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Autore: Fe_    21/06/2019    4 recensioni
[Storia sospesa]
I semidei erano stati scoperti.
Troppo potenti per essere davvero sterminati, gli umani avevano iniziato a temerli, confinandoli prima in aree limitate e, una volta capito che segregarli in distretti fomentava ribellioni ed insurrezioni, relegandoli con muri di vetro all'interno della società.
Il marchio del semidio partiva dalle scuole, scuole speciali per giovani di esclusiva discendenza divina, veniva posto nei documenti e continuava nel lavoro, nella vita privata persino: nessun umano sano di mente avrebbe sposato un semidio.
Poi erano iniziate le battaglie: ogni anno, una classe delle scuole esclusivamente semidivine non veniva semplicemente portata in gita, ma sorteggiata per una gara all'ultimo sangue per divertire la popolazione, esorcizzando lo spettro di un terrore che lo stesso governo provoca.
Uno solo è il vincitore della Battle Divine, ma riuscirà a sopportare il peso di dover uccidere i suoi simili, i suoi compagni di classe ed amici?
Fanfiction interattiva: Iscrizioni chiuse
Genere: Avventura, Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Mostri, Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Battle Divine
Dolci sogni


➊ Alysse- Presagio
2.16 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


lysse sospirò di benessere, con il sole caldo del primo pomeriggio che le sfiorava le guance.
Erano in quella scuola maledetta da appena quattro giorni, ed in ognuno dei 5835 minuti trascorsi dal loro risveglio aveva sentito chiaro, debole ma sempre presente, l'alito del padre su tutti i loro colli.
Per questo, per quanto fosse una persona molto aperta e desiderosa di fare amicizia, si era ritrovata sempre più ad isolarsi. Non si considerava debole, ma l'idea di non poter dimenticare mai il destino di tutti i semidei presenti, meno uno ovviamente, le rendeva difficile concentrarsi su altro.
Eppure, in quel momento, era sola e poteva concedersi un po' di beata ignoranza.
Con gli occhi chiusi e i tratti da bambola illuminati dal sole avrebbe potuto pensare di non essere lì.
Si passò una mano tra i lunghi capelli neri, la parte che per prima si scaldava e aveva per questo bisogno di tanto in tanto d'essere smossa, poi schiuse le labbra pallide e lasciò un ulteriore sospiro quando il vento iniziò a scuotere le foglie, rendendo assolutamente perfetto quel momento di paradiso.
Forse stava così per il barlume di speranza che Angie, con quel suo piano sgangherato ed irrealizzabile, aveva acceso dentro di lei: si era persino ritrovata a sorridere genuinamente alla ragazza mentre le parlava.
E poi, rapido com'era arrivato, il benessere sparì.
Il sole non era più così caldo, tanto che un involontario brivido le scosse le spalle esili, e il rumore di un urlo femminile soffocò quello lieve e rilassante degli alberi.
Alysse aprì di scatto le iridi di cielo, puntandole con istintiva precisione al margine del bosco.
Fece appena in tempo a vedere Marie entrare tra gli alberi, e sparirvi come una piccola ninfa.
Marie sarebbe morta.
Alysse ne era certa, ma non era un evento inevitabile. Sapeva, però, che se non avesse fatto nulla suo padre avrebbe teso la mano e portato via un'altra giovane vita, perciò senza pensarci una seconda volta si alzò dal muro contro il quale era posata e si avviò decisa dietro alla ragazzina.
Era piccola, persino più bassa del suo metro e sessanta, perciò era certa che l'avrebbe raggiunta presto e riportata al sicuro all'interno della scuola.
L'interno della foresta era fresco e umido, scurissimo per i suoi occhi abituati al sole, tanto che le ci volle qualche minuto per potersi adattare e dovette seguire Marie praticamente solo con l'udito ed il proprio potere, incapace di riconoscere la ragazzina in quella penombra.
Quando finalmente riuscì a trovarla, diversi metri più avanti e parzialmente nascosta dalla boscaglia, non era sola.
Un ragazzo dai capelli neri ed il fisico asciutto le stava davanti, di spalle rispetto ad Alysse, che però lo riconobbe: Damian, con un'ascia nella mano destra. Marie gli sorrideva ingenua, e smise solo quando il ragazzo sollevò l'arma.
Lo vide, le parve con una certa reticenza, calare la pesante lama in direzione della compagna che schivò agilmente.
Alysse fece per avvicinarsi, per impedire la lotta con tutte le sue forze, ma prima che potesse palesarsi o vedere sangue spargersi, un muggito meccanico risuonò in lontananza. Poi la terra iniziò a tremare.

➋ Neville- Dubbio
2.29 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


ngoiò a vuoto, Neville, stringendo la sua arma in una mano e assicurandosi, per l'ennesima volta,
Certo, era stato facile ideare quel piano: vai lì, la uccidi. È piccola, debole, stupida e pazza, che problemi dovrebbe mai creare?
Ed in effetti non ne creava, sarebbe stato davvero facile spezzare una vita: l'aveva avvicinata con facilità disarmante, non erano stati un problema nemmeno l'aspetto di Damian o l'arma che gli penzolava evidentemente al fianco, Marie gli si era avvicinata ed aveva sorriso.
"Va tutto bene, Neville. Non serve che usi una maschera con me",aveva detto, e lui aveva alzato l'arma. Marie aveva smesso di sorriderle, con un'espressione confusa. Non capiva, davvero, però era comunque... una persona.
Poi aveva mancato.
Non avrebbe saputo dire se lo avesse fatto inconsapevolmente, schiacciato dalla consapevolezza che non era così facile spezzare una vita quando questa non ti stava minacciando. A pensarci, si disse, chiunque può commettere un omicidio: il problema si pone quando sei davanti all'atto da compiere, e allora capisci cosa sta per succedere e ti rendi conto che qualcuno, nel mondo, prova dei sentimenti per lei. Amore, odio, paura... uccidere vuol dire annullare non solo una coscienza, ma centinaia di interazioni. È un tradimento. Strano come la mente funzioni: in quel momento vide chiaramente l'immagine delle sue due mamme.
Sbatté le palpebre e Marie era viva, lo guardava come se nemmeno lei capisse come mai non fosse a terra sanguinante. Neville si sentiva... sollevato?
Poi un muggito, la terra che si scuoteva.
C'erano... dei mostri? Eppure erano lì da quattro giorni! Non aveva senso, li liberavano solo quando le cose iniziavano a farsi troppo lente... due morti in quattro giorni non era fuori dal solito.
Gli occhi passarono dal suo blu naturale al verde, poi al marrone ed il nero, ed allora realizzò. Un mutaforma. Un dettaglio. Marie lo aveva chiamato Neville. Sapeva. Avrebbe potuto avvertire gli altri che aveva provato ad ucciderla incolpando Damian.
Doveva morire, o gli altri avrebbero ucciso lui.
La guardò, mentre lei gli si avvicinava con un sorriso inquietante.
-Andiamo, non è ancora il momento di andare da mamma, dai. Saremo al sicuro anche a scuola, con tutti.- Gli porse la manina, e Neville strinse con entrambe le mani l'accetta.
La boscaglia era abbastanza fitta in quel punto, probabilmente il toro non li aveva ancora individuati ma sarebbe arrivato presto. Se avesse trovato una piccola semidea, lei non si sarebbe salvata. Non doveva... ucciderla. Come primo passo, lasciarla sola. Avrebbe provato a vincere un altro giorno, non era pronto, ma quello... quello era diverso, no?
In un attimo pensò di lasciare che fosse il mostro ad ucciderla, magari romperle una gamba, tanto era certo che non avrebbe comunque provato paura mentre quello le si avventava contro, ma qualcosa... qualcosa lo fece desistere. Si sentiva tremendamente in colpa, non poteva permettere che rovinasse tutto, ma non voleva nemmeno farla soffrire inutilmente. Se l'avesse fatta svenire...? No, non sarebbe stata una buona esca, immobile.
Il tremore si fece più insistente e poté capire che sarebbe comparso da destra, dove un ampio cespuglio di more nascondeva la visuale. D'istinto si voltò dalla parte opposta, dove vide una figura che prima non aveva notato.
Oh, cazzo.
Don si stava avviando verso di lui di corsa, sul viso un'espressione violenta e un sorriso- si, sorriso- largo e spaventoso.
Vedeva solo Damian con un'accetta in mano e Marie vicino, non ci voleva un genio per trarre una conclusione. Non poteva affrontarli entrambi insieme, si sentiva già indebolito dal lungo periodo di trasformazione, però così poteva funzionare.
Tra due fuochi, Neville ebbe solo un'opzione: si girò di nuovo, verso destra questa volta, verso il punto in cui era arrivata Marie. Sarebbe corso verso il margine del bosco, verso la scuola. Si sarebbe salvato, e se avesse avuto anche un pizzico di fortuna il toro avrebbe distratto Don abbastanza da non farglielo saltare alla schiena prima di trovare qualcuno.
Dio, se quel ragazzo era inquietante, specie mentre sorrideva quando gli altri cadevano nella disperazione.
Voltò con un gesto abile l'accetta e colpì la ragazza con il manico in legno un lato della tempia. Vide i suoi occhi tremare un attimo, come cercasse di mettere a fuoco qualcosa di molto confuso, poi crollò come una marionetta a cui vengono tagliati i fili.
Ora Donovan doveva essere proprio furioso, ma forse andava anche meglio così. Damian poteva essere un osso duro, perso chissà dove nel bosco: se ne sarebbe occupato Donovan, se fosse riuscito a battere il toro. E poi, chiunque riuscisse a cavarsela, sarebbe stato molto indebolito. Non gli era andata troppo male.

➌Donovan- Mostro
2.30 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


orto.
Damian era decisamente, fottutamente morto.
Non riusciva a concepire che qualcuno attaccasse così una bambina- nonostante fosse pienamente consapevole che Marie avesse la sua età, aveva un'innocenza e una dolcezza paragonabili quasi a quelli di MJ, e non concepiva che qualcuno potesse davvero pensare di ferirle.
Non riusciva nemmeno a flirtaci, lui, come faceva con tutti gli altri. Provava un sentimento molto simile a quello che si prova per due sorelle minori.
Perciò vedere Damian che la colpiva lo aveva mandato fuori dai gangheri, e si era precipitato verso i due.
Avrebbe voluto inseguire quel maledetto codardo, prendere la sua vita come prima, per poi poter comparare quella nuova esperienza con quelle che aveva avuto. Sarebbe stato eccitante? Gli sarebbe piaciuto, oppure lo stava caricando di troppe aspettative e si sarebbe sentito deluso, da un'emozione blanda e non troppo diversa dall'uccidere i mostri?
La sua mente iperattiva era già passata ad altro, stava per girare per tagliargli la strada, quando comparve un toro della Colchide.
Gli ci volle meno di un secondo per cambiare nuovamente idea, e non deviare dal suo percorso.
Probabilmente quel bestione avrebbe corso direttamente verso di lui, calpestando il corpo di Marie come non importasse più di un piccolo accumulo di terra che non poteva in alcun modo rallentarlo.
Viticci di vite spuntarono dal terreno, rapidi si inspessirono e da un lieve verde si ricoprirono subito di corteccia resistente. Il toro rallentò confuso, girando la possente testa da entrambi i lati con un cigolio meccanico, quindi sbuffò fumo all'odore d'incenso dalle narici ed eruttò un torrente di fuoco.
Il legno era fresco perciò il fuoco lo bruciò con un odore acre, senza propagarsi troppo nella vegetazione rigogliosa. I viticci rimasti, però, tornarono a farsi strada con solerzia, e Donovan sentì che non era solo il proprio potere a nutrirli. Marie doveva essere viva, confusa e ferita, ma almeno in parte cosciente.
Prima che tornasse ad aprire la bocca Don gli avvolse le piante a serrare la mandibola, a contatto con il metallo rovente le piante sfrigolarono ma ressero. In meno di un minuto quel coso era pesantemente intralciato, con un collare lussureggiante che costringeva la sua elefantesca figura quasi attaccata al suolo.
Come molte altre volte, il ragazzo prese la sua arma- quanto era bello poter sentire il peso familiare del bronzo celeste, forgiato da antichi figli di Efesto, stretta nel proprio pugno?
Si avvicinò con passo lento, attento ad eventuali bizze del mostro, poi soppesò la spada. Pareva fatta apposta per lui, la sentiva come un prolungamento del proprio braccio. Con un solo, preciso fendente squarciò il metallo che legava la zampa al corpo, e quel coso ruggì come se provasse dolore. Improbabile, si disse Don, dato che era una macchina.
Quindi, già stanco di quel gioco e preoccupato da altro, saltò e staccò di netto la testa del bestione. Sentì cedere, come stesse tagliando un panetto di burro lasciato troppo tempo fuori dal frigo, non era servita nemmeno la premura di usare entrambe le mani sull'elsa della spada.
Riattaccò l'arma alla propria cintura, in un fodero improvvisato che aveva intrecciato lui stesso, poi con dolcezza prese tra le braccia Marie.
La ragazzina lo guadava con un sorriso dolce, mormorando piano alcune parole che lui non si prese nemmeno la briga di ascoltare.
-Dai, ti porto in infermeria. È come quando ti metti in mezzo tra quelli che litigano e loro ti spingono via, no? Sei al sicuro, quando arrivo.- Le disse.
Questo parve tranquillizzarla, la sentì chiedere "Non sei arrabbiato, quindi?" e lui scosse la testa.
No, certo che no. Di che colpe avrebbe mai potuto macchiarsi, una bambina che credeva che i morti si reincarnassero in fiori?
Forse, se avesse corso, sarebbe riuscito a raggiungere Damian... no, portarla in infermeria era una priorità.
Si avviò di corsa verso il margine del bosco, spuntando in pochi minuti oltre il limite delle piante.
L'aria era molto più calda, l'ambiente luminoso lo costrinse a fermarsi per solo qualche secondo, il tempo che gli occhi vi si abituassero. Batté ripetutamente le palpebre, ed ora che era tornato relativamente calmo il bagliore violetto che li aveva illuminati per tutto lo scontro si attenuò sino a scomparire del tutto, nascosto dal sole rassicurante e caldo come da una maschera perfettamente modellata.
In un attimo superò anche il breve cortile che separava la scuola dalla vegetazione, per poi entrare da una porta secondaria e dirigersi con passo non troppo convinto lungo il corridoio. Doveva... non sapeva come orientarsi, in realtà: non aveva punti di riferimento e la scuola aveva troppi pochi abitanti per sperare di incontrane uno per caso.
Rapidamente guardò le porte aperte, che davano su aule vuote, fatta eccezione per alcuni banchi, lavagne ed in alcuni casi persino cattedre o scaffalature con libri di testo e un mappamondo. Dallo strato di polvere e le ragnatele che decoravano superfici ed angoli, si sentì di escluderle come posti in cui qualcuno poteva vivere.
Girò a sinistra al primo bivio, decidendo che le scale a destra non dovevano essere un buon percorso: le stanze principali, come l'aula magna, normalmente stavano al primo piano e se non ricordava male Marie gli aveva detto che si erano stabiliti in palestra, o da qualche parte lì vicino.
Ebbe fortuna: vide un'adorabile, esile figura sparire dietro un angolo. Rune non era mai stata la sua migliore amica, anzi, sospettava che la ragazza non nutrisse particolare simpatia per lui e, anche se non poteva essere certo che non lo avrebbe attaccato per far fuori due avversari in un colpo solo, decise di provarci.
-Dahll, mi daresti una mano? Marie è ferita. Sei stata qui abbastanza da capire come funziona, questo posto, quindi potresti dirmi dov'è l'infermeria?- Chiese, con un sorriso incoraggiante nonostante non potesse vederla.
-L'hai attaccata tu?- Rispose una voce, diversa, maschile quando raggiunse la stanza in cui Rune si era rifugiata: alla sua sinistra la ragazza, con un'asta tenuta al fianco come una lancia spuntata, mentre dall'altro lato Arthur con la spada sguainata. Era... abbastanza certo non lo avrebbero ucciso.
L'eco lontano di un urlo roco, fuori dalla porta, lo raggiunse, non riuscì a riconoscere la voce ma questo fu sufficiente a smuoverlo.
-No. Damian l'ha attaccata, è scappato e io l'ho portata qui.- Riassunse brevemente, senza accennare al mostro né aggiungere qualche simpatica battuta. Non era il caso, non con quel guastafeste dall'oltretomba lì vicino.
-Dammela.- Allungò una mano, e Don si chiese come avrebbe preteso di portare una ragazzina reggendola solo così. Poi vide che il suo sguardo era puntato oltre, alla propria spada, e si lasciò andare ad una risata di cuore.
-Credi sia proprio scemo?-

➍ Alysse- Dolcezza
2.33 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


on poteva crederci, davvero: Damian non era un ragazzo socievole, né caritatevole o particolarmente altruista... ma da lì a uccidere a sangue freddo una persona, ne passava di acqua sotto i ponti.
Alysse aveva sempre pensato che lo avrebbe fatto per difesa... non credeva avrebbe cercato direttamente lo scontro. Non gli pareva il tipo, ma forse era solo dovuto al fatto che nemmeno in classe tendeva a relazionarsi molto con gli altri, lui. Come se si considerasse un gradino sopra, o meglio, in una scala completamente diversa rispetto a quella in cui posizionava tutti gli altri.
Lo aveva visto colpire Marie quando si era reso conto che sarebbe arrivato un mostro, lasciandola lì. Nemmeno aveva avuto il coraggio di finirla, l'avrebbe lasciata divorare viva, era terribile.
Per un istante valutò la possibilità di correre ad aiutarla: disarmata com'era sarebbe stato un suicidio, ma non riusciva a non pensare a nulla che non fosse salvare quella giovane vita. Per fortuna, poi, era arrivato Don. Non si era intromessa, per non creargli ulteriore impiccio, ma l'aura del padre non se ne era andata ancora. Chi, chi era destinato a morire, se non loro?
Confusa e lievemente nauseata, si voltò e barcollò via, abbastanza distante da non sentire i ruggiti del mostro.
Fu lì, quasi al limite della foresta, che lo vide: era Damian, ma non del tutto.
Seduto come se dovesse riprendere fiato, il corpo si faceva lievemente più.. magro? Sì, magro, sotto i suoi occhi. I capelli rimasero neri, ma parvero ritirarsi dentro il cranio- che visione orribile, a pensarci in questi termini la sua nausea aumentò un poco- fino a raggiungere una corta cresta rasata ai lati.
In un minuto, non era più Damian quello che aveva davanti. Era Neville.
Era un piano contorto, degno di una mente macchiavellica. Alysse strinse le labbra pallide, poi fece un passo indietro cercando di non fare rumore. Gli occhi corsero all'accetta, ed emise un lieve singulto mentre cercava di non fare alcun rumore. Si immobilizzò, come davanti ad un serpente velenoso, ma per fortuna Neville pareva troppo concentrato su qualunque cosa stesse facendo per badare a quel rumore appena accennato e continuò a non guardarla, dandole le spalle.
Era quasi arrivata con le spalle ad un grande tronco, in cui avrebbe facilmente potuto nascondersi o, in caso, provare ad arrampicarsi, quando da qualche parte sentì una voce.
-Dai, ti porto in infermeria. È come quando ti metti in mezzo tra quelli che litigano e loro ti spingono via, no? Sei al sicuro, quando arrivo.-
Era distante, ma nel silenzio pesante che lei cercava in tutti i modi di conservare si udì chiara. Riuscirono persino a distinguere le parole di Don, e Alysse capì di essere fregata.
Neville si voltò di scatto e quasi con lo stesso momento si rimise in piedi, la mano corse al fianco per cercare la sua arma e trovò facilmente il manico di legno.
Senza aspettare un secondo di più la figlia di Thanatos si voltò e prese a correre , ma la sua fuga fu stroncata sul nascere proprio dallo stesso albero in cui aveva sperato di trovare rifugio, e contro il quale finì per fortuna senza farsi male. Sarebbe stata una scena decisamente comica, se non fosse accaduta a lei, in quella situazione.
Ebbe l'istinto di gridare, ma il tempo di capire cos'era successo e il ragazzo le fu addosso. Le premette una mano contro la bocca, per impedirle di chiamare aiuto, ed entrambi caddero rovinosamente a terra. In un secondo poté notare due cose: uno, Neville non aveva avuto il tempo di accettarle la schiena, o forse era meno codardo di quel che aveva pensato all'inizio e non aveva voluto colpire un'avversaria disarmata ed alle spalle. Due, era ancora viva, ed aveva la possibilità di lottare. La stretta sulla bocca combinata alla nausea le faceva spuntare lacrime che le velavano gli occhi azzurri, offuscandole la vista, ma anche lui pareva fiacco. Se non ricordava male, una trasformazione gli bruciava parecchie energie, perciò se fosse riuscita a buttarlo a terra avrebbe magari potuto correre via abbastanza in fretta. Non credeva che, in mezzo agli altri suoi compagni, lui avrebbe provato ad attaccarla- o per lo meno, non sarebbe stata lei la sua priorità. Era un destino crudele il loro, sperava solo fosse abbastanza intelligente da non seguirla per evitare il sonno finale.
Gli morse il palmo della mano, per costringerlo a lasciarla, e affondò il denti tanto forte da sentire il sapore ferroso del sangue. Quando la liberò, pur restandole sopra, Alysse riuscì a voltare il viso e sputare, disgustata, poi riprese la lotta furiosa per la propria vita. Sentì le sue mani circondarle la gola e stringerle la trachea, quindi provò ad allontanarle, graffiandogli i polsi e il dorso destro. Contemporaneamente, avvertì anche chiaramente delle gocce tiepide d'acqua sul viso. Lacrime. Sue, di lui, mischiate, dolore e mancanza d'ossigeno.
Cosa stavano facendo? Da qualche parte delle persone ridevano di quello spettacolo disumano, cercavano di sentirsi al sicuro lasciando che dei ragazzini si uccidessero per il solo peccato di essere nati.
Scalciò con tutte le sue forze e, in modo anatomicamente impossibile, sentì il proprio ginocchio colpire qualcosa di solido. Doveva essere una parte del corpo di lui, perché la presa sulla sua gola si allentò e le permise di prendere una boccata di prezioso ossigeno.
La gola le faceva malissimo, tossì un paio di volte e spinse con tutte le forze che riuscì a racimolare il petto del ragazzo. Si era alzato e non era troppo stabile, perciò fu sufficiente e farlo capitolare via da lei.
Era... salva! Salva!
Si alzò barcollante, poi provò a correre via, ignorando il dolore all'anca che era appena spuntato, regalo del suo colpo fortuito di certo. Di nuovo, la sua fuga durò pochissimo, ma questa volta per un motivo molto meno tragicomico: Neville le aveva afferrato la gamba, un impedimento sufficiente a rallentarla mentre con la mano dominante afferrava la sua accetta.
Mossa dalla disperazione scosse l'arto, dandogli però il tempo di mettersi in ginocchio e sferrarle un colpo con la lama. Il dolore si propagò acuto e terribile da appena sotto il ginocchio, sbocciando in un calore inusuale e un grido roco che probabilmente non avrebbero sentito in tempo per salvarla.
Ecco di chi era la morte annunciata. Una ragazza, che si era infilata in quella situazione da sola, ma non Marie come aveva pensato all'inizio.
Avrebbe dovuto essere più accorta, più diffidente ed egoista, ma una parte di lei era felice di morire prima di rinunciare ai propri principi. Non si era resa conto di essere caduta, ma probabilmente l'impatto col terreno era stato un'inezia comparata al dolore della gamba. Ed ora Neville era sopra di lei, in piedi, con in viso un'espressione davvero pietosa. Combattuto, sapeva che uccidere lo avrebbe reso un'escluso almeno quanto Cordelia... se qualcuno fosse venuto a saperlo. Eliminando lei, probabilmente pensava di salvarsi.
-Non serve... sei ancora in tempo per...- Iniziò, ma le sue parole vennero stroncate da un fiotto di sangue. L'accetta spuntava dal suo petto, perfettamente a metà, infilzata con tanta forza che persino le mani del ragazzo erano sporche di sangue.
Accadde una cosa davvero strana, in quel momento: Alysse non sentiva dolore, e la luce le pareva davvero troppo fievole, così come la temperatura che si abbassava di colpo come se l'inverno fosse arrivato all'improvviso.
Accanto a lei comparve una figura, mai vista ma allo stesso tempo familiare. I capelli neri erano come i suoi, mentre gli occhi di puro oro. Suo padre non doveva essere lì, la sua morte non era pacifica e serena, stava venendo uccisa, ma forse aveva fatto una piccola eccezione per sua figlia. Ironico come lo vedesse per la prima volta quando stava per chiudere per sempre gli occhi.
Dolcemente, l'uomo alato si chinò su di lei e sentì una moneta tonda premerle conto il palmo.
Si alzò con leggerezza, come non avesse sostanza, ed in effetti così era: aiutata dalla sua mano solo la sua anima si era levata, lasciando indietro le sue spoglie mortali.
-Ti seppelliranno, ma ora vieni con me, Aly. Non è più questo mondo orrendo il tuo posto.- Le sussurrò con dolcezza. Alysse annuì, poi chiuse gli occhi e lasciò che suo padre la portasse via.

➎ Neville- Panico
2.33 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


onovan. Da qualche parte, ma non in cerca di lui.
Ne era quasi stato sollevato, per poi accorgersi di una falla nel suo piano. Una gentile, caritatevole falla, Alysse. A conti fatti, avrebbe preferito qualcuno di più disprezzabile, magari proprio Damian, non qualcuno che si premurava di curare gli altri come lei o Minori.
Non si era reso conto di essersi avventato contro di lei, il suo corpo aveva reagito prima che lui potesse ordinarglielo, proprio come avrebbe fatto quello di un normale semidio i cui riflessi erano perennemente impostati in modalità "battaglia".
Era sopra la ragazza, una mano sulla sua bocca mentre cercava di capire come comportarsi. Sperare che non dicesse nulla riguardo il suo tentativo di omicidio, fallito tra l'altro, e di incolpare un altro- un doppio fallimento- era decisamente fuori discussione.
Doveva ucciderla? Era davvero l'unico modo perché non parlasse mai?
No, poteva magari farla svenire, e dire che l'aveva trovata. Non era una bugia complessa, l'avrebbero bevuta. I suoi ricordi confusi, in cui lui si trasformava in Damian, potevano diventare solo un delirio: sì, lo aveva visto prima di svenire, e in quel momento la sua mente confusa aveva collegato le due cose immaginandosi una lotta. Più azzardato, ma lui si era dimostrato sempre una brava persona, era credibile.
Sì, avrebbe fatto così, e avrebbe ucciso una persona che lo meritava di più, un altro giorno. Molto meglio.
Mentre decideva questo, Alysse gli morse la mano- ecco, questo sarebbe stato più difficile da spiegare, ma magari poteva tagliarsi e incolpare chi l'aveva fatta svenire.
Doveva muoversi, gi strinse le mani attorno alla gola, mentre una parte di lui perfezionava la bugia. Attento, doveva svenire, non morire.
Era quasi fatta, sentiva le sue proteste mano a mano più deboli, quando gli tirò una ginocchiata sulla schiena. Avrebbe dovuto bloccarle le gambe, ma non ci aveva pensato, e quello unito alla spinta che gli diede lo gettò a terra rovinosamente. Ora che i polsi e le mani erano in pessime condizioni, diventava sempre più difficile da spiegare, e la sua vittima stava fuggendo.
No, non poteva lasciare rovinasse tutto. Gli faceva male quasi ogni parte del corpo, ma con uno sforzo non indifferente si tirò su e le prese il polpaccio. Le dita affondarono nel proprio fianco, ed in quel momento si rese conto di avere la vista offuscata. Lacrime? Era.. senso di colpa? Disperazione? Panico? Non conosceva esattamente l'emozione che lo fece agire in maniera così brutale, ma la ferì alla gamba con l'accetta. Non era più spiegabile. Doveva agire, rinunciare al suo piano per l'opzione più semplice e lineare.
-Non serve... sei ancora in tempo per...- Le parole le morirono sulle labbra, come morì lei.
Neville si sentiva... strano. Non era solo dolore fisico, ma anche mentale. Spirituale. Chissà se sua madre si era sentita così, quando era nato lui, frutto di una relazione inconsapevole.
Rimase qualche minuto ad osservare il cadavere della ragazza, così vicino alla salvezza per sé quanto alla sua scoperta. Che doveva fare, ora?
Nell'impeto del momento non aveva pensato, solo agito. E forse era così che doveva fare, un piano non troppo studiato: quello era fallito, in effetti, mentre la foga riusciva a portare risultati... quasi accettabili.
Si alzò, quando il suo cuore smise di martellare nel petto. Aveva ucciso. Doveva farsene una ragione, e sopravvivere: se avesse vinto, le sue mani si sarebbero tinte di rosso almeno un'altra volta, molte ad essere meno ottimisti.
Però non poteva tornare così, si disse. Chiuse gli occhi della ragazza, in modo che non dovesse vederlo ancora, il mostro che era diventato, la nuova maschera che aveva indossato. Lui era diverso da lei, infatti era vivo.
"La seppellirò", decise. Si costrinse a ripetersi che lo faceva perché nessuno la trovasse, non subito almeno, ma una parte di lui sapeva che non era del tutto vero. Per quanto fosse un ottimo bugiardo, non sempre riusciva a mentire anche a sé stesso.
Gli ci volle molto più tempo del previsto per scavare la buca, nonostante Alysse fosse una ragazza minuta e non gli servisse troppo spazio. Quando aveva finito il sole aveva iniziato la sua lenta discesa verso l'orizzonte, per quanto fosse ben lontano dal tramonto vero e proprio: il caldo delle due si stava mitigando, e Neville calcolò dovessero essere almeno le quattro del pomeriggio. Strappò un piccolo arbusto di cui non avrebbe saputo riconoscere il nome nemmeno volendo, simile ad una spiga ma composta di minuscoli fiori violetti, le uniche foglie visibili sul fondo a forma di piccoli aghi. Distrattamente pensò alle tombe di Emily, Marianne e persino quella della Johnson, e raccolse altri di quei piccoli fiori per decorare il sepolcro che non sarebbe mai stato onorato.
Si passò una mano sulla fronte, che trovò imperlata di piccole gocce, e si maledisse. L'aqua era importante, e lui aveva sprecato le sue energie in quello stupido moto sentimentale. Avrebbe dovuto essere più accorto. Si guardò intorno: il luogo scelto era abbastanza lontano dal margine del bosco, improbabile qualcuno vi si avventurasse per sbaglio, ma l'odore terroso delle sue dita unito ad altri ben meno gradevoli- sangue, sudore, paura- lo convinsero che prima di rientrare avrebbe dovuto darsi una breve doccia.
Da qualche parte alla sua destra, concentrandosi, poteva sentire il lontano sciabordio di un rivolo d'acqua non troppo rapido, perciò vi si diresse, attento a non incrociare nessuno nella sua strada.

➏ Rune- Coincidenze
3.05 pm, 16 maggio 2xx7, Entrata della scuola


i tutte le persone che avrebbe potuto apprezzare- innocenti zuccherini o sarcastici brillanti- Arthur Olsen non credeva sarebbe mai entrato nemmeno in lista. Non apparteneva né alla prima categoria, per motivi evidenti, ma nemmeno completamente alla seconda: Rune non lo considerava stupido, anzi, ma di primo acchito quella che lei aveva valutato senza mezzi termini superbia l'aveva portata a ridurre subito al minimo le loro interazioni.
Era stato solo all'inizio di quell'anno che aveva cambiato idea, aveva detto qualcosa che nella sua memoria era un generico "insulto in norvegese", e quello si era voltato a guardarla, negli occhi la tipica scintilla di chi ha colto il significato della parola.
Solo in quel momento aveva capito che no, Olsen non era solo il cognome di un vecchio parente che per lui non significava nulla. Arthur veniva dalla sua stessa patria, era un deportato come lei.
Da allora si era lievemente ammorbidita nei suoi confronti, e in quei pochi mesi avevano stabilito un rapporto... non saldo, ma di quella che entrambi consideravano un buon inizio di amicizia.
Proprio per questo si era fidata del suo istinto, quella mattina, gli si era avvicinata ed aveva iniziato a parlarci.
Lui ed il suo gruppo abitavano la scuola, come lei, ma non se l'era sentita di relazionarsi con tante persone, tanti possibili traditori, perciò se ne stava tranquillamente in disparte: loro dalle parti della palestra, al primo piano, lei al secondo in uno sgabuzzino. In un moto di gentilezza li aveva anche avvertiti di starci lontano, anche se a suo avviso non avrebbe dovuto essercene bisogno, lasciando solo intuire di aver messo delle protezioni a guardia della sua stanza.
Accennò un lieve sorriso, appena un'ombra, rilassando le spalle quel tanto che bastava da far capire il suo agio: parlare nella sua lingua natia la faceva sentire bene, accendendo di tanto in tanto una spia sotto forma di odore, gusto o immagine riguardante la sua infanzia, nebuloso come un sogno al mattino.
I loro discorsi erano puramente pratici, ovviamente: i due panini che aveva trovato il primo giorno non l'avrebbero sostenuta a lungo, lo zucchero del the invece poco poteva contro la fame, e di quello discutevano. A quanto pareva il gruppetto del figlio di Ade si fidava a mangiare ciò che trovavano in giro, quasi non ricordasse che l'edizione della battaglia di quattro anni prima era finita in un massacro per quello stesso motivo: avevano scoperto troppo tardi che tutto ciò che si trovava attorno alla loro scuola era velenoso, compresi cortecce e acqua.
-Ti ricordo che quell'edizione durò sei giorni e venne considerata una noia dagli umani. Vedere ragazzini che soffocano nel loro vomito o nel sangue non è divertente come uno scontro.- Le ricordò in un sussurro, come se la lingua straniera che usava non fosse sufficiente a confondere eventuali spie.
Rune strinse gli occhi, facendo saettare lo sguardo di ghiaccio ai due lati del corridoio. Non era l'atteggiamento di Arthur a renderla così cauta, era insito nel suo essere, il suo istinto che le aveva suggerito la presenza di qualcuno prima ancora di accorgersene consapevolmente coi sensi. Un'ombra alla sua destra, in fondo al corridoio, qualcuno di grosso ed impacciato, insieme ad un sentore metallico. Zakiya, forse? No, era decisamente più grosso.
Strinse la presa sulla propria asta, indicando con un guizzo rapido del capo la direzione in cui arrivava lo sconosciuto. Arthur, dal canto suo, se n'era accorto con qualche istante di ritardo rispetto a lei, ma era scattato con la sua uguale rapidità: un passo indietro e una mano sulla spada che portava legata al fianco, ed era fuori vista. In un gesto silenzioso estrasse l'arma, tenendola con naturalezza, gli occhi fissi in quelli della ragazza.
Maledetto, le stava facendo fare da esca. Ecco perché non doveva fidarsi di nessuno se non di sé. Sparì nell'aula alle sue spalle, in una mossa insolitamente poco fluida che rivelava la sua presenza in modo discreto.
-Dahll, mi daresti una mano? Marie è ferita. Sei stata qui abbastanza da capire come funziona, questo posto, quindi potresti dirmi dov'è l'infermeria?-Chiese una voce maschile dal tono urgente, nonostante il quale Rune avvertiva una lieve intonazione particolare. Un sorriso, capì con un istante di ritardo, e attornoa quello costruì un viso dalle guance piene, coperte un accenno di barba ispida, labbra sottili ed un naso largo, occhi azzurri stretti e una cascata di riccioli castani. Donovan. Avrebbe decisamente preferito Zakiya.
-L'hai attaccata tu?- Rispose prima di lei Arthur, il linguaggio del corpo che urlava al di là di ogni ragionevole dubbio la sua ostilità.
Fosse stata in Donovan non avrebbe fatto mosse azzardate- era letteralmente circondato di nemici- e anche lui dovette essersi reso conto del pericolo in cui si trovava, ed in cui si trovava la sua piccola protetta, perché rispose brevemente, senza perdere il sorriso ma allo stesso tempo evitando di fare lo splendido.
-No. Damian l'ha attaccata, è scappato e io l'ho portata qui.- Riassunse brevemente, in un tono davvero troppo calmo per un semidio.
-Dammela.- Arthur allungò una mano, e Don si lasciò andare ad una risata di cuore.
-Credi sia proprio scemo?- Ribatté. Solo allora si rese conto che non aveva capito subito che parlava della spada che il ragazzo aveva al fianco. Aveva infatti guadato prima Marie e poi di nuovo il ragazzo basso accanto a lui, con un'espressione genuinamente dubbiosa.
In quel momento però non era quella la priorità, e fu un quinto arrivato a riportare la loro attenzione sul problema cardine.
Non avevano ancora abbassato le armi, ed in quel momento in uno scalpiccio di piedi impacciati alle spalle di Arthur comparve Minori.
-Che succede?- Chiese con tono insolitamente duro, quasi a volerli sgridare. Si sfiorava la base del collo, dietro sulla nuca, ed aveva gli occhi grigi schermati dalle ciglia in un'espressione infastidita. Istintivamente portò la mano nello stesso punto, ma di Marie, e Donovan fece uno sforzo per non scostarla.
-L'infermeria è di qua. Seguimi, per favore.- Risolse, in modo del tutto inaspettato.
Rune alzò le sopracciglia, in una muta esclamazione di sorpresa, e anche Arthur era senza parole. Lasciò andare i tre senza protestare, abbassando lentamente la spada solo quando ormai il ragazzone lo aveva superato.
-Insomma... non me lo sarei mai aspettato.-
-Lo avresti lasciato andare anche tu. Sai che tiene sinceramente a quella che ti chiama fratello.- Mormorò Rune, mimando con le dita delle virgolette all'ultima parola. Arthur strinse le labbra, ma annuì con un solo cenno deciso, tagliando contro.
Sobbalzarono entrambi quando sentirono lo spettro di alcune parole, quasi riecheggianti nel corridoio. "Allora Schizzetto, mentre tu ti occupi di Marie io vado a salutare MJ. Trattamela bene, intesi?"
Non era finita. Non erano affari suoi, ma Arthur si voltò di scatto e seguì a grandi passi i due.
Rune tuttavia era più furba, e aveva capito quanto potesse essere pericoloso quel ragazzo con un perenne sorriso sulle labbra che ci provava con tutti e proteggeva quelli che sembrano troppo fragili per resistere in quel mondo.
Lieve e leggera si voltò a destra, imboccando il corridoio laterale che portava alle scale. A casa. Al sicuro.

➐ Amelie- Rivelazioni
3.16 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


l corridoio era particolarmente animato quel pomeriggio. La lieve corrente calda veniva dall'esterno, portava voci ed era estremamente invitante per Amelie.
Cercava di non lasciarsi prendere nella morsa della tristezza, sapeva che prima o poi sarebbero morti, eppure vedere Marianne così... cercava di non pensarci,e la sua iperattività era decisamente d'aiuto in quel caso.
La mente vagava quasi senza meta, concentrandosi su quel pensiero o quell'altra curiosità, in un percorso che una persona normale non avrebbe mai potuto compiere. Già l'aria smossa e le parole le erano bastate per rilegare i pensieri tristi in un angolo buio e nascosto della propria mente.
Sì, decise, quello che ci voleva era proprio un po' di compagnia. Sapeva anche che Minori era un ragazzo molto dolce, aveva riconosciuto la sua voce imbarazzata, lo avrebbe salvato da una conversazione sgradevole e avrebbe imparato a conoscerlo un pochino di più. Era affascinata dal suo carattere introverso, quasi spaventato.
Con passo baldanzoso prese ad avvicinarsi, la spada che le batteva sul fianco in modo inquietantemente confortante. Le sue vecchie scarpe fortunate, dalla suola liscia per il troppo utilizzo, battevano ritmicamente annunciando la sua presenza: l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi un coltello nel fianco per aver colto di sorpresa qualche semidio un po' troppo cauto.
-Marianne... tu non ne sai nulla?- Sentì chiedere con timore Minori.
Ecco, quella frase era una stilettata al cuore, peggiore di qualsiasi ferita fisica: i giorni erano interminabili, persino noiosi talvolta, ma l'ultima cosa che veniva loro in mente era fare gossip sui propri morti. Questo portava, ovviamente, al fatto che chi non era presente all'omicidio difficilmente sapeva cos'era successo ai compagni.
Con un brivido, accelerò il passo. Se qualcuno fosse morto nella foresta avrebbero potuto non scoprirlo mai. Era un pensiero orribile, che opprimeva il petto di Amelie e le faceva sembrare ogni boccata di ossigeno inspirata gelida, come lame di ghiaccio lungo la gola e nei polmoni.
-Minori, tranquillo. Vai dentro con Marie...- Girò l'angolo per vedere Donovan, o meglio la sua schiena massiccia. A parlare era stato Arthur, che in quel momento indicava la porta dell'infermeria, appena visibile data la scarsa altezza. Si era parato con coraggio tra i due ragazzi.
Con braccia tremanti Minori aveva raccolto qualcosa- qualcuno- dalle braccia di Donnie, per poi sparire nella stanza. Marie, incosciente. Doveva essere successo qualcosa di grave.
-Vieni a parlare di là?- propose con tono educato il figlio di Ade, gli occhi di ghiaccio che saltavano impazienti dal viso del suo interlocutore al fianco dove, si rese conto Amelie, portava una spada. Entrambi la avevano, a dire il vero. Avrebbe dovuto concentrarsi meglio su quelle cose non esattamente secondarie.
-Ehi!- Esclamò apparentemente senza logica. Voleva solo che i due non scoppiassero a litigare lì e, soprattutto, non venissero alle mani. O alle spade, ecco.
Come fosse programmato, i due si voltarono verso di lei, lo stesso movimento fluido che portava le loro mani destre alle rispettive else.
-Sono solo io, su su. Stiamo calmi e buoni, possiamo parlare senza saltarci addosso come belve, vero?- Continuò con un sorriso prontamente ricambiato dal ragazzo più alto. Diamine se le piaceva, Donnie. Era un casinista, veniva mandato dal preside molto meno spesso di lei ma certe sue risposte ai professori o alle guardie della scuola la facevano morire. In senso buono, ovviamente.
-Certo che possiamo, anche se ci hanno ingabbiato di nuovo siamo esseri cortesi... o solo corti, in certi casi.- Rispose il ragazzo, facendo l'occhiolino ad Arthur. Il ragazzo sbuffò.
-Fiacca. Ne ho sentite almeno dodici più divertenti nel solo ultimo mese.- Ribatté, ma Amelie percepì chiaramente una nota piccata nella sua voce. Tutto sommato, però, a lei la battuta era piaciuta.
-Bene. Ti portiamo da MJ... però prometti di stare calmo. Potrai darle l'ultimo saluto, come abbiamo fatto tutti. Tutti noi amavamo molto Marianne.- Riprese Arthur, lentamente, scegliendo con cura ogni parola. L'ultima parte era esitante: Donnie si era girato di nuovo, ed Amelie non poteva più vederlo in viso, ma qualcosa non andava a giudicare dall'espressione di Art.
-Non capisco.- Rispose semplicemente, con tono assente, il ragazzotto. Scrollò le ampie spalle, poi si posò le mani sui fianchi.-Non è tanto un bello scherzo, anche se capisco perché tu ci abbia provato.- stava sorridendo, non riusciva a metabolizzare.
-Donnie... Cordelia ha pugnalato MJ, due giorni fa. Perdeva tantissimo sangue, quindi Marie ha deciso di porre fine alle sue sofferenze.- L'espressione che aveva mentre si voltava verso di lei le fece capire che forse intromettersi non era stata una buona idea.
Il sorriso era largo ma gli occhi ardevano di furia, come se solo con quello sguardo potesse incenerirla. Amelie avvertì un brivido di gelido terrore lungo lo stomaco, il secondo in pochi minuti.
-Non. È. Divertente.-
-Però è vero. Marianne è morta, ci dobbiamo convivere tutti, la sua tomba è accanto alle altre.- Disse Arthur, con tono duro. Amelie scosse la testa, ma questo non impedì al ragazzo di pronunciare quelle parole tremende.
Donnie cadde in ginocchio, inarcò la schiena come un gatto e posò il viso tra le mani aperte. Lo vedeva sussultare, e Amelie si avvicinò, convinta di sentirlo piangere. No, invece, i piccoli movimenti erano dettati da un riso isterico ma quasi del tutto silenzioso. La ragazza ebbe un moto di compassione ma, prima di arrivare a toccarlo per mostrargli supporto, quello alzò di scatto il viso. Gli occhi erano spalancati e, anziché scuri, brillavano di luce violacea, come certe pile e lampade. Sorrideva, ma aveva le guance striate di lacrime salate.
Rideva forte, come un pazzo, e guardava in alto come avesse un'apparizione della Madonna.
Da dentro l'infermeria si sentì un urlo acuto, disumano, carico di ancestrale terrore.




ℒ'angolo di ℱe
Okay, okay. L'ultimo capitolo risale a fine agosto, perciò sono tipo nove mesi che non aggiorno.
A mia discolpa posso dire che il capitolo è pronto da credo novembre, dicembre? Non ricordo, so solo che sono andata avanti a scrivere e ho quattro-cinque capitoli pronti per voi. Non li ho potuti pubblicare perché il mio computer non mi permetteva l'accesso ad internet e ho solo questo, quindi avrei dovuto copiare tutto sul cellulare e... vabbé, lasciamo perdere. Vi basti sapere che ora dovrei riuscire a portarla a termine (se c'è ancora qualcuno che mi segue meglio, però)
Poi... beh, il capitolo è corposo, succedono cose, voi sentitevi liberi di chiedermi tutto e faccio anche qui la proposta che ho fatto nella mia altra interattiva: con Itzi e Bun si pensava di aprire un qualcosa (è stato deciso profilo instagram, appena si sa qualcosa sul nome avvertiamo) per rendervi partecipi delle sclerate e del disagio che esce quando si tratta di OC. Itzi ha Arcana e Conta fino a dieci (andate a leggerle daje!) ed io ho questa e, Il prezzo della Conoscenza: si condividono cose a tema, come headcanon, facts, disegni, quel che volete. Vi ispira?

Parte due, anche qui: questo capitolo è in memoria di Alysse, che era così dolce che non poteva che essere la vittima che segue Marianne, però le rivedrete entrambe presto! Sto organizzando i capitoli "precedenti", che raccontano la storia precedente e mi permettono di approfondire i morti, saranno 22 parti singole (una per ogni oc) e due bonus, perciò probabilmente saranno quattro capitoli divisi all'interno della storia. Ne approfitto per ricordarvi che fino ad ora sono morti Emily, Marianne e Alysse.
Voglio anche chiedervi... chi vorreste veder interagire nei capitoli bonus? So di certo che probabilmente Lucrèce comparirà con Damian (per farvi vedere con quanta ferocia si odino, questi due o passavano tutto il tempo ad amarsi tantissimo o si odiavano con tutta l'anima, e siccome averli in coppia li rendeva davvero imbattibili si odiano) oppure con Cordelia, ma per gli altri sono disponibile a seguire le vostre idee! Tanto le cose che devo mostrarvi sull'organizzazione le mostro lo stesso.

Ora ho finito, spero la lettura sia stata gradevole e vi piaccia vedere il capitolo lungo!
Ci sentiamo presto,
Fe_
  
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