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Autore: Napee    14/07/2019    7 recensioni
[future!AU dal nono capitolo]
Rin è cresciuta al villaggio con la sporadica presenza del suo "Signor Sesshomaru", ma come si evolverà il loro rapporto?
***
Era da quando l'aveva lasciata al villaggio che lei lo sognava, ogni notte, ogni singola notte, per dieci anni,lei lo aveva sognato.
Sognava il suo "Signor Sesshoumaru" che tornava a prenderla, che le accarezzava il viso come quando era piccola, ed ogni mattino era sempre una tortura doversi svegliare ed interrompere quel dolce idillio.
***
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10. Déjà vu




Il cielo inizia a tingersi di rosso, il sole sta pian piano sorgendo. I primi timidi raggi fanno capolino e bucano la scura notte.
Un nuovo giorno si affaccia in quel mondo vuoto e senza senso alcuno. Un nuovo giorno senza di lei a riempire le sue giornate, un nuovo giorno senza il suo sorriso ad oscurare il sole, la luna e tutte le stelle del firmamento che sanno di non poter eguagliare quello splendore.
Il demone bianco si trascina nel giardino. Lo specchio che custodisce il ricordo di quel giorno lontano gli ha tenuto compagnia per tutta la notte.
È stanco, il demone. Un guscio vuoto privato della voglia di vivere.
Solo l’emanazione dell’imponente figura che un tempo vagava sulla terra è rimasta a fargli compagnia.
L’erba fresca, pregna di rugiada, sotto ai piedi nudi gli provoca un brivido lungo la schiena.
Un soffio di vento scuote le fronde del susino accanto al laghetto e tutt’intorno s’innalza il profumo aspro dei fiori non ancora sbocciati.
Si avvicina allo specchio d’acqua e i suoi occhi vengono catturati dal piccolo fiore blu che si erge vittorioso sopra a tutti gli altri.
È in anticipo. Non è ancora primavera.
Il ticchettio dei tacchi di sua madre alle sue spalle attira la sua attenzione.
Percepisce la donna sulla soglia della portafinestra che lo scruta con attenzione.
Riesce quasi a sentire la sua smorfia piena di rabbia e disprezzo per il demone forte e potente che non è più voluto essere.
Ma Sesshoumaru non si cura del suo pensiero, non si cura della sua presenza e continua a fissare il piccolo fiore che pare quasi conversare con lui.
“Lo piantai secoli fa, quando tornasti al castello con quell’espressione vuota che ormai indossi da sempre.” Inizia la donna con un sospiro. Un fruscio di vesti gli fa intuire che si sta spostando, il rumore sordo e ovattato dei piedi che incontrano il manto erboso è sinonimo del suo avvicinarsi.
Sesshomaru rimane in silenzio, gli occhi fissi su quel fiore così caro al suo ricordo.
“L’ho piantato nel medaglione che tuo padre mi lasciò in dono.” Un’altra interruzione. Stavolta Sesshomaru scorge un sorriso sincero su quelle labbra che da sempre erano state false.
“Pensa, figlio mio, il piccolo e fragile fiore è sbocciato dopo tutto questo tempo, tornando dal mondo dei morti e affrontando le difficoltà di questo mondo terreno. È persino riuscito a spaccare il mistico vetro del medaglione e la magia di cui è imbevuto pur di tornare a vivere. Mi domando perché questa vita sia voluta nascere nonostante i mille ostacoli… o forse aveva qualcuno in questo mondo da cui tornare e un legame così forte non può essere contrastato con alcun mezzo.” Una risatina che sa fin troppo di scherno.
Parole enigmatiche, finanche troppo allusive. Non potevano essere state pronunciate così per caso con leggerezza.
Volta lo sguardo su di lei che già lo guarda a sua volta in attesa.
“Non può essere una coincidenza che sia sbocciato solo adesso, non trovi?”
Un ultimo sussurro. Un bisbiglio ammiccante prima di voltare i tacchi e tornare dentro l’imponente castello.
Sesshomaru sgrana gli occhi stupito e sconcertato.
Un guizzo di speranza gli incendia lo sguardo ambrato.
Che sia finalmente tornata in vita?


La sveglia suona fastidiosa con il suo gracchiare noioso e cacofonico. La ragazza non lo ha mai sopportato, soprattutto se deve alzarsi a quell’orario improponibile del mattino in cui il sole ancora fatica a farsi vedere.
L’incontro con sua madre la sera precedente non ha migliorato il suo umore. Non migliora il suo umore da molto tempo ormai…
Era poco più di una ragazzina quando sua madre perse il senno del tutto. La malattia era riuscita a farle dimenticare il viso della sua stessa figlia e l’aggressione era stata improvvisa quanto crudele.
Ricorda ancora con estrema precisione le sue grida da pazza in cui le chiedeva chi fosse e come era entrata in casa. Ricorda perfettamente anche il momento esatto in cui aveva preso il coltello dalla cucina e le si era scagliata contro pronta a tagliarle la gola.
Un brivido freddo le corre lungo la schiena al sol pensiero.
Sua madre era riuscita a toglierle una parte importante di lei e neppure lo sapeva. Le aveva tolto un qualcosa che non avrebbe mai più riacquisito e lo aveva fatto con una semplicità disarmante.
Con gli occhi lucidi di dolore, alza lo sguardo verso la finestra e guarda con un sorriso triste la luna che ancora non è scomparsa del tutto, inghiottita nei raggi del sole nascente.
La vista dell’astro ha un potere calmante sul suo animo e non sa spiegarsi perché.
È sempre stato così, fin da piccola, quando non riusciva a dormire e gli incubi la tormentavano, volgeva lo sguardo alla luna e la paura andava via.
Dissipata con una semplicità disarmante, in un batter d’occhio si sentiva protetta e al sicuro.
Scuote la testa e l’ammasso di capelli senza senso segue i suoi movimenti oscillando. Si sente nostalgica quel giorno e non ne capisce neppure il motivo.
Ripensare al suo passato, a sua madre, a tutto quello che ha passato non è piacevole. Affatto.
Ma la sua mente continua a richiamarla indietro, ancora più indietro, verso ricordi confusi e sfocati che le sembrano quasi estranei.
Scende dal letto senza pensarci troppo e cerca di accantonare quel suo strano umore mattutino in un angolo della sua testa.
Sta già perdendo tempo e ha molto da fare prima di andare a lavoro.
Nutre il gatto che la supplica con incessanti miagolii, si infila una maglietta scura con il collo alto, una felpa al volo e un paio di jeans.
Sistema i capelli con una coda disordinata ma funzionale e indossa gli stivaletti. Acciuffa la borsa e il giaccone e esce di casa.
Cammina abbastanza velocemente sul marciapiede. Ignora con un certo timore nascosto i tizi appoggiati al muro che la squadrano come se fosse fatta di cioccolato, e si fionda dentro al kombini per fare la spesa. Il giorno prima era troppo in ritardo per la visita a sua madre e non ne ha avuto il tempo.
Anche se la guardia all’ingresso ormai la conosce da anni e sa i suoi orari strani e sconclusionati, non le pare giusto approfittare della sua gentilezza e cerca sempre di rientrare nell’orario delle visite.
Il piccolo supermercato all’angolo della via dove abita è sempre ben fornito e a prezzi modici. In più è aperto sempre e per lei è un grande vantaggio.
L’unico lato negativo è che si affaccia su una via non proprio ben frequentata e spesso la ragazza si ritrova ad affrettare il passo il più possibile per non incappare in qualche spiacevole inconveniente.
Raggiunge la cassa con il cestino di plastica stracolmo di oggetti. Il cassiere la guarda assonnato non senza nascondere la sua sorpresa per quella spesa mastodontica che a stento riesce a trasportare.
La ragazza gli rivolge un sorriso divertito in risposta e il ragazzo inizia a battere i prodotti alla cassa.
Paga e riesce ad incastrarsi le buste in modo che non le pesino troppo e la bilancino abbastanza dignitosamente prima di uscire dal kombini e recarsi verso casa a passo spedito.
La sveglia sul cellulare inizia a suonare quando è a pochi metri dal portone di casa.
È in ritardo. Si morde il labbro inferiore e impreca mentalmente ad occhi chiusi.
Perfetto. Le ci mancava solo una corsa sfrenata verso il lavoro.
Non ha neppure il tempo di mettere a posto I suoi acquisti – ammucchia alla rinfusa I prodotti nel congelatore e lascia il resto sul piccolo tavolo in cucina – e si lancia fuori di casa correndo.
Giunge a lavoro appena in tempo per subire l’ennesimo sorriso malizioso e il solito buongiorno fastidiosamente smielato da parte del proprio capo, e fila in cucina a preparare i dolci per la caffetteria.

La mattinata scorre abbastanza in fretta. Il lavoro frenetico la coinvolge a pieno senza neppure darle modo di riposarsi.
Appena scorge qualche secondo di respiro e si concede un sorso d’acqua, ecco che la sua mente torna indietro, proiettandole immagini di un passato lontano che neppure la pare familiare.
Vede alberi, sole, un cielo insolitamente limpido e non oscurato dallo smog della città.
Sta bene. Quel luogo estraneo ma conosciuto, le rimanda una sensazione inspiegabile di benessere e libertà.
Di protezione e serenità.
È come se in quel luogo fosse stata immensamente felice, ma non ricorda di aver mai provato un sentimento tanto intenso e bello in vita sua.
Sente il profumo dell’erba solleticarle le narici, fiori, frutti, i caldi raggi solari che le riscaldano la pelle e non può non chiedersi come sia possibile che ricordi simili momenti quando lei è sempre stata in città.
Neppure da piccola, quando sua madre stava bene, non l’ha mai portata a fare una vacanza in campagna.
Ha voglia di parlare, di raccontare a tutti quanto stia bene e quanto sia felice, ma il Signor Okonimura torna da lei in cucina con dei nuovi ordini da cucinare e la ragazza torna prepotentemente alla realtà.
La sua piccola pausa è già conclusa, ma non riesce a non pensare a quel luogo. Non riesce a darsi pace e continua a cercare di capire dove può aver visto un posto simile, così bello e incontaminato che quasi non le sembra vero.
L’ordine dei croissant ripieni torna da lei quasi subito dopo essere uscito.
Il Signor Okonimura tiene il vassoio fra le mani con le nocche sbiancate e tremanti di rabbia. Il sorriso sereno e quella sensazione di benessere che l’hanno accompagnata insieme al ricordo, svaniscono in un secondo vedendo il suo capo furente che la squadra come se volesse stritolarla in due.
La sfuriata che ne segue la lascia senza fiato e con tanta voglia di piangere.
Ha sbagliato il ripieno dei cornetti e la signora cliente non li ha voluti acquistare. Il capo le fa pesare quell’unico errore con estrema cattiveria e l’accusa di avere la testa fra le nuvole come tutte le sciocche ragazzine della sua età.
La ragazza incassa la testa fra le spalle e s’inchina chiedendo scusa per il suo errore.
È vero, quel giorno ha la testa fra le nuvole e si è distratta durante il lavoro. Non ha scusanti e spera soltanto che il capo non decida di licenziarla.

Il resto della giornata scorre velocemente e la ragazza cerca di concentrarsi sul lavoro accantonando quel piacevole ricordo.
Quando è circa a metà delle pulizie e le manca solo mezz’ora prima di uscire dal lavoro, il Signor Okonimura la chiama dal suo ufficio della contabilità squadrandola in un modo che non riesce a definire.
Spera in cuor suo che non la licenzi, ma la sua espressione è greve e pare quasi rammaricato. Sente il cuore stringersi e gli occhi inumidirsi velocemente.
Ingoia la voglia di piangere e si reca nell’ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
Il Signor Okonimura la fa accomodare sulla sedia di plastica scricchiolante e lui si siede sulla scrivania invasa di documenti proprio davanti a lei.
La ragazza percepisce una strana sensazione invaderle il corpo. Un senso di panico si impossessa di lei e inizia a pensare di essere in trappola.
Non capisce il motivo, dovrebbe sentirsi triste ed abbattuta per il suo errore, ma invece il suo corpo si tende all’erta impaurito.
“Dobbiamo parlare del tuo errore di oggi, ragazzina…” inizia l’uomo con voce profonda, roca, insolita rispetto alle parole che sta usando.
Tutto ciò risuona come un allarme nella sua testa e la ragazza si agita nervosamente sulla sedia.
Abbassa lo sguardo e fa un piccolo inchino per scusarsi.
Il Signor Okonimura prende posto accanto a lei, sulla sedia rimasta libera, dicendole con tono amichevole che non c’è bisogno di tanta formalità fra loro perché dopotutto si conoscono da anni.
Un brivido le corre lungo la schiena e vorrebbe urlargli in faccia che invece sì, che c’è bisogno di una certa distanza formale fra loro perché non sono amici e lei odia che lui si prenda tante libertà.
Ma sorride nervosamente e quando lui si sporge verso di lei per parlare, si allontana con il busto appiccicandosi allo schienale fino a farlo scricchiolare.
“Non mi aspettavo un errore simile da te, piccola…”
Ha la nausea, la ragazza, e vorrebbe urlare e scappare da quella stanza che somiglia attimo dopo attimo sempre più ad una trappola per topi.
E lei si sente tanto come il topo che ci è appena finito dentro.
“Potrei licenziarti subito e assumere un’altra, il tuo comportamento di oggi mi ha fatto capire che non sei portata per questo lavoro.” Continua l’uomo, allungando una mano verso la sua gamba fino a poggiarla sul suo ginocchio.
Lei lo guarda attenta, pronta a scattare come una molla e fuggire. Lui le risponde con un sorriso amichevole fin troppo confidenziale.
“Ma ho deciso di tenerti con me, dopotutto ti sei sempre rivelata all’altezza e ormai fra noi c’è una certa sintonia, no?” Le chiede bonario, mentre il sorriso sulle sue labbra si fa sempre più fine e la mano sul suo ginocchio si muove con apparente casualità verso la sua coscia.
La ragazza si sente morire dentro, ma fa violenza su di sé e si sforza di sorridergli più amichevole possibile.
Vorrebbe urlargli in faccia, vorrebbe scappare via, vorrebbe piangere e disperarsi per quello che è costretta a subire ogni giorno, ma la realtà è un’altra e non può che essere accondiscendente nei confronti di quel maniaco del suo capo.
Dopotutto la retta dell’istituto dove vive sua madre deve essere pagata ogni mese.
“Quindi spero che non farai più errori di questo tipo…” continua l’uomo. Stavolta la sua voce si fa più scura, roca, profonda.
Alla ragazza sembra che provenga direttamente dalla bocca dell’inferno.
Sente il suo corpo tendersi all’erta appena la mano del capo si ferma sul suo inguine.
Lo guarda spaventata, sgranando gli occhi e pregando ogni Dio in cielo che non succeda quello che teme stia per succederle.
Lui le si avvicina maggiormente. Il suo respiro caldo le carezza la pelle della guancia e la ragazza si ritrova a sopprimere un conato di vomito.
“E credo che sarai più amichevole nei miei confronti d’ora in poi… se ci tieni a lavorare ancora qui dentro ovviamente.” Le sussurra all’orecchio quello che suona esattamente come un ricatto.
La ragazza strizza gli occhi per impedire alle lacrime di  scendere, stringe i pugni conficcandosi le unghie nella carne e si violenta ancora costringendosi ad annuire.
L’uomo sorride vittorioso e tronfio prima di lasciarla andare a finire il suo lavoro.
La ragazza finisce le pulizie velocemente. Vuole scappare da lì. Sente che è in pericolo, si sente in trappola e non sa come uscirne.
Vuole soltanto correre a casa e lavarsi via quella viscida sensazione della mano del capo sul suo corpo.
Esce dal locale qualche secondo prima del Signor Okonimura e gli fa un cenno con la mano.
Scappa letteralmente, correndo a perdifiato verso casa che mai le era sembrata così lontano.
Si scontra con uno sconosciuto tanto è presa dalla sua corsa e la disperazione rompe gli argini dei suoi occhi.
Qualche lacrima le scende involontariamente mentre si rialza alla svelta.
Si volta verso lo sconosciuto e s’inchina velocemente per scusarsi.
Il loro sguardo s’incontra solo per pochi secondi.
La radura dei suoi ricordi torna alla sua mente proiettandole immagini di pomeriggi assolati, lunghi viaggi verso l’ignoto seguendo una figura bianca dallo sguardo dorato.
Un senso di protezione le scalda le membra impaurite.
È come un abbraccio quando si è tristi. È come tornare a casa dopo anni di lontananza.
È una carezza dolce. Un sentimento delicato e prezioso che non ha mai avuto il privilegio di provare prima.
L’uomo la guarda con stupore, immobile. I capelli scuri gli ricadono sulla fronte e non fa caso ai vestiti scomodamente attillati che si sono stropicciati.
Pare una statua di sale e non riesce a staccare lo sguardo dalla figura minuta della ragazza spettinata e con gli occhi lucidi che lo guarda confusa a sua volta.
È strano, quell’incontro. Complicato, frenetico, ma allo stesso tempo familiare.
È denso di sentimenti stranamente contrastanti. Esattamente come tanti anni fa, quando lui era ferito e lei si era messa in testa di volerlo aiutare nonostante fosse poco più di una cucciola d’uomo.
La vede allontanarsi di gran lena. Il suo passo è svelto ma incerto. Sembra che stia scappando da qualcosa, ma la sua presenza la sta trattenendo.
Non riesce a non chiedersi se lo abbia riconosciuto esattamente come lui ha fatto con lei.
Nonostante i poteri demoniaci sigillati con un cristallo incantato, non ha avuto dubbi sulla sua identità. I secoli non hanno intaccato la sua bellezza genuina, o i suoi occhi curiosi, o quello sguardo interrogativo che l’ha accompagnato per anni.
Si volta di quando in quando con un’espressione curiosa e pensosa verso di lui. Sembra combattuta. Come se volesse tornare a chiedergli qualcosa.
E lui vorrebbe tanto che lei tornasse, che macinasse quei pochi metri che li separano e che si tuffasse fra le sue braccia come era solita fare tanti anni fa, quando ancora era una bambina e lui tornava a salutarla al villaggio.
Pare chiedergli qualcosa con gli occhi, una silenziosa domanda alla quale lui non vede l’ora di rispondere. Ma ci sarà un tempo per tutto.
Vorrebbe davvero che si riavvicinassero velocemente, ma sua madre è stata categorica e lui non può fare niente per accelerare le cose fra loro.

“Il sentimento sboccerà di nuovo in lei e a quel punto potrai rivelarle la verità.”

Respira davvero per la prima volta dopo secoli.
L’ha ritrovata. Finalmente la sua Rin è tornata da lui.



Una luce si sprigiona dalla sfera abbandonata sul morbido cuscino. Una mano delicata dalle unghie scarlatte acuminate ne carezza soavemente la superficie liscia e fredda.
Una ragazza s’intravede fra il bagliore fioco della sfera. Solo pochi attimi, uno sguardo smarrito, qualche lacrima a rigarle la pelle diafana, capelli scuri e spettinati.
Una bellezza selvaggia e genuina che ricorda molto bene.
Un sorriso vittorioso si distende sulle sue labbra carnose ed invitanti.
È tornata. Finalmente la ragazza baciata dai demoni dell’oltretomba era tornata a nuova vita.

  
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