Capitolo nono
Getting tired, of hearing that
You're dangerous, but they won't stop
Until I leave, they won't believe
That being with you won't break my heart
So worried ‘bout, the road ahead
They can't see that, you're my best friend
They never gonna take me away from you
There's nothing they can do
I can't stop, can't fight, can't resist it
When the wrong one loves you right
I Can't run, I can't hide, I can't say no
When the wrong one loves you right…
(“When the wrong one loves you right” – Celine Dion)
Giovanni credeva di
aver chiuso definitivamente con Albizzi (sebbene la cosa, chissà perché, gli
facesse un gran male in qualche posto in fondo al cuore…), ma si sbagliava di
grosso!
Qualche giorno dopo,
infatti, se lo ritrovò di fronte mentre stava per uscire da Palazzo Medici… e
da lì non poté scappare.
L’uomo lo fissava con
un sorrisetto storto: sapeva bene che fine avesse fatto la sua lettera, ma
sapeva altrettanto bene che, trovandoselo davanti in carne e ossa, Giovanni non
sarebbe riuscito a fare l’indifferente come fingeva di essere.
“Visto che non
rispondi alle lettere, ho pensato che saresti stato molto meno spavaldo se mi
fossi presentato di persona” gli disse, divertito dal suo evidente imbarazzo.
“O forse pensi di buttare in Arno anche me?”
Era proprio vero.
Giovanni, di fronte a lui, aveva perso tutta la sua baldanza in meno di un
secondo! Tuttavia cercò di darsi un certo contegno, attingendo alla nobiltà
degli antenati Uberti e a tutte quelle cose là.
“Cosa siete venuto a
fare?” fece, scontroso.
“Non è ovvio? Volevo
parlarti” e, così dicendo, lo prese per le spalle e si accostò a lui invadendo
di molto il suo spazio vitale. “Tu c’entri qualcosa con la rottura del
fidanzamento tra mio figlio e Isabella Contarini?”
Giovanni lo guardò
come se avesse bestemmiato in chiesa.
“Ma di che state
parlando? Non so nemmeno chi sia Isabella Contarini, non c’entro niente con la
vostra famiglia e non mi potrebbe importare di meno di vostro figlio, di vostra
moglie… e di voi!” reagì,
contraddicendo con il suo atteggiamento seccato le sue parole.
Albizzi era quasi
sicuro che Giovanni, in effetti, non c’entrasse niente in quella sporca
faccenda, tuttavia quella era la scusa con cui si era presentato e quindi
decise di insistere un po’.
“Non ne sai niente?
Avevo organizzato un matrimonio segreto tra Ormanno e la Contarini, sarebbe
stato vantaggioso per la mia famiglia, ma poi…” l’uomo si rabbuiò, “poi
qualcuno mi ha tradito, ha raccontato tutto a Cosimo e lui, da Venezia, ha
proposto al Doge Foscari di far sposare Isabella Contarini a suo figlio,
ottenendo così il suo appoggio per far ritorno a Firenze.”
Giovanni, a dirla
tutta, era la prima volta che sentiva parlare di questa specie di soap opera e non gliene fregava un
beneamato del mancato matrimonio di Ormanno Albizzi, aveva già abbastanza
problemi per conto suo. Tuttavia decise di mantenere il suo atteggiamento
scostante e di sfoderare la superiorità morale degli Uberti… o qualcosa del
genere.
“E dunque? Messer
Cosimo ha tutti i diritti di fare quanto è in suo potere per tornare a Firenze,
visto che è stato esiliato ingiustamente”
tagliò corto.
“Cosimo non avrebbe
dovuto nemmeno venire a conoscenza di questo fidanzamento” insisté Rinaldo. “Io
voglio sapere chi ha tradito la mia fiducia, chi lo ha informato sui miei
piani. In pochi sapevano del mio accordo con Contarini e qualcuno lo ha
rivelato a Cosimo.”
“State insinuando che
sarei stato io? Non sono una spia, non lo avete ancora capito?” replicò
Giovanni, imbronciato.
“No, non lo sei,
immaginavo che non fossi stato tu. Vedo bene che non sapevi nemmeno del
fidanzamento e, comunque, so che non mi tradiresti, nonostante il tuo
caratterino” commentò Albizzi, che si divertiva davvero un sacco. “Sei leale e
onesto, anche se rimani un ragazzino impertinente e adesso anche geloso!”
“Io non sono…” provò
a reagire Giovanni, ma Albizzi lo prese tra le braccia e lo baciò a lungo,
stringendoselo forte. Quel ragazzino gli era mancato veramente e non intendeva
lasciarselo sfuggire un’altra volta.
“Non hai capito
niente, Giovanni” mormorò, tenendolo sempre stretto. “Te l’ho già spiegato, mia
moglie vive nella nostra villa in campagna e viene a Firenze soltanto in
occasioni speciali. La cena di qualche sera fa, quando mi hai visto con lei e
sei scappato, sarebbe dovuta essere
appunto un’occasione speciale: il fidanzamento di Ormanno con Isabella
Contarini. Ma, ora che tutto è andato a monte per colpa di Cosimo, lei è
tornata in campagna, perciò non hai alcuna ragione di essere geloso.”
Lo baciò di nuovo.
Giovanni voleva sentirsi ancora in collera con lui, avrebbe voluto respingerlo,
mandarlo al diavolo, ma non riusciva nemmeno a reagire e perdeva ogni barlume
di logica e razionalità quando Rinaldo lo baciava così e lo teneva stretto tra
le sue braccia!
“Ora verrai a Palazzo
Albizzi con me” gli disse, staccandosi da lui solo per un istante. “In questi
giorni sono solo, sai? Anche Ormanno è andato in campagna con sua madre: è
rimasto molto deluso per la rottura del suo fidanzamento, era davvero preso da
Isabella Contarini.”
Giovanni, che era
stato tanto bravo a mostrarsi deciso e arrogante davanti al servo di Albizzi,
ora si era del tutto arreso e si lasciò condurre dall’uomo verso il suo
palazzo, sebbene avesse giurato su tutto ciò che aveva di più sacro che non vi
avrebbe rimesso piede nemmeno morto!
Per strada, Rinaldo e
Giovanni si imbatterono in Ezio Contarini.
“Buongiorno, Messer
Contarini. State andando a Palazzo Medici, immagino” lo salutò Albizzi.
“Era questa la mia
intenzione, in effetti, Messere” replicò l’uomo. Se trovò singolare il fatto
che Albizzi si stesse tranquillamente portando Giovanni a casa non lo diede a
vedere. “Sono lieto di avervi incontrato, comunque, poiché volevo ribadire la
mia totale estraneità alla triste vicenda che ha causato la rottura del
fidanzamento tra mia nipote e vostro figlio.”
Rinaldo Albizzi si
dispose ad ascoltarlo con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
“Non avrei mai
tradito consapevolmente la vostra fiducia e so che anche mio fratello non
voleva ingannarvi” dichiarò con foga Contarini. “Anzi, io sono particolarmente
addolorato per ciò che è accaduto poiché in Ormanno e Isabella rivedevo me alla
loro età… Credevo in quel matrimonio e non per questioni di interesse, bensì
perché vedevo in loro un sentimento vero, pulito e profondo.”
Il tono di Ezio
Contarini era davvero disperato e Albizzi non ebbe difficoltà a credergli.
“Siete sincero, lo
comprendo” rispose, “e credo che nemmeno vostro fratello sia del tutto colpevole,
sebbene mi abbia tradito. Cosimo gli ha prospettato un’unione molto
vantaggiosa, il matrimonio di sua figlia con Jacopo Foscari, ed era un’offerta
che in pochi avrebbero saputo rifiutare… in fondo posso capirlo. Il vero
colpevole è Cosimo, come sempre, che agisce esclusivamente per i propri
interessi calpestando senza alcuno scrupolo i sentimenti altrui.”
Secondo voi c’era
qualcosa di personale in questa ultima frase di Albizzi? Ma certo che sì, la
cosa gli bruciava ancora dopo vent’anni e non perdeva occasione di
sottolinearlo con chiunque gli capitasse a tiro!
Comunque, almeno in
questo caso, Albizzi dimostrò di averla presa bene: strinse la mano a Contarini
e poi i due uomini proseguirono ognuno per la propria strada. Ezio Contarini
sarebbe andato a parlare con Contessina, lamentandosi di essere stato usato:
perché sì, lo avevano capito anche le pietre di Firenze che era stata lei a
rivelare a Cosimo del fidanzamento segreto e lui aveva agito di conseguenza,
con buona pace dell’ingenuo e poetico fessacchiotto innamorato!
Giovanni, nel
frattempo, aveva ascoltato con attenzione la conversazione tra i due e, nel
tragitto verso Palazzo Albizzi, esternò le proprie convinzioni a Rinaldo, che
volesse o meno starlo a sentire.
“Messer Albizzi, io
non credo che qualcuno volesse danneggiarvi consapevolmente” disse. “Detto fra
noi e con il rispetto che meritate, mi sembrate un po’ paranoico: tutti ce l’hanno con voi, tutti vogliono rovinarvi… Ma
non è così. Oddio, almeno non proprio tutti.
Madonna Contessina ha saputo per caso di questo matrimonio segreto e,
ovviamente, ha usato l’informazione per cercare di aiutare suo marito, che voi avete ingiustamente fatto esiliare.”
“Vedo che non hai
perso un briciolo del tuo caratterino insolente, ragazzino” replicò Albizzi,
che tuttavia, bene o male, da Giovanni si faceva dire un po’ di tutto senza
arrabbiarsi veramente. Sapeva bene lui come farlo stare zitto, quando voleva!
“Sappiate che io vi
dico sempre quello che penso, sempre” ribadì il ragazzo.
“Sì, me ne sono
accorto” commentò Rinaldo, ironico.
“Proprio per questo
dovreste fidarvi di me” ribatté Giovanni, convinto. “Sono altre le persone che vi consigliano per la vostra rovina, non certo
io.”
“So badare a me
stesso, ragazzino, non crederai che abbia davvero bisogno dell’aiuto di un
diciassettenne?” fece l’uomo, divertito. Ma Giovanni era serissimo.
“Forse sì, visto che
continuate a concedere la vostra fiducia alle persone sbagliate” insisté. “Vedrete
se non ho ragione…”
Questo tono profetico
non si addiceva più di tanto al giovane Uberti, ma Rinaldo Albizzi dovette
rendersi conto, suo malgrado, che avrebbe dovuto prestare maggior attenzione alle
sue parole.
Trascorsero pochi
giorni e a Firenze arrivò la notizia che Cosimo de’ Medici aveva sventato un
complotto ordito dai milanesi contro Venezia. Il Doge, per dimostrargli la sua
gratitudine, gli avrebbe concesso l’appoggio per fare ritorno a Firenze e la
città era in subbuglio. I sostenitori di Cosimo scendevano in strada e
inneggiavano ai Medici e anche quelli che prima non erano suoi sostenitori
avevano fatto presto a cambiare bandiera, una volta mutato il vento. Così
andava il mondo già secoli fa, e adesso non è poi tanto diverso…
La cosa, come si può
facilmente immaginare, aveva fatto franare il terreno sotto i piedi del nostro paranoico amico Rinaldo Albizzi, che
alla fine vedeva confermati tutti i suoi peggiori timori. E, a quanto pare, la
notizia del prossimo ritorno di Cosimo gli diede proprio alla testa perché lo
indusse a fare l’unica cosa che avrebbe dovuto evitare e a scavarsi la fossa
con le proprie mani.
Giovanni si trovava a
Palazzo Albizzi e poté quindi assistere al drammatico colloquio di Rinaldo con
suo figlio che, una volta tanto, non dava ragione al padre per partito preso e
tentava di fargli comprendere che la sua idea era una follia, per usare un
eufemismo.
“Attendo molti altri
uomini dalla campagna. Le famiglie nobili di Firenze si uniranno a noi e
marceremo sulla Signoria, prendendo finalmente il potere con la forza, se
necessario” dichiarò Albizzi, ritenendo, chissà, di essere il nuovo Giulio
Cesare che marciava su Roma…
“Ma ci daranno di
traditori” obiettò Ormanno, e Giovanni si trovò a riflettere sul fatto che,
forse, quel ragazzo non era poi così male e che ogni tanto sapeva anche pensare
con la propria testa. Quello che Albizzi stava dicendo era un vero e proprio
delirio e qualcuno avrebbe dovuto farglielo capire.
“Noi siamo i
difensori della Repubblica, non possiamo lasciare che il morbo dei Medici
faccia ritorno” replicò Rinaldo, con il tono ispirato di una specie di Avenger ante litteram. “Tutti quelli che
sono leali a Firenze ci sosterranno.”
Il suo ottimismo era
tanto commovente quanto ingiustificato. E il peggio fu quando, subito dopo,
decise di andare a Palazzo Pazzi, convinto che Andrea Pazzi fosse uno di quei famosi
sostenitori sui quali riponeva tanta fiducia. Peccato che Messer Pazzi, come
tutta la sua ascendenza e discendenza, tenesse per convenienza il piede in due
scarpe e si fosse già accordato con il Gonfaloniere Guadagni per incastrare
Rinaldo e salire allegramente sul carro del vincitore.
Però, forse era vero
che quel poveretto di Rinaldo Albizzi aveva la brutta abitudine di dare fiducia
sempre alle persone sbagliate…
Giovanni, ovviamente,
non poteva sapere del tradimento di Pazzi, ma sapeva, per storia familiare, che
dei Pazzi non ci si deve mai fidare e, per tutto il tragitto da Palazzo Albizzi
a Palazzo Pazzi, cercò di convincere Rinaldo a non fare la sciocchezza più grande di tutta la sua vita, a lasciar perdere l’assurda
idea dei mercenari e della marcia su
Firenze, insomma, a fermarsi due secondi per riprendere lucidità e vedere
le cose con un tantino di lungimiranza.
Macché, tanto valeva
che avesse parlato al vento. Albizzi entrò a Palazzo Pazzi e si presentò nello
studio del padrone di casa, con Giovanni che lo seguiva come un’ombra
nonostante la sua idiosincrasia congenita nell’entrare in quel palazzo…
“Pazzi, ci sono folle
di sostenitori di Cosimo de’ Medici là fuori” esordì Rinaldo, troppo impegnato
nella sua crociata per salutare e persino per accorgersi che Pazzi faceva l’indifferente…
“Dobbiamo agire subito o lui sfrutterà la situazione per tornare! Ho detto ai
miei uomini di tenersi pronti al mio segnale, sono meno di quanto sperassi, ma
sono in arrivo rinforzi dalle campagne.”
Giovanni, che non era
uno stupido, si era accorto subito che Pazzi si comportava in modo strano e che
tirava una brutta aria in quel palazzo. Ebbe la tentazione di saltare addosso
ad Albizzi e impedirgli di dire altre idiozie prima che fosse troppo tardi… e
forse avrebbe fatto meglio, invece esitò e la situazione precipitò in un
battibaleno.
“Voi e io dobbiamo
prendere la Signoria con la forza. Con la forza!” ripeté l’uomo, caso mai non
si fosse inguaiato già abbastanza. “Non è il momento di essere codardi, Pazzi.
Abbiamo il potere di agire, facciamolo!”
La frittata era fatta
e Giovanni lo lesse negli occhi di Pazzi prima ancora che quel voltagabbana
aprisse bocca. Glielo aveva detto e ripetuto, lo aveva avvertito in tutti i
modi di non fidarsi di Pazzi, che quella famiglia era bacata da sempre, che
erano stati loro ad appoggiare i Donati quando avevano voluto distruggere gli
Uberti… Niente, Rinaldo Albizzi non aveva sentito ragioni. Adesso la storia si
ripeteva con un parallelismo agghiacciante davanti agli occhi di Giovanni. I
racconti drammatici che aveva ascoltato tante volte da suo padre e da suo nonno
sulla rovina di Farinata degli Uberti divenivano realtà in quella stanza. Tante
volte il ragazzino avrebbe voluto poter riportare indietro il tempo, parlare
con il suo antenato, avvertirlo di stare in guardia dalle famiglie traditrici…
e adesso, in quel palazzo maledetto, tutto avveniva di nuovo ai danni di un
uomo che Giovanni aveva imparato, senza nemmeno accorgersene, ad amare.
E lui non era
riuscito a fare niente nemmeno questa volta.
Nonostante fosse
stato presente, nonostante avesse tentato di fermare Albizzi.
Rinaldo non lo aveva
ascoltato e adesso il baratro si stava spalancando anche sotto i suoi piedi.
Fine capitolo nono