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Autore: Jiyuu    26/08/2019    1 recensioni
Un antico nome sussurrato come leggera brezza da labbra rosee, il suo significato sconosciuto ormai perso in una lingua non più utilizzata.
Una nuova bambina.
Mani in più per lavorare, donna da dare in moglie; poche erano le alternative in una società simile. Mezzi per procreare e alle volte oggetti sfruttati dai pescatori, alle donne non restava altro se non difendersi con ogni mezzo. Non si assicurava niente a nessuno, né un pasto caldo la sera, né protezione per i giusti e la punizione per i devianti.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Aela.

Un antico nome sussurrato come leggera brezza da labbra rosee, il suo significato sconosciuto ormai perso in una lingua non più utilizzata.
Una nuova bambina.
Mani in più per lavorare, donna da dare in moglie; poche erano le alternative in una società simile. Mezzi per procreare e alle volte oggetti sfruttati dai pescatori, alle donne non restava altro se non difendersi con ogni mezzo. Non si assicurava niente a nessuno, né un pasto caldo la sera, né protezione per i giusti e la punizione per i devianti.
La bambina fu data alla luce in autunno inoltrato, nei primi tempi del solstizio d'inverno; quando uno strato di ghiaccio andava formandosi nelle fredde e calme acque dei laghi, quando le prime spolverate di neve contribuivano a rendere il paesaggio un candido paradiso d'ovatta. Un paradiso certo, ma era solo una maschera, il bianco passaggio del gelo non portava solo neve con cui giocare e da fare sciogliere sulla lingua, portava soprattutto la fame e il freddo. L'inverno selezionava soltanto coloro che erano in grado di superarne le insidie. Uno spietato, a volte ingiusto, selezionatore di chi aveva il diritto alla vita e chi non era in grado di mantenerla.
Nacque in una delle tante case del villaggio, piccole costruzioni in legno che a stento trattenevano il calore del fuoco; il quale ardeva, divorava e consumava senza pietà le scorte di legname faticosamente ottenute durante i mesi più caldi; tanto bastava alle modeste famiglie abituate alle temperature rigide di quel luogo.

Il concepimento di Aela non fu voluto, né tantomeno ricercato, ma fu tenuto nascosto per il futuro della bambina; per l'orgoglio di chi l'aveva partorita.
La madre si chiamava Caesius, un nome comune in quelle fredde terre per una donna tutt’altro che comune. Capelli nero pece creavano un affascinante contrasto con l'incarnato pallido della giovane donna dalle labbra rosee; una bellissima dea della caccia che uccideva in modo efficace ed efficiente le sue prede, le attendeva, le seguiva e silenziosamente scoccava una freccia. Corpi inerti, senza vita, cadevano al suolo.
Poteva sentire il battito accelerato dei loro cuori quando si rendevano conto del pericolo imminente; poteva vedere lo spasmo dei muscoli contratti nel punto in cui il metallo e il legno trapassavano la carne; poteva avvertire l'odore del sangue caldo che imbrattava le preziose pellicce; poteva sentire i suoi stessi muscoli contratti per la presa ferrea sull'arco rilassarsi e il suo stesso respiro regolarizzarsi.
Consapevole del valore di ciò che prendeva il suo sguardo sembrava distante e luminoso come una gioia macabra che le pesava sul cuore.
Era una ragazza piuttosto bassa per la media ma soprattutto taciturna e riservata, pochi erano i sorrisi riusciti a scappare al broncio che dominava sul suo volto. Aveva passato l'adolescenza con la madre a preparare medicinali e ad impararne la composizione, era una ragazza sveglia, quegli insegnamenti non sarebbero andati perduti. La loro capanna era isolata e non era raro sentir parlare di loro come persone strane, studiose di una scienza ormai perduta e tramandata nella loro famiglia.
Il giorno del suo compleanno, al raggiungimento della maggiore età un’ombra si abbatté sulla sua vita.
Poche erano le festività per quella gente che non poteva contare mai su un pasto sicuro e abbondanza per la famiglia; quindi ogni piccolo cambiamento era una scusa per preparare un grande banchetto e ballare un po'; permettendosi di non pensare alle fatiche del lavoro fino al giorno seguente. La maggiore età veniva festeggiata in grande stile e questo era proprio l'anno di Caesius. Banchetti, danze, alcolici venivano consumati intorno al fuoco a cui era riunito praticamente tutto il villaggio.
Caesius venne trascinata nei balli, costretta dall'ancheggiare delle amiche a seguire il ritmo in quella notte che portava con sé i segni della primavera inoltrata ma anche dell'inverno appena passato; una danza dionisiaca che animava e guidava gli sfrenati balli nei giorni di lavoro. 

Uno sguardo incombeva su di lei come sentenza, il futuro segnato nell'istante stesso in cui gli occhi, quegli occhi color carbone si posarono sul suo corpo appena sbocciato.
La ragazza bevve non lo aveva mai fatto e presto iniziò a sentirne gli effetti, il sui movimenti si fecero più incerti ma non accennavano a cessare. L'uomo se ne era accorto benissimo.
Dopo il loro culmine, le danze si fecero meno frenetiche, le torce si spensero e gli animi si assopirono.

Era ormai giunta l'alba. Le prime luci riflettevano sule gelide acque e il canto degli uccelli si levava dagli alberi fino a raggiungere il cielo.
Occhi di ghiaccio liquido erano nascosti da palpebre appesantite dal sonno sotto quel cielo pallido; esse vibrarono leggermente, mani fredde e callose si posarono sulle sottili gambe. Quando quelle stesse mani iniziarono la risalita per il corpo della giovane donna essa non poté che svegliarsi di scatto liberando i ghiacci all'interno dei suoi occhi.
Occhi color della pece la squadravano spietati, analizzavano ogni sua parte, ogni movimento, e allo stesso tempo la incatenavano al terreno.
Petrolio nel Ghiaccio.

La gola era secca e doleva terribilmente alla giovane Caesius che non riuscì ad emettere nessun suono se non un rantolo disperato; non riusciva a muoversi, i suoi arti bloccati da pesi invisibili ed irremovibili, la paura e la sorpresa la opprimevano.
Dolore.
Sentiva quel corpo viscido muoversi sul Suo, le mani fredde violare la Sua carne, la sofferenza aumentare. Una danza volgare e oscena; solo questo si poteva vedere da fuori, solo questo la ragazza poteva percepire in totale apatia troppo scossa per reagire.

Lo riconobbe, si impresse nella mente quel volto per non poterlo dimenticare mai.
Un liquido appiccicoso bianco e rosso le imbrattava le cosce; gli occhi pieni di vita erano spenti, lattei, come se non potessero riconoscere nella in quel mondo pallido e sfocato di lacrime mal trattenute.
L'ultima stella spariva nel cielo ormai completamente celeste e la giovane cacciatrice riusciva a distinguere solo quel colore tra le foglie degli alberi scosse dal vento leggero.
La ragazza non vide l'uomo alzarsi e sistemarsi i calzoni, come non lo vide osservare il suo corpo ora ricoperto di lividi e addentrarsi tranquillamente nella foresta qualche minuto più tardi.
Il tempo passò, il vento si alzò portando da ovest nuvole scure; il corpo abbandonato sul muschio tremò, le membra pesanti attraversate da uno spasmo.
Non una lacrima, non un lamento si levarono dalla giovane.
Gli occhi prima liquidi si erano induriti nel più freddo e duro ghiaccio, inoltre sfidavano con strana aggressività il paesaggio, in netto contrasto con la fragilità che il corpo cosparso di lividi e abrasioni trasmetteva. 
Una fitta le partì dal bassoventre e le aggredì la mente, una consapevolezza si fece spazio con malsana irruenza in lei così che un dolore più profondo divampò senza pietà.
Aggressiva e determinata si alzò di fretta ma un capogiro la colse facendola ricadere sul muschio che ricopriva le rocce sulle quali era distesa. Si mise a osservare il bosco e a cercare un qualsiasi riferimento; si accorse di essere lontano dai festeggiamenti della sera prima e in un luogo piuttosto nascosto nella foresta.
Caesius si rialzò in piedi, stavolta più lentamente. Un conato causato dallo stomaco sotto sforzo la costrinse ad accasciarsi a terra mentre si liberava di cibo ed alcool consumati durante i festeggiamenti, tossì e faticò a respirare. La sua azione le scatenò un senso di disgusto verso il suo stesso corpo, verso quell'uomo il cui seme ancora imbrattava le pallide cosce. La smorfia di disgusto che deturpava il viso della giovane si appiattì, una consapevolezza si era fatta spazio in lei, una nuova determinazione; il ricordo di un volto.
Un volto che lei stessa conosceva, che credeva amico ma che si era rivelato essere ben altro.
Per un momento si poterono udire delle risa che parevano portate dal vento; la donna si pulì il ghigno dai residui di vomito con il dorso della mano e le risa si interruppero.
Conosceva il nome del suo aggressore, non doveva avere fretta. Un senso di umiliazione e di sporco si impossessarono di lei ma non del suo sguardo freddo, si incamminò verso il fiume ancora gelido dall'inverno appena trascorso.
Si tolse gli ultimi lembi del candido vestito che aveva scelto con cura e risparmiato tanto per possedere, li abbandonò sul manto erboso.
Un passo alla volta Caesius si immerse nelle fredde acque, si lavò il più possibile all'inizio quasi con foga arrossando la pelle e cercando di togliere ogni residuo di quell'atto.
l'acqua gelida le schiarii la mente, le avviluppò le gambe tremanti e lenì il dolore alle ferite; come un conforto, ma, migliore di qualsiasi parola e di qualsiasi aiuto. Chiuse gli occhi.
La cacciatrice poteva ancora udire il suono basso e vibrante dei tamburi, i movimenti delle ragazze che la circondavano, la sensazione della fredda terra sotto i piedi nudi e liberi dalle scomode calzature ornate, l'odore di fumo e carne che le riempiva le narici, il sapore dell'alcool in bocca, la testa leggera e le membra pesanti. Una miriade di colori e suoni occupavano quel ricordo con prepotenza fino al buio, il nero del sonno.
Quella sera la ragazza era troppo stanca e spossata per tornare a casa e si lasciò cadere sul muschio, prima suo rifugio e ora sua condanna.
Basta.
La vendetta non sarebbe tardata ad arrivare.
Il corpo nudo e volato uscì dal fiume e si rimise i vestiti della sera prima lavati velocemente e ora fradici, si addentrò nel bosco con passo calmo ma inarrestabile.
Poco dopo mani piccole e indurite, dalla caccia e dal freddo, si posarono sulla porta di un umile capanna aprendola e liberando il calore rinchiuso al suo interno.
Una donna anziana dai capelli bianchi raccolti in una treccia morbida, un grembiule nero e rosso, una giovane donna che cadeva a terra priva di sensi.
Da quella notte passarono mesi e oggi, questa dolce creatura, in una piccola culla malmessa non urla. Non si preoccupa del suo futuro, non sa che sfide dovrà affrontare e non si rende ancora conto della forza con cui dovrà affrontarle. E proprio nel suo non sapere non può fare altro se non far saettare gli occhi chiari da una parte all'altra della stanza, muovendo con loro le piccole e paffute manine. Di tanto in tanto la piccola si sofferma a guardare fuori dalla finestra, pare quasi rapita dai candidi e soffici fiocchi, di quella che avrebbe poi chiamato "neve", attecchire al suolo. Poi come ripresa da un sogno agita velocemente la testa e torna a far vagare lo sguardo all'interno della calda capanna. La neve ha presto imbiancato ogni cosa, ogni angolo di foresta, regalando uno spettacolo di bianca ovatta. Un paesaggio che può sembrare sicuro anche se freddo ma che in realtà, come ogni membro il villaggio sa, è pericoloso come non mai.


Hola, soy una povera sfigata. Questa è la seconda volta che pubblico questa storia (non chiedete perchè l'abbia cancellata perché proprio non mi ricordo), ho apportato diverse modifiche e spero piaccia. Commenti di incoraggiamento e di correzione di eventuali errori sono più che graditi.  :)
   
 
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