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Autore: Alexa_02    06/09/2019    1 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

 

“Okay” esala Aaron dal sedile del passeggero “Ho trovato. Preferiresti bere per sempre solo caffè o non poterlo bere mai più?”.

Rallento lentamente fino alla riga dello stop e scalo la marcia. “Mai più? Nemmeno un volta ogni tanto?”.

Scuote la testa. “No, mai più”.

Abbiamo cominciato a giocare a questo stupido gioco dopo che abbiamo lasciato casa di Lip. Abbandonare il suo salotto, in cui potevamo essere noi stessi, è stato davvero arduo, ma non potevamo restare lì per sempre.

Aspetto che la Volvo superi l'incrocio e riparto. “Beh, è fisicamente impossibile bere solo caffè per il resto della vita. Ad un certo punto il tuo corpo imploderebbe” sospiro mettendo la freccia a destra “Però, devo ammettere che probabilmente impazzirei anche se dovessi vivere senza...”.

Si sporge verso il mio lato e mi pizzica un fianco. “Non devi ragionarci sopra, il gioco non segue le leggi che controllano la vita sulla terra. Devi solo scegliere cosa preferiresti”.

Gli lancio un'occhiata veloce. “Allora vivrei solo di caffè”.

Ride. “Lo sospettavo”.

“Va bene, è il mio turno”. Imbocco la rotonda. “Preferiresti rinunciare al sesso o al lacrosse?”.

Con la coda dell'occhio, lo vedo irrigidirsi e cominciare a fissare il cruscotto inespressivo. Una volta ferma al semaforo rosso, mi volto a guardarlo. Ha la faccia di chi si trova davanti ad un dubbio esistenziale mischiata all'espressione di chi deve disarmare una bomba.

“Oddio”. Mi mordo il labbro per non ridere. “Ti ho ingrippato il cervello”. Mi sporgo verso il suo sedile e gli tasto gli addominali di ferro. “Dov'è il pulsate per riavviare?”.

Agita la mano interrompendo i miei palpeggiamenti. “Sto valutando pro e contro” si giustifica.
Scatta il verde e mi tocca ripartire. “Spiegameli”.

“Allora” si gira e alza le mani per gesticolare “Il lacrosse è lo sport migliore di sempre e sarebbe il mio sogno essere un giocatore professionista”.

“Allora niente sesso?”.

Alza l'indice. “Però...”.

“Oh, c'è un però” mormoro.

“...potrei farmi male un giorno e non poter più giocare. E poi quando sarò vecchio non lo praticherò più comunque” afferma “D'altra parte il sesso...”. Fa un verso strano, un misto tra un gemito e un sospiro, che mi costringe a stringere il volante e a pensare alla Layosa per combattere la voglia di inchiodare e fargli capire cosa preferirebbe.

“...se sei fortunato puoi farlo finché sei vecchio e se è con la persona giusta batte qualsiasi cosa senza nemmeno impegnarsi. Però tecnicamente si può vivere senza, come sto facendo ora...”.

“E di chi è la colpa?” squittisco stizzita.

“Dovrei rinunciare a tutto o solo all'atto vero e proprio?” domanda, ignorando il mio commento.

“Tutto” affermo.

Arriccia il naso. “È impossibile, non si può scegliere. È come se ti chiedessi di scegliere tra il cioccolato e il caffè”.

“Non posso, l'universo collasserebbe” scuoto la testa “Che razza di vita sarebbe?”.

“Vedi” afferma risoluto “Ecco cosa intendo”.

Ridacchio osservando la carreggiata. “Però tra cioccolato e sesso...”.

Si tappa le orecchie. “No, non dirlo”.

“Scelgo il cioccolato!” sghignazzo alzando la voce.

“Ah!”. Sospira di dolore prima di lanciarmi un'occhiataccia. “Non ci crede nessuno, Jay, ma proprio nessuno”.

Rallento vedendo avvicinarsi casa nostra. “Sei libero di credere quello che vuoi” mormoro.

Sento il suo sguardo percorrermi. “Beh, lo vedremo” asserisce cercando di sopprimere un sorriso.

Oh si, per favore. Giro imboccando il vialetto e una volta davanti al garage spengo la macchina. “Siamo arrivati” annuncio con pochissimo entusiasmo.

Aaron si slaccia la cintura e sospira con rammarico. “Dobbiamo entrare per forza?”.

“Temo di sì”.

“Potremmo fare un altro giro dell'isolato” propone.

“Non cambierebbe nulla, dobbiamo tornare prima o poi”.

Intreccia le dita con le mie. “Preferirei poi”.

Gli accarezzo il dorso della mano. “Anche io”.

Con immensa sofferenza smontiamo dalla macchina e molto, molto lentamente raggiungiamo l'ingresso di casa. Aaron infila le chiavi nella toppa e apre la porta. Il dolce e caldo profumo della cena ci scivola addosso, accompagnato da un miscuglio di voci proviene dal soggiorno. Mollo le chiavi della macchina sul mobile e seguo Aaron nell'altra stanza. Mamma e Jim siedono al divano sorseggiando té con il nemico. Letteralmente. La famiglia di Nicole ci osserva varcare la soglia e spalancare le bocche come due pesci. La professoressa Stuart e lo sceriffo siedono ai lati della figlia tanto amata, che stringe le mani in grembo e tiene la testa china come un perfetto angioletto.

“Eccovi, finalmente” trilla mamma sorridendo “Vi stavamo aspettando”.

“Cosa succede?” domando restando ferma sulla soglia.

Jim appoggia la mano sulla spalla dello sceriffo in modo fraterno. “Cyrus e Cara hanno saputo cos'è successo tra voi ragazze e hanno pensato che fosse il caso di parlare tutti insieme a cuore aperto”.

Lo sceriffo sorride all'amico e poi mi fissa dritta in faccia. “Appena il preside ci ha informati dell'accaduto, abbiamo preso subito provvedimenti e abbiamo pensato che il miglior modo per risolvere un conflitto è parlare”.

Jim annuisce. “Non potrei essere più d'accordo” lancia un'occhiata al figlio “Aaron perché non vai di sopra, non credo che tu voglia rimanere”. Lui mi guarda aspettando un cenno e quando lo faccio saluta tutti e sale le scale.

“Julie vieni a sederti qui” asserisce mamma dando dei colpetti al divano.

Entro definitivamente nella stanza e mi piazzo il più lontano possibile da Nicole. “Preferisco restare in piedi”.

Lo sceriffo stringe la mano alla figlia. “Nicole è terribilmente dispiaciuta per quanto è successo e Cara ed io abbiamo già stabilito una punizione più che consona al terribile gesto che ha compiuto” mi trapassa con lo sguardo severo “Non tolleriamo nessun tipo di violenza in famiglia, credimi”.

La professoressa sorride con dolcezza. “Siamo molto dispiaciuti, Julianne, davvero”.

Annuisco lentamente. “Okay”.
“Siamo qui perché possiate fare pace e perché Niki possa scusarsi come si deve”.

Fare pace? Cosa abbiamo? Cinque anni? “Va bene”.
La madre le fa un cenno e lei si alza. Mi si piazza davanti con le mani nel cardigan e lo sguardo umido. “Sono terribilmente mortificata e anche notevolmente imbarazzata. Il mio comportamento è stato inaccettabile e totalmente discutibile. Vorrei poter tornare indietro ma è impossibile, quindi ti chiedo perdono. Ora so che ho agito spinta dalla gelosia e dalla rabbia, ma nessuna di queste emozioni può giustificare un'aggressione fisica e verbale. Ho chiesto hai miei genitori una punizione maggiore di quella che volevano darmi perché capisco di aver superato ogni limite” una perfetta e limpida lacrima le riga la guancia di velluto “Scusami davvero, Julianne”.

Mi guardo intorno per osservare i visi dei nostri genitori e non mi sorprende constatare che ci sono cascati tutti. La guardano con amore e con comprensione, come se la vittima qui fosse lei. Mi dispiace, Nicole, ma ho passato così tanto tempo circondata da bugiardi patologici che ormai ho un radar per le stronzate. Questa performance non mi incanta e non mi fa abbassare la guardia.

Lei tira su con il naso. “Possiamo fare pace?” allarga le braccia e fa un passetto in avanti.

Sento gli sguardi carichi di aspettative dei nostri genitori, quindi avanzo verso la serpe e lascio che mi abbracci. Loro tubano felici, mentre le sue braccia secche mi stritolano come un cobra.

Nicole approfondisce l'abbraccio finché le nostre teste non di allineano. “Renderò la tua vita un inferno” mi bisbiglia all'orecchio, facendomi rizzare i peli sulla nuca “Farò di tutto perché tu soffra quanto soffro io, è una promessa”. Mi lascia andare e sorride con dolcezza ai nostri genitori. Resto immobile, intontita dall'intensità del suo odio nei miei confronti. Vorrei poter urlare che mi ha appena minacciata e che probabilmente è una sociopatica, ma da fuori questa scenetta sembra un perfetto riconciliamento e so che nessuno mi crederebbe, nemmeno mia madre.

 

 

 

Quando la famiglia degli orrori è finalmente andata via, mi lascio cadere tra i cuscini soffici. La morsa che mi stringe la testa si fa sempre più stretta, vorrei disperatamente un antidolorifico ma anche solo l'idea di ingerire una pastiglia mi fa tremare come una foglia. Riesco ancora a percepire il mostro della dipendenza che mi alita sul collo, aspettando che io inciampi in un buco abbastanza grande da permettergli di inghiottirmi di nuovo. Non importa quanto il dolore sia lacerante, non mi lascerò prendere di nuovo.

La porta cigola e poi si richiude. “Jay?”.

La voce vellutata di Aaron mi solletica come una piuma. “Tutto bene” rispondo monocorde.

Tengo il braccio sugli occhi, quindi lo sento avvicinarsi ma non lo vedo. “Non sembrerebbe”.

Odio terribilmente il fatto che sappia esattamente quando non mi sento affatto bene e soprattutto quando sto mentendo. “Ho solo bisogno di riposare, va tutto bene” mugolo.

“Sicura?”.

“Sì, al cento per cento” sbuffo infastidita.
Avanza. “So che non è così. Vuoi che...”.

“Sto bene, Aaron, voglio solo restare sola! Ti è così difficile lasciarmi stare?”. Non volevo essere sgarbata ma sono oltre il mio limite di sopportazione.

“Okay” sospira “Quando mi rivuoi nella tua vita, avvisami”. La porta si richiude di botto facendo acutizzare l'emicrania e avvicinare la bestia di un passo.

 

Dopo una lunga e bollente doccia ristoratrice, mi stendo sul materasso e mi rotolo tra le lenzuola, guardando la sveglia avanzare lentamente. Senza il corpo di Aaron, il letto sembra enorme e non riesco a trovare una posizione comoda. Tutto questo è solo colpa mia, l'ho invitato io nel mio letto la prima volta e ora non riesco a dormire senza di lui. Dovevo pensarci meglio.
Mi rigiro come una frittella in padella e sbuffo sonoramente. Perché non vai da lui? Mi bisbiglia una vocina all'orecchio. Perché? Perché sono testarda e orgogliosa come una caprone di montagna, ecco perché.
I cardini di metallo cigolano silenziosamente e il legno sfruscia contro lo stipite. Le coperte scivolano lentamente di lato e il materasso si inclina quando qualcuno ci si sdraia sopra. Le braccia di Aaron mi trovano anche al buio e mi attraggono contro il suo petto. Mi stringe a sé espirando di sollievo. “Non riesco a dormire” bisbiglia.

Affondo le mani sotto la sua maglietta, cercando il contatto con il suo corpo caldo. “Nemmeno io”.

Mi appoggia il mento sulla testa ancora umida. “Scusami” sospira con sofferenza.
Dio. Non è lui che dovrebbe scusarsi. È lui che è venuto da me quando sarei dovuta andare io da lui. Come faccio ad essere sempre così pessima? Lui è fantastico ed io sono assolutamente e completamente sbagliata.

Alzo il mento sfiorandogli il naso con il mio. “No, Aaron, è solo colpa mia. Ero stanca e nervosa”. Non voglio giustificarmi. “Scusa”.
Mi accarezza le labbra con un bacio leggero. “Lo avevo intuito, dovevo lasciarti spazio e non assillarti”.

Gli sfioro la guancia ruvida con la punta delle dita. “Che ne dici se smettiamo di cercare di prenderci la colpa e proviamo a dormire un po'?”.

Sorride. “Ottima idea”.

Ci incastriamo come due pezzi di un puzzle che combaciano alla perfezione e lasciamo che il sonno cancelli ogni problema.

 

 

“Ancora non ho capito” esala Lip, il giorno successivo, osservandomi versare l'acido nel becher “Perchè non hai detto ad Aaron della minaccia di Nicole?”.

Sbuffo asciugando il tavolo con un pezzo di carta. “Non aveva alcun senso caricarlo di un'altra preoccupazione, oltretutto non è stata una vera e propria minaccia”.

Mi colpisce la spalla con la propipetta rossa. “Bugiarda. Stamattina quando me ne hai parlato eri spaventata, l'ho notato”.

Sospiro mentre agito la soluzione con la bacchetta. “Sì, mi ha spaventata ma non così tanto da doverlo dire ad Aaron. Sai com'è fatto, cercherebbe di sistemare la situazione e non ha bisogno di distrazioni, soprattutto in previsione di sabato”.
Lip annuisce comprensivo. “La partita contro i Red Devils di Springville sarà un massacro”.

Giocherello con il guanto di lattice. “Vedi che ho fatto bene”.

“Mi dispiace, dolcezza, ma non sono d'accordo” posiziona la beuta in mezzo a noi “Se fossi lui vorrei sapere chi minaccia la tua sicurezza, che sia fisica o mentale. Proteggere la propria donna è la prima regola del Grande Libro dei Maschi”.

Alzo gli occhi al cielo. “Questa donna sa difendersi da sola e poi che cavolo è il libro dei maschi?”.

“Il Grande Libro dei Maschi” precisa alzando l'indice inguantato.

Scuoto la mano. “Sì, quello che è”.

“È la Bibbia di tutto il mondo maschile, c'è tutto quello che un uomo che si rispetti deve sapere”.

Ridacchio. “Come ruttare l'alfabeto o scrivere il proprio nome con la pipì?”.

“Quanti stereotipi, dolcezza”. Scuote la zazzera rossa. “Pensi che gli uomini siano così?”.

“Tu sì” asserisco con un sorrisino.

Mi fa la linguaccia. “Beh, non ci sono scritte solo quelle cose. C'è tutto di cui puoi avere bisogno”.
“Posso trovarlo in rete?” chiedo.

Versa un po' di soluzione per avvinare la vetreria. “Mi dispiace, dolcezza, lo possono trovare solo i penimuniti”.

Sospiro con finta tristezza. “Peccato”.

Mi passa la spatola. “Tornando al discorso di prima...”.

“Speravo di averti distratto”.

Sorride. “Ci sei quasi riuscita”. Poi il suo sguardo cambia, diventa più serio di quanto non lo abbia mai visto. “Secondo me dovresti dirlo a qualcuno, Julianne. Con il bullismo non si scherza, credimi”.

La serietà nel suo tono e il fatto che mi abbia chiamata per nome fanno scattare dei campanelli d'allarme. Il suo sguardo freddo e sofferente mi fa supporre che dietro le sue parole ci sia una storia che non conosco e che deve averlo fatto stare male. Ma chi mai potrebbe dare fastidio a Lip? È il ragazzo più grosso che conosco e anche la persona più dolce e meravigliosa del mondo. Come potrebbe qualcuno fargli del male di proposito?

Sono così assorta nei miei pensieri che non mi accorgo di aver afferrato l'imbuto dall'estremità sbagliata e di essermi tagliata. Solo quando Lip impreca balzando sulla sedia, mi rendo conto che la macchia rossa sul bancone è il mio sangue.

“Dannazione, dolcezza” sbuffa cercando della carta “Sapevo che dovevamo cambiarlo quando l'ho rotto”.

Il blu del guanto si mischia al rosso intenso del mio sangue, creando una bizzarra sfumatura. “Non fa nulla, è solo un taglietto”.

Lip mi afferra la mano e la stringe in un fazzolettino. “Sembra profondo, dobbiamo andare in infermeria”.

Cerco di oppormi. “L'arpia si infurierà, non ne vale la pena”.

Lip mi tira con un più forza. “L'imbuto era sporco di chissà cosa, andiamo a disinfettarlo. Non farti prendere di peso”.

Sbuffo sonoramente ma smetto di oppormi. So che non si farebbe problemi a sollevarmi e a portarmi in infermeria come una damigella in difficoltà. Sarebbe divertente ma il mio ego non potrebbe mai sopportarlo.

Lip mi tira verso la cattedra e attira l'attenzione della Layosa. “Professoressa, Julianne si è tagliata la mano con l'imbuto rotto”.
La professoressa ci squadra alzando le spalle. “E io cosa dovrei farci?”.

Lancio un'occhiata verso Lip. Te lo avevo detto. Lui mi ignora e si infila nel campo visivo della professoressa, nel tentativo di coprire me. “Necessita di andare in infermeria. L'imbuto era sporco e il taglio potrebbe infettarsi”.

La Layosa sbuffa. “Non sia mai, per carità”. Il suo sarcasmo mi fa venir voglia di tirarle l'imbuto sbeccato proprio in faccia. Lip le sorride cordiale, afferra i due permessi per il corridoio e mi trascina fuori dalla classe.

 

Una volta che mi ha fatta sedere al sicuro sul lettino dell'infermeria, le sue enormi spalle si rilassano. Mi tiene la mano ben stretta nel fazzoletto e guarda ovunque tranne che verso la mia ferita. Cerco di non ridacchiare. “Per caso ti fa impressione il sangue?”.

Osserva con troppo interesse un cartellone sull'apparato genitale femminile. “Ma che...” borbotta a mezza voce.

Inarco un sopracciglio. “Quindi se ora alzassi il fazzolettino...”.
Scatta come una molla, bloccandomi l'altra mano. “No!”. Sospira alla mia espressione sorniona e mi lascia andare. “È solo che non amo i tagli, il sangue e tutta quella roba li. Non mi fanno impressione”.

“Oh” tubo “Il grande e forte Lip ha paura del sangue?”.

Mi pizzica il ginocchio sopra i jeans. “Non ho paura, mi fa solo schifo”.

Ridacchio. “Beh, vedila così, è solo un miscuglio di eritrociti, leucociti, piastrine e plasma”.

Mi guarda disgustato e arriccia il naso. “Questa spiegazione non lo fa sembrare meno nauseante”.

“Ci ho provato”.
L'infermiera, la signorina Stone, entra nella stanza con un carrellino e un finto sorriso rassicurante. “Eccomi qui” annuncia “Vediamo cos'hai combinato”. Alza lentamente il fazzoletto e osserva il taglio con aria critica. Lip trova di colpo il soffitto molto interessante mentre io guardo la mia mano ricoperta di sangue. La lacerazione parte da metà palmo, tra il medio e l'anulare, e finisce sotto il mignolo. Non è un graffietto, ma non è nemmeno da pronto soccorso. Ho visto di peggio.

“Allora, tesoro, il vetro non è andato troppo in profondità ma necessiti di un paio di punti” mi comunica l'infermiera “Ora la disinfettiamo e poi ti ricucio, sarai come nuova in un attimo”.

Recupera un po' di garza e del disinfettante dal carrellino e mi tampona la ferita con cura. Una volta sterilizzato, recupera una piccola siringa e me la mostra. “Questo è anestetico locale, così non sentirai dolore mentre ti suturo”.

Lip sbianca alla vista dell'ago ma questa volto sono io a sobbalzare. “No” affermo risoluta “Non lo voglio”.

La signorina Stone mi accarezza il braccio. “Tranquilla, sentirai solo un pizzico”.
Indietreggio verso Lip. “No”.

“Julianne...”.

Scuoto la testa. “Lei non capisce, non posso. Non può darmelo”.

Mi osserva confusa. “Io...”.

Prendo fiato. “Sono una ex-tossicodipendente”.

Nella stanza cala il silenzio e io resto a fissare l'ago. Prima essere così vicina ad una siringa mi dava un sensazione di euforia senza uguali, ora sento solo disgusto e una pressante voglia di scappare.

“Scusami, tesoro, non volevo turbarti”. L'infermiera ripone il farmaco nel cassetto. “Il preside mi aveva avvisata, ma non pensavo che l'anestetico potesse essere un problema”.

“Non fa nulla” sospiro. “Non è che non posso e che non voglio. Preferisco non prendere nulla che non sia vitale, soprattutto se accompagnato da un ago”.

“Capisco perfettamente”. Mi guarda dispiaciuta. “Dovrò metterti i punti a crudo però, farà male”.

“Lo so” gemo “Ma preferisco così”.

Lip mi prende la mano non ferita. “Sentiti libera di stritolarmi pure quanto vuoi. Sono grande e forte, posso resistere”.

Non appena l'infermiera si avvicina al taglio, Lip apre la bocca e comincia a blaterare. “Te l'ho mai detto che al primo anno uscivo con Giselle?”.

Sono così sorpresa che quasi non sento il dolore alla mano. “Cosa?!”.

Annuisce rammaricato. “Sì, per ben quattro mesi”.

“Voglio sapere tutto”.

“Non era per niente male all'inizio, lei era davvero divertente e bellissima. Mi piaceva da morire, a dire la verità credo di essermi innamorato di lei”. La mascella mi sbatte contro il lettino. “Non ne sono sicuro, non ho mai provato più nulla del genere per nessuna, quindi immagino fosse amore”.

“Cos'è successo?”.

“Uscivamo insieme ed era tutto perfetto, almeno per me lo era. Non eravamo popolari come adesso, non eravamo nemmeno così come siamo ora, però mi piaceva davvero stare con lei. Della popolarità non mi è mai importato nulla, mentre Giselle era fissata” giocherella con le mie dita “All'epoca mi era sembrata una cosa improvvisa, ma ora mi rendo conto che è stata una graduale metamorfosi da ragazza della porta accanto a mostro senza anima ne sentimenti”.

Non sembra voler entrare nei dettaglio, perciò non lo sforzo. “Ti ha spezzato il cuore?” domando cauta.

“Me lo ha del tutto polverizzato”. Lo sguardo triste che gli rabbuia il viso mi fa stringere lo stomaco. “Mi ha tradito senza ritegno solo per raggiungere i suoi scopi”.

Gli accarezzo il dorso della mano con il pollice. “Mi dispiace, Lip”.

Nasconde la tristezza con un sorriso un po' troppo ampio. “Non preoccuparti, dolcezza, ho imparato la lezione”.

“Lip...”.

“Cos'è successo?” la voce squillante della dottoressa Dawson interrompe la mia frase. “Perchè sanguini?”.

Sempre un tempismo perfetto. “Un piccolo incidente, nulla di grave”.

Mi osserva dalla soglia dell'infermeria con aria preoccupata. “Ti va di spiegarmi?”.

“Sì, tra un attimo”.

L'infermiera avvolge il taglio nella garza pulita e mi regala un lecca-lecca alla frutta. “Ecco, tesoro, sei come nuova. Sei stata molto coraggiosa”.

“Grazie”.

Lip si sporge verso la signorina Stone con un sorriso seducente. “Posso averne uno anche io? Sono stato di vitale importanza, ho distratto la paziente”.

L'infermiera arrossisce leggermente e ridacchia. “Solo perché sei tu, Philip”. Gli porge un lecca-lecca rosso e lui le ammicca.

 

Usciamo dall'infermeria seguendo la dottoressa Dawson. “Grazie del sostegno, Lip. L'ho apprezzato molto”.

“Figurati, dolcezza, è stato un piacere”.

“A dopo”.

Mi giro per seguire la psicologa ma Lip mi richiama. “Jay”.

“Sì?”.

“Sei davvero tosta, lo sai, vero?” chiede. Alzo le spalle. “Lo sei, moltissimo”. Mi fa l'occhiolino. “Ci vediamo dopo, splendore”.

 

Mi siedo sul divano di pelle tenendo la mano ferita con cautela. La dottoressa mi osserva, in attesa.

“Mi sono tagliata per sbaglio con della vetreria rotta” sfioro la garza “Il laboratorio di chimica è più pericoloso di quanto pensassi”. Mi scruta con circospezione per troppo tempo. “Cosa? Pensa che l'abbia fatto apposta? No, mi creda, preferisco autodistruggermi in altri modi”.

Scribacchia sul taccuino. “Vorrei che avessi un po' più di cura di te stessa, Julianne”.

“Ho molta cura del mio corpo” sospiro.

“Non sono particolarmente d'accordo” corruccia le labbra “La rissa con Savannah, quella con Nicole, questo incidente a chimica e non parliamo di tutta la violenza psicologica che Giselle ti sta buttando addosso in questi giorni”.

“Nessuna di queste cose è colpa mia”. Inclina la testa. “Okay, forse la rissa con Savannah è stata un po' colpa mia, ma il resto no”.

Si sporge in avanti. “Sono solo preoccupata, Julianne. Sostituire un comportamento distruttivo con un altro ti porta sempre allo stesso risultato”.

Ha ragione? Mi infilo in situazioni potenzialmente dolorose di proposito? Può darsi, in effetti ho sempre cercato guai da quando mamma se ne è andata. “Farò in modo di prendermi più cura di me”.

“Brava”. Sorride. “Ora perché non parliamo un po' di Philip? Sembra proprio preso da te e devo ammettere che è proprio un bel ragazzo”.

Sospiro sprofondando tra i cuscini. Sarà un'ora proprio lunga.

 

 

Le dita di Aaron mi sfiorano la guancia mentre mi sposta i capelli dietro l'orecchio. “Mi sei mancata oggi a francese, la professoressa mi ha fatto i complimenti per i miei miglioramenti. Sono stato tentato di dirle che era solo merito tuo e non suo”.

“Sono sicura che ne sia consapevole”. Giocherello con un bottone della sua camicia. “Scusa se ti ho abbandonato ma la strizzacervelli mi ha rapita per parlare del mio comportamento autodistruttivo”.

“Quale dei tanti?”.

Gli mollo un pizzicotto sulla coscia. “Simpatico”.

Ridacchia. “Scherzo. Di cosa voleva parlare?”.

“Di tutte le volte che mi faccio male” sospiro “E del mio ragazzo”.

Strabuzza gli occhi. “Prego?”.

“Si, pensa lo faccia apposta”.

“Ma non è così, vero?”.

“No”. Gli accarezzo il mento ispido. “Ma le ho promesso di fare più attenzione”.

Mi stringe le mani su i fianchi. “Lo premetti anche a me?”.

“Lo pensi anche tu?”.

Scuote la testa. “No, però ogni volta che ti lascio sola ti ritrovo con qualche segno nuovo”.

Lo bacio lentamente. “Allora non lasciarmi più sola”.

Geme e sfodera la sua migliore faccia da cucciolo. “Sei tu che vuoi andare da Peyton, invece che stare sdraiata a letto con me tutto il pomeriggio”.

“Devo parlare con lei, Aaron. La storia del professor Ellingford non mi va giù” affermo. Le ho chiesto di vederci dopo scuola per passare un po' di tempo insieme e per provare a sfiorare l'argomento Amore Proibito.

“Lo capisco”. Si stende sul materasso, mi tira con se e poi rotola imprigionandomi sotto il suo corpo. “Però prima voglio sapere di che ragazzo avete parlato tu e la dottoressa Dawson”.

Ridacchio stringendogli le gambe intorno al busto. “Lei pensa che io esca con Lip. Lo ha visto in infermeria”.

Corruga la fronte. “E tu non l'hai smentita?”.

Gli accarezzo i pettorali. “Non posso. Sa che esco con qualcuno, se le dico che non è lui ricomincerà ad indagare e non voglio che faccia due più due. È molto intelligente”.

Sbuffa ma annuisce. “Va bene, ma non mi piace per niente questa cosa”.

Gli affondo le mani nei capelli e lo attiro a me. “Vediamo se riesco a farti sparire questo broncio”.

Il suo sguardo si infiamma. “Voglio proprio vedere”.

 

   
 
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