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Autore: Mari_Criscuolo    01/08/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Novembre 2019
 
Avevano appena salutato i genitori di Ella, che le avevano accompagnate alla stazione di Napoli centrale, prima tappa per raggiungere la loro destinazione.
 
Roma.
 
Adele, sua madre, non era riuscita a trattenere le lacrime, mentre Giuseppe, il padre, sebbene Ella sapesse quanto fosse triste per la sua partenza, non aveva mostrato particolare commozione.
 
Forse aveva ereditato da lui questo lato del suo carattere.
 
Sapeva quanto piangere fosse liberatorio tuttavia, sin da piccola, non era mai stata incline a farlo.
 
Erano poche le occasioni e non ne comprendeva il motivo.
 
Di solito accadeva quando, dopo aver accumulato troppe emozioni inespresse, arrivava sull'orlo della sopportazione.
 
Non era insensibilità, semplicemente non ne aveva bisogno.
 
Avrebbe sentito la loro mancanza in ogni caso con o senza lacrime versate.
 
«Ti rendi conto che mi hai fatta svegliare alle sei del mattino, solo perché dovevi essere in stazione un'ora prima della partenza?» Erano già trascorsi cinque minuti da quando Sofia aveva iniziato a lamentarsi tra uno sbadiglio e l'altro.
 
«Dopo tutti questi anni, ancora non hai capito che i mezzi di trasporto mi provocano ansia?» La domanda retorica di Ella suscitò l'ilarità di Sofia.
 
«Ma se i treni ti piacciono!»
 
«Si, ma preferisco sempre essere in anticipo. Da casa nostra ci vuole mezz'ora per arrivare, poi devi calcolare un po' di traffico all'uscita dell'autostrada. Non si può mai sapere, io posso aspettare mentre il treno no.» In realtà, erano parecchie le cose che facevano lievitare i suoi livelli di stress e, nella maggior parte dei casi, riconosceva che fossero idiozie.
 
«Tu sei matta e io che ti assecondo, anche.»
 
«Lo fai solo perché tieni alla salute mentale di entrambe. Ti avrei tartassata fino a quando non avresti ceduto.»
 
Sofia non poté obiettare tale ovvietà perché Ella, a volte, sapeva essere esasperante senza nemmeno impegnarsi.
 
«Quasi quasi cambio idea e rimango qui.» Disse, fermandosi nel punto più affollato della stazione.
 
Entrambe alzarono il capo, rivolgendo la loro attenzione al tabellone delle partenze.
 
Ella fece scorrere il suo sguardo sulle destinazioni e, confrontandoli con il numero del treno segnato sul biglietto che teneva stretto nella sua mano sinistra, riuscì ad individuarlo facilmente.
 
«Binario 17. Partenza alle otto e mezza.»
 
Dopo aver impugnato con la mano libera, la maniglia del suo trolley rosso sbiadito dal tempo e dai diversi viaggi, Ella iniziò a farsi largo tra quel flusso continuo di persone, che andava e veniva dai binari.
 
«Va bene. Mi fido» affermò Sofia, seguendola con il suo bagaglio.
 
«Quindi, se ho capito bene, vuoi rimanere con i tuoi genitori. Sono passate una o due settimane da quando tua madre ha portato la tua foto dall'esorcista? Magari, se rimanessi, la prossima volta porterebbe direttamente te e, quando accadrà, assicurati di mandarmi una cartolina.»
 
Ella non riusciva a non usare l'ironia nella maggior parte delle frasi che uscivano dalla sua bocca.
 
Sapeva distinguere i momenti in cui era necessario essere seri ed era davvero preziosa nel dare consigli e tirare su il morale, però aveva un modo di fare e di interagire con le persone davvero particolare.
 
Anche nei discorsi e nelle situazioni più tristi era più che capace di strappare un sorriso con un'affermazione sarcastica.
 
«Certo che sei proprio una stronza.» Sofia scosse la testa ridendo sommessamente per quella che, ad una persona estranea, sarebbe sembrata un innocuo commento sardonico.
 
Tuttavia, era una di quelle situazioni in cui la realtà aveva superato facilmente la più fervida delle immaginazioni.
 
«Si, ma devi ammettere che l'idea non è poi così assurda. Già vi ci vedo, dopo l'esorcismo, a farvi una foto con il segno della vittoria.» A volte Ella si stupiva di quanto fosse brava nell'elaborare pensieri che avevano dell'assurdo, ma che, in fondo, non erano poi così distanti dalla realtà.
 
«Se riuscisse ad estirpare il diavolo che è in me, sarebbe mia madre a farlo e, con molta probabilità, inizierebbe a predicare di casa in casa il miracolo divino appena avvenuto.»
 
Entrambe iniziarono a ridere e, figurandosi l'immagine che avevano appena delineato con i loro deliri, si sentirono, al contempo, inquietate e divertite.
 
L'alternativa sarebbe stata vedere Sofia rannicchiata in un angolo a piangere e autocommiserarsi, quindi era sicuramente meglio fingere che fosse tutto uno scherzo.
 
«Okay, basta. Siamo perfide.»
 
«Ella, siamo solo realiste.»
 
Il commento di Sofia trascinò via con sé la sensazione di leggerezza che, qualche attimo prima, le aveva rese spensierate.
 
Il silenzio di una verità troppo scomoda, per essere accettata, si poggiò sulle loro spalle, dapprima lentamente, per poi precipitare rovinosamente abbattendosi con tutto il suo peso.
 
Arrivarono sulla banchina, immersa ognuna nelle proprie riflessioni.
 
Il treno si trovava già sul binario e le porte aperte furono un invito ad accomodarsi al suo interno.
 
Escludendo il prevedibile ritardo che avrebbe riportato, rispetto all'orario previsto d'arrivo, ad Ella non dispiaceva viaggiare con Trenitalia.
 
Dopo aver scelto i posti a sedere, Sofia posò i bagagli nel vano superiore.
 
«Come vi siete salutati?» chiese Ella, prendendo posto nel sediolino vicino al finestrino dopo aver sistemato il suo zaino e la sua giacca di pelle nel posto vuoto accanto a lei.
 
«Pensi davvero che si siano sprecati a farlo?» La domanda retorica di Sofia non necessitava di una vera risposta. «Mia madre, da quando le ho detto del trasferimento, non ha fatto altro che pregare. Fin quando ero sotto il loro stesso tetto avevano la speranza di potermi convertire, adesso si ritroveranno ad avere una figlia lesbica e felicemente fidanzata. Un abominio in pratica» concluse il suo discorso sporgendosi verso destra e, poggiando il gomito nel piccolo spazio presente sul bordo inferiore del finestrino, rivolse il suo sguardo cupo e pensieroso ai treni che costeggiavano paralleli quello in cui si trovavano.
 
«Quindi, ti hanno lasciata partire senza dirti nulla?» Conosceva Sofia abbastanza bene da sapere che aveva bisogno di parlare.
 
Il suo carattere era così mite che permetteva a Ella di porle domande senza rischiare di offenderla o innervosirla, come, invece, accadeva con lei.
 
«L'ultima cosa che mi hanno detto è stata che se, da lì a breve, avessi avuto la notizia della loro morte, sarebbe stata solo colpa mia perché gli avrei fatto venire un attacco di cuore.»
 
Queste erano il genere di affermazioni che i genitori di Sofia le vomitavano addosso senza alcuna remora e ritegno da quando avevano scoperto, per volere di un destino infame, del suo orientamento sessuale.
 
Dal momento che erano ferventi cattolici, in particolare la madre, era stata costretta a nascondersi e reprimersi.
 
Aveva vissuto una vita che non era la sua.
 
Allontanarsi dalla chiesa e smettere di frequentarla aveva suscitato proteste frequenti ed esasperanti da parte di sua madre, facendo incrinare pericolosamente il rapporto con la sua famiglia.
 
Nessuno se ne accorse o finsero semplicemente, perché l'ignoranza era sempre stata la miglior medicina di chi non voleva vedere.
 
«Forse, sarebbe stato meglio se non avesse aperto bocca.» Ogni volta che Sofia si sfogava, riferendole una delle tante crudeltà che era stata costretta a subire, Ella credeva sempre di non poter sentire qualcosa di peggiore.
 
Ogni volta veniva smentita.
 
L'aspetto più terrificante era vedere con quanta superficialità ed inconsapevolezza venivano formulate frasi, che non avrebbero mai dovuto essere pronunciate.
 
Ella era fermamente convinta che, nelle loro credenze radicate, non ci fosse spazio per comprendere quanto fosse atroce, per un figlio, vivere nella consapevolezza di essere un errore.
 
«Lo sai, con tutto quello che mi hanno detto negli ultimi due anni, posso dire di averci fatto l'abitudine.»
 
«Sofia, smettila! Non ci si può abituare a certe cose, specialmente se dette da un genitore.»
 
Ella sapeva che non avrebbe dovuto innervosirsi eppure, quando Sofia parlava in questo modo, le avrebbe dato volentieri due schiaffi per farla svegliare.
 
«Cosa dovrei fare? Disperarmi?» chiese l'amica rivolgendole, finalmente, lo sguardo.
 
I suoi occhi erano lucidi e leggermente arrossati.
 
Non voleva piangere, eppure, questo non era un motivo valido per nascondere il disordine nell'armadio nella speranza che si potesse sistemare da solo.
 
«No, ma almeno non fingere che vada tutto bene. Reagisci, urlami contro, ma non reprimere il tuo dolore altrimenti non farai altro che alimentarlo.»
 
«Ho superato la fase in cui mi punivo per essere una figlia indegna. Io sono questa e non cambierò, ma loro non si arrenderanno mai all'idea che possa essere diversa da quelli che sono i loro canoni.» Affermò convinta, asciugandosi una lacrima solitaria, che scendeva lenta sulla guancia destra.
 
«Sono ancora convinta che lo faranno.» Ella lo ripeteva da parecchio, ma, anche se i genitori di Sofia avevano allentato la morsa che aveva rischiato di soffocarla, viveva comunque in uno stato di tensione perenne.
 
Per tale motivo, trascorreva la maggior parte della giornata chiusa nella sua camera, al sicuro.
 
«Sono già trascorsi tre anni da quando l'hanno scoperto e ho subito ogni loro idea assurda sulla mia sessualità. Prima era una malattia, poi una perversione indotta dal diavolo. Sinceramente sono stanca di assorbire tutte queste teorie deliranti.»
 
Un giorno freddo di novembre, l'innocenza di una verità agli altri scomoda assunse le sembianze di un male inestirpabile.
 
La mattina, Sofia aveva portato ad Ella l'album di fotografie che le aveva regalato la sua ex ragazza per il secondo anno di fidanzamento.
 
Sua madre, che non aveva mai avuto l'abitudine di sistemare le cose della figlia, quel pomeriggio decise di svuotare lo zaino che Sofia usava per uscire.
 
Trovò ciò che non avrebbe mai dovuto vedere.
 
Già il solo pensiero di dirglielo, come aveva fatto con Ella, era traumatico, ma, scoprirlo in questo modo, era stato l'inizio di un deterioramento psicologico che l'avrebbe portata, più volte di quante ne volesse ammettere, a rimpiangere la sua vita.
 
Non solo aveva scoperto che sua figlia era tutto ciò che aveva sempre denigrato e ripudiato, ma che le aveva mentito per due anni su dove andava e con chi usciva.
 
Sofia aveva lottato e, sebbene la rottura con la sua ex fosse stata un altro carico sulle sue spalle, tutt'ora continuava a farlo perché adesso, finalmente, vedeva uno spiraglio di luce in un incubo che le era sembrato, per molto tempo, senza fine.
 
«Mi stai dicendo che hai chiuso definitivamente?»
 
«Ancora non lo so, ma credo che lo scoprirò. Tu sai cosa mi hanno fatto vivere. Non ho mai pensato che sarebbe stato facile da accettare. Figurati per i miei, che, se la casa andasse a fuoco, si preoccuperebbero di salvare i quadri di Gesù invece che i figli.»
 
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso che aveva ben poco in comune con il divertimento.
 
«Sono sicura che, adesso che te ne sei andata, si renderanno conto che potrebbero perderti per sempre e, pur di averti vicina, capiranno i loro errori.»
 
Ella era speranzosa, doveva esserlo per Sofia che, ormai, non sapeva più a cosa credere.
 
«Apprezzo quello che stai facendo, ma sappiamo che nulla di tutto ciò accadrà. Preferisco non pensarci.»
 
Forse andarsene non sarebbe stata la soluzione a tutti i problemi ma, almeno per il momento, ne stava risolvendo parecchi ad entrambe.
 
«Lorenzo ha provato a parlare con loro in questi mesi?»
 
«Si, ma è stato inutile, come ogni volta.»
 
Suo fratello era sempre stato dalla sua parte, fin dal primo istante, quindi nemmeno lui aveva grande stima e benevolenza.
 
«Devo chiedergli se hanno mai tentato di portarlo da un esorcista.» disse Ella, cercando di allentare la tensione.
 
«Credo che i miei genitori si siano pentiti più d'una volta di averci fatti nascere.» Sofia sospirò, profondamente rassegnata.
 
In quel momento il treno iniziò a muoversi in avanti.
 
La conversazione, anche se angustiante, le aveva tenute impegnate.
 
Dopo qualche istante di silenzio, lo sguardo di Sofia si illuminò e, in breve, un sorriso increspò le sue labbra.
 
«Rendimi partecipe della tua gioia.»
 
«Ultimamente, stavo pensando di scrivere un libro intitolato: "Cose da fare se vuoi essere un pessimo genitore”.»
 
«Avresti parecchi aneddoti da raccontare.» Quello che prima era un piccolo sorriso, divenne una risata che contagiò entrambe.
 
«Probabilmente verrebbe venduto come un horror» disse Sofia, cercando di riprendere fiato.
 
«Oppure lo potrebbero scambiare per un libro di barzellette. Io di sicuro lo comprerei.»
 
«Magari, se qualche genitore lo leggesse, potrebbe imparare molto dagli errori commessi da altri.» Sofia si incupì ed Ella notò che sfilacciava nervosamente lo strappo del jeans, in corrispondenza della coscia destra.
 
Era un gesto compulsivo e inconsapevole, che faceva quando voleva allontanare l'ansia.
 
«Cristina viene con Lorenzo a prenderci alla stazione?» Ella capì che era giunto il momento di virare su un altro argomento, se avesse voluto allontanare la pesante tensione che si era venuta a creare nell'aria.
 
«Ha detto che non riesce perché oggi ha un esame, ma mi ha promesso che passerà a casa appena finito.»
 
Il corpo di Sofia si rilassò visibilmente e posò le mani sul grembo.
 
«Sono davvero felice che tu abbia qualcuno su cui contare e Cristina è fantastica. Probabilmente, se non fossi etero, mi ci sarei messa io.»
 
L'aria calda proveniente dai condizionatori stava facendo sudare Ella, così iniziò ad arrotolare le maniche della camicia a quadri di flanella sui gomiti, sbottonandola e mettendo in evidenza la canottiera nera al di sotto.
 
«Questo lo dicevi di me. Guarda che sono gelosa» disse Sofia, fingendosi risentita.
 
«Fattene una ragione, lei ama il mondo dei cinecomic tanto quanto me. Mi dispiace, ma ha preso il tuo posto nel mio cuore.»
 
Ella si portò una mano sul petto, sbattendo le ciglia con aria sognante.
 
«Comunque sono davvero fortunata e non mi riferisco solo a Cris, ma anche a te e Lorenzo. Se non avessi avuto voi dalla mia parte negli ultimi cinque anni, non so davvero come avrei fatto a superare le mie debolezze e ad essere sicura e fiera di me.»
 
Entrambe erano state fortunate ad incontrarsi quando pensavano di non averne bisogno, per poi ritrovarsi vicine quando tutto sembrava crollare.
 
Ella ci rifletteva spesso, le amicizie durature erano rare tanto quanto l'amore.
 
«Sono sicura che ce l'avresti fatta lo stesso.»
 
«Davvero?» chiese Sofia, non aspettandosi tanta modestia.
 
«Intendevo senza Lorenzo. Sono io la fantastica migliore amica che ha fatto tutto il lavoro, tuo fratello è stato più un soprammobile.»
 
«Ah l'umiltà, questa sconosciuta» rise Sofia, scuotendo la testa.
 
«Parla per te, è una delle mie migliori qualità.»
 
In quel momento la loro conversazione fu interrotta dal telefono di Sofia, che aveva iniziato a squillare.
 
Era suo fratello.
 
Accettò la chiamata e rispose, mettendolo in vivavoce.
 
«Lore, dimmi.»
 
«Siete partite?»
 
«Si, ma il treno ha un paio di minuti di ritardo.» Rispose Ella, guardando il display fissato sulla porta, all'entrata del vagone.
 
«Se poi si trasformano in venti, mandami un messaggio. In ogni caso, vi aspetto davanti all'entrata della stazione.»
 
«Va bene. Ci sentiamo più tardi» disse Sofia.
 
«Buon viaggio, ragazze. Godetevi il viaggio.»
 
«Grazie, Lorenzo.»
 
«Ella, è un piacere aiutare le mie due piccole pesti.»
 
Dopo aver chiuso la chiamata, Sofia si stiracchiò come un gatto per allungare i muscoli intorpiditi dalla stanchezza.
 
Il suo sbadiglio contagiò anche Ella, che, inevitabilmente, sentì l'impulso di imitarla.
 
«Perché non ti addormenti un po'? Si vede che stai morendo di sonno." Ella sapeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio, sia per il nervosismo sia perché i sedili non erano abbastanza comodi da permetterle di trovare una posizione adeguata per riposarsi, senza distruggersi una spalla o un fianco.»
 
«Se poi crolli anche tu, ci risvegliamo a Milano." Rispose Sofia, rabbrividendo al pensiero.»
 
«Sai che non riesco a dormire sui mezzi pubblici e poi ti ho fatta svegliare all'alba, questa sarà la mia punizione.»
 
«Va bene, ma, se vuoi riposarti anche tu, svegliami.»
 
«Tranquilla.»
 
Si girò e rigirò sul sedile prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal treno.
 
Per quanto la decisione presa quella notte di luglio la stesse portando lontano dal suo passato, indirizzandola verso il proprio futuro, non riusciva a non guardarsi alle spalle e pensare a ciò che stava lasciando.
 
Sebbene tutto ciò le servisse per crescere e diventare la donna forte che aveva sempre sognato di essere sin da bambina, la nostalgia era inevitabile.
 
Persa nei suoi pensieri, non si era accorta che Sofia si era già addormentata.
 
L'aveva intuito dal movimento del petto lento e regolare.
 
La sua testa era poggiata nello spazio che separava il sedile dal finestrino e i suoi corti capelli castani ricadevano sul suo volto, coprendole metà viso.
 
Il busto era girato verso il corridoio che separava le due file.
 
Il posto accanto a lei era vuoto, così aveva piegato le ginocchia verso l'interno, in modo da lasciare le scarpe al di fuori del sedile, per non sporcarlo.
 
Rifletteva spesso sulle loro vite e, per quanto le loro esperienze fossero state diverse, il dolore e la sofferenza le avevano unite.
 
Avevano imparato ad avere coraggio, a non nascondere le testa sotto la sabbia quando la vita diventava talmente complicata da credere di non avere più una via d'uscita.
 
Nonostante tutte le scosse che le avevano fatte tremare fino a cadere, facendosi forza a vicenda, si erano sempre rialzate.
 
I periodi bui si presentavano ancora, bussando alla porta di entrambe. Piangevano, si dannavano, vedevano tutto insuperabile e troppo difficile, ma, quando le nubi si diradavano, riscoprivano il sole e si sentivano bene.
 
Erano positive, perché, finalmente, avevano messo sé stesse al primo posto e stavano facendo il primo passo che, sapeva, le avrebbe condotte alla piena realizzazione di sé, alla vera felicità.
 
Trascorse il viaggio disegnando il paesaggio verdeggiante che riusciva ad osservare dal suo finestrino. Si muoveva velocemente e, sebbene non riuscisse a tenere il passo con ciò che vedeva, lasciava al resto l'immaginazione.
 
Ella percorreva il tragitto Napoli- Roma molto spesso per andare a trovare sua zia, che viveva a Latina. Amava questa tratta, specialmente nei mesi estivi, poiché le era possibile ammirare immense distese di papaveri rossi.
 
Non conosceva bene il motivo né le interessava scoprirlo, ma, sin da piccola, era sempre stata affascinata da quei fiori.
 
Le trasmettevano calma e tranquillità.
 
Tuttavia, novembre era appena iniziato e l'autunno inoltrato non avrebbe permesso ai papaveri di sbocciare, almeno fino al mese di maggio.
 
Un ricordo della sua infanzia la fece sorridere.
 
All'età di quattro anni, andò con i suoi genitori a trovare un'amica di sua madre, Elisa, che viveva ad Avellino.
 
Non ricordava bene cosa avesse fatto durante la giornata, ma c'era una scena che non avrebbe mai potuto dimenticare.
 
Di fronte alla villetta in cui abitava si trovava uno strapiombo, in cui scorreva un piccolo fiume.
 
Giunse il momento di ritornare a casa, ma, mentre stavano percorrendo il tragitto che li separava dalla macchina, vide, su una delle due pareti rocciose, un fiore rosso di un'intensità tale da incantarla.
 
Spiccava tra le rocce ed era impossibile non notarlo, poiché era l'unico tocco di colore in mezzo a tutto quel terreno polveroso.
 
Unico elemento delicato tra gli spigoli e le sporgenze acuminate.
 
Avrebbe voluto coglierlo e portarlo con sé, perché pensò fosse troppo bello per essere lasciato in quel posto dimenticato da tutti.
 
Elisa, volle accontentarla, così si sdraiò al suolo sporgendo un braccio nello strapiombo.
 
Sarebbero bastati cinque centimetri in più, per poterlo afferrare.
 
Era così vicino ma, allo stesso tempo, ebbe l'impressione che fosse proprio il papavero a non voler essere colto.
 
Avrebbe potuto essere scambiato per un pensiero infantile, eppure non poteva fare a meno di crederci.
 
Con il tempo, aveva capito che, se quel fiore era riuscito a sbocciare e rimanere in vita in un ambiente così ostile ed insidioso, meritava di rimanerci.
 
Se fosse riuscita ad estirpare le sue radici, avrebbe distrutto la sua bellezza.
 
Se l'avesse portato via, quel papavero, che tanto l'aveva ammaliata, sarebbe morto e non le sarebbe rimasto nessun ricordo da serbare nel cuore.
 
Per chi non la conosceva, sicuramente sarebbe sembrata una storia ridicola, ma a lei non interessava.
 
Con gli ultimi eventi che avevano sconvolto la sua vita, aveva rimuginato spesso su questo aneddoto, giungendo a una conclusione.
 
C'era una sorta di analogia, un parallelismo che legava il suo destino a quel fiore.
 
Le avversità, che aveva affrontato in passato e che stava vivendo adesso, l'avevano fatta sbocciare, rendendola una ragazza determinata, sicura del suo futuro, libera da tutti e fedele solo a sé stessa.
 
Avevano cercato di distruggerla, di cambiarla e, a causa di questo, aveva rischiato di dimenticare chi fosse.
 
Era quello il suo posto nel mondo e nessuno glielo avrebbe portato via.
 
Quel fiore era lei e lei era il bagliore rosso che avrebbe continuato a risplendere nell'oscurità.
 
 
   
 
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