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Autore: Tenar80    04/09/2019    2 recensioni
Se è negli occhi di chi ci ama che troviamo una versione migliore di noi stessi, cosa succede se smettiamo di guardarci negli occhi?
Manca una settimana ai mondiali del 2022, l'ultima gara di Yuuri dopo il secondo oro olimpico. Tutto dovrebbe essere perfetto. Dovrebbe.
Di Victor che non sa più chi è.
Di Yuuri che non sa chi vuole essere.
Di Otabek che sa troppo bene chi dovrebbe essere.
Di Yurio che si è perso
Questa storia fa parte della serie "Stagioni"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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   Yuuri si era rifugiato in bagno. Era dentro da ore.

    Se c’era una cosa che negli ultimi mesi aveva imparato, era a fare gli esercizi di respirazione per obbligare corpo e mente a calmarsi.

    A non piangere. 

    A non impazzire.

    C’è un sacco di gente che ti vuole bene.

    Era vero. E stavano cercando tutti di contattarlo. Sullo schermo del cellulare continuavano ad apparire notifiche di messaggi. I più fastidiosi erano quelli di Izumi.

    «Dobbiamo parlare. Si può sapere perché sei scappato così?»

    Quello più commuovente, a modo suo, era quello di Yurio. 

    «Se dopo questa non batti Zhang ti stacco la testa a morsi. O la stacco a lui».

    La sera prima gli gridava dietro in piazza e adesso era pronto a uccidere il cinese per lui, se ne avesse avuto l’opportunità. Poi c’erano Phic, Ken e altri cinque o sei pattinatori. Gli amici con cui ogni tanto lui e Victor uscivano, conosciuti a un corso sul cinema che avevano frequentato insieme. Tamura e altri della federazione giapponese. Il fisioterapista della squadra. Tre delle juniores che seguiva Yuko. Lei e Minako dopo aver cercato invano di parlare con lui avevano deciso di venire a Osaka la sera stessa e non il sabato per il libero, come da accordi. C’erano le chiamate di sua madre. C’era un messaggio di Mari.

    «Certo che a tradire non sei proprio capace. Fino a che non nasce il bambino puoi stare da me. Tanto poi ti perdona».

    Il che, detto da lei che era stata single fino all’anno prima, risultava piuttosto ridicolo. La maternità, a quanto pareva, l’autorizzava di colpo a darsi arie da donna vissuta.

    Nell’insieme erano una massa di persone.

    Tutto il Giappone lo stava guardando, in quei giorni, ma erano quelle le persone che gli volevano bene.

    Nessuno lo stava giudicando, quasi tutti gli chiedevano come stesse e cosa fosse capitato davvero, ma era ovvio che li aveva delusi.

    Perché è questo che ho fatto, no? Ho iniziato a deluderli adesso, in modo che la botta del mondiale sia meno dura.

    Perché il mondiale sarebbe stato un disastro, qualsiasi cosa facesse. Prendere dieci o quindici punti da Zhang era la migliore delle ipotesi. Alla peggiore non voleva neppure pensare, non davvero.

    Si rese conto che fino a quel momento aveva sperato, no, aveva coltivato la certezza che Victor a un certo punto sarebbe intervenuto. Lo avrebbe salvato. Gli avrebbe detto cosa fare.

    Non l’aveva fatto.

    E lui aveva buttato via il suo rapporto con lui quasi per ripicca. La cosa più preziosa che avesse. Per cosa?

    Una parte di Yuuri era convinta che quella mattina avrebbe pattinato con più leggerezza. Perché tanto, ormai, per quello che gli importava di se stesso…

    Ma era un esempio. Era quello che significava essere famoso, in Giappone. 

    Da quattro anni, ormai, andava nelle scuole a incontrare i ragazzi e a parlare di pattinaggio, incontrava le squadre giovanili di tutto il Giappone. Andava tra i meno fortunati, ragazzi delle zone terremotate o pazienti dei reparti pediatrici. E gli piaceva. A lui che odiava con tutto se stesso fare discorsi in pubblico, parlare ai ragazzini piaceva. Molti erano spontanei, altri timidi com’era stato lui. Moltissimi gli dicevano che da grandi volevano diventare come lui. Anche quelli a cui non importava nulla del pattinaggio. E non era perché aveva vinto le Olimpiadi o girato il mondo. Perché era rimasto una persona semplice e educata, buffa diceva qualcuno, anche se aveva vinto le olimpiadi e girato il mondo. Piaceva con i suoi occhiali che non si aspettavano dopo averlo visto solo in tv, le sue tute senza pretese, il suo fare del tutto ordinario. Era bello, dicevano, scoprire di poter essere speciali pur rimanendo a tutti gli effetti così normali. Tutti quei ragazzini dicevano che da lì in poi avrebbero seguito le sue gare. Quasi tutti avrebbero guardato quel mondiale, la sua ultima gara. Se non altro, ed era l’unica consolazione, non avrebbero mai saputo niente di quella foto e di cosa significava. Con grande irritazione di Victor, la loro relazione rimaneva un affare privato. Tamura si era già affrettato a rassicurarlo che nulla sarebbe arrivato ai media. Gli Idol giapponesi devono rimanere agli occhi del pubblico creature perfette, dalla condotta ineccepibile, preferibilmente senza legami sentimentali. 

    Che esempio sarebbe stato per quei ragazzi il giorno seguente? Che esempio voleva essere?

    Non gliene fregava niente di salvare se stesso, ma tutti loro meritavano uno Yuuri migliore.

    Uno Yuuri che nessuno, ormai, sarebbe venuto a salvare.

    Quindi doveva salvarsi da solo, almeno un pochino, salvare almeno lo Yuuri di quei ragazzi. Quello non era lui. Era una sorta di eroe che per qualche motivo a lui ignoto aveva preso in prestito la sua faccia. E gli eroi non tradiscono e non soccombono. In qualche modo Yuuri doveva traghettare l'eroe di quei ragazzi, che non era lui, verso una possibile salvezza o quanto meno a un finale che non fosse patetico o imbarazzante.

    Yuko provò a chiamarlo di nuovo.

    Voleva spiegazioni, di sicuro. E lui non voleva darle. Anche perché non ne aveva, almeno non esprimibili a parole.

    Voleva un abbraccio da Victor. E un bacio. 

    Che cosa stupida.

    Chissà se Chris era già da lui? Quando gli aveva parlato era appena sceso dall’aereo, doveva ancora ritirare il bagaglio.

    «Come sta?» scrisse.

    Era patetico.

    Si sentiva come se fosse stato cacciato via senza motivo. Come se fosse stato lui a essere stato tradito.

    «Quando puoi, vieni fuori da palazzetto. Così parliamo».

    Cosa significava? In che stato lo aveva trovato?

    Alle dieci di sera Victor aveva scoperto che l’uomo che aveva sempre creduto suo padre non lo era. Alle due aveva scoperto che il suo compagno baciava un’altra. Alle sei era di nuovo single. Dopo una storia per cui, di fatto, aveva dovuto rinunciare al proprio paese. 

    Bello stronzo che sono.

     Victor era forte. Doveva esserlo per forza, per quello che era diventato, considerato da dove era partito. Ma quegli ultimi due mesi erano stati troppo, anche per lui. Lo aveva visto cedere, eppure continuare a lottare per reagire. Fino a quella mattina.

    Vederlo in quello stato, mentre usciva dalla stanza, sapendo che la colpa era sua, era stata la cosa peggiore di tutte.

 

    La luce, fuori dal palaghiaccio, era abbagliante.

    Eppure il cielo era parzialmente nuvoloso, come spesso accadeva ad Aprile, con le nubi che andavano e venivano sopra al sole. Ma a tratti i raggi arrivavano e colpivano all’improvviso, insostenibili.

    C’era moltissima gente, come ovunque a Osaka. Il nuovo palaghiccio era accanto a uno dei più grandi centri commerciali della città. 

    Yuuri si sentì sommergere da tutte quelle persone. Nella sua tuta scura, nessuno faceva caso a lui.

    Cercò di individuare la testa riccia di Chris alzandosi sulle punte dei piedi.

    Vide invece una capigliatura bionda, tanto chiara da sembrare quasi bianca.

    – Victor! – gridò, anche se era impossibile.

    Eppure quella testa si girò nella sua direzione e Yuuri vide lo sguardo dell’altro prima spaesato, poi attento e infine deciso, quando lo ebbe individuato.

    Poi lo vide correre, scostando i passanti senza gentilezza. E anche Yuuri si mise a correre, senza pensare a cosa dirgli o a cosa fare

    Gli si gettò addosso, aggrappandosi al suo petto, in lacrime.

    L’altro rimase un istante del tutto immobile.

    – Posso abbracciarti? – chiese Victor, piano.

    – Con delicatezza… Victor, cosa devo fare?

    – Baciami e poi andrà tutto meglio.

    Yuuri non ne era del tutto certo, ma rimaneva un buon consiglio.

 

*    

 

    – Cosa devo fare? – chiese di nuovo Yuuri.

    Aveva davanti una tazza di the il cui contenuto era stato diluito dalle sue lacrime e si era raffreddato mentre lui parlava. 

    Aveva l’impressione di non aver parlato così tanto, di certo non a Victor, dal loro rientro in Giappone, dopo le Olimpiadi.

    Non era riuscito a dare un ordine coerente ai fatti, a dividerli dalle impressioni o dal dolore. Ma aveva tirato fuori tutto, anche le cose peggiori o più meschine. L’idea che il proprio infortunio fosse colpa di Victor, perché non aveva saputo valutare il suo stato fisico ed aveva insistito per fargli provare il salto anche se non se la sentiva. Il fastidio che gli aveva dato, dopo quella caduta, ogni ordine ricevuto. Tutti i sotterfugi che aveva usato per evitare che chiunque se ne accorgesse e la speranza che Victor lo affrontasse, gli dimostrasse quanto ci tenesse, mentre invece si chiudeva sempre più in se stesso. La sensazione che, una volta infranta quell’unica promessa che gli era stata chiesta, non vi fosse più nulla da salvare, nessun perdono possibile. La certezza di star precipitando, sempre di più, senza che nessuna mano gli venisse tesa. Se non forse Izumi, che gli aveva offerto l’occasione per mettersi una maschera e fingere di essere un’altra persona. Forse, aveva ammesso, non gli era mai piaciuta lei, era rimasto affascinato dallo Yuuri che la donna credeva di vedere. Aveva, almeno in parte, ceduto alla tentazione di fingere di esserlo, per non pensare e rendere il trascorrere del tempo più tollerabile.

    Sapeva quanto le sue parole facevano più male.

    Victor aveva ascoltato in silenzio, senza intervenire o ribattere, con la propria tazza in mano, ma Yuuri aveva spiato le dita contrarsi o il viso irrigidirsi. Quando aveva detto la cosa peggiore di tutte, non aveva osato guardarlo. Quella mattina, mentre osservava la foto sul cellulare aveva pensato che, forse, era la cosa migliore. Così, se fosse accaduto il peggio, sarebbe stato ovvio a tutti che la scelta era stata soltanto sua. E dopo, Victor non sarebbe stato obbligato ad assisterlo, perché in fondo un po’ Yuuri sapeva quanto fosse duro stare vicino a qualcuno che stava male e non voleva che anche il russo fosse obbligato a a passarci. Victor, ascoltando, aveva preso a tremare e Yuuri era sicuro, anche senza alzare lo sguardo, che c’erano lacrime che scivolavano fuori dai suoi occhi chiarissimi.
     Sapeva perfettamente che quella che stava offrendo era una versione parziale e sfalsata dell’accaduto. Che feriva, a volte persino più di quella maledetta foto. Ma era la sua versione. Era il suo dolore, ed era reale.

    – Che cosa devo fare adesso? – chiese, di nuovo.

    – Prendere la testa di Izumi e portarmela come trofeo da appendere in salotto, in mezzo alle foto delle nostre vittorie – rispose Victor, con naturalezza.

    – Seriamente.

    – Seriamente – replicò Victor, puntandogli un dito al centro della fronte. 

    Poi scosse la testa, in un movimento plateale, come un cane che si toglie dell’acqua di dosso.

    – In questo momento sono troppo… Troppo – sospirò, nell’impossibilità di spiegarsi. – Ma mi arrabbierò. Credo di aver diritto a un po’ di rabbia, dopo tutto.

    – Penso che tu ne abbia diritto. A più di un po’ – ammise Yuuri.

    – Quindi è meglio se Izumi non mi incroci, neppure per sbaglio.

    – Non è stata colpa sua.

    Victor lo incenerì con lo sguardo.

    – È stata principalmente colpa mia – aggiunse Yuuri.

    – Sì, ma per qualche ragione preferisco non appendere la tua testa in salotto. Mi piace ancora dove sta.

    – Lei pensava… 

    – Lei pensava che non fossimo così tanto una coppia, perché era l’idea che davamo ed è l’idea che in ogni caso abbiamo dato sempre qui in Giappone. Quindi poteva provarci con te e esporti al suo fianco come si fa con un gioiello costoso. Perché tanto non c'era nulla che le dimostrasse davvero che eri un uomo impegnato.

    Il tono di Victor era duro.

    Questo per lui era un punto importante. A Yuuri delle parole non era mai importato molto. Ma arrossiva e gli faceva piacere ogni volta che all’estero Victor parlava di lui come “del mio compagno”. Lui lo faceva molto meno e mai in Giappone, se non tra amici stretti. Dopo quanto avvenuto quattro anni prima in Corea, Yuuri limitava al minimo le effusioni in pubblico. Se ci pensava, spesso si diceva che era per proteggere Victor. Ma forse era per proteggere se stesso. Dalla paura irrazionale di essere aggredito di nuovo. E non era giusto. Anche delle cose piccole come le parole o un bacio non dato, finiscono per acquisire un peso che può schiacciare.

    – Vuoi fare qualcosa in merito? – chiese.

    – Sì. Voglio un qualche riconoscimento esterno a quello che siamo, anche se qui non ha valore legale. Ho bisogno di appartenere a qualcuno, ora che non ho più neppure cognome che sia davvero mio.

    Yuuri si trovò a trattenere il fiato.

    Perché era l’ultima cosa che si era aspettato, dopo quel risveglio.

    E di colpo dava tutta un’altra prospettiva a quello che sarebbe accaduto dopo quel maledetto mondiale. Qualsiasi cosa capitasse, c’era ancora un futuro che desiderava raggiungere. Qualcosa che, dopo tutto quello che avevano passato per aver reso pubblica la loro relazione, aveva iniziato a fingere di non desiderare.

    – Mi stai chiedendo di sposarti?

    Victor fece una smorfia, come se non gli fosse davvero venuto in mente che era di quello che stavano parlando.

    – Suppongo di sì, in qualche modo – disse, sorridendo all’improvviso. – Penso che sia il caso. Nulla di eccessivo, o che ti crei disagio, ma che metta in chiaro che esistiamo come “noi”.  Forse ti darà problemi, a livello di immagine, ma è una cosa di cui ho bisogno.

   Yuuri si accorse di star stringendo così forte la propria tazza da avere le nocche delle dita bianche. Alzò lo sguardo, incontrando il viso inaspettatamente ansioso di Victor...
    Idiota di uno Yuuri.
    Era ovvio che fosse ansioso. Perché con tutto quello che era successo, Victor non era sicuro della risposta. Ed era assurdo.

  – Anch'io ne ho bisogno – disse. – E, forse, avevo bisogno che fossi tu a chiederlo.

   Victor scosse di nuovo il capo. Poi considerò il proprio compagno. Yuuri stava ancora annuendo e era sicuro di essere arrossito, incapace di dominare il subbuglio di emozioni che gli era esploso dentro. L'unicoa cosa a cui riusciva a pensare davvero era che Victor, ancora una volta, aveva reagito alla situazione in modo opposto a come si era aspettato. Ed era il modo giusto. Poi il russo si mise a ridere e Yuuri rimase a guardarlo chiedendosi cosa ancora gli fosse sfuggito. 

    – Mi immaginavo una cosa diversa alla voce “richiesta di matrimonio” – spiegò Victor. – Non due idioti con le lacrime agli occhi e in mano delle tazze di the.

    Anche Yuuri sorrise. Aveva le guance completamente rigate di lacrime.    

    – Forse dovrei ringraziarlo, Zhang, per quella foto – disse.

    Ci sono cose che non sai neppure di desiderare davvero, finché non diventano possibili.

    – Mandiamogli un bel mazzo di fiori – propose Victor, serissimo.

    – Hai altre richieste da fare? – chiese Yuuri.

    Se farsi perdonare comportava quel genere di reazioni, allora, forse, valeva la pena di far arrabbiare Victor, di tanto in tanto…

    Il russo sospirò.

    – A dire il vero sì – disse. – Mi piacerebbe una casa in Europa, in un qualche posto dove il nostro matrimonio abbia senso, passarci anche solo qualche settimana all’anno, poter uscire di casa e non sentirmi ancora così irrimediabilmente straniero.

    Yuuri annuì.

    Negli ultimi quattro anni si erano concentrati sulla sua carriera. Avevano lasciato il Giappone quasi solo per le competizioni e le esibizioni, con una breve vacanza a maggio, quando andava bene. C’erano aspetti che non aveva considerato, particolari a cui non aveva dato importanza, ma che sicuramente a Victor pesavano. 

    – In un posto in cui riesca a spiccicar parola, magari – provò a patteggiare.

    Di certo Victor pensava alla Francia. Adorava la Francia, con la sua lingua del tutto incomprensibile e l’inglese non pervenuto.

    – Ci si può lavorare – concesse il russo. Poi si fece serio. – E ci sono delle cose che devo fare e che non voglio fare da solo…

    – Non voglio che tu ti chiuda mai più intorno ai tuoi problemi… Quando succede non solo non mi dici niente, ma inizia a trattarmi come se fossi un ragazzino alla sua prima gara. Un bambino capriccioso a cui dare ordini.

    Victor annuì.

    – Lo so… – si guardò le mani, incerto.

    Per un certo tempo Yuuri pensò che non avrebbe detto niente, ma poi il russo alzò lo sguardo.

    – È perché ho paura. Una parte di me pensa che nel momento in cui ti renderai davvero conto di quello che sono scapperai orripilato.

    – Perché? – chiese Yuuri. – Lo so che è difficile da spiegare, per te, ma io posso provare a capire, se mi dai un’opportunità.

    Victor annuì.

    – È tutto molto banale, alla fine… Il posto in cui sono cresciuto, la maggior parte della gente che viene da lì prende brutte strada. È una cosa risaputa. E inevitabile... Quando sono andato da Yakov avevo già qualche precedente per piccoli furti, perché era quello che facevano i miei amici e io non volevo essere lasciato indietro. Andavamo nella scuola più vicina e i compagni di classe erano invitati a starci il più lontano possibile. Quando mi sono trasferito a San Pietroburgo tutto lo staff della pista, che sapevano da dove venivo, mi guardava come un potenziale delinquente, persino Yakov per un po’ ha tenuto l’argenteria sotto chiave… Ci sono stati genitori di altri ragazzi che, scoprendolo, hanno impedito ai figli di frequentarmi. Non mi vergogno di quello che sono, della mia storia, ma ho imparato che a volte la gente scappa, quando ne sa troppo di me.

    Aveva parlato senza quasi guardarlo negli occhi, come se si vergognasse anche di quelle parole. In un altro momento Yuuri si sarebbe arrabbiato. Perché era come dire che anche lui era così superficiale da giudicarlo per la sua infanzia. Ma era qualcosa che gli era stato inculcato, era entrato a far parte di lui troppo in profondità per poterlo controllare.

    – Io non scappo – disse. – Torno persino dopo che mi hai cacciato via per aver baciato un’altra.

    Questo lo fece sorridere.

    – A tuo rischio e pericolo – disse Victor, accentuando il sorriso,  poi prese un sospiro e tornò serio. – Devo andare in Russia. E non sarà facile per me. Ho imparato che non sempre posso far affidamento su me stesso. Ma ci sono persone che non vedo da tantissimo tempo e che voglio incontrare… All’inizio di settembre la Siberia a suo modo è quasi bella.

    – Sarà bello accompagnarti.

    Lo pensava davvero. Infrangere finalmente quel muro che c’era sempre stato tra loro.

    – Bene. Anche questa sera dovrai fare una cosa con me. Vorrei dire che saremo entrambi nudi, ma temo invece che comporterà dei vestiti, un computer e, per te, lo stare ad ascoltare dei discorsi incomprensibili.

    Yuuri annuì.

    – Ci sono cose di te che non potrò mai capire – disse. – Ma posso comunque starti vicino.

    – Lo so. Mi spiace non avertelo permesso.

    Yuuri sospirò.

    Era bellissimo pensare al futuro. A quel futuro. Ma in qualche modo doveva ancora raggiungerlo.

    – C’è ancora il mondiale – disse.

    – C’è ancora il mondiale – ammise Victor.

   A nessuno dei due piaceva pensarci, ora meno che mai. Avevano evitato di parlarne fino a quel momento, come se ometterlo bastasse ad annullarlo. 

    – Cosa devo fare? – chiese di nuovo Yuuri.

    Il russo scosse il capo.

    – Lo sai cosa devi fare.

    – Qui tutti sia aspettano che io…

    – Che tu ti faccia mummificare ancora in vita per diventare oggetto di venerazione come certi monaci buddisti suicidi.

    Yuuri fece una smorfia, ma Victor aveva reso l’idea.

    – È il finale che Kuma e Izumi sognano – aggiunse il russo, con un tocco di malignità. – E forse quella foto l’ha scattata Kuma, per rendere il finale del suo film ancora più avvincente.

    Anche questo probabilmente era vero.

    – E quindi?

    Victor più di chiunque altro, Yuuri ne era certo, capiva le aspettative e i doveri che pesavano su di lui.

    Il russo sospirò.

    – Devi essere un esempio. E fare quello che è giusto. E evitare che alla fine io decida di volere la tua testa impagliata in salotto – poi, inaspettatamente sorrise. – Fai il contrario di quello che si aspettano tutti. Funziona sempre.

 
   
 
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