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Autore: Iaiasdream    04/09/2019    2 recensioni
Davide Campana è un nobile proprietario terriero, dal carattere arrogante ma ambizioso. Deluso dalla sua vita che lo ha messo a dura prova dall’età di diciotto anni, passa le sue nottate fra bordelli, pretendendo da ogni donna solo piacere fisico, fino a quando non incontrerà Rebecca, una semplice cameriera che nasconde un amaro passato. Quando le loro vite si incrociano, nessuno dei due sa che l’una lavora per l’altro, e per uno strano scherzo del destino, la loro relazione verrà inghiottita da una turbinosa odissea.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 6


 
 
Quella sera Davide non cenò, era sazio di emozioni e aveva in mente soltanto un nome che esprimeva tutto: Rebecca.
Dopo il primo incontro, il destino si era fatto complice dei due giovani. Mai, Campana, avrebbe potuto immaginare che una sconosciuta potesse entrare nella sua vita come il susseguirsi delle stagioni, come il forte vento che trasporta i profumi della natura. Quel dolce vento che aveva un caro nome aveva inondato il suo cuore coprendolo tutto senza lasciare il minimo spiraglio.
Rivide i suoi occhi luminosi, sentì il suo respiro caldo e ansioso e immaginò un bacio: il mancato sfiorarsi di due labbra giovani e fresche. Chiuse gli occhi cercando di immaginare il sapore che avrebbero potuto donargli quelle labbra rosee e caste. Che fosse attrazione? Ma poteva questa essere tenera, dolce, insaziabile?
Ma forse era qualcosa di più. Quanto desiderava di non investigare oltre il suo cuore nella speranza di qualche altra risposta.
 
***
 
Il giovedì di quella stessa settimana arrivò in fretta e con esso il ritorno a casa di Marina. In quei pochi giorni, la ragazza aveva mutato la sua semplice bellezza: il viso era smagrito e aveva un colorito livido che faceva una strana impressione a chi la guardava, sembrava riemersa dalla neve dopo essere stata seppellita per giorni.
Era molto cambiata, non sorrideva più, non aveva più quel temperamento di una volta, non parlava tanto e non si lamentava più del lavoro, non era più Marina, quell’incidente l’aveva trasformata, si dissero le sue colleghe, ma soltanto Rebecca sapeva che il suo mutamento non era dovuto a quell’episodio, bensì a qualcosa di molto più doloroso.
Cercava di distrarla in tutti i modi e all’inizio ci riuscì. Infatti, la sfortunata sembrava sorridere di più, aveva anche ripreso un po’ del suo colorito, ritornava a parlare con le sue compagne facendo sembrare agli occhi dell’amica che avesse dimenticato la sua triste avventura. Ma le due cameriere non sapevano che il peggio doveva ancora arrivare.
Il sabato mattina, quando le cuoche si recarono in cucina, ebbero una brutta sorpresa. Agnese, la vecchia capocuoca, aveva interrotto i lavori per annunciare una notizia che peggiorò la situazione: Michele, il figlio del custode aveva riferito al maggiordomo che la cuoca Marina Agonigi, il mercoledì passato, aveva menzionato una finta malattia per recarsi indisturbata in paese, provocando in tal modo l’infrangimento delle regole che vigevano in quella casa.
Un mormorio acuto riecheggiò nella cucina, Rebecca trasalì guardando la sua amica la quale, a sua volta, fissava con occhi spenti la capocuoca senza dar segno di emozioni.
<< Silenzio! >> esclamò Agnese verso le ragazze << Fatemi finire. Marina! >>
La giovane trasalì al richiamo.
<< Dati i pieni poteri che consentono al maggiordomo ogni decisione rispetto a tutti quelli che lavorano in questa casa… sei licenziata. >>
Quell’ultima parola trafisse il cuore di Marina come una freccia avvelenata. Rebecca, affannata, sentì il dovere di difendere la sua amica, perché si disse, se Michele aveva fatto la spia era stata soltanto colpa sua, ma quando cercò di prendere la parola, la fulva la interruppe attirando l’attenzione di tutti i presenti.
<< No, Rebecca >> disse balbettando << non importa >>, poi rivolgendosi ad Agnese << me ne andrò oggi stesso >> detto questo si girò e facendosi largo tra le colleghe uscì lentamente dalla cucina. Rebecca la seguì con lo sguardo, poi si voltò verso la capocuoca con supplica.
<< Vi prego Agnese, datele un’altra possibilità! >>
Agnese scosse la testa severamente: << Mi dispiace Rebecca, gli ordini sono ordini, se la facessimo restare, sarebbe la prova che le regole in questa casa non valgono molto, e altre dipendenti potrebbero decidere di infrangerle ogni qual volta lo volessero. >>
<< Ma, Marina non ha nessuno! Come farà? Dove andrà? >> esclamò Rebecca arrabbiata. Agnese non rispose, si limitò soltanto a riprendere il suo lavoro. A quel gesto, la giovane sbatté per terra lo strofinaccio e uscì di corsa dalla cucina, lasciando le compagne immerse in fastidiosi mormorii. Raggiunse in fretta la sua camera, dove trovò Marina intenta a preparare la sua piccola valigia.
<< Marina fermati, si sistemerà tutto, appena dirò che la colpa è stata la mia. Perché è mia la colpa se quel mascalzone ha parlato, l’ho trattato male quando ha voluto sapere di te. Avevi ragione, è molto insistente. Ti prego, perdonami Marina >> disse Rebecca tutto d’un fiato.
Con voce sibilante e tremante Marina le rispose che non doveva assumersi nessuna responsabilità, perché l’unica ad aver sbagliato era stata lei sola, e che meritava quella punizione.
<< Ma dove andrai? >> chiese l’amica con voce di pianto.
<< Io… >> balbettò l’altra, poi lasciando cadere la mantellina, si sedette avvilita sul letto affondando il viso fra le mani << non lo so! >> esclamò tra i singhiozzi << Ho rovinato tutto >>
Rebecca la guardava addolorata, non aveva più parole per confortarla, non sapeva come reagire, pur avendo la possibilità di aiutarla non avrebbe potuto farlo, perché ciò l’avrebbe riportata ad antichi ricordi dolorosi. Durante tutto quel tempo, si era forgiata un personalità non sua, solo per stare lontana dalla sua vita, per farsene un’altra. Si sentiva un’egoista e anche un po’ orgogliosa. Possibile che non sarebbe mai tornata in dietro, neanche per aiutare la sua più cara amica? Abbassò lo sguardo stringendo le palpebre e cercando di scacciare dalla mente il rumore di quel doloroso pianto. Non ci riuscì, e a quel punto senza dire niente lasciò la camera e si recò fuori in giardino dove incontrò una delle cameriere di sua conoscenza.
<< Rebecca? Che ci fai qui? >> chiese allibita quest’ultima << È successo qualcosa? Hai un viso straziato. Hai pianto? >>
<< Federica, devo vedere il maggiordomo >> rispose con voce ferma, la cuoca.
<< Il maggiordomo? Ma Rebecca, sai benissimo che non puoi entrare in casa dei padroni. È…>>
<< Non ho assolutissima intenzione di entrarci! >> esclamò Rebecca interrompendola bruscamente.
<< E allora? >> chiese ancora Federica abbassando la voce.
<< Vai a chiamarlo, digli che sono io a cercarlo. Fa’ presto, per favore >>
<< Va bene >> disse la cameriera acconsentendo a quella richiesta.
Rebecca l’aspettò e dopo qualche minuto la vide ritornare in compagnia del maggiordomo che si fermò fissando la giovane cuoca con sguardo interrogativo.
Fu lei ad avvicinarsi, e l’uomo ordinò a Federica di andare a continuare le sue faccende, poi rivolgendo lo sguardo verso la cuoca disse << Da quanto tempo, Rebecca. >>
<< Giacomo, devo parlarti. >>
<< Non qui, allontaniamoci >> disse il maggiordomo prendendole dolcemente il braccio e allontanandosi dalla casa. Quando furono in un angolo libero da occhi e orecchie indiscrete, le chiese cosa stesse cercando.
<< So che ti promisi che non avrei cercato aiuto a nessuno, e che non mi sarei fatta viva neanche con te lavorando qui, ma… non si tratta di me. >>
<< Lo immaginavo. Non saresti mai venuta da me e da nessun altro se fosse per te. Che cosa succede? >>
<< Annulla il licenziamento >>
<< Licenziamento? Quale licenziamento? >> chiese il maggiordomo incuriosito.
<< Quello che hai dato a Marina per la sua scappatella di mercoledì scorso. Non ha famiglia, non sa dove andare >>
<< Un momento! >> esclamò Giacomo interrompendola << Io non so nulla di questa storia. E mi meraviglia il fatto che non mi abbiano avvisato! >>
<< Cosa? >> esclamò Rebecca allibita << ma allora, significa che… ma certo, Agnese! >>, notando lo sguardo allibito dell’uomo, la giovane si affrettò a spiegargli la situazione dall’inizio fino a quel momento e infine gli chiese di intervenire.
Oltraggiato dal comportamento della capocuoca, Giacomo acconsentì senza indugiare oltre.
Si alzarono e si recarono nella cucina dove trovarono Marina intenta a salutare le sue colleghe. Quando Agnese vide Rebecca con il maggiordomo, si pietrificò, rimase a guardarli.
<< Che cosa sta succedendo qui?! >> esclamò Giacomo attirando l’attenzione dei presenti << Signorina Agonigi per quale motivo non indossate la vostra divisa? >>
<< Ma, signore, voi… >> rispose Marina balbettando.
<< La capocuoca >> intervenne Rebecca << minuti fa, ha riferito a Marina Agonigi, che voi, signor Giacomo, l’avete licenziata >>
<< Sta dicendo la verità, Agnese? >> chiese Giacomo autoritario. Agnese non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo. Allora lui continuò << Che io sappia non ho licenziato nessuno, perché non sono al corrente di ciò che accade qui dentro e, ora come ora, non ho mai concesso la mia autorità a voi Agnese di prendere tali provvedimenti, usando il mio nome per giunta. Perché l’avete fatto? >>
<< Perché sapevo che non l’avreste licenziata! >> esclamò rabbiosa la donna << sapevo che vi sareste fatto abbindolare dalla vecchia storia che non ha nessuno al mondo e che, uscita da qui, si sarebbe sentita lasciata al suo destino! >>
<< Voi non avevate il diritto! >> intervenne Rebecca avvicinandosi a Marina per sostenerla.
<< E lei? >> chiese Agnese volgendole uno sguardo gelido che fece tremare la povera Marina << Lei ne aveva per prendersi gioco dell’autorità di un suo superiore? Perché è questo che ha fatto! >> continuò rivolgendosi con supplica a Giacomo << Vi ha preso in giro Giacomo. Ho sbagliato a prendere una decisione senza avvisarvi, ma l’ho fatto solo per far rimanere solide le regole in questa casa >>
<< No, Agnese >> intervenne Rebecca lasciando la sua amica e avvicinandosi minacciosa alla donna << l’avete fatto per voi stessa! Perché avevate timore di aver perso autorità su di noi, e per non essere rimproverata dai padroni, perché sapevate che la colpevole sareste stata anche voi. Marina ha infranto le regole, e anche io l’ho fatto, perché sapevo della scappatella e ho taciuto. Quindi se Marina dovrà essere punita, signor Giacomo dovreste punire anche me >>
<< Anche io lo sapevo >> intervenne Anna balbettando << quindi, anche per me ci dovrà essere una punizione >>.
Marina guardò le sue amiche che si stavano battendo per aiutarla, e a quel punto una lacrima di commozione scivolò sulla sua guancia lasciando un rivolo dritto e luccicante. Voltò lo sguardo verso il maggiordomo il quale non aveva mutato il suo sguardo e tutte aspettarono che prendesse la parola.
<< Va bene, ora basta con questa storia. Signorina Agonigi? >> disse dopo un po’.
<< Sì, signore? >> sibilò Marina facendosi avanti.
<< Per aver trasgredito le regole che vigono in questa casa, non verrete licenziata, ma il vostro salario verrà interrotto per quattro mesi, in più lavorerete anche di domenica, sempre per quattro mesi, e non avrete il permesso di uscire fino a tale scadenza. Nel caso in cui trasgredirete anche quest’ordine farete i bagagli senza che ve lo venga detto. >>
Pur essendo una punizione, Marina ringraziò l’uomo.
<< In quanto a voi due, Anna e Rebecca, per aver nascosto l’accaduto vi verranno detratti due mesi di stipendio >>
Non era un bell’annuncio, ma Rebecca accennò comunque un sorriso di ringraziamento. L’uomo lo ricambiò, poi facendosi di nuovo serio si volse verso Agnese e le disse indurendo la voce << Signora Agnese, non essendo la prima volta che la vostra mania di potere prende il sopravvento facendovi agire in modo errato, ho deciso che da oggi in poi sarete una subordinata come tutte le altre, ma non in cucina, bensì in lavanderia. E ora potete ritornare alle vostre faccende, i signori aspettano il pranzo. Ah, un’altra cosa. Rebecca, da oggi prenderete il posto di Agnese, qui in cucina, >> detto questo uscì lasciando tutte le cuoche esterrefatte, qualcuna esclamò un evviva, altre abbracciarono Marina con affetto, una, invece, si avvicinò alla vecchia capocuoca e con una smorfia le disse << Ora hai finito di regnare! >>. A quella battuta molte di loro scoppiarono a ridere.
<< Smettetela! >> intervenne Rebecca, poi volgendosi verso Agnese << Io vi ho sempre rispettata, ma la vostra superbia vi ha tradita, signora. Vi prego di lasciare immediatamente la cucina, dobbiamo preparare la colazione per i signori. >>
Senza dire una parola, Agnese si tolse il grembiale e uscì con passo lento dalla cucina. Quando se ne fu andata, le ragazze urlarono di gioia, Mariana si avvicinò a Rebecca e l’abbracciò piangendo e ringraziando.
Quest’ultima era contenta per come si era evoluta la situazione, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe mai dovuto interpellare il maggiordomo. Mai poteva immaginare cosa le avrebbe riservato il destino.
 
***
 
Davide attraversò il corridoio lentamente, sperando di incontrare il maggiordomo, ma non lo trovò. Decise allora di scendere al piano di sotto, e quando arrivò nel salone, lo vide intento a dare ordini ad una cameriera. Si avvicinò a lui facendogli segno di ascoltarlo. Giacomo congedò la fanciulla e poi chiese al suo padrone in cosa poteva servirlo.
<< Vi sto cercando da un pezzo! >>
<< Sono stato nelle cucine >> rispose impassibile l’uomo.
<< Proprio di questo volevo parlarvi. Per quale motivo la colazione non è stata ancora servita? >>
<< Ci sono stati problemi con la capocuoca e una sua subordinata. Ma non preoccupatevi signore, ho risolto tutto, la colazione sarà pronta fra dieci minuti >>
<< L’importante è che sia tutto a posto. Sapete che non mi occupo di queste cose. >> sospirò il ragazzo guardando l’orologio da taschino << Si è fatto tardi, sarà meglio che vada. Oggi devo mostrare gli altri terreni al marchese. >>
<< Non volete neanche il caffè, signorino? >> chiese Giacomo.
<< No, non preoccupatevi, farò colazione al circolo. Buona giornata, Giacomo >>.
L’uomo ricambiò il saluto e Davide uscì.
Lo stalliere gli fece trovare il suo cavallo di fronte alla porta centrale. Ringraziandolo, Campana salì in groppa all’animale e se ne andò. Quando uscì dalla sua proprietà, in lontananza, intravide la corriera, subito gli ritornò alla mente Rebecca, sorrise al pensiero e spinto da un irrefrenabile desiderio di poterla rivedere, inseguì il mezzo convinto che lì dentro ci fosse la ragazza, quando lo raggiunse e si rese conto che era soltanto una sua speranza, rallentò l’andatura del cavallo e dopo aver guardato la corriera allontanarsi sempre di più, tirò le redini, incitando l’animale a cambiare strada.
Rebecca non si spostò dalla sua mente, lo seguì a lungo come il vento, sentiva di averla a due passi dal suo cuore, sentiva il vento accarezzargli il volto, chiuse gli occhi immaginando che quel tocco fresco e trasparente fossero i baci della fanciulla. Sorrise e quando ritornò in sé si accorse che il paese era ormai vicino e che per il momento avrebbe dovuto rinchiudere Rebecca nel suo cuore, lasciando la mente libera e pronta per affrontare un altro giorno di lavoro.
Quando arrivò al circolo, incontrò un cocchiere e gli sembrò che stesse aspettando proprio lui. Avvicinatosi, l’uomo sollevò il suo cappello in segno di saluto e gli disse che il suo padrone, il marchese Castelli, lo attendeva nella sua tenuta.
Il giovane Campana disse che lo avrebbe seguito, e dalla fretta che notò nel cocchiere, capì che non avrebbe fatto colazione neanche al circolo. Fece spallucce, rimontò a cavallo e seguì la scura carrozza.
Il viaggio non fu affatto lungo, dopo essere usciti dal paese, bastò solo un quarto d’ora di cammino per giungere alla tenuta Castelli.
La dimora del marchese era un castello vero e proprio, uno di quei castelli in stile rinascimentale. Davide si accorse che non era grande quanto il suo palazzo. Questo aveva una facciata con cinque finestre al secondo piano, nove al primo e otto al piano rialzato, dove ospitavano al centro una grande porta in ferro battuto. Ai lati della facciata si innalzavano due torri con i tetti temperati e con una finestra per ogni piano. Mentre entrava all’interno del vasto chiostro, si accorse che guardandolo da un’altra prospettiva, il palazzo era molto più mastodontico di quanto si potesse immaginare, infatti, dietro la facciata, le mura continuavano in un lungo corridoio di finestre, che potevano essere una quindicina per ogni piano, e alla fine di queste, altre due torri chiudevano il rettangolo.
Davide rimase estasiato a guardare anche il vasto parco, con cespugli e alberi di ogni genere.
Il marchese doveva proprio amare la campagna, si disse.
Mentre percorreva la zona, vide in lontananza due figure che lo stavano aspettando: uno doveva essere un servo e l’altro era di sicuro il marchese. Ormai vicini, Davide scese da cavallo e salutò l’uomo il quale ricambiò con un sorriso e una stretta di mano.
<< Vi inviterei volentieri in casa, per un caffè, ma purtroppo non posso. >> annunciò schietto Castelli << Vi sembrerei scortese se vi dicessi che voglio subito vedere le terre? >> 
<< No >> rispose Davide incerto. Gli fece strada e, con i rispettivi destrieri, si incamminarono. Attraversarono il palazzo e quando furono di fronte al grande portone in ferro battuto, Davide si accorse che un’affascinante donna era lì ferma con lo sguardo rivolto verso di loro: precisamente verso il padrone di casa.
Quando le passarono davanti, Giulio Castelli non la degnò di uno sguardo, mentre la donna lo guardava con occhi freddi, poi volse lo sguardo verso il giovane che la salutò con un cenno del capo, ma dalla donna non ebbe nessuna risposta, anzi, la vide voltare di scatto la testa e incamminarsi verso la porta d’ingresso. Campana la osservò fino a quando non scomparve dentro il palazzo.
<< Era mia moglie >> esordì l’uomo, senza voltarsi, rispondendo a una domanda non fatta.
Davide non disse nulla. A quel punto Castelli fece rallentare il cavallo per stare al passo col giovane e, guardandolo, sorrise dicendo: << Sembrate sconvolto >>.
<< E per quale motivo dovrei esserlo? >> chiese il giovane quasi con indifferenza.
<< So cosa dicono di me in paese >> rispose il marche senza cambiare espressione << Voi cosa ne pensate? >>
<< A proposito di cosa? >> balbettò il ragazzo, facendo finta di non capire.
<< Di quello che dicono su di me >>
<< Mi dispiace marchese, ma non sono abituato a dare giudizi altrui. Io mi baso soltanto sugli affari. Non so niente della vita delle persone con cui interloquisco, e francamente, con tutto il rispetto, non m’importa. >>
<< È questo il motivo per cui ho accettato di fare affari con voi >> rispose soddisfatto Castelli, sorridendo.
La cavalcata continuò in silenzio, fino all’arrivo nelle sconfinate terre di Selva Reale.
Quando Davide disse finalmente “Siamo arrivati”, il marchese Giulio Castelli rimase incantato nel vedere quella natura ricca di vegetazione, ai suoi occhi sembrava un grande oceano verde, nel quale non si distingueva la linea dell’orizzonte. Ridendo passò davanti a Davide e affermò: << Volete veramente farmi diventare più ricco di quanto già non sia >>.
Davide ricambiò il sorriso dicendosi che non lo sarebbe diventato solamente lui. Lo seguì, insieme attraversarono tutti i lotti, nei quali molti operai svolgevano il loro lavoro senza mai fermarsi.
Arrivati, però, a un uliveto, il giovane Campana notò qualcosa di strano: due operai, che non aveva mai visto, tiravano le grandi reti che ospitavano quintali di olive verdi, e al suo passaggio, i due lo guardarono sott’occhio, Davide, ricambiò lo stesso sguardo, poi facendo spallucce continuò a seguire il marchese.
I due operai si lanciarono un’occhiata d’intesa: il primo sospirò di sollievo l’altro sorrise, rivelando un ghigno e rivolgendosi al compagno gli fece un cenno con la testa come per dirgli di andare, l’altro acconsentì, lasciarono le reti e si allontanarono discretamente.
Quando Davide tornò a casa nel pomeriggio, gli ritornarono alla mente quei due sconosciuti. Non aveva più pensato a loro durante la giornata, e adesso si chiedeva chi fossero e per quale motivo il signor Roselli non lo aveva avvisato di aver assunto dei nuovi braccianti.
Non è da lui, si disse.
Sfinito, sprofondò sulla poltrona e, preso il campanellino da sopra il mobile, lo scosse velocemente. Dopo qualche secondo entrò una cameriera con la testa bassa, chiedendogli in che cosa poteva essergli utile.
<< Chiama Giacomo, digli che è urgente >> ordinò lui seccato. La cameriera non rispose, fece solo un inchino e uscì.
Giacomo non tardò a raggiungerlo.
<< Giacomo, per caso sapete dirmi se in questi giorni, in mia assenza, è venuto il signor Roselli? >>
<< Venne soltanto il giorno in cui dovevate avvisarlo del contratto con il marchese Castelli >> rispose impassibile il maggiordomo << Se mi è permesso, posso sapere il motivo di questa domanda? >>
<< Niente d’importante. Oggi, mentre accompagnavo il marchese presso gli uliveti, mi è sembrato di vedere operai nuovi, e mi è parso strano che Roselli non me ne abbia parlato. >> rispose fissando il vuoto. Il maggiordomo non disse più niente, aspettò soltanto un ordine del ragazzo il quale, allontanatosi da quei pensieri, si volse verso l’uomo congedandolo con un sorriso e aggiungendo << Andrò domani a fargli visita >>.
Quando Giacomo uscì, Davide si alzò e andò ad affacciarsi alla finestra. L’aria era gelida e un lieve vento era entrato in scena. Il giovane rabbrividì e ritornò dentro ripetendosi nella mente “domani”.
Sapeva che il giorno seguente sarebbe stata domenica e che questo significava che avrebbe rincontrato la ragazza. Dovette perciò ritirare la proposta che si era fatto volendo andare a trovare il suo bracciante. Pensò a lungo a questo, si era sempre detto che prima delle distrazioni veniva il lavoro, ma Rebecca non era una distrazione. Non poteva pensare a lei come ad uno spasso o a una perdita di tempo, come, fino a quel momento, erano state tutte le ragazze del bordello.
Era strano pensare questo verso una donna che non conosceva ancora, ma sentiva che Rebecca faceva la differenza e sentì che quelle emozioni non le aveva provate neanche con Virginia. Di quest’ultima aveva amato soltanto la sua musica, ma di Rebecca sentiva di desiderare qualcos’altro.
A cena, mangiò in fretta, lasciando stupefatti i suoi famigliari quando disse che andava a coricarsi. Fatto molto strano, perché di solito, lui era l’ultimo a ritirarsi, per il semplice motivo che passava qualche ora nel suo studio per aggiornare il registro, o che usciva di casa e ritornava la mattina seguente. Quella sera non lo fece, era molto eccitato per addormentarsi perché sapeva che quando si sarebbe svegliato, i suoi occhi avrebbero visto il nuovo giorno che lo avrebbe fatto incontrare con il suo desiderato sogno.
 
***
 
Ben presto il sole, che in quei giorni aveva illuminato l’intero paesaggio e cercato di riscaldarlo, venne sopraffatto da nuvole minacciose, che prima di fare il loro lavoro, giocarono a rincorrersi, trasportate da un vento freddo e pungente.
Quella domenica si presentò così, ma chiunque avrebbe inteso che ben presto avessero smesso di giocare per dar inizio alla pioggia.
Rebecca si era appena svegliata e stava riordinando la sua camera, Marina, invece, si trovava ancora rannicchiata nel suo letto, cercando di riscaldarsi e guardando incuriosita la sua amica.
<< Ma che fai? >> chiese con una vocina << oggi è domenica. Almeno tu potresti riposarti. >>
<< Lo so >> rispose Rebecca continuando le sue faccende << purtroppo, da quando il maggiordomo mi ha incaricata di gestire la cucina, sono occupata anche a fare l’inventario del magazzino. >>
<< Non vai in paese? >> chiese mogia Marina mettendosi a sedere sul letto e mantenendosi la coperta sul petto.
Rebecca non rispose e Marina continuò << Ultimamente ci vai spesso in paese. Prima non facevi così >>.
Rebecca si fermò di colpo e rimase pensierosa, Marina non si accorse del gesto dell’amica e, alzatasi dal letto, andò velocemente al lavabo per detergersi il volto. << Sei strana >> disse tremando dopo aver toccato l’acqua << dicevi sempre che meno andavi in paese e meglio era… ora invece, non lasci una domenica >>
<< Che cosa intendi dire? >> chiese Rebecca con voce rude.
<< Niente >> rispose allibita Marina << Sono solo contenta di questo tuo improvviso cambiamento >> continuò guardando l’amica che alzò lo sguardo e accennò un sorriso quasi forzato. << Allora? >> riprese la fulva << Che cosa farai oggi? Andrai in paese? >>
<< N-non lo so >> balbettò Rebecca e dopo quella risposta, non ascoltò più le parole della sua amica, poiché la sua mente volò dritta all’indietro verso quella piazza dove la scorsa domenica aveva promesso a Davide che si sarebbero rivisti.
Quel giorno Davide aveva cercato di baciarla. All’inizio lei si era sentita felice, ma poi, ripensando al brutto evento toccato a Marina, aveva avuto paura che anch’essa avrebbe potuto commettere lo stesso errore, e in quel momento tanti dubbi e incertezze si erano impadroniti della sua mente.
Che cosa avrebbe fatto quella domenica? Sarebbe andata all’appuntamento? E se la risposta fosse stata sì, che cosa sarebbe successo? Cosa voleva Davide da lei? Lui era un aristocratico, lo si notava da un miglio di distanza, di donne ne poteva avere a migliaia, che cosa se ne poteva fare di una semplice cameriera?
Ma lei, non era una “semplice cameriera”, almeno non lo era sempre stata. Doveva ricordare ciò che si era ripromessa quel giorno in cui lo era diventata: non avrebbe dovuto avere niente a che fare con gli aristocratici. Era per il suo bene.
Sbuffò infastidita. Perché Davide era entrato nella sua vita? E perché questa continuava a giocare con lei come al gatto col topo?
Non le importava delle intenzioni del giovane, se si fosse rivelato come quel Amedeo, sapeva benissimo che, al contrario di Marina, non si sarebbe fatta ingannare in quella maniera, giacché conosceva quel tipo di uomini. Aveva assistito a situazioni del genere e non solo a causa di Marina, ma quella era un’altra storia.
Con la sua amica era stata categorica nelle sue idee e preoccupazioni, ma allora per quale motivo dentro di sé desiderava rivedere quel ragazzo e magari assaporare quel bacio che per sua scelta non aveva voluto.
Come una folata di vento, quei pensieri vennero scacciati via da una frase rincuorante che le diceva di non preoccuparsi, perché lui non le avrebbe fatto niente che lei non volesse.
Credere, o no a quelle parole?
Era iniziato tutto con un ombrello, l’unico oggetto che manteneva in piedi la possibilità di incontrarsi, ma adesso quello strumento non c’entrava più, si era a poco a poco dissolto nei ricordi dei due giovani, ora si trattava di un desiderio reciproco di vedersi, e Rebecca non se lo sarebbe mai immaginato. Si era allontanata dal paese per rifarsi una vita, e dopo quella fatidica domenica, il suo orgoglio si stava mettendo da parte facendola fermare nei suoi passi.
Pensando e ripensando, non si accorse che nella stanza erano entrate altre due cameriere che ridevano e scherzavano con Marina. Venne attratta da quelle fresche e libere risate, trasalì guardandosi in giro smarrita.
<< Rebecca >> la chiamò una. Lei si girò chiedendole cosa voleva, con un sorriso. << Abbiamo chiesto a Marina di venire con noi in paese, ma lei non ne vuole sapere >>.
Rebecca guardò l’amica, e si accorse che lo sguardo impaurito e inorridito che albergò giorni fa sul suo viso, era ritornato in scena.
<< Non insistete! Non può venire! Dovrà lavorare anche di domenica per quattro mesi. L’avete dimenticato? >> esclamò con voce autoritaria. Le ragazze fecero una smorfia e uscirono dalla stanza. Quando furono sole, Rebecca si avvicinò a Marina e toccandole la spalle le chiese se stava bene.
<< Non ti preoccupare >> rispose quest’ultima con un sorriso malinconico.
<< Sei sicura? >> chiese ancora la capocuoca. Marina annuì e si avvicinò al letto per riordinarlo.
<< Solo una cosa… >> riprese rimanendo di spalle all’amica.
<< Dimmi >>
<< Posso venire anche io in magazzino? Non voglio stare sola, almeno finché non andrai anche tu in paese >>
<< Certo che puoi >> rispose Rebecca sorridendo dolcemente << però devi promettermi una cosa >>
<< Tutto quello che vuoi >>
<< Che quando il periodo punitivo terminerà, non ti rinchiuderai per sempre in questo posto >>
Marina non rispose. Riempì i suoi occhi di tristi lacrime e annuì incerta. Rebecca a quel punto l’abbracciò stringendola per darle forza.
<< Tu invece promettimi che non mi lascerai sola >> balbettò Marina piangendo.
<< Sta’ tranquilla, non lo farò >>.
L’inventario del magazzino durò parecchie ore, nelle quali Rebecca si assicurava sempre di controllare il tempo che scorreva.
Il pomeriggio non si fece attendere e le nuvole si erano accumulate e sovrapposte una sopra l’altra senza lasciare un spiraglio in cui i deboli raggi del sole potessero infiltrarsi, per continuare ad illuminare di poco quella parte del paesaggio. In quel grigiore del cielo, linee distorte e luminose giocavano a nascondino, e un forte boato le seguiva.
Rebecca, dalla piccola finestra del magazzino, guardò tutto questo con la mente rivolta a quel ragazzo. Chissà se è già lì? Si chiese.
L’indecisione continuava ad albergare nella sua mente, e alla fine, la stanchezza la sopraffece facendole decidere di non andare all’appuntamento.
A sera, ormai, pioveva. Marina con altre due cameriere erano rimaste in cucina a discutere del più e del meno, Rebecca invece, messasi uno scialle, uscì fuori appoggiandosi all’uscio della porta che dava nella cucina. Fissava intensamente il paesaggio dominato dalla pioggia, e ripensava alla sua decisione, chiedendosi che cosa stesse facendo Davide, in quel momento. Sorrise pensando che il ragazzo si sarebbe sicuramente ritirato; ma ne era certa? Sospirò rassegnata, voltandosi per rientrare in cucina; ma non appena stava per farlo, venne attratta dal rumore di sue fresche risate che provenivano d’avanti al piccolo cancelletto. Vide scendere Gina e Anna che  dicevano: << Mai vista una cosa del genere >>
<< Che succede? >> chiese incuriosita
<< Ah, ciao Rebecca >> disse Anna << ti è mai capitato di vedere una persona aspettare qualcuno sotto la pioggia per ore >>
<< In paese… >> continuò Gina << C’è un giovane che da questa mattina se ne sta impalato vicino alla fontana, ad aspettare >>
Rebecca sorrise.
<< Da quel che abbiamo constatato deve essere un nobile, lo abbiamo visto bagnato fradicio e gli abbiamo offerto un ombrello e lui sai cosa ha risposto? >>
<< Cosa? >> chiese Rebecca sentendosi inspiegabilmente ansiosa.
<< Grazie signorine, ma sto aspettando la persona a cui ho prestato il mio >>
A quel punto, la giovane trasalì, facendo scomparire il sorriso dal suo volto << È lui >> sibilò senza farsi sentire.
<< Roba da matti >> rise Anna.
<< Per me era ubriaco >> sbottò Gina.
Rebecca non le ascoltò, d’istinto guardò oltre il cancelletto e accortasi che la corriera era ancora ferma a qualche metro di distanza, ebbe come uno scatto: corse verso di essa, facendo cadere lo scialle a metà strada. Non sentì che le sue amiche la stavano chiamando, salì sul mezzo di trasporto con in mente un unico scopo e un’unica speranza: poterlo vedere.
Il corriere la vide salire e sedersi sulla prima panca. Si voltò dicendole che quella era l’ultima corsa e che al paese si sarebbe fermato non ritornando più indietro. Rebecca rispose che andava bene così, non riusciva a pensare ad altro, era troppo ansiosa per immaginare in quale modo sarebbe ritornata a casa.
La corriera partì e alla giovane sembrò che quel tragitto fosse più lungo che mai, si accorse che le tremavano le mani, si guardò le braccia scoprendo che non aveva più lo scialle, portò le mani ai capelli cercando di aggiustare l’acconciatura, la sentì bagnata e allentata dai ferretti che fuoriuscivano, allora la sciolse attaccando con il fermaglio solo le due ciocche dei lati.
Dopo qualche minuto vide davanti a sé il paesello inondato dalla fioca luce dei lampioni. Si sentì fremere, incrociò le mani pregando il Signore di poterlo vedere. Quando la corriera si fermò, salutò in fretta, scese velocemente percorrendo la strada che portava alla fontana. Pioveva a dirotto, e la pioggia ormai aveva inzuppato il suo vestito e i suoi capelli, sentì l’acqua inondarle gli stivaletti raffreddandole i piedi. Il respiro si era fatto più denso uscendo dalla sua bocca come nuvolette soffici. Non riusciva a sentire il freddo pungente, il suo corpo era soltanto invaso dall’ansia, ma continuava a correre decisa. Alcune persone che passavano da lì la videro esterrefatte e scuotendo la testa, e bisbigliando qualche parola di disapprovazione, continuarono il loro cammino. Rebecca non ci fece caso, e quando finalmente fu vicino alla fontana, si fermò per riprendere fiato. Non c’era nessuno, si girò intorno passandosi la mano sul viso, cercando di liberarsi dell’acqua in eccesso. Il respiro affannato non si placava, si guardò un’altra volta in torno, ma non vide nessuno, chiuse gli occhi rivelando un sorriso di rassegnazione << Ma che cosa stai facendo? >> sibilò. Sentì un rivolo bagnato scendergli giù per la guancia, non riuscendo a capire se si trattava di pioggia o di lacrime. Riaprì gli occhi e ripassò la mano sul viso, poi mogia, si avvicinò al bordo della fontana e si sedette esausta, appoggiando le mani sul marmo bagnato e chinando il capo << Stupida, che stupida che sei >> ripeté ridendo beffarda, poi, ad un tratto trasalì, sentendo qualcosa che si poggiava su di lei coprendole la testa e le spalle, si voltò di scatto e, guardando verso l’alto, incrociò gli occhi penetranti e famigliari di Davide che la guardava dolcemente, e in tal maniera le sorrideva. Il giovane, inzuppato dalla testa ai piedi, le aveva appoggiato la giacca per ripararla dalla pioggia, ed era rimasto con il gilet e la camicia bianca che faceva intravedere il colore della pelle e la muscolatura delle braccia.
<< Da… Davide? >> balbettò lei con voce fioca.
<< Io pensavo che questa volta mi avreste riparata voi con l’ombrello che vi ho prestato, ma a quanto pare l'avete dimenticato. Non ho ombrelli, ora. Posso prestarvi solo la mia giacca >> rise lui.
Rebecca si alzò, tolse la giacca dalla testa e se la poggiò sulle spalle chiudendola al petto e rimanendo con il capo chino mormorò: << Mi hai aspettata? >>, accorgendosi di avergli dato del tu involontariamente.
<< Pensavo ti fosse accaduto qualcosa >> rispose lui accettando l’informalità delle parole.
<< Scusami >>
<< E per cosa? >>
<< Per non essermi fidata di te >>
<< Adesso ti fidi? >> chiese lui sorridendo. La ragazza non rispose, alzò solamente il volto e chiuse gli occhi, Davide capì che gli stava offrendo le sue labbra. Pian piano, le toccò le braccia e sotto la sua presa la sentì fremere, ma non la vide reagire, chinò il capo sul suo volto e guardatala un’ultima volta, poggiò lentamente la sua bocca su quella della fanciulla sentendola fresca e morbida. La sua, invece, era bollente.
Rebecca sentì un formicolio percorrerle tutto il corpo e non si accorse che le sue mani avevano lasciato la giacca e si erano poggiate sul petto del giovane, afferrando la stoffa in pugno, per abbandonarsi completamente a quel bacio.
Davide lo capì sentendole dischiudere le labbra, salì con le mani accarezzandole le spalle, poi il collo e infine vi racchiuse il volto caldo e bagnato tirandolo più a sé e dando inizio a qualcosa di travolgente.
Rimasero così, protagonisti di un quadro dalle mille sfumature che la pioggia donava all’oscuro colore della notte.

 
   
 
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