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Autore: Xenos    14/08/2019    0 recensioni
Sua madre non avrebbe potuto darle un nome più sbagliato, lo pensava ogni giorno. Seduta da sola nella veranda, ricordava le storie che le raccontava quando era bambina e non riusciva a prendere sonno.
Da qui comincia la storia di Willow e Tara, quella completa, ripresa da ogni puntata della serie con l'aggiunta di alcune cose che non abbiamo visto, che non sono state dette o raccontate.
Un viaggio all'interno del loro amore, per capire meglio i personaggi, unicamente dal loro punto di vista.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Tara Maclay, Willow Rosenberg
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Parte III

“Signorina Rosenberg? … Signorina Rosenberg!” tuonò l’insegnate di informatica senza ricevere alcuna risposta.

Willow, seduta compostamente sulla sua sedia, stava guardando un punto indistinto al di là del professore.

“Se la lezione non le interessa può sempre uscire. Signorina Rosenberg, si sente bene?” disse l’uomo a un tratto preoccupato per l’inespressività della sua migliore studentessa che continuava a fissare lo stesso punto dietro le sue spalle.

“Come?” disse lei all’improvviso, riportata alla realtà da uno strattone del ragazzo che le sedeva vicino.

“Mi stavo chiedendo se stesse bene, c’è qualcosa di più interessante della lezione da guardare dietro di me?” disse il professore brusco.

“No, mi scusi. È solo che…” ma Willow non finì la frase.

“Non accaparri scuse Rosenberg. E cerchi di seguire” concluse l’uomo.

“Certo” disse la rossa, impensierita da tutto quel teatrino che aveva inconsapevolmente creato.

Per quanto si sforzasse di seguire le lezioni e portare avanti la sua vita in maniera normale, qualcosa dentro di lei era completamente cambiato. La sua mente non faceva che tornare a quella notte nella lavanderia, a quelle mani che si toccavano per la prima volta.

Ogni volta che il suo pensiero si soffermava su quella scena il suo cuore saltava un battito. Sentiva dei piccoli brividi scendere dalle spalle fino alla schiena e nuove sensazioni si impadronivano del suo corpo. Riusciva a percepire l’odore dei capelli della bionda, un misto di vaniglia e caramello. Rivedeva nella sua mente quegli occhi blu, grandi e profondi come l’oceano e desiderava immergervisi dentro, completamente, per non uscirne mai più. Willow non voleva ammetterlo ma desiderava toccarla ancora.

Erano stati pochi attimi e la sua mente razionale non si capacitava di come avessero potuto avere un impatto così devastante nella sua vita. In fondo non era successo niente. Aveva toccato moltissime mani, non voleva dire nulla. Ogni volta che pensava a Tara, però, un sussulto si impadroniva del suo corpo e della sua anima, Willow vibrava.

Non tutto ciò che le veniva alla mente, però, era positivo. A volte si susseguivano flash di immagini confuse, intrise di odio e collera. Vedeva un piccolo borgo perso tra le colline, uno spazio angusto e scuro dove l’odore di urina si mischiava a quello della disperazione, percepiva delle forti fitte di dolore nella schiena e sulla pancia.

Il tutto durava pochi attimi, intensi e dolorosi, e si concludeva sempre in una sola maniera: vedeva il sorriso di Tara e quegli occhi blu che la chiamavano per avvicinarsi. Allora spariva la collera, l’odio, il dolore.

Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Buffy, e non era intenzionata a farlo. Era un suo piccolo segreto. E poi c’era altro che impensieriva la cacciatrice. Non era sicuramente il caso di disturbarla.
 
 
---


Dopo quel caffè, all’indomani dell’incontro con i gentiluomini, Tara non aveva più visto né sentito Willow. Ogni tanto la scorgeva nei corridoi del campus ma non aveva il coraggio di avvicinarsi a lei, pur volendolo con tutta se stessa.

Quello che aveva provato, ciò che Willow le aveva fatto sentire, forse riguardava solo lei. Probabilmente aveva frainteso il modo di fare della rossa. Era stata gentile, certo, sembrava felice della nuova conoscenza e anche un po’ inebetita dalla sua presenza, come affascinata, in un certo modo. Eppure, nel corso di tutta la settimana, non l’aveva più contattata.

“Lo vedo come la guardi. È il male dentro di te che la guarda”

Mai avrebbe potuto immaginare che la causa di quell’assenza, che voleva essere una totale e assordante presenza, era il tentativo di sventare un’apocalisse. L’ennesima che Willow si trovava ad affrontare, di nuovo nel cuore di Sunnydail, nel suo vecchio liceo, come nei bei tempi che furono.

Tara, tutto questo, non poteva neanche immaginarlo mentre il suo cuore si faceva piccolo piccolo, solo e intristito da quella battuta d’arresto che lei aveva immaginato essere l’inizio di qualcosa di bello.

“Lo vedo come la guardi. È il male dentro di te che la guarda”.
 
--- 1587, Triora, Italia


“Stanno arrivando per noi!” disse Isotta con un filo di voce “Sono convinti che sia colpa nostra. Ho sentito delle voci in paese, probabilmente domani non avremo scampo”.

“Lo so, lo so. Su questo non possiamo farci niente.” le rispose Flora.

“Quindi sei disposta ad arrenderti?” replicò Isotta con aria allarmata.

“No, certo che no. Io non mi arrenderò mai, non se vogliono prendere te” disse Flora abbozzando un sorriso. “Possono avere me se vogliono, ma tu sarai al sicuro. Ho un piano. Loro non saranno qui prima di domani sera, nel mentre ci organizzeremo”

“Come possono prendere te? Cosa significa? Cosa intendi?” chiese Isotta al culmine della preoccupazione.

“Lo vedrai più tardi, a notte fonda. Non ti prenderanno, lo promet…”

Mentre Flora stava finendo la frase la robusta porta di legno venne scardinata con un potente calcio, cadendo rumorosamente sul lieve strato di terriccio che ricopriva il pavimento della cucina.

Quattro uomini, muniti di crocifisso e rosario, entrarono nella piccola stanza scarsamente illuminata da un paio di candele, altri due rimasero fuori ad attendere. Le galline nell’aia sul retro cominciarono ad agitarsi, i cani presero ad abbaiare in maniera furiosa e i vicini, incuriositi da tutto quel rumore, avevano acceso le lampade ad olio godendosi lo spettacolo dalle finestre.

“Isotta Stella e Flora Liano siete accusate di pratica di magia nera, cannibalismo, assassinio di neonati e stregoneria. Sarete giudicate in nome di Iddio Onnipotente, davanti a Dio e al popolo” disse nervosamente uno dei quattro, sudando copiosamente e con la voce tremante.

Non ci fu tempo di pensare o replicare. I due uomini rimasti fuori, muscolosi e totalmente coperti da vesti, entrarono della stanza portando con sé delle grosse assi.

Sbatterono le due donne per terra, senza traccia di gentilezza o magnanimità e, nonostante i tentativi di ribellione delle due, le legarono strettamente alle assi. Le spesse corde cominciavano a lacerare la carne nei punti in cui erano più strette e la pelle più morbida. Le streghe, sollevate da terra, vennero portate fuori dalla loro abitazione.
I vicini gioirono e qualche curioso uscì di casa per gustarsi al meglio la scena. In poco tempo si formò una piccola folla.

“Rossa del demonio avrai quello che ti meriti!” gridavano gli uomini in coro carichi di odio, ma Flora non li sentì, non sentiva o capiva niente, andava tutto troppo veloce.

Le portarono fino all’ultimo piccolo complesso di case del paese. Aprirono un grande lucchetto che sbarrava l’entrata di una catapecchia fatiscente. Le spinsero a forza dentro, facendole cadere ancora legale alle assi. Isotta batté pesantemente la testa su un sasso acuminato, un fiotto di sangue cominciò a sgorgarle dalla tempia destra macchiandole il vestito. Svenne mentre il sangue creava una piccola pozza impregnandole i capelli.  Flora gridò il suo nome ma non ottenne risposta.

La porta si chiuse e l’oscurità le inghiottì.
---
 
“P-pronto?” disse Tara rispondendo al telefono della sua stanza.

“Ciao!” disse una voce entusiasta dall’altro capo del telefono “Scusa se non mi sono più fatta sentire ma ho avuto molti problemi, avrei voluto però…”. Quella frase le scappò e per un’istante pensò di aver fatto un passo falso.

“Willow?” chiese Tara, pur avendo riconosciuto la voce che faceva parte dei suoi sogni ancora prima di conoscerla.

“Sì sono Willow, che maleducata non mi sono neanche presentata. Ho chiesto il numero in segreteria e ho chiamato” concluse, sentendosi la regina dell’ovvio.
“N-no, tranquilla. È b-b-bello sentirti” rispose Tara. Aveva balbettato troppo, l’emozione l’aveva tradita ancora una volta. Si sentì avvampare, divenne rossa e ringraziò la Dea di non poter essere vista. Willow trovò quella frase e quel modo di balbettare dolcissimo.

“Senti, ti va di provare qualche incantesimo con me stasera? Cioè, se hai voglia”.

“Certo che mi va!” rispose immediatamente la bionda sorridendo “P-puoi venire qui quando vuoi, io sto in una singola. È la 111 e per te la mia porta è sempre aperta” si pentì immediatamente di quella frase che poteva risultare un po’… ambigua “Cioè, io…volevo dire, intendevo…”

La rossa rise forte. “Ci vediamo per le otto?”

“Perfetto, allora ti aspetto!” rispose Tara felice come non mai.

“Ancora una cosa: ti piacciono gli hot-dog?”

“Certo” rispose la bionda.

Willow riagganciò. Erano le sette e aveva un’ora per prepararsi e andare da Tara.

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“Ciao” disse Willow cercando di dissimulare l’emozione.

“Ciao” rispose l’altra raggiante aprendo la porta per farla entrare.

“Ho preso la cena. Non sapevo quali salse ti piacessero e allora ho preso un hot-dog solo con ketchup, uno con la senape, uno con la maionese e uno con ketchup e maionese. Poi ho pensato che avrei dovuto fare anche tutte le altre combinazioni, tipo maionese-senape e senape-ketchup o maionese-senape-ketchup e sono andata in confusione. Oddio… non ne ho preso neanche uno senza salse! Non è che non ti piace nessuna salsa? Posso tornare dove li ho presi e..” disse Willow davvero preoccupata.

“Willow mi piacciono le salse, tutte, davvero. Non ti preoccupare” le rispose Tara divertita da quel delirio. Nessuno era mai stato tanto premuroso con lei e gliene fu grata.

“E l’aranciata? La bevi?” le chiese Willow con apprensione e sospetto, finendo col ridere della sua paranoia.

“Sì, bevo anche quella” disse Tara ridendo a sua volta.

Le due si sedettero per terra e mangiarono sul grande tappeto che Tara aveva comprato al mercatino dell’usato. Fu felice di quell’acquisto.

“Mi piace la tua stanza” disse Willow coricandosi sul tappeto “è così rilassante. Sembra un mondo a parte”.

“Sono contenta che ti piaccia. Quando sono arrivata qui era vuota ma non potevo pensare di passare tutti questi anni in una stanza spoglia…”

“Perché tu non torni mai a casa?” chiese Willow senza pensarci troppo.

“No, mai” rispose la bionda con la voce improvvisamente triste.

Willow decise di lasciar perdere le domande e cambiare argomento.
 
--- 1587, Triora, Italia

Flora si era avvicinata a Isotta strisciando sul terreno, portandosi appresso l’asse di legno dalla quale non era ancora riuscita a slegarsi. Il tempo dentro quella catapecchia sembrava non esistere e Isotta continuava a non svegliarsi. Il suo respiro, però, era lento e regolare. La rossa sentiva l’odore ferroso del sangue mentre cercava di sciogliere i nodi che la tenevano prigioniera. In quell’agonia pianse lacrime amare, lacrime cariche di disprezzo. Non temeva per la sua vita ma doveva ad ogni costo difendere quella di Isotta.

Dopo un tempo che parve interminabile riuscì a slegarsi. Cercò tastoni la compagna, la slegò dal legno che le premeva pesantemente contro la schiena, e delicatamente poggiò la testa di lei sopra alle sue gambe. La ferita sanguinava copiosa ma almeno con le mani libere avrebbe potuto tamponarla con un lembo del suo vestito.

“Dove ci hanno condotto?” chiese debolmente Isotta.

“Non lo so tesoro, in una piccola baracca al limite del bosco. Tu sei caduta su di un sasso e sei svenuta. Ma ora va tutto bene” le disse dolcemente Flora scostandole dal viso una ciocca di capelli insanguinata.

L’oscurità era totale e le due non potevano vedersi. Rimasero abbracciate tutta la notte, fino a quando la luce dell’alba non si lasciò intravedere dai piccoli buchi fra le pietre che componevano quella squallida baracca.

Isotta era pallida, già allo stremo delle forze. Aveva perso molto sangue e la testa le girava vorticosamente ad ogni tentativo di mettersi in piedi.

Con l’alba arrivarono anche i loro aguzzini. Qualcuno bussò alla porta ma non aprì.

“Signore…” disse un uomo con tono nervoso “il vostro processo inizierà a breve. Verrà un prete della curia e un paio d’altri uomini. Confessate i vostri peccati o dovrete vedervela con Dio e poi con le fiamme”. Purtroppo non era una metafora e non intendeva l’inferno.

Le due donne vennero divise. Isotta, presa per prima e costretta ad entrare dentro una botte, venne condotta da tre uomini in un altro casolare, più ampio ma comunque inospitale. La fecero uscire e immediatamente la alzarono da terra, prendendola bruscamente per la vita e issandola su di uno sgabello attaccato al muro. Si trovava in quella che doveva essere un tempo una stalla. Alcune candele erano appoggiate per terra, insieme a una frusta, un paio di coltelli e altri arnesi acuminati e metallici a cui non avrebbe saputo dare un nome.

Le strapparono tutti i vestiti e la legarono mani e piedi a delle grosse catene attaccate al muro a cui dava le spalle. L’uomo che l’aveva presa in braccio tirò un violento calcio contro lo sgabello sul quale la strega era in piedi, facendola precipitare. Un forte dolore alle articolazioni delle braccia la fece urlare. Sospesa in quel modo riusciva a stento a toccare il terreno. Sapeva che, secondo l’Inquisizione, la terra era la fonte del loro potere ed entrare a contatto con essa significava tratte forza dal demonio.

Nuda, insanguinata, legata. Nessuno era intenzionato a portarla a processo, non ci sarebbe stato nessun tentativo di difendersi, per quanto Isotta fosse ben conscia che non ci sarebbe riuscita comunque. Avrebbero trovato il modo di farla cadere in errore e condannarla.

Arrivò il prete e, sguainando un crocifisso, cominciò a pronunciare una litania in latino.

L’uomo incappucciato che si era occupato di issarla sulle catene cominciò a sistemare i suoi attrezzi da lavoro. Isotta non poteva vederlo in volto e neanche una minima parte di corpo, in lui, era scoperta. Altra protezione contro le streghe, per evitare di essere ammaliate dal loro tocco demoniaco.

Tramite una torcia poggiata al fondo della parete opposta a quella in cui la strega era appesa, l’aguzzino accese una candela. Si avvicinò a lei con la candela in mano.

“Strega, creatura immonda figlia del demonio, confessi di aver praticato rituali di magia nera per portare la carestia nel paese?” disse l’uomo urlando.

Isotta non rispose.

“Immonda creatura, confermi di aver mangiato le carni di bambini innocenti per raggiungere i tuoi vili e demoniaci scopi?”

Di nuovo non ottenne risposta.

“Se è questo ciò che desideri…” disse piano, sottovoce, con odio profondo.

L’uomo avvicinò la fiamma della candela al seno della strega. La carne cominciò a bruciare. Isotta urlò di dolore, le lacrime agli occhi non le consentivano di vedere più niente. Pochi secondi e la candela venne tolta.

“Strega, creatura immonda figlia del demonio, confessi di aver praticato rituali di magia nera per portare la carestia nel paese?” ripeté l’uomo.

“No, non sono stata io” urlò Isotta.

La candela si avvicinò di nuovo alla sua carne, nello stesso punto bruciato in precedenza mentre una piccola folla prendeva posto nella stalla per guardare il macabro spettacolo.
   
 
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