostri giorni!”
Indignato, Giovanni si avviò verso la porta
della stanza di Albizzi ma, prima di uscire, volle rivolgere un’ultima frase
velenosa all’uomo che lo aveva ingiuriato.
“Mi ero fidato di voi e voi mi avete offeso e
ferito. Biasimate Messer Cosimo, ma voi siete mille volte peggio di lui. Ora io
me ne vado a Palazzo Medici e voi non mi fermerete” affermò, deciso. “Sono
stato uno sciocco, ho creduto che in voi ci fosse una parte buona, ma non c’è,
siete solamente un uomo crudele e pieno di invidia e risentimento, non meritate
nemmeno i miei insulti!”
Detto questo, uscì dalla stanza sbattendo la
porta con violenza, tanto da far risuonare tutto il palazzo. Albizzi, che
cominciava a rendersi conto di aver un
tantino esagerato, cercò di andargli dietro ma Giovanni aveva già
attraversato il salone, sceso le scale e raggiunto il portone del palazzo,
uscendo e sbattendo anche quello con tutta la forza che aveva.
Rinaldo rimase pensieroso a guardare il
portone chiuso finché non fu raggiunto da Ormanno, piuttosto preoccupato.
“Padre, che succede? Quello era Giovanni
Uberti? Ho creduto volesse buttare giù il palazzo… ma cosa gli è preso?”
domandò.
Albizzi tentò di recuperare un minimo di dignità,
almeno davanti a suo figlio.
“Ha saputo dell’arresto di Cosimo de’ Medici
e si è infuriato” rispose. “Ma non temere, è un Uberti, un nobile come noi.
Presto capirà che Cosimo merita ciò che gli è accaduto e tornerà nel posto che
gli spetta, qui nel nostro palazzo, al nostro fianco.”
Ma, nonostante la fermezza che cercava di
infilare nel suo discorso, Rinaldo Albizzi non era poi così sicuro di ciò che
affermava.
Questa volta, temeva, si era spinto davvero
troppo oltre con quel ragazzino…
Ovviamente non gliene fregava un beneamato di
aver fatto imprigionare Cosimo, ma era consapevole di aver detto qualcosa di
veramente oltraggioso e ingiusto a Giovanni, e di questo non andava fiero.
Fine capitolo quinto