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Autore: Tenar80    21/08/2019    3 recensioni
Se è negli occhi di chi ci ama che troviamo una versione migliore di noi stessi, cosa succede se smettiamo di guardarci negli occhi?
Manca una settimana ai mondiali del 2022, l'ultima gara di Yuuri dopo il secondo oro olimpico. Tutto dovrebbe essere perfetto. Dovrebbe.
Di Victor che non sa più chi è.
Di Yuuri che non sa chi vuole essere.
Di Otabek che sa troppo bene chi dovrebbe essere.
Di Yurio che si è perso
Questa storia fa parte della serie "Stagioni"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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– 1  giorno ai Campionati Mondiali di Osaka

 

    Yuuri dormiva.

    A pancia in giù, con la testa di lato, una guancia schiacciata nel cuscino. Una mano emergeva dalle lenzuola e ogni tanto si contraeva nel sonno, come se volesse aggrapparsi al materasso.

    Victor lo osservava seduto sul proprio letto, già vestito, anche se non era ancora l’alba.

    Nonostante tutto, gli suscitava una tenerezza infinita.

    Anni prima, quando si era trasferito in Giappone da poco e cercava ancora di far convivere il grande atleta simbolo della Russia con la sua nuova vita, aveva cercato di spiegare a Chris cosa fosse Yuuri per lui.

    «Non c’era mai stato nulla di puro nella mia vita, prima».

    Bene, anche quell’idea di purezza se ne era andata per sempre.

    E tuttavia Yuuri rimaneva Yuuri. Qualcosa di prezioso e fragile e bellissimo. Da proteggere e costudire contro tutto e tutti. Anche e sopratutto dallo stesso Victor.

    Non avrebbe mai voluto svegliarlo. Avrebbe preferito congelare tutto e rimanere a guardarlo in quel modo per sempre. Forse, morire in quel momento, insieme a lui.

    Aspettò ancora un istante, per imprimersi ogni particolare nella memoria, per quando non avrebbe avuto più null’altro di lui.

    Poi allungò la mano e gli accarezzò il viso.

    Yuuri mugugnò qualcosa e girò il viso dall’altra parte. Lasciando comunque una guancia scoperta. In una qualsiasi altra mattina Victor si sarebbe goduto il momento.

    – Buongiorno – gli disse, quando finalmente Yuuri aprì gli occhi e cercò di metterlo a fuoco con gli occhi miopi.

    – Mmmm...

    – Tra meno di due ore hai l’allenamento.

    – È tra un sacco di tempo.

    La testa si infilò direttamente sotto il cuscino.

    Con un sospiro, Victor lo requisì.

    – No. Mettiti gli occhiali.

    Il giapponese sbuffò, ma li cercò a tentoni sul comodino e se li infilò, mentre Victor estraeva il proprio cellulare.

    – È questo che mi dovevi dire dopo la gara? – chiese il russo, mostrando la foto di Yuuri e Izumi.

    Il giapponese afferrò il cellulare, mentre si metteva seduto. Scosse il capo e lo restituì.

    – Anche.

    Bene. Nessuna patetica frase sul fatto che non fosse come sembrava o cose del genere. Erano adulti, no? Potevano chiudere la questione in modo civile. Potevano?

    – Quanto sei arrabbiato? – chiese Yuuri.

    – Non provo niente adesso – rispose Victor, sincero. – Mi sento solo vuoto. Ed esausto.

    Yuuri annuì.

    – Mi arrabbierò, però – aggiunse il russo. – E sarebbe preferibile per te essere lontano in quel momento.

    Yuuri annuì di nuovo.

    Sembrava… Stanco? Svuotato quanto lui? Del tutto indifferente?

    – È stato Yurio a postare la foto? – chiese.

    – Yurio? No, è stato Zhang – rispose Victor.

    Questo causò un mezzo sorriso amaro sulla labbra di Yuuri.

    – E io che pensavo di aver visto il peggio con J.J… Evidentemente spera di destabilizzarmi così.

    – La foto è falsa? È un fotomontaggio?

    Victor non ci credeva, ma una parte di lui era disposta a far finta di farlo, almeno fino al termine dei mondiali.

    – No. Ieri sera ho baciato Izumi – disse Yuuri. Con sforzo evidente alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi. – Non ho scuse. 

    – Ti metterai con lei?

    Yuuri scosse il capo.

    – Voleva una vacanza con me, non una storia – sospirò. – Speravo di essere una persona migliore, Victor. Ti meritavi una persona migliore, ma sono così.

    Il russo valutò l’idea di sollevare Yuuri di peso e scrollarlo fino a fargli dire in faccia il perché. Ma a cosa sarebbe servito? Lo sapeva già il perché. Si era chiuso talmente in se stesso e nei suoi guai da tagliare fuori Yuuri. Non aveva più niente da dargli e lui lo aveva capito. Ma erano dei professionisti. E il giorno dopo c’era il corto dei mondiali.

    – Non ce la faccio a venire all’allenamento, oggi – disse. Adesso ogni parola era come un bolo pieno di spine da tirare fuori dallo stomaco. Ogni singola sillaba faceva sanguinare – Ho già sentito Celestino. Ti darà un occhio lui. Gli ho detto che non provi i salti da giorni… Intanto mi faccio trasferire in un’altra stanza. Nel pomeriggio parlerò con Celestino e vedremo di sistemare al volo le ultime cose. Mi spiace.

    – Victor, io…

    Ecco, quello era il tono delle scuse. Quello che voleva a tutti i costi evitare.
    Ma Victor non voleva sapere, non voleva parlare o ascoltare. Voleva solo che Yuuri se ne andasse e lasciarsi cadere sul letto. Sarebbe arrivato il dolore. Sarebbe arrivata la rabbia. Il desiderio di sapere. La necessità di farsi ancora più male nel sentirsi urlare addosso tutto quello che aveva fatto, o non fatto, per portare Yuuri a quel punto. Ma non adesso. Non era una questione di volontà. Semplicemente non ce la faceva. Ogni parola, ogni gesto, era una fatica insopportabile.

    – Sono ancora il tuo allenatore. Per tre giorni. E sarà terribile, ma cercherò di farlo con la massima professionalità. Ma non sono più null’altro.

     

    Nel giro di dieci minuti Yuuri era pronto ad uscire. Dieci minuti in cui Victor era stato del tutto immobile a fissare la decorazione azzurra e gialla delle lenzuola del letto, senza riuscire a fissare un pensiero o una sensazione, che non fosse quello stordimento vuoto, come il risveglio da una sbronza triste.

    – Victor? – disse Yuuri.

    Stava già uscendo. Aveva la porta già aperta e un piede fuori dalla sua vita.

    – Sì?

    Yuuri si fermò un attimo sulla soglia, incerto, prima di parlare.

    – Non stare da solo. Questa mattina, non stare da solo.

 

*

    Otabek sospirò.

    Era un po’ che non gli capitava di sentirsi solo durante un allenamento ufficiale prima di una gara importante. Senza Yuri nello spogliatoio con lui. Yuuri non era ancora arrivato e, in tutta sincerità, il kazako sperava di averci a che fare il meno possibile. Gli altri erano quasi tutti degli illustri sconosciuti. La verità era che iniziava ad avere un’età per cui la maggior parte degli atleti con cui aveva condiviso gli ultimi dieci anni si erano ritirati. Anche se non era un tipo propriamente espansivo, erano facce note, che era abituato a vedere, a leggere. Con qualcuno di loro era stato anche in grado di scambiare due parole in modo civile, in alcuni casi anche piacevole. 

    Basta, era meglio così. Niente distrazioni, pensare solo alla gara. Il suo allenatore lo aspettava a bordo pista e lui doveva fargli vedere le modifiche alla coreografia che aveva studiato con Yuri e Victor. Vedere se era davvero in grado di fare quei movimenti che agli stramaledettissimi russi uscivano così semplici dopo i salti e tutto il resto.

    Fece per uscire dallo spogliatoio e proprio sulla porta apparve Zhang.

    Otabek inspirò e si obbligò a distendere le mani.

    – Ho visto che la tua fidanzatina si è ritirata – esordì il cinese. – È davvero una ragazzina se le fa ancora male la spalla per quella stupida caduta.

    – Se pensi di far squalificare me portandomi a romperti il naso nello spogliatoio ti sbagli di grosso – sibilò Otabek.

    – Far squalificare te? E perché mai dovrei? Non sei certo un avversario temibile.

    – Intanto alle olimpiadi ti ho dato tre punti – replicò il kazako. – Ricordatelo.

    Quello gli aveva fatto male. Otabek lo vide stringere i denti, proprio come se avesse appena ricevuto un pugno. Per un istante, un istante soltanto, apparve per quello che era, un ragazzo appena diciottenne, caricato di troppe aspettative.

    – Questa è un’altra faccenda – disse, dopo che ebbe recuperato il pieno controllo di sé. – Tu sei un bravo soldatino, Altin, ma non sei, non sarai mai, un campione del mondo. Ce l’hai un salto che nessun altro al mondo sa fare? Perché è con quello che si vince, non con i movimenti da accademia.

    – Si vince con i salti o con le foto pubblicate nelle notte? – ringhiò Otabek, per non far capire che adesso era lui che era stato colpito.

    – È solo una cosa che mi è stata girata. Magari a Kastsuki fa piacere far vedere che è diventato un uomo.

    Al diavolo tutto. Adesso gliela spacco, la faccia…

    – Scostati. Devo andare ad allenare i miei movimenti da accademia – ringhiò.

    Con una saggezza che quasi dispiacque a Otabek, Zangh lo lasciò passare.

 

    – No, non mi sono fatto distrarre da quello che è successo agli altri – disse Otabek al proprio allenatore.

    Possibile che non ci fosse nessuno, proprio nessuno, all’interno del mondo del pattinaggio che non avesse visto la foto di Yuuri e non ne avesse tratto le proprie conclusioni? 

    – Mi dispiace per loro, ma te l’ho detto, io questa gara devo vincerla.

    E doveva anche iniziare a pensare a come.

    Un salto che nessun altro sa fare…

    Yuuri, che stava entrando in pista proprio in quel momento, scuro in volto, avrebbe fatto il quadruplo Axel. Alle olimpiadi, maledizione a lui, lo aveva piazzato addirittura nella seconda metà del programma e si era portato a casa il record del mondo. Zhang a quanto pareva intendeva essere il primo atleta al mondo a completare in gara un salto quintuplo. E lui, con i suoi stupidi quattro quadrupli, con il Lutz ancora da ottimizzare e un ginocchio che tutto voleva fare meno pattinare, dove pensava di andare? E sì che era il migliore, il migliore davvero, tra gli esseri umani, tra quelli che non erano gli “unici al mondo a…”.

    Basta. 

    Doveva provare la propria coreografia. Piangersi addosso non era mai stato il suo modo di stare sul ghiaccio. Né mai si era illuso che fossero tutti amici. Era una guerra, no? E in guerra non sempre vince il miglior condottiero. A volte vince chi ha più resistenza o costanza e sa stringere i denti.

    A proposito di stringere i denti…

    Yuuri aveva inizia a provare il proprio corto, ma si era bloccato prima del primo salto ed era tornato ad appoggiarsi alla balaustra del bordo pista. Victor non c’era, ovviamente. A quanto pareva era stato arruolato per l’occasione il suo vecchio allenatore italiano. 

    Otabek vide che anche Zhang era arrivato in pista e stava puntando con decisione verso Yuuri.

    Se quella era una guerra, anche gli alleati potevano sbagliare, ma non dovevano in ogni caso essere lasciai soli ad affrontare il nemico.

    – Yuuri? – lo chiamò, quando fu vicino.

    Il giapponese aveva una faccia… Beh, non ci si poteva certo aspettare che fosse rilassato e sorridente.

    – Quella foto… Non l’abbiamo scattata o messa in giro noi – disse.

    Yuuri scosse il capo.

    – So che non l’avreste mai fatto.

    Zhang intanto aveva visto che non era cosa e si era rassegnato ad allenarsi.

    Bene, anche Otabek doveva farlo.

    – Otabek…? – lo chiamò Yuuri.

    – Sì?

    – Questa cosa, il pattinaggio, l’ho sempre odiata almeno quanto l’ho amata.

    – Credo che valga più o meno per tutti noi – replicò Otabek. – Nessuno ha idea, davvero, da fuori, di quanto male faccia…

    Kuma era lì anche quel giorno per riprendere gli allenamenti, un po’ meno invasivo del solito. Di certo vedeva un gruppo di persone scivolare sul ghiaccio, apparentemente senza peso, eseguire con naturalezza una serie di esercizi che sembravano di una banalità sconcertante. Nulla dava l’idea del dolore che ciascuno di loro si portava appresso, delle articolazioni a un passo dal cedere, dai muscoli tesi oltre il naturale o dei cuori spezzati.

    – Abbiamo costruito tutta la vita sull’idea che ne valesse la pena – continuò Yuuri. – Nonostante tutto e tutti. A costo di sacrificare qualsiasi cosa…

    – Ne vale la pena. Non siamo nessuno senza i pattini ai piedi. Ma qui noi possiamo… Beh, quasi qualsiasi cosa.

    Salvare la propria famiglia. Costruirsi un amore impossibile. Conquistare il proprio brandello di eternità.

    Yuuri annuì.

    – Mi prendo una pausa – disse. – Scusami con Celestino, se mi cerca. E non preoccuparti per quella foto. Sarebbe uscito comunque. È andata bene così.

    Detto questo si avviò verso l’uscita della pista.

    – Yuuri! – gli disse Otabek, inseguendolo. – Non fare cazzate, ok? Non farci preoccupare. C’è un sacco di gente che ti vuole bene.

    – Lo so. Va tutto bene. È proprio per questo che ho bisogno di fermarmi un attimo per pensare.

 
   
 
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