Singing
is the answer
9-“I have to like to you”
Raon stava riflettendo spesso sulle situazioni completamente
assurde in cui s’era trovata coinvolta negli ultimi giorni: aveva sempre
ritenuto i tipi come Åsli spocchiosi ed egocentrici,
fissati con le cazzate e troppo impegnati a passare il tempo a registrare video
in cui loro erano protagonisti indiscussi, piuttosto che dare importanza al
quotidiano ed alla vita reale. Forse il suo ragionamento divergeva un poco dai
tempi attuali, ma nel suo piccolo aveva modo di osservare da vicino
un’esperienza diversa: veder rientrare il padre dal lavoro con l’espressione di
chi ha dato anche l’anima allo stabilimento, regalando spesso straordinari e
nascondendo le mani stanche e grigie, le aveva impostato un concetto di lavoro
più propenso alla fatica ed al sacrificio, cosa che non riteneva fosse
necessaria per poter pubblicare su una piattaforma multimediale di video. Tutto
ciò probabilmente era ingiusto, forse retrogrado, ma ancora non riusciva a
comprendere come uno di quegli “youtuber”, nome coniato nel nuovo millennio per
rappresentare quella nuova branca di persone che abbracciavano un certo tipo di
lavoro, quale la creazione di filmati per la rete mondiale, potesse vivere
facendo solo quello.
Proprio non ci arrivava.
«Raon?»
Eppure s’era ricreduta un poco, dopo quel primo disastroso incontro in
fumetteria: parte della brutte cose che aveva pensato in quel momento,
particolarmente pesanti e decisamente volgari, erano sfumate durante il tempo passato
in compagnia di quel ragazzo davvero strano. Non era poi così male.
«Ehi, Raon, mi stai ascoltando?»
No, aveva mostrato un lato migliore che pensava non avesse, ed aveva in qualche
modo superato quelle aspettative negative che gli aveva afibbiato dopo solo due
minuti di un cinico scontro verbale.
La sua proverbiale testa tra le nuvole venne riportata a terra da una mano
sventolata con energia davanti agli occhi: Aya stava
tentando di richiamare la sua attenzione senza particolari risultati. «Senti, cosa
ti passa per la testa?»
«Eh?»
La ragazza stava ancora mescolando il caffè nella tazzina, tiepido ormai.
Neppure il tintinnare continuo l’aveva distratta dai propri pensieri.
«È una cosa seria, a breve ci sarà quel benedetto esame. Dovremmo prepararci, non
voglio mancare all’appello.»
«Ah, sì, certo Aya, scusami. Allora qual è
esattamente il problema?»
L’amica aveva fretta di smaltire alcune questioni e dissipare i dubbi relativi
alle lezioni a cui era mancata per poter coprire i turni lavorativi di una collega
assente, per poter poi scappare in fretta e raggiungere l’area ristoro dell’ala
est dell’ateneo. Anche quel giorno era speranzosa, ed anche quel giorno avrebbe
passato il resto della pausa pranzo in quella stanza, in attesa. Gli scambi di
fotocopie di intere pagine di appunti, in aggiunta alle dovute delucidazioni
allentarono un po’ la tensione che le stava mordendo lo stomaco. Al terzo
controllo dell’orologio Raon si spazientì: prima la
contattava all’ultimo momento e poi non le dava nemmeno la dovuta attenzione.
Inconsapevole d’aver riservato ad Aya lo stresso
trattamento poco prima, tamburellò le dita con impazienza.
«Allora, cosa c’è che non va?»
«Te l’ho detto, in questi giorni ho dovuto fare gli straordinari e sono mancata
a buona parte delle lezioni. Conosco quella donna cazzo, ci aveva già avvertiti
che per passare la materia avremmo dovuto partecipare alle lezioni, altrimenti
saremmo stati penalizzati. Quella stronza.»
Non era certo ciò che Raon voleva sapere, tutta
quella distrazione poteva essere giustificata solo in parte da un motivo
simile; si conoscevano da anni e sapeva che sotto c’era dell’altro. «Non sto
parlando di questo, non prendermi in giro. Cosa ti sta incasinando davvero?»
Aya sospirò gonfiando le guance.
«Lasciatelo dire, non sei cambiata neanche di una virgola. Sembri sempre una
bambina troppo cresciuta!» Le due risero, e la bionda raccolse i propri appunti
ficcandoli con poca grazia nella borsa a tracolla. Si alzò e salutò l’amica
frettolosamente avanzando verso la porta della caffetteria. La mano già sulla
maniglia, e si sentì chiamare da un fischio: Raon
sventolava uno smartphone con aria saccente. Corse a recuperarlo in velocità
ringraziandola due o tre volte, prima di prendere la direzione del piano
inferiore, una deviazione precisa verso i distributori automatici.
Aya aveva percorso almeno quindici volte il perimetro
della stanzetta, avanti e indietro, destra e sinistra: se avesse avuto del buon
vino tra le mani al posto del caffè, a quell’ora si sarebbe sentita alticcia.
Attendeva, così come gli altri giorni, tentando di deviare il pensiero
concentrandosi su cose importanti, come la macchia di umidità nell’angolo del
soffitto, in alto a destra, o l’intonaco disincrostato a lato del distributore
automatico in fondo.
Cose importanti.
Fissò nuovamente il quadrante dell’orologio da polso: a breve sarebbe dovuta
tornare al lavoro. Si morse il labbro inferiore nervosamente, dandosi della
stupida per tutti quei giorni spesi ad aspettare con inutile interesse; non era
certo la prima volta che un ragazzo si approfittava del suo tempo, ma qualcosa
in quel Josh l’aveva colpita. Alzò le spalle sbuffando sconsolata, lanciando il
bicchierino ormai vuoto, l’ennesimo, che non raggiunse neppure il bordo del
contenitore dell’immondizia.
“Merda.”
«Dovresti stare più attenta la prossima volta, lo sai che non si sporca in
giro?»
Riconobbe quella voce all’istante.
Era lui, Josh.
Era venuto, come le aveva promesso. Si sentì stupidamente persa in quel
momento. Abbassò gli occhi verso il pavimento spaesata. Lui si avvicinò e le
sorrise.
«Allora? Dov’è tutta la spavalderia dimostrata l’altra volta? Non dovevamo
prendere un caffè?»
Lei alzò il volto cercando un’argomentazione, una qualsiasi, per rispondere a
quella domanda: non ne trovò neppure una, e si mise a ridere. Resasi conto poco
dopo del gesto sciocco e fuori luogo si coprì la bocca con il dorso della mano
concentrando lo sguardo su un punto qualsiasi, arrossendo in modo lampante. Il
ragazzo rise di rimando, sfiorandole la mano ed abbassandola.
«Non coprirti il volto, è davvero un peccato.»
Un sorriso smagliante, un tocco leggero e caldo, confortante.
Iridi luminose e vive, labbra rosee ed invitanti.
La ragazza si scostò di poco, allontanandosi abbastanza da mantenere fermo il
proprio spazio vitale. Si fece coraggio e parlò, cercando di uscire dal momento
di enorme imbarazzo che stava vivendo quasi con disagio. La conversazione
toccava punti semplici e comuni, senza sforare troppo nel privato; l’incontro
sembrava pilotato dalle emozioni molteplici che Aya
stava provando, senza di fatto arrivare ad un dialogo sciolto e rilassato.
Josh non era un ragazzo stupido, ed era un ottimo osservatore: ogni sfumatura,
gesto, sguardo non sfuggivano al suo sguardo attento. Tentava di scrutarle
dentro, di capire quanto in là avrebbe potuto spingersi… in pratica, cercava di
conquistarla passo passo, la spavalderia tinta da un
pizzico di ironia che rendeva intrigante ogni sua frase, osservazione, ogni
battuta. La desiderava, e voleva prendersela. Sapeva di poterci riuscire, e per
lui una ragazza era sempre una nuova sfida. Aya era
semplicemente il nuovo obiettivo e studiarla faceva parte del suo programma.
Cercava di stimolarla ad esprimersi, di vezzeggiarla un po’, puntava a farla
sentire speciale, bella, unica. E naturalmente lei si crogiolava in tutte
quelle sensazioni positive che stava provando, si sentiva coccolata da quella
voce calma e suadente. Così tanto che le dispiacque troncare a metà il discorso
e dover rimandare per via del lavoro.
«Di già? Così presto? È un vero peccato, avevo intenzione di andare a bere
qualcosa assieme.»
«Mi spiace, proprio non posso. Tra poco dovrò iniziare il turno. Non è colpa
mia se sei arrivato a un orario pessimo.»
Josh colse la palla al balzo per vederla avvampare in volto ancora una volta:
«orario pessimo? Significa che mi stavi aspettando.»
Colpita in pieno, e quasi se ne vergognava. Certo che lo stava aspettando.
«Facciamo così, dammi il tuo telefono.» Le salvò il contatto, per poi
restituirglielo ed avvicinarsi al suo volto, parlandole all’orecchio con tono
basso. «Stasera sono libero, che dici se mi mandi la posizione e vengo a
prenderti?»
Il turno era stato particolarmente pressante: Aya
aveva bisogno di una doccia, un cambio di vestiti e di buon riposo. Avrebbe
potuto scartare l’ultima delle opzioni ma alle prime due non avrebbe mai potuto
rinunciare. Passò rapida a casa infilandosi in sotto il getto dell’acqua calda con
lo spazzolino da denti, perdendo un’eternità nel prepararsi e nello scegliere
con cura ogni singolo dettaglio dell’abbigliamento e della forma: voleva apparire
bella, voleva sembrarlo davvero. Curata,
perfettamente impeccabile, affascinante, questo era il suo obiettivo.
Voleva con tutta se stessa che Josh la desiderasse. Si
guardava allo specchio tutti i giorni ricercando quei difetti inesistenti che
le sembravano voragini a minare la sua personalità. Ogni particolare del corpo,
un neo, una macchia, anche solo una sfumatura diversa, le dava una angosciante
sensazione di inadeguatezza.
“Quanto sono stupida…” pensò, passando il correttore con perizia prima di
stendere il fondotinta a coprire l’incarnato naturale. “Veramente stupida…” Che
facesse riferimento al presente o al rimasuglio della ragazzina che veniva
presa costantemente in giro per il proprio aspetto, era un mistero pure per
lei. Aveva lavorato con fatica e sacrifici su di sé: ricordava con stizza le
risate, i gruppetti che si instauravano a scuola escludendola da tutto, le
occhiatacce. Tutto.
E poi era cambiata. E con lei, anche le necessità. Gli occhi le si inumidirono
mentre sistemò un’ultima volta l’abito attillato, il seno prosperoso messo in
evidenza. Voleva piacere a Josh.
Aveva bisogno di piacergli.
Attivò il GPS al cellulare per spedire poi la posizione del luogo dell’incontro
al ragazzo. Uscì di fretta, nella speranza di non incontrare il padre durante
il breve tragitto dalla camera alla porta d’entrata, ma poco prima di
richiudersi la maniglia alle spalle udì distintamente: «se ti vesti da troia, è
normale che tutti poi ti trattino come tale.»
Inveì contro di lui stringendo a sé la borsa e spostandosi sul marciapiede: mai
l’avevano tanto rassicurata due fanali che si stavano avvicinando lentamente.
Note dell’autrice (ehhhh
sì, mi sa che le cose qui stanno cambiando poco a
poco. In meglio? Mmhn.)
Buongiorno a tutti! Eccomi di ritorno nell’original, dedicando spazio agli amici dei protagonisti,
perché anche loro esistono ed è giusto sia così. Il secondo incontro tra Aya e Josh svela un paio di punti fondamentali di ciò che potrebbe
essere il loro futuro rapporto: non buono, dite? Beh, effettivamente pure io lo
penso, ma mica si è tutti belli e santi, no?
Spero come sempre che la lettura sia stata piacevole, ora torno ai miei
progetti che tanto per cambiare sono sempre di più ahahah!
Grazie a tutti per l’attenzione, le parole e l’affetto dimostrato come sempre,
siete dolcissimi. Alla prossima! :3
-Stefy-