Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |       
Autore: Old Fashioned    15/07/2019    23 recensioni
Un cavaliere teutonico abbandona i fasti della sede veneziana dell'Ordine per prendere parte alla crociata in Livonia. Laggiù verrà in contatto con un nuovo nemico, che non ha intenzione di accettare la conversione e che osteggia con tutte le sue forze la presenza dell'Ordine.
Un atto di generosità nei confronti di un mendicante sarà ciò che al momento del bisogno gli salverà la vita.
Prima classificata al Contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Gente mia,
un nuovo mappazzone, questa volta sulle crociate del nord. Ringrazio in anticipo chi avrà voglia di passare di qui^^







SAN MARTINO DI LIVONIA



Prima parte





I rami ormai spogli delle betulle si stagliavano contro l’azzurro pallido del cielo. Accarezzati dall’ultimo sole autunnale, i campi ondulati si perdevano verso la foschia dell’orizzonte.
Il vento sollevò una manciata di foglie dorate, che turbinarono frusciando attraverso la strada.
A quella vista, il destriero di fratello Reinhardt, un morello dal pelo lucido come pietra di Gage, mise le orecchie indietro e tentò di scartare.
Buono,” disse il cavaliere, tirando appena le redini.
L’animale sbuffò dilatando le froge e si sollevò in una mezza impennata. Frustò l’aria con la coda.
Buono,” ripeté fratello Reinhardt dandogli qualche pacca sul collo muscoloso.
Fratello Ulrich, che cavalcava al suo fianco, si girò a guardarlo. “Ha molto temperamento,” osservò.
L’altro, che nel frattempo aveva ricondotto l’animale all’obbedienza, rispose: “A volte penso che ne abbia anche troppo. Non mi dispiacerebbe se fosse un po’ più tranquillo.”
Non ho mai visto un cavallo così bello, però. Da dove viene? Non mi sembra un frisone.”
Fratello Reinhardt batté di nuovo qualche manata sul collo lustro del morello, quindi rispose: “È una razza che i nostri allevano nelle Puglie. Cavalli tedeschi incrociati con stalloni berberi e arabi.”
Come hai fatto ad averlo?”
Mi è stato assegnato quando il mio destriero si è azzoppato. Viene da una delle Komturei che abbiamo in quella zona.”
Fratello Ulrich dedicò un’altra lunga occhiata all’animale, che trottava elegante con la coda alta e l’incollatura arcuata, e disse: “Sei stato fortunato. Ha i garretti robusti, è agile e vigoroso.”
L’altro alzò le spalle. “Ma come vedi bastano un po’ di foglie spinte dal vento per farlo imbizzarrire. Un frisone almeno sarebbe più tranquillo.”
Per un po’ procedettero senza parlare. Sulla strada e nei campi non si vedeva nessuno, gli unici rumori che si udivano erano il battere ritmico degli zoccoli e il tinnire delle cotte di maglia.
Uno stormo di oche selvatiche attraversò il cielo.
Che silenzio,” commentò dopo un po’ fratello Reinhardt, lasciando vagare lo sguardo sull’alternarsi di campagna e foreste che si estendeva a perdita d’occhio.
Fratello Ulrich sorrise. “Non sei abituato, vero? Qui la gente si nasconde quando passiamo noi.”
Hanno paura?”
No, ci odiano. Non vogliono avere niente a che fare con noi. Superano la loro ritrosia solo quando c’è da radere al suolo la fattoria di qualche colono tedesco.” Emise una risata cupa, quindi chiarì: “Quando sono venti a uno, contro contadini armati solo di falci e forconi, ecco che d’improvviso scaturisce il celebre coraggio dei Samogizi.”
Fratello Reinhardt non rispose. Si limitò a far scorrere nuovamente lo sguardo sulle campagne deserte, che illuminate dal sole del tardo pomeriggio mostravano sontuose sfumature di oro, rosso e bruno. “Sono bei posti,” apprezzò.
Sì, quando li guardi da lontano,” concesse l’altro. “Se solo fai tanto di avventurarti su una di quelle distese d’erba finisci in acquitrini che letteralmente ti risucchiano vivo. Le selve sono piene di animali feroci, e i più pericolosi sono quelli a due gambe. Lo sai che quando arrivano qui, i coloni sono esentati dalle decime per periodi che vanno dai cinque ai vent’anni? E non certo per spirito di carità.”
Di nuovo fra i due calò il silenzio. A fratello Reinhardt parve di cogliere un movimento al limitare di un bosco, ma a una seconda occhiata non vide più nulla.
Si voltò a fissare il compagno: spalle robuste, sguardo acuto, una cicatrice che gli tagliava una guancia. Dava l’idea di essere fatto di pietra o ferro, più che di carne. “È da molto che sei qui?” gli chiese.
Da quando sono entrato nell’Ordine,” fu la risposta.
E la Terra Santa l’hai mai vista?”
Fratello Ulrich si limitò a scuotere la testa.
Io credo che laggiù si possa impazzire per il caldo,” spiegò l’altro. “Ci sono posti così aridi che non vedi nemmeno un filo d’erba: solo pietre e polvere, a perdita d’occhio. Ci sono solo poche piante, con le foglie così dure che i cavalli non riescono nemmeno a mangiarle, e l’acqua è un bene più prezioso dell’oro.” Fece una pausa. “Qui almeno il paesaggio è più gradevole.”
Quanto tempo sei stato laggiù?”
Un paio d’anni, poi da Starkenberg mi sono spostato a Venezia al seguito del Gran Maestro.”
È vero quello che dicono di Venezia?” chiese fratello Ulrich.
Che cosa intendi?”
Che ci sono i canali al posto delle strade e la gente invece di camminare va in barca.”
Sì, è così.”
L’altro aggrottò le sopracciglia perplesso, quindi proseguì: “Ho sentito dire che laggiù c’è una chiesa tutta d’oro, che contiene i tesori di Costantinopoli.”
San Marco,” confermò fratello Reinhardt, “ma è d’oro solo all’interno. Fuori è di mattoni.”
Tu l’hai vista?”
Molte volte. Il Gran Maestro ci andava spesso a pregare.”
E com'è?”
Beh...” fratello Reinhardt levò gli occhi al cielo come alla ricerca di ispirazione, quindi prese a narrare: “È come entrare in paradiso, credo. Tutte le pareti sono di mosaico d'oro, ci sono le immagini dei Santi, degli angeli, della Vergine e di Cristo. Alla luce delle candele le figure sembrano vive e quando le guardi in viso, è come se anch'esse ti guardassero fin nell'anima.” Si portò la mano al petto, sulla croce nera che lo ornava. “Senti qualcosa dentro, davvero. Come se ti trovassi realmente sotto lo sguardo del Signore.”
Per un po’ fratello Ulrich non replicò, quindi si voltò a fissarlo e chiese: “Come mai ti hanno mandato qui?” Dalla sua espressione appariva evidente che stava cercando di immaginare quali mancanze potessero aver indotto un trasferimento così punitivo.
Veramente l’ho chiesto io,” spiegò fratello Reinhardt, “ero stanco di fare vita di corte.” Fece una breve pausa, durante la quale lasciò vagare lo sguardo sull’ondulata immensità del paesaggio che li circondava, sorrise appena e riprese: “Venezia è magnifica, ori e marmi dappertutto, gente di tutte le terre conosciute, cibi sopraffini, spezie, stoffe pregiate… ma devi avere la forza d’animo di von Salza per mantenerti saldo nei tuoi voti nonostante tutte queste lusinghe.”
È per questo che hai fatto richiesta di essere inviato in una provincia di combattimento?”
Il cavaliere annuì.
Beh, fratello, allora posso rassicurarti: qui non ci sono né marmo né oro, il cibo è tutt’altro che sopraffino e l’unica gente con cui avrai a che fare, a parte i coloni tedeschi, sono quei pagani senza Dio dei Samogizi, il più amabile dei quali ambisce a catturarti e a bruciarti vivo in sella al tuo destriero per compiacere i suoi idoli.”



Stavano cavalcando da un po' quando la strada d'improvviso si allargò in una specie di spiazzo di terra battuta. Da una parte c'erano le rovine di un piccolo edificio in muratura. Il tetto era collassato, i muri semidiroccati. La porta penzolava da uno dei cardini.
Quella era la chiesa,” disse fratello Ulrich. “Ci siamo stufati di ricostruirla ogni anno. Adesso padre Emelrich viene qui la domenica con due cavalieri, tre o quattro mantelli grigi e una ventina di mezzi fratelli, fa allestire una tenda e dice messa lì dentro.”
Fratello Reinhardt annuì distrattamente, lo sguardo calamitato da ciò che lo circondava: seminascoste dalla vegetazione, c'erano capanne di tronchi. Alcune avevano stuoie di paglia appese alle finestre, altre mazzi di erbe secche che pendevano dal margine del tetto. A ben guardare, si intravedevano qua e là oggetti di uso comune, come ciotole di legno o rudimentali attrezzi agricoli.
Ci abita qualcuno?” chiese, ancora non del tutto sicuro che quelle povere masserizie non fossero in realtà rifiuti.
Certo,” fu la risposta, proferita col tono dell'ovvio. “Ci stanno guardando da dentro i loro buchi e probabilmente stanno invocando su di noi le maledizioni degli idoli che si ostinano a venerare.”
Fermo al centro dello spiazzo, fratello Reinhardt si guardò nuovamente intorno e notò che da qualcuna delle capanne, esile al punto da risultare quasi invisibile, si levava un lento filo di fumo. “Anche questi si sono nascosti?” chiese.
Si fece udire alle sue spalle la voce di fratello Ulrich: “Te l'ho detto: non vogliono avere nulla a che fare con noi. Capisco che si ostinino a fare i sacrifici agli idoli, perché magari è ciò che i padri hanno insegnato loro ed essi nella loro semplicità non capiscono che è sbagliato, ma anche una bestia riconosce ciò che la fa stare meglio, dico bene?”
Reinhardt si girò verso di lui. “Che cosa intendi?”
Con l'aratro tedesco, che ha il vomere di ferro invece che di legno, potrebbero coltivare di più e con minore fatica, eppure non vogliono neppure quello.” Scosse la testa come di fronte a qualcosa di profondamente stupido. “Hanno distrutto quelli che abbiamo donato loro. Li hanno bruciati davanti ai loro idoli.”
In quel momento si udì un lieve fruscio di foglie. Simultaneamente i due si girarono e si accorsero che qualcuno era sgattaiolato fuori da una delle capanne. Si trattava di un ragazzo che poteva avere quindici o sedici anni. Aveva addosso pochi stracci e non portava calzature. I capelli color stoppa erano una zazzera scomposta. Gli occhi verdi, enormi nel volto magro, colmi di meraviglia, erano fissi sul morello di fratello Reinhardt.
I due cavalieri si scambiarono uno sguardo, poi fratello Ulrich spiegò: “Quello lì è un Curo: praticamente adesso sta vedendo una divinità.”
Che significa?”
I Curi venerano il cavallo: il tuo, che è così bello, gli pare come Dio in terra.” Si segnò fugacemente.
Il ragazzo, lo sguardo sempre fisso sull'animale, si avvicinò di qualche passo. “Cavallo... molto bello...” balbettò. “Forte.” Fece un gesto che mimava possanza fisica e annuì. “Bello,” ripeté.
Reinhardt si rivolse al confratello: “Lo conosci?” Fissò il ragazzo, che però non aveva occhi che per il destriero.
È una specie di mendicante, non so come si chiami. Gira voce che sia mezzo tedesco, che sua madre fosse una contadina rapita da una tribù di Curi.”
Nessuno ha mai pensato di portarlo a Segewold? Magari gli si potrebbe insegnare a essere un buon cristiano, a maggior ragione se è vero che sua madre è tedesca.”
Chi lo sa se è vero,” replicò Ulrich. “Può essere solo il modo in cui Samogizi lo insultano perché non ha il loro stesso sangue.”
Reinhardt volse di nuovo lo sguardo verso il ragazzo, che a quel punto abbandonò la contemplazione del destriero e alzò timidamente gli occhi su di lui. “Cavallo... bello,” ripeté nel suo tedesco stentato. “Molto forte.”
Il cavaliere gli rivolse un sorriso, quindi prese dalla bisaccia che portava legata alla sella un pezzo di pane e glielo porse.
Il giovane allungò la mano per prenderlo, ma a quel punto si catapultò fuori da una delle capanne un uomo che brandiva un bastone. Questi sbraitò qualcosa e agitò un paio di volte l'improvvisata arma, producendo un sibilo minaccioso.
A quella vista, il ragazzo si fece indietro con tale velocità che il pezzo di pane gli scivolò dalle mani e cadde a terra, quindi si dileguò nel folto della vegetazione. L'uomo disse ancora qualcosa, quindi sferrò un calcio alla pagnotta, che rotolò via. Fece per andarsene, ma a quel punto Ulrich estrasse la spada e gli si parò davanti, poi in tono duro disse qualcosa nella sua lingua.
L'uomo si irrigidì, strinse i denti e aggrottò la fronte, ma non si mosse.
Il cavaliere allora, la spada saldamente in pugno, spinse il cavallo verso di lui. Ripeté quello che aveva detto poco prima.
L'altro masticò qualche frase a mezza voce, poi però si risolse a raccogliere il pane e a porgerlo a Reinhardt.
Prendilo,” ordinò brusco Ulrich.
Il confratello prese la pagnotta e la ripose nella bisaccia da cui l'aveva tratta.
Andiamocene,” disse allora l'altro. Rinfoderò l'arma, mise il cavallo al passo e cominciò a muoversi con andatura misurata, senza voltarsi indietro.
Ancora frastornato dall'accaduto, Reinhardt lo imitò. Gli parve di intravedere passando un lampo della zazzera bionda del ragazzo fra le frasche, ma a una seconda occhiata non vide altro che foglie dorate agitate dalla brezza.
Lentamente si lasciarono il misero villaggio alle spalle.

Non fare mai più una cosa del genere,” disse Ulrich in tono duro appena furono a distanza di sicurezza.
Volevo solo fare la carità a quel ragazzo,” si giustificò Reinhardt.
Con la tua carità i Samogizi si puliscono il culo,” replicò brusco l'altro. “Se tu conoscessi la loro lingua, avresti capito che quel tizio ci ha chiamati cani tedeschi e ha detto al Curo che il nostro pane è merda e va bene per i maiali.” Tacque per qualche istante, forse in attesa di una replica che però non giunse, quindi riprese: “Non permettere mai a uno di costoro di trattarti in questo modo. Devi farti rispettare, con le armi se necessario, e non devi mai metterti in posizione di inferiorità.”
Come si fa con le belve ammaestrate?”
Precisamente. Dentro ognuna di quelle spelonche c'erano almeno cinque di quelli, anche se tu non li hai visti. Che cosa pensi abbia impedito loro di uscire in branco e saltarci addosso?”
Non lo so,” rispose con franchezza Reinhardt. Rievocò lo sguardo limpido del ragazzo, il sorriso che gli aveva rivolto nel vedersi offrire un insperato pasto, l'ingenua sollecitudine con cui aveva cercato le poche parole di tedesco che conosceva per lodare la bellezza del suo cavallo in una lingua che lui potesse capire.
Si costrinse a distogliere il pensiero dall'accaduto. Si disse che doveva essere umile, doveva obbedire a chi era più anziano e più esperto di lui. “Forse la mia permanenza a Venezia, al fianco del Gran Maestro, mi ha reso superbo,” disse poi, seguendo il filo dei propri pensieri. “Ti prego di perdonarmi, fratello.”
Ah, lascia perdere,” rispose l'altro, accompagnando quelle parole con un gesto noncurante. “Voglio solo evitare che tu finisca da qualche parte stecchito con un coltello nella schiena, tutto qui.”



L'imponente castello di Segewold, che comparve su un'altura lungo la sponda del Gauja, risplendeva magnifico nella luce del tramonto.
I raggi obliqui accendevano di sfumature d'oro e ambra le pareti di massi di fiume, facevano brillare di un caldo color avorio le bandiere dell'Ordine che garrivano sulle torri e traevano fugaci barbaglii metallici dalle cotte e dagli elmi dei soldati di guardia sugli spalti.
L'acqua del fiume, già in ombra, era un nastro di piombo che scorreva silente.
Più lontano il castello di Treyden, arroccato su uno sperone di roccia che dominava tutta la vallata, era una sagoma nera in cui palpitava fugace qualche vago brillio dorato.
Il cielo era azzurro cupo sulla volta, mentre lungo l'orizzonte, dove il sole stava scomparendo dietro le alture, aveva un colore aranciato. Le poche, esili nuvole, attraversate dagli ultimi raggi, brillavano come foglia d’oro su uno sfondo di lapislazzuli.
Nell’aria c’erano odore di resina e forse un lontano sentore di mele, che ricordava a fratello Reinhardt il momento della raccolta a casa sua, in Franconia, quando il profumo dei frutti maturi, rossi e gonfi di succo, era così intenso da inebriare.
Il cavaliere strinse appena gli occhi e piegò la testa all’indietro, lasciando che per un po’ fosse il destriero a decidere che andatura tenere.
Sei stanco?” domandò fratello Ulrich.
Un po’. Devo riabituarmi a certe cose.”
Stai già rimpiangendo di aver lasciato Venezia?”
Reinhardt riprese le redini alla mano e fermò il cavallo, costringendo l’altro a imitarlo. “Al contrario,” disse pacato, “non sono mai stato così soddisfatto della mia decisione. È bello contemplare i tesori di Bisanzio dentro la chiesa di San Marco, è bello parlare con arabi, turcomanni, genti del nord e del lontano oriente, conoscere il loro modo di pensare e le loro usanze, ma nulla di ciò è paragonabile alla bellezza di essere qui. Noi portiamo la parola di Dio ai pagani.” Indicò il castello, che al calare della luce andava sempre più assumendo il sembiante di un’enorme creatura accucciata e pronta a balzare, quindi soggiunse: “Noi portiamo questo. Portiamo ordine e pace, al posto di tuguri di legno e superstizioni.”
Rimise il cavallo al passo, gli zoccoli dell'animale tonfarono sordi sul ponte di legno che conduceva all'ingresso di Segewold.

Lo accolse il cortile principale della fortezza, nel quale brillavano già le prime fiaccole. La chiesa dedicata alla Vergine era illuminata in modo tenue, tanto che dalle sue alte finestre filtrava solo un debole chiarore. Da essa stavano uscendo dopo i Vespri i fratelli cavalieri biancovestiti; le croci nere che portavano sul petto e sulla spalla quasi si confondevano con le ombre che si allungavano ormai ovunque.
Reinhardt smontò da cavallo e affidò l'animale allo scudiero, poi li raggiunse.
Il primo che gli rivolse la parola fu un cavaliere alto e magro che sembrava la statua di un santo. Questi lo trafisse con uno sguardo di rapace, ancora più duro sul suo volto dai lineamenti squadrati, e in tono di rimprovero disse: “Non eri alla funzione, fratello.”
Sì, io...”
Intervenne un altro cavaliere, addirittura più alto del primo, con la corporatura di un toro. A Reinhardt pareva di ricordare che si chiamasse Mathias. “Lascia stare, fratello Gunnar,” disse costui con la massima tranquillità. Poi, rivolto a lui: “Eri fuori con fratello Ulrich, per caso?”
È così.”
Il cavaliere si rivolse al confratello di nome Gunnar: “Ecco, vedi? Lo sai anche tu com'è fatto fratello Ulrich: quando è assorto in qualche compito dimentica tutto il resto.”
Le funzioni sono importanti,” protestò questi caparbio.
Sono importanti se sei padre Emelrich, che ha da fare solo quelle. Se sei un fratello cavaliere, io dico che è meglio sapere dove è più probabile che ti capiti un'imboscata.”
L'altro si limitò a un silenzio carico di riprovazione.
Nel frattempo stavano uscendo dalla chiesa altri mantelli bianchi. Reinhardt notò che in generale avevano l'aria più di soldati che di religiosi. I discorsi che sentiva, pronunciati da voci perlopiù forti e decise, vertevano sul combattimento, più che sulle Scritture.
Uno dei cavalieri, un uomo di mezz'età coi capelli neri già venati di grigio, disse: “Avete sentito quello che è successo alla fattoria di Odo? Tutte le bestie uccise.”
E di questa stagione, poi,” intervenne un altro. “È chiaro che ci stanno provocando.”
Ne arrivò un terzo, un biondo con la faccia da ragazzino ma già il piglio di un guerriero esperto. “È chiaro che vogliono spingerci ad attaccare prima del gelo.”
Un altro cavaliere dall'aria molto giovane in tono sprezzante commentò: “Pensano che siamo stupidi.”
Con te non sbaglierebbero di molto, fratello Luitpold!” disse quello dai capelli brizzolati. Tutti gli altri risero, l'oggetto dello scherno aggrottò le sopracciglia e brontolò qualcosa di inintelligibile ma poco gentile.
Un po' in disparte rispetto agli altri, Reinhardt seguiva in silenzio la scena. Sorrideva tra sé e sé, contagiato dal generale clima di rilassatezza, e man mano si lasciava prendere da quei discorsi di combattimenti e armi. Si sentiva come una nave che abbandona un porto sicuro in favore del mare aperto: forse in quelle ignote immensità sarebbe venuto in contatto con pericoli e patimenti, ma di certo si sarebbe trovato nell'elemento per cui era stato creato.
Una voce poderosa lo fece sussultare: “E tu, fratello?”
Reinhardt si riscosse dai suoi pensieri e si trovò davanti il cavaliere alto, con la corporatura da toro. “Fratello... Mathias?” tentò.
Ma bravo!” approvò l'altro, dandogli sulla spalla una pacca che gli parve un colpo di maglio, “ti ricordi già come mi chiamo. Hai già imparato anche i nomi di tutti gli altri o vuoi che te li ripeta?”
Prima che Reinhardt potesse rispondere, si aggiunse al gruppo anche fratello Ulrich.
Come si è comportato il nostro nuovo confratello?” gli chiese subito il cavaliere dai capelli brizzolati.
L'altro finse disperazione. “Voleva darsi a opere di carità, fratello Waldemar.”
Un mormorio più perplesso che disapprovante attraversò il gruppetto. Tutti si volsero a fissare Reinhardt con curiosità, spingendolo a ritirare appena la testa fra le spalle. “Volevo dare un pane a un mendicante,” si sentì in dovere di chiarire.
E per fortuna che l'ho visto in tempo,” intervenne Ulrich, “altrimenti sarebbe successo un disastro.”
Io volevo aiutare un povero,” si difese Reinhardt.
Fratello Waldemar gli mise una mano sulla spalla con l'atteggiamento di un padre che deve spiegare una cosa molto importante a un figlio un po' ribelle. “Qui non siamo in una provincia di pace,” disse in tono pacato. “Questa è la provincia peggiore che abbiamo, la più difficile, quella dove è meno opportuno abbassare la guardia e mostrare un atteggiamento fiducioso. La carità è meritoria, ma non se fatta a qualcuno che se ne serve contro di noi. Non se fatta a qualcuno che prima si finge debole per carpire la nostra fiducia e poi usa tale fiducia per colpire noi o i nostri confratelli alle spalle.”
Reinhardt emise un sospiro. “Ho capito, fratello,” si limitò a rispondere.
Ora non sai nulla di questo luogo,” insisté l'altro, “e tuo dovere è affidarti al consiglio dei più esperti. Quando sarai qui da più tempo, capirai da solo a chi è il caso di concedere fiducia e chi, invece, dev'essere tenuto alla giusta distanza.”
La distanza di un colpo di spada,” puntualizzò fratello Mathias.



Fratello Reinhardt entrò assieme agli altri nel refettorio e si fermò presso il suo posto nel tavolo riservato ai cavalieri. Nei piatti vi erano pane, carne, legumi e frutta, nelle coppe era stata versata la misura di vino concessa.
Nella sala regnava un silenzio solenne, rotto solo dal lieve crepitare delle candele di cera d’api che ardevano illuminando i commensali.
Un fratello prete raggiunse il leggio facendo echeggiare i passi sul pavimento di pietra, aprì la Bibbia con un tonfo che si riverberò sulle volte del soffitto e annunciò: “Dal Salmo 17, Diligam te Domine.”
Con un leggero tramestio tutti presero posto, il lettore cominciò a declamare:

Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti,
non sono tornato senza averli annientati.
Li ho colpiti e non si sono rialzati,
sono caduti sotto i miei piedi.

Fratello Reinhardt fece saettare lo sguardo intorno a sé: fratello Gunnar stava annuendo. Prestava un ascolto attento alle Scritture, il modo in cui muoveva le labbra udendo certi passaggi faceva capire che doveva conoscerle a memoria. Mangiava poco, tanto che fratello Waldemar gli fece segno di concentrarsi sul cibo materiale, più che su quello spirituale.
Fratello Luitpold e il giovanotto biondo, che aveva scoperto chiamarsi fratello Siegfried, ignoravano al contrario serenamente il Salmo e continuavano a far segno al servo per avere carne e pane.

Tu mi hai cinto di forza per la guerra,
hai piegato sotto di me gli avversari.

Reinhardt rievocò le cene cui aveva preso parte a Venezia: tavole di cedro e legno di rosa, drappi preziosi al posto delle tovaglie. Mense sontuose, che avrebbero fatto sembrare quelle del pur ricco feudo di suo padre il vitto di un ospizio di mendicità.
Dignitari di ogni livello, ambasciatori, grandi mercanti, prelati.
Di nuovo fece girare lo sguardo sui confratelli: abiti semplici in luogo di sete e broccati; niente oro e argento, ma solo lucido ferro.
Niente rilassatezza, niente mollezza. Solo volontà adamantina.
Si chiese se il fratello prete avesse scelto quella lettura per lui, se servisse a fargli capire qual era lo spirito con cui da quel momento in poi avrebbe dovuto vivere la permanenza nell'Ordine.

Dei nemici mi hai mostrato le spalle.
Quelli che mi odiavano, li ho distrutti.

Si trovò inconsapevolmente ad annuire come fratello Gunnar. Il senso di inadeguatezza, di incertezza che tante volte l'aveva pervaso nel suo servizio precedente era scomparso.
Ringraziò in cuor suo per quella lettura: ora non aveva più dubbi. Ora era chiaro come il sole quale fosse il dovere di un cavaliere dell'Ordine Teutonico.

Hanno gridato e nessuno li ha salvati.
Hanno gridato al Signore, ma non ha risposto.
Come polvere al vento li ho dispersi,
calpestati come fango delle strade.









Angolo dell’autore
Aggiungo qui sotto un piccolo glossario della terminologia che ho usato o userò nel corso di questa storia:
Komturei = corrisponde alla Commenda templare
Komtur = Commendatario, colui che comanda la Komturei
Fratello Cavaliere (Ritterbruder) = cavaliere generalmente di nascita nobile che ha pronunciato i voti. È l’unico che ha il diritto di portare il mantello bianco dell’Ordine
Fratello Prete (Priestbruder) = membro dell’Ordine che ha solo funzioni ecclesiastiche e non di combattimento
Sergente o Mantello Grigio (Graumantler) = Combattente laico, in questo caso avente funzioni di comando sul altri laici, ma sempre subordinato ai fratelli cavalieri. Portava il mantello grigio, da cui il nome
Mezzo fratello (Halbbruder) membro laico dell’Ordine che serviva perlopiù come soldato a piedi
   
 
Leggi le 23 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned