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Autore: ChrisAndreini    14/09/2019    1 recensioni
"Le prime cinque regole imposte alla società dei supereroi sono:
1) Ogni supereroe deve avere un localizzatore nel flusso sanguigno, che deve essere impiantato entro due anni dalla nascita del suddetto;
2) I supereroi non possono utilizzare i loro poteri se non in territorio da loro posseduto o con specifici permessi elargiti dalla DIS, pena la reclusione immediata;
3) Ogni supereroe deve indossare, non appena uscito di casa, uno speciale bracciale che elimina il potere, e non può essere rimosso per nessuna ragione fino al ritorno in casa o con il permesso elargito dalla DIS;
4) Non sono permesse relazioni romantiche e soprattutto procreazione tra supereroi e persone prive di poteri superumani, e ogni matrimonio tra supereroi deve essere approvato e supervisionato dalla DIS;
5) Se e solo se la DIS lo riterrà utile, un supereroe ha il dovere di servire la DIS con il suo potere e di lavorare in un ambito che possa sfruttarlo nel modo migliore"
Quando un'onda di energia magica si abbatte sulla città, creando il caos, Eryn Jefferson, supereoina nata senza poteri, cercherà di cambiare le cose.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tre eroi sono meglio di due

 

Eryn non sapeva cosa fare. Suo fratello la guardava come se fosse lei a dover parlare per prima, ed era in completo e totale panico.

Perciò fece l’unica cosa le venne in mente.

Sclerò.

-Cosa ci fai in camera mia! Vattene subito!- esclamò, cercando di riprendersi i vestiti in mano, ma il fratello era molto più veloce, e la schivò, andando dall’altra parte della stanza.

-Dobbiamo parlare, sorellona! E non sarà una conversazione piacevole, probabilmente!- esordì, gli occhi che mandavano scintille.

-Non abbiamo niente da dirci, tranne che non devi frugare nel mio armadio ed entrare in camera mia!- la ragazza cercò di evitare l’argomento, ma non era molto abile come oratrice.

-Credi che io sia uno stupido?!- si indignò Robin, stringendo i pugni.

-A giudicare dal fatto che litighi sempre con mamma e chissà quale strana teoria un paio di vestiti sporchi ti hanno messo in mente, sì, sei stupido! O comunque ignorante sul genere femminile- cercò di salvarsi Eryn, iniziando ad avvicinarsi lentamente per riprendersi i vestiti incriminanti, ma non usò i termini migliori. 

Perché se c’era qualcosa che Robin odiava, oltre ovviamente alle restrizioni ai supereroi, era essere trattato come un bambino e considerato stupido.

-Bene! Vediamo che ne pensa mamma, allora. Scommetto che lei che è tanto intelligente farà due più due molto meglio di me- la sfidò, schivandola per correre in cucina.

Eryn non lo avrebbe mai raggiunto o fermato, perciò fece l’unica cosa che le venne in mente, a livello inconscio.

Creò un campo di forza davanti alla porta, che sbatté Robin dritto sul letto, immobilizzandolo per qualche istante.

Eryn temette di avergli fatto male, ma proprio quando stava per controllare, Robin si alzò in fretta e le andò a pochi centimetri.

-Lo sapevo! Eri tu oggi al negozio di antiquariato!- la accusò, puntandole il dito contro.

Eryn impallidì, ma decise di continuare a fingere ignoranza.

-Di che stai parlando? Che negozio?- chiese, guardandolo come se fosse pazzo.

Il suo comportamento non fece altro che aumentare l’irritazione di Robin, che iniziava a mandare scintille, letteralmente. Eryn si prese una scossa, e si allontanò di qualche passo, ma Robin non glielo lasciava fare e le si avvicinò sempre di più.

-Qualche giorno fa il tuo capo è rimasto ferito. Un supereroe non identificato lo ha salvato da sotto le macerie. Stranamente i tuoi vestiti sono macchiati di sangue. Da quel giorno un sacco di supereroi sono usciti fuori come funghi, supereroi non controllati dalla DIS, quindi supereroi che prima erano normali. Sei stata strana da quel giorno. E oggi, proprio quando il tuo capo viene dimesso, una supereroina dai capelli castani mascherata sventa una rapina in un negozio. Ok, non eri tu. Non ti somiglia per niente, ma il tuo capo è un genio, ti ha sicuramente nascosta con abilità strane e magiche. Credi che sia stupido? Sei tu quella supereroina, e me ne hai appena dato una dimostrazione- le spiegò brevemente, con occhi vittoriosi.

Eryn si vide costretta a cedere.

Sospirò, e annuì.

-Io e Pat stiamo mettendo su un gruppo di supereroi fuorilegge per sconfiggere la lega del male. Quindi, se te lo stai chiedendo, non ero con quei criminali- rettificò.

-Mi hai sentito? Lo so che non eri con loro. Non sono stupido!- ripetè Robin, allontanandosi soddisfatto.

-Che vuoi ora? La mia porzione di dolce per un mese? Che prenda le tue parti nei litigi con mamma? La mia camera?- Eryn era convinta che suo fratello volesse ricattarla, ma evidentemente lo conosceva meno bene di quanto pensasse. O forse lo sottovalutava perché, effettivamente, il fratellino si era sempre comportato in modo infantile con faccende riguardanti supereroi.

-Niente di tutto questo, anche se mi hai dato ottime idee- rispose Robin, pregustando la camera nuova.

Eryn sbuffò, pentendosi di avergli dato suggerimenti, e lentamente si mise davanti alla porta per evitare che scappasse comunque e dicesse ogni cosa alla loro madre.

-Entro nel team- aggiunse poi Robin, con un sorrisone eccitato.

Eryn non era sicura di aver capito bene.

-Come, scusa?- chiese chiarimenti, confusa.

-Entro nel tuo team- ripeté Robin -Se vuoi sconfiggere la lega del male sarà difficile con poteri di scudi o qualsiasi cosa tu abbia. Ti servirà il mio aiuto esperto- spiegò meglio, atteggiandosi -Non serve ringraziarmi- aggiunse poi. Ma Eryn non ne aveva la minima intenzione.

-Sei completamente impazzito?! Non puoi unirti a noi!- esclamò, guardando il fratello come se fosse un alieno venuto da un’altra dimensione.

Robin la guardò offeso.

-Quindi tu puoi sconfiggere i cattivi e io no?! Non hai il diritto di fermarmi!- si difese, incrociando le braccia.

-Ti do tre motivi per i quali è completamente impossibile che tu lavori come supereroe: Primo, sei minorenne; Secondo, sei registrato, quindi ti beccherebbero subito; Terzo, è troppo pericoloso e non sei pronto!- lo scoraggiò Eryn.

-Primo, ho quasi diciotto anni e l’età del consenso per diventare supereroe è di quindici anni; Secondo, il tuo capo troverà sicuramente un modo per togliermi il rilevatore; Terzo, sono più pronto di te, dato che ho i miei poteri da tutta la vita e tu solo da qualche giorno- obiettò il fratello. 

Effettivamente le sue argomentazioni avevano una logica. Ma Eryn non aveva la minima intenzione di cedere.

-L’età del consenso era una scusa per accaparrarsi i supereroi più promettenti il prima possibile, e i poveri quindicenni raramente davano davvero il loro consenso, ma erano obbligati e schiavizzati. La vera età del consenso era a 18 anni, quando veniva fatto un vero e proprio contratto, perciò…- Eryn cercò di attaccarsi alla legge, dato che “Diritti e doveri dei supereroi” era il primo esame che aveva dato all’università e aveva preso trenta e lode.

Robin roteò gli occhi.

-Non mi interessa la legge! Quello che faremo è illegale, dopotutto. Ma moltissimi supereroi hanno iniziato a quindici anni, e sono diventati i migliori di questo secolo!- le fece notare, indicando la foto del padre, messa accanto al comodino.

Era vero che Steven Jefferson, alias Mr. Change, aveva iniziato il giorno stesso in cui aveva compiuto quindici anni, ed era stato per molto tempo il pilastro della DIS, l’eroe più forte del mondo.

-Già, infatti guarda un po’ che fine ha fatto papà- commentò però Eryn, quasi tra sé.

Robin strinse i pugni, le luci della stanza iniziarono a sfarfallare.

-Cosa vorresti dire con questo?!- esclamò, furente.

Eryn decise di fare un passo indietro. Per Robin il loro padre era un tasto dolente. Il ragazzo non avrebbe mai visto la verità, per quanto provassero a sbattergliela in faccia.

-Nulla, ma il mio resta comunque un no! Non entrerai a far parte del team. Due persone bastano e avanzano!- il suo tono non ammetteva repliche, ma Robin era maestro nel replicare comunque.

-Una che crea scudi e uno in sedia a rotelle? Che razza di team è?- provò ad obiettare. Eryn non rispose nemmeno. Anche perché non voleva rischiare di dare l’identità di Blaire, dato che si stava riferendo a lei, non a Pat, che al contrario non aveva poteri.

-Se non mi permetti di entrare nel team dico tutto a mamma- minacciò allora Robin, sprizzando elettricità da tutti i pori.

Eryn non poteva permetterlo, ma non poteva neanche rischiare che Robin si facesse male in missione. Non voleva avere anche il peso di un fratellino infantile durante gli scontri che già trovava davvero difficili.

Alla fine, cercò di far fruttare il corso di psicologia che stava seguendo. Non era una cima ed era distratta nella maggior parte delle lezioni, ma si trattava di suo fratello, non di uno sconosciuto.

-Sai, Robin, non sei affatto un eroe, se parli così- iniziò ad accusarlo, in tono autoritario.

Robin era in procinto di ribattere aspramente o far esplodere tutte le lampadine, ma Eryn non glielo permise.

-Se preferisci denunciare una supereroina che cerca di migliorare il mondo solo perché non ti permette di entrare a far parte del team, questo non ti rende meglio dei supercattivi che cercando di fermarla, e di certo non ti rende meglio della DIS. Anzi, se tu adesso andassi da mamma, provocandole un crollo, allertando la DIS e facendomi arrestare, non solo non entreresti a far parte della squadra, dato che metteresti nei guai anche Pat, ma elimineresti l’unico ostacolo alla lega del male e saresti esattamente uguale a…- fece una pausa ad effetto -…Madison- e poi gettò la bomba.

Robin sgranò gli occhi.

Poteva anche vivere con la consapevolezza di rovinare la vita a sua sorella di mezzo, ma mai avrebbe potuto sopportare l’idea di essere comparabile alla sorella maggiore.

Gettando gli abiti insanguinati sul letto della sorella, alla fine il ragazzo cedette.

-Va bene, terrò il tuo segreto, ma non pensare che mi arrenderò. Io entrerò nel team, in un modo o nell’altro- le promise, prima di superarla e uscire fuori dalla porta come una furia.

Eryn si buttò nel letto, stremata dalla discussione e senza più tempo per farsi una doccia prima di cena.

Dubitava che Robin avrebbe agito subito, perciò per qualche giorno era certa di poter stare tranquilla. Sicuramente avrebbe dovuto parlare con Pat, e con il suo cervello avrebbero trovato un modo di convincere Robin a lasciar perdere e far fare agli adulti.

Sentì sua madre chiamarla per cenare, e si convinse ad alzarsi dal letto.

Per fortuna Deborah Jefferson non aveva sentito la discussione, troppo distratta dai suoi pensieri, e aveva semplicemente ammonito Eryn di essere più carina con Robin, perché passava solo una fase, secondo lei.

Eryn avrebbe tanto voluto fosse tale, ma durava ormai da quindici anni, perciò dubitava si trattasse solo di questo.

 

Madison si era dovuta svegliare prima del solito, quella mattina, ed era semplicemente per andare a prendere la colazione a Finnegan De Marco.

Era la sua guardia del corpo, non la sua schiavetta. Che assumessero una cameriera vera, per quel tipo di lavori. Ma a quanto pareva lei era talmente in basso nella scala sociale che era un compito per lei, che in ogni caso non si era lamentata e aveva eseguito con puntualità e precisione, riuscendo anche ad essere perfetta come suo solito.

Ma aveva quasi ceduto all’ira quando Finnegan le aveva detto di non averla chiamata, e aveva scoperto che era stata sua sorella Drusilla ad ordinarle la colazione.

Aveva provato ad obiettare, ma Oscar aveva ribattuto che in qualità di guardia del corpo di Finnegan era suo compito occuparsi anche del resto della famiglia.

Sciocchezze!

Drusilla se ne approfittava e basta.

Ma Madison aveva fatto buon viso a cattivo gioco, ed era rimasta in casa pronta ad accompagnare Finnegan in ufficio, anche se mancava più di un’ora.

Decise di indagare un po’, e approfittò della distrazione dei tre membri della famiglia De Marco per sgattaiolare nella sala di sicurezza. Forse c’erano indizi che le erano sfuggiti. Sarebbe stato ideale controllare l’edificio da cima a fondo, ma le sarebbe servito un mandato, e c’erano luoghi che nessuno aveva il permesso di visitare. Il palazzo era stato costruito appositamente per i De Marco, e Madison era convinta fosse pieno di passaggi segreti e stanze nascoste, come un vecchio castello.

Per il momento doveva accontentarsi dei luoghi facilmente accessibili.

Si intrufolò senza troppi problemi nella sala che controllava le telecamere di sicurezza, e iniziò a controllare gli schermi, e le registrazioni.

Il suono del suo telefono per poco non le provocò un infarto.

Non era abituata a fare qualcosa di poco etico, e si vedeva.

Prese il cellulare e accettò la chiamata senza neanche controllare da chi provenisse.

-Pronto, telefono di Madison Jefferson- esordì, professionale.

-Volevo informarti sugli ultimi sviluppi del caso- la voce dell’agente Anderson le arrivò chiara, dritta al punto, come sempre.

Madison rimase interdetta per un attimo. Era stata sollevata dal caso, ufficialmente. Non era più la collega di Anderson. Eppure lui la stava comunque mettendo al corrente dei fatti. 

Madison non capì il suo comportamento, ma per un istante si sentì quasi commossa, e considerata. Era un’interessante novità.

-Ci sono svolte degne di nota?- chiese in fretta, uscendo dalla sala e cercando di allontanarsi per evitare che qualcuno la scoprisse lì o sentisse la sua conversazione.

-Abbiamo scoperto a chi appartiene il sangue rinvenuto dentro i contenitori della scena del crimine. Il suo nome è Berenice Holler ed è una supereroina registrata- la informò William.

Combaciava tutto. Era una grandissima svolta.

-L’hai già interrogata? Sicuramente era lì o sa qualcosa. Vengo su…- si interruppe. Non poteva lasciare il signor De Marco. Aveva le mani legate.

Il fastidio per la situazione nella quale la fuga di poteri l’aveva messa aumentò esponenzialmente. Aveva la più grande svolta nel caso da quando era stato aperto e non poteva neanche interrogare di prima mano il sospettato principale.

-Placa i bollenti spiriti, ci penso io. Ci ha contattato proprio ieri sera. Pare che sia stata fuori città per almeno un paio di mesi, ed è appena tornata. La interrogherò questo pomeriggio e ti metterò al corrente- la rassicurò William, in tono vagamente conciliante. 

Madison non trattenne un sospiro rassegnato.

-Indaga sui suoi contatti da supereroina. E i suoi spostamenti nei mesi in cui è stata qui. Soprattutto gli acquisti. Hai ancora quell’informatore sul mercato nero?- indagò, riflettendo su come agire, ma una mano sulla spalla la fece sobbalzare.

-Signorina Jefferson, il signor De Marco ti attende per scortarlo in ufficio- le disse una guardia, in tono schivo e quasi disgustato.

Madison si affrettò a scansare la mano della guardia, e interruppe la chiamata il più in fretta possibile.

-Scusa, il dovere chiama. Tienimi aggiornata- disse cercando di non tradirsi, prima di spegnere e rimettere il telefono in tasca.

-Devi stare con il signor De Marco in ogni momento- la rimproverò la guardia. La ragazza lesse la targhetta. Era un tale agente Hagen. Un uomo di mezza età dai capelli neri brizzolati e una lunga barba.

-Era una chiamata importante- si giustificò Madison, con un sorriso affabile.

-Niente è più importante della sicurezza del signor De Marco- obiettò l’agente Hagen, ignorandola subito dopo.

Madison alzò gli occhi al cielo. Aveva parecchie obiezioni da sollevare al riguardo, ma per decenza e dignità decise di rimanere in silenzio.

Tornò in cucina, dove Finnegan la stava aspettando, sistemando la ventiquattrore.

-Eccoti, finalmente- la accolse, con un sorrisino, prima di fare un cenno verso la porta.

Si prospettava una pessima giornata.

 

Dopo scuola, Robin fu il primo ad uscire, determinato a raggiungere il negozio di Eryn per cercare di farsi ascoltare almeno da Patrick, invischiato nella faccenda della sorella.

Ma venne bloccato sul marciapiede da una voce acuta alle sue spalle.

-Hey… R_Robin! Tor_torniamo insieme?- gli chiese timidamente una ragazza, che lui riconobbe immediatamente. Non tanto perché aveva riconosciuto la voce, ma piuttosto dal fatto che era l’unica ragazza che gli rivolgesse la parola a scuola.

-Oh, hey, Holly- la salutò distrattamente girandosi verso di lei e facendole un cenno -Mi dispiace ma oggi non torno subito a casa. Devo passare nel negozio di mia sorella ed è una strada diversa- le rivelò, senza scendere a particolari.

-Oh… che genere di negozio è?- chiese lei, torturandosi le mani.

Robin avrebbe preferito che non fosse così nervosa. Lo metteva a disagio e temeva di fare o dire qualcosa di sbagliato.

Cercò di essere il più gentile possibile.

-A dire il vero non lo so. Credo ci siano oggetti interessanti, forse è un negozio dell’usato. Comunque devo andarci. Possiamo tornare insieme domani- fece per salutarla e iniziare ad andare, ma lei continuò a parlare, a voce sempre più bassa, sempre più acuta e sempre più incerta.

-Sembra un negozio interessante. Mi piacerebbe darci un’occhiata- commentò senza guardarlo.

Robin non capì cosa potesse trovare di interessante in un negozio del quale non aveva neanche una descrizione precisa. Lui non ci sarebbe mai andato se non avesse avuto l’urgenza di provare in tutti i modi a diventare un supereroe a tutti gli effetti.

-Domani ti do l’indirizzo se vuoi. Adesso sono un po’ di fretta. Ci vediamo- la salutò, prima di darle le spalle.

L’ultima cosa che vide fu che Holly sembrava un po’ delusa, ma non riuscì a capirne il motivo. Forse voleva subito l’indirizzo, o ci teneva che Robin le facesse compagnia fino alla fermata? Gli sembrava improbabile. Ci pensò per qualche minuto mentre camminava verso il negozio della sorella, ma non riuscì a venirne a capo. Le ragazze erano davvero il più grande mistero dell’universo. 

 

Eryn era parecchio distratta quel pomeriggio, ed era stata parecchio distratta anche tutta la mattina. Non che la lezione del giorno fosse poi così importante, alla fine. O meglio, era importante, ma Eryn non era mai stata attenta a psicologia, quindi dubitava che una distrazione in più o in meno avrebbe fatto qualche differenza.

Appena arrivata in negozio avrebbe voluto parlare con Pat del fratello che aveva scoperto tutto, ma non aveva ancora trovato l’occasione, e non sapeva come introdurre l’argomento, soprattutto visto che Pat era davvero concentrato e impegnato.

Eryn aveva scoperto che Pat era al centro del mercato nero dei supereroi clandestini, in una posizione molto più influente e potente di quanto la ragazza pensasse, ed era davvero ammirata e allo stesso tempo inquietata dall’informazione. Mai avrebbe pensato che il suo capo fosse invischiato in tali traffici.

Ma dal punto di vista del team era davvero d’uopo. Aveva i migliori materiali e i soldi per provvedere a tutto quanto senza chiedere nulla alle due colleghe, ed Eryn doveva solo agire e badare alla cassa.

Ed era alla cassa in quel momento, un po’ annoiata, pensierosa e molto distratta, mentre Pat ultimava il suo costume. Aspettava una visita di Blaire il prima possibile per prendere le misure per il proprio. L’aveva vista all’università e sembrava davvero entusiasta.

Quando sentì la campanella che annunciava l’ingresso di un cliente, diede per scontato che fosse lei.

-Ben rivista, B…- ma si interruppe di scatto quando notò che ad entrare, con un sorrisetto malefico, non fu la sua compagna di team, ma il suo irritante fratellino, e rimase di sasso per qualche istante.

-Cercavo il titolare, è presente?- esordì lui, in tono fintamente angelico.

Eryn si irrigidì e strinse i denti.

-Non è presente al momento, e non lo sarà per parecchio. Ti conviene ripassare un’altra volta. Magari nel duemilamai, Bobi- lo incoraggiò ad andare via, per niente intenzionata a chiamare Pat. Dopotutto era in vantaggio. Lei conosceva il negozio e sapeva dov’era Pat. Inoltre, a differenza di Robin, poteva usare i poteri.

-Non puoi cacciarmi. Resterò qui finché non si farà vivo. E non chiamarmi Bobi!- il ragazzino iniziò a guardarsi intorno, con un cipiglio soddisfatto. Un piccolo vantaggio lo aveva anche lui: Eryn, sebbene fossero soli nel negozio, non poteva fare scenate. 

Avrebbe volentieri rischiato il licenziamento o la denuncia pur di cacciare fuori a calci il fratello, ma si impose di restare calma. Dopotutto Pat era molto impegnato. Era parecchio probabile che non riemergesse per tutto il tempo, a meno che Eryn non lo chiamasse.

Aveva installato un sostegno per salire e scendere in sedia a rotelle, ma era comunque una faticaccia, quindi non contava di farlo se non era strettamente necessario.

O almeno così Eryn sperava con fin troppo ottimismo.

Due minuti di dopo l’arrivo di Robin, che era rimasto davvero affascinato da un gioco elettrico parecchio vecchio, Pat fece la sua comparsa, con un cacciavite dietro l’orecchio.

-Eryn, hai visto il registro verde? Non riesco a trovarlo e ho bisogno di capire dove ho sistemato il costume da bagno arcobaleno- le si rivolse, pensieroso.

Una persona normale sarebbe stata presa in contropiede da una richiesta così bizzarra, ma Eryn ne aveva sentite di peggio. E aveva altri problemi a cui pensare.

-Pat, dobbiamo parlare di…- cominciò a dire sottovoce, sperando con tutto il cuore che Robin si fosse perso l’ingresso dell’uomo vista la sua distrazione, ma non era affatto distratto come sembrava, perché interruppe immediatamente la sorella precipitandosi velocemente, nonostante l’assenza di poteri, verso l’uomo in sedia a rotelle, e prendendolo del tutto di sorpresa.

-…del mio ingresso nel vostro team fuorilegge di supereroi- finì con un grande sorriso -Ho scoperto il vostro piano tutto da solo e voglio fare parte del gruppo!- disse con orgoglio e determinazione.

-Assolutamente no! Diglielo anche tu, Patrick, è minorenne, lui è registrato e tracciato ed è troppo pericoloso!- Eryn cercò l’appoggio dell’amico, riprendendo le obiezioni che aveva rivolto al fratello il giorno prima. Era probabile che sentendole confermare da un uomo più grande e responsabile ci fossero più possibilità che Robin si convincesse.

Ma Pat la sorprese non poco.

-L’età del consenso, sebbene bassa, è di quindici anni, e un’aggiunta più esperta al team gioverebbe non poco- ammise infatti, pensieroso.

Eryn non poteva credere alle sue orecchie. Gli occhi di Robin si accesero di trionfo.

-E poi mancano pochi mesi al mio compleanno. E sono convinto che con le tue risorse puoi togliere il rilevatore senza problemi!- lo incoraggiò, lisciandoselo con tono fraterno.

Eryn non lo aveva mai visto così espansivo. Non credeva neanche che fosse possibile vederlo così.

Quanto era scorretto!

Gli lanciò un’occhiataccia.

-Pat, è pericoloso, anche senza rilevatore lo potrebbero riconoscere- cercò di convincere il capo, che sembrò rendersi conto della preoccupazione della sottoposta.

-Beh, è vero. Potrei togliere il rilevatore. È il primo modello inventato, ed è sottopelle e semplice da rimuovere, a differenza dei nuovi congegni, ma tua sorella ha ragione, Robin. È un lavoro rischioso- Pat distolse lo sguardo, e abbassò la voce. Non sembrava del tutto convinto da quello che diceva, ma lanciò un’occhiata sottecchi ad Eryn, che tirò un sospiro di sollievo, e guardò Robin soddisfatta.

Il ragazzo fece passare lo sguardo tra i due, e alzò gli occhi al cielo, sbuffando e perdendo la facciata amichevole.

Nei suoi piani non aveva incluso che il capo di sua sorella fosse cotto della suddetta sorella tanto da non ascoltare la ragione. Se voleva entrare a far parte del gruppo, doveva sfoderare l’ultima arma che gli restava, anche se avrebbe preferito di gran lunga non farlo per non nuocere alla sua già quasi inesistente dignità.

Sospirò, e diede le spalle ai due, racimolando la forza per dire la sua in modo responsabile, maturo, e convincente, esponendo le sue fragilità. 

Che consistevano nelle sue nascoste doti oratorie. Nascoste perché lo facevano somigliare troppo a Madison, per i suoi gusti.

-Chi siete voi per decidere il mio destino?- cominciò a chiedere, senza guardarli.

-Robin...- provò ad obiettare Eryn, che iniziava a perdere la pazienza, ma il fratello la interruppe, girandosi verso di lei con le lacrime agli occhi e ammutolendo entrambi gli interlocutori.

-Pensi sia giusto che tu possa seguire il sogno che hai da tutta la vita ed io no solo perché sono più piccolo di te? Sono cresciuto con la prospettiva che se mi va bene l’unico modo per lavorare utilizzando i miei poteri sarà in una centrale elettrica. Sono un prodotto del sistema e non ho modo di liberarmi dalle corde che mi tengono intrappolato da quando ero piccolo. Voglio soltanto essere libero di spiccare il volo, e fare del bene. Proteggere il prossimo, redimere i supereroi. Te l’ho detto così tante volte, Eryn. Io voglio solo il bene della mia gente, e dimostrare di essere all’altezza della grande forza che possiedo contribuendo a fare questo bene. Non farò azioni sconsiderate. Sarò professionale, e attento, e…- si interruppe. Dirlo gli costava davvero tanto, ma alla fine cedette -…e ti seguirò, sorella. Farò quello che mi dici senza buttarmi nel pericolo o agire di testa mia- le promise, anche se sapeva che non avrebbe mantenuto la promessa.

Lo sapeva anche Eryn, che lo guardò diffidente e molto in conflitto con sé stessa per qualche minuto.

Alla fine, però, anche complice l’occhiata quasi supplicante di Pat, che avrebbe voluto il ragazzo nel team fin dal principio, sospirò, e acconsentì.

-Va bene. Puoi entrare nel team- acconsentì, a denti stretti.

Robin perse immediatamente il tono serio, e iniziò ad improvvisare un ballo della vittoria, guadagnandosi una risatina da Pat e un’occhiata gelida dalla sorella.

-Sarò il miglior supereroe del mondo!- esclamò gioioso.

-E se non stai zitto sarai anche quello con vita più breve!- provò a zittirlo Eryn, alla quale comunque tutta questa situazione non andava per niente giù, sebbene avesse acconsentito.

-Ma chi vuoi che entri in un negozio del genere?- alzò gli occhi al cielo Robin, sminuendo il pericolo.

-Io trovo che sia un negozio stupendo, e concordo con Eryn, da fuori si è sentita l’esclamazione- una voce alla porta fece sobbalzare tutti, ma Pat ed Eryn tirarono un sospiro di sollievo quando dall’uscio fece la sua comparsa Blaire, con un grande sorriso e i capelli raccolti da una fascia. Eryn fu felice di notare che non nascondeva il viso. Si era sbloccata davvero tantissimo in poco tempo.

-Stavamo solo parlando di una mia recita scolastica, niente di illegale o realmente supereroistico!- Robin si affrettò a trovare una scusa, cercando di non farsi prendere dal panico.

-Tranquillo, “supereroe migliore del mondo”, è con noi- gli spiegò Eryn, prendendolo in giro.

-Ciao, io sono Blaire. Sei un altro newbie?- gli chiese la ragazza, porgendogli la mano, e sorridendogli.

Robin piegò la testa, senza sapere cosa rispondere.

In realtà la sua testa non sembrava funzionare.

E neanche le sue mani, e la sua voce.

E si sentiva bollente all’improvviso.

Blaire smise di sorridere, e ritirò la mano.

-Ho fatto qualcosa di male?- chiese ad Eryn, un po’ preoccupata.

-No, figurati. Non è un newbie, è quell’orso del mio fratellino- la rassicurò, e questo insulto gratuito davanti ad un’estranea sembrò sbloccare Robin, che arrossì.

-Non sono un orso! E non sono piccolo!- non seppe neanche lui perché sottolineò la seconda cosa, comunque fece alzare le mani alla sorella in segno di resa, e poi si rivolse a Blaire, cercando di non perdere di nuovo l’uso della parola.

-Sono Robin. Piacere- non porse la mano perché temeva fosse troppo sudata, ma le fece un cenno col capo, e lei ricambiò, accennando nuovamente un sorriso.

-È un piacere conoscerti. Quindi sei già esperto dei tuoi poteri? Che fortuna. Io ancora non so bene come usarli- ammise, un po’ imbarazzata, giocherellando una ciocca di capelli. 

-Beh, sì, cioè, sono abbastanza esperto, ovviamente, dato che ci sono nato. Ma sono sicuro che anche tu sei bravissima, insomma, hai solo bisogno di un po’ di pratica, è normale- iniziò a balbettare lui, diventando sempre più rosso.

Blaire ampliò il sorriso.

-Grazie, ho iniziato ad esercitarmi, ma è davvero strano. Mi trasformo in altre persone. Sia persone che non esistono che persone che conosco- spiegò, iniziando a fare conversazione.

-Io sono elettrico, e veloce, molto veloce- spiegò Robin, iniziando a parlare più normalmente e più amichevolmente di quanto Eryn lo avesse mai visto.

-Sarebbe il caso di non parlarne qui. Blaire, mi hai detto di avere delle idee per il tuo costume, mi raggiungi in laboratorio? Robin, anche tu. Ti tolgo il rilevatore e ti spiego come trattarlo in modo che la DIS non si accorga di niente- incoraggiò i due, che annuirono e lo seguirono.

Eryn dovette rimanere in cassa, ma avrebbe pagato oro per continuare ad osservare il fratello parlare con Blaire. 

 

Madison osservava lo schermo muto posto all’ingresso che era a portata di vista dal muro del corridoio al quale era appoggiata, fuori dall’ufficio di Finnegan che proprio in quel momento stava lavorando. Il lavoro di guardia del corpo era noioso e stancante, e Madison non poteva fare a meno di pensare a quanto avrebbe preferito interrogare quella tale Berenice Holler il cui sangue era stato trovato sulla scena del crimine nella torre De Marco.

Di solito lei e William si dividevano in poliziotto buono e poliziotto cattivo, durante gli interrogatori.

Non era una scelta, a dire il vero, accadeva e basta: Madison era incalzante e incuteva timore, mentre Anderson era tranquillo e spesso accomodante. In questo si completavano molto.

Chissà chi c’era al suo posto, probabilmente qualche ragazzina appena uscita dall’accademia o un altro agente anziano che aveva perso il compagno supereroe.

William non glielo aveva detto, Madison si chiedeva se fosse per non farle pesare di essere stata tagliata fuori, ma lo escludeva. William non era così attento a come gli altri si sentissero, specialmente lei.

La televisione mostrava i volti dei tre criminali mascherati che stavano terrorizzando la città, e la loro nuova complice, di cui nessuno aveva una foto ma che era stata accuratamente descritta dai testimoni oculari.

A Madison il volto sembrò familiare, ma non ci fece troppo caso. Era la notizia in sé a farle storcere il naso.

Non riusciva a credere che degli esseri umani avessero ottenuto dei poteri e che si fossero messi a commettere immediatamente crimini.

A volte pensava davvero che i superpoteri fossero una malattia. Da quando la DIS aveva iniziato a controllarli stavano tutti decisamente meglio. Le regole erano semplici da seguire, e facevano andare avanti il mondo. Madison le seguiva alla perfezione, e si sentiva davvero soddisfatta di come la sua vita stava andando avanti. Beh… tranne negli ultimi tempi. Ma era colpa dei nuovi supereroi, non della DIS.

Si rigirò il bracciale sul polso, e controllò che la manica della camicia non lo coprisse. Doveva far capire a tutti chi fosse, era la regola 23 del codice regolamentario imposto ai supereroi dalla DIS. Quasi nessuno la osservava, ma Madison ci teneva ad essere precisa.

Un paio di burocrati passarono parlando tra loro, ed entrambi le lanciarono un’occhiataccia.

Madison sospirò. Era da quando era arrivata che chiunque passasse le lanciava un’occhiataccia.

Una segretaria aveva anche commentato qualcosa del tipo “Dovrebbero ucciderli tutti questi mostri”, ma Madison non ci faceva più caso.

Era ormai abituata.

Subito dopo il passaggio dei burocrati, la segretaria personale di Finnegan, una delle poche persone che non l’avevano guardata storto da quando era entrata lì, la raggiunse zompettando, con in mano dei documenti e parlando al telefono con il suo ragazzo.

-Aspetta un secondo…- disse rivolta alla cornetta, poi alzò lo sguardo verso Madison, con un grande sorriso.

-Scusa, potresti dare questi documenti al signor De Marco? È urgente e sono al telefono- le chiese con occhi da cucciolo.

Si chiamava Jewel Norton e aveva 20 anni, ma ne dimostrava 15, a partire dal suoi grandi occhi verdi fino al suo abbigliamento giovanile, passando ovviamente per i lisci capelli neri come l’inchiostro che teneva legati in due codine che sembravano uscite dai cartoni animati giapponesi.

Probabilmente aveva ottenuto il posto solo perché sua sorella maggiore, Brolice, era uno dei consiglieri principali della campagna di Finnegan. Madison l’aveva vista di sfuggita, ma si capiva subito che era una donna composta ed elegante, esattamente il contrario di Jewel e sicuramente molto più vicino a Madison di lei, in termine di affinità.

-Non è il mio lavoro portare i documenti, signorina Norton- cercò di rifiutare Madison, ma Jewel non la stava neanche ascoltando.

-Grazie mille- mise i documenti in mano alla ragazza e tornò a parlare al telefono, suscitando sguardi di apprezzamento da parte degli uomini che passavano per il corridoio o erano all’entrata.

Madison scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.

Odiava le raccomandazioni immeritate come questa, e odiava che nonostante fosse mille volte meglio di Jewel in ogni ambito, erano sullo stesso piano sociale.

Si rassegnò al compito che non le spettava e bussò alla porta dell’ufficio di Finnegan, senza ottenere risposta.

Dopo aver bussato un’altra volta, decise di entrare e basta, anche perché poteva essergli successo qualcosa.

Non sapeva se sperarlo per vendicarsi in modo indiretto dei De Marco che tanto odiava. Probabilmente se Finnegan fosse rimasto ferito con lei di servizio sarebbe stata declassata e forse anche arrestata, ma poteva valerne la pena, se dopo di lui fossero rimasti feriti anche gli altri membri della sua famiglia.

Alla fine erano Oscar e Drusilla i peggiori.

Quando entrò però i suoi pensieri vennero accantonati, perché Finnegan stava più che bene, era solo impegnato a parlare al telefono, e osservava distrattamente fuori dalla finestra, di spalle alla porta. Sembrava completamente immerso nei suoi pensieri, e dal riflesso che Madison scorgeva, il suo volto era rilassato. Leggermente preoccupato, ma molto più naturale di quanto Madison l’avesse visto.

Per un attimo Madison ebbe il dubbio che stesse parlando con Jewel, ma i suoi dubbi vennero smentiti quasi immediatamente.

-Lo sai che i soldi non sono un problema, Kyle. Papà non può dire niente se sono i miei, e in ogni caso non glielo direi. Non sopporto che tu salti i pasti per pagarti l’affitto- stava commentando.

Kyle De Marco. Il secondogenito di Oscar. Aveva l’età di Madison, e la ragazza era andata nella sua stessa classe per ragazzi prodigio alle superiori… per una giornata. Oscar si era lamentato con la direzione e Madison era stata cacciata il giorno successivo e surclassata in un classe molto più ordinaria, insieme agli altri supereroi. Quando aveva scoperto che il promettente Kyle De Marco era stato disonorato e cacciato di casa l’opinione di Madison si era divisa in due: da un lato era soddisfatta che colui che l’aveva fatta cacciare dalla classe si fosse rivelato un fallimento, dall’altra trovava davvero uno spreco che un ragazzo con tale potenziale, per il quale aveva lasciato la classe, fosse finito in un monolocale e lavorasse come precario.

I gossip si sprecavano sui motivi dell’allontanamento del figliol prodigo. La versione ufficiale era che fosse un favoreggiante dei supereroi, buono a nulla e forse anche incastrato con delle gang giovanili o la mafia. 

I gossip sostenevano che Oscar De Marco non aveva preso tanto bene il suo coming out.

Madison non badava alle voci, perciò non si era mai fatta un’opinione.

Di certo, però, rimase sorpresa che Finnegan fosse ancora in contatto con il fratello. Probabilmente se sua madre avesse cacciato finalmente di casa Robin, Madison avrebbe preso la palla al balzo per smettere di parlare con lui, non che lo facesse molto, in generale.

Beh, con Eryn era un po’ diverso, in effetti. Tollerava la sua compagnia, ma sicuramente non avrebbe offerto soldi e aiuto a nessuno dei due. Trovava che ognuno dovesse guadagnarsi da solo ciò che aveva.

Si schiarì la voce per attirare l’attenzione di Finnegan, che sobbalzò e si girò di scatto, per poi rilassarsi appena la vide.

-Che c’è?- chiese un po’ seccato dall’interruzione.

-La sua segretaria mi ha dato dei documenti da consegnarle- Madison gli rispose formale, indicando i fogli che aveva in mano.

Finnegan sospirò.

-Ti richiamo. Mangia qualcosa- disse al fratello, prima di riattaccare.

Poi porse la mano verso Madison, che gli diede i documenti.

-Quanto hai sentito?- chiese in tono di rimprovero, prima che Madison potesse uscire.

La ragazza incrociò le braccia.

-Premetto che ho bussato due volte prima di entrare, ma lei non mi ha risposto. Ho solo sentito che vuole dare dei soldi a suo fratello. Ma non dirò nulla a suo padre, non è nei miei interessi- gli rassicurò, pratica.

Finnegan tirò un composto sospiro di sollievo.

-La ringrazio. È una faccenda privata. La prossima volta, comunque, dica alla signorina Norton di venire di persona- disse poi, con un gesto di congedo.

Madison fece un cenno con la testa e si preparò ad uscire.

-Oh, a proposito…- la interruppe nuovamente. Madison si girò verso di lui, davanti all’uscio.

-Copri il bracciale. Non voglio sbattere in faccia alla stampa che la mia guardia del corpo è una supereroina. L’ultima cosa di cui ho bisogno è un’accusa di favoreggiamento in questo periodo- le chiese, indicando il polso destro.

Madison si rigirò il bracciale.

-La regola numero 23 del codice regolamentario imposto ai supereroi stabilisce che, cito testuali parole, “Ogni supereroe deve indossare il bracciale in modo che sia visibile a chiunque per rendere evidente di essere un individuo dotato di superpoteri…”- cominciò a recitare la regola, ma Finnegan concluse per lei -“…e non creare incomprensioni”- 

Il suo nuovo capo scosse la testa.

-“A meno che non venga espressamente ordinato di non farlo”- aggiunse poi -E io, in qualità di tuo capo, ti ordino di nascondere il bracciale- 

Madison pensò un attimo. In effetti si era scordata di quella postilla.

Si arrese e annuì, abbassando la manica della camicia e della giacca.

Finnegan sorrise soddisfatto.

Era quasi uscita dalla porta quando Madison decise di fargli un’ultima domanda, che le premeva da quando era stata assunta, ma non aveva mai avuto occasione di chiedere.

-Se ha tanta paura di quello che potrebbe dire la stampa, perché mi ha accettato lo stesso?- obiettò, ricordando il modo in cui Finnegan l’aveva difesa con suo padre, il giorno prima.

Il politico rispose in fretta, senza guardarla negli occhi ma fissando i documenti appena arrivati alla sua scrivania.

-Sei competente, tutto qui- rispose, facendo cadere l’argomento.

Madison sentiva che non poteva essere tutto lì, ma decise di non insistere. 

-Buon lavoro, signor De Marco- lo salutò, uscendo dalla porta.

-Anche a lei, signorina Jefferson- rispose lui, distrattamente.

 

Dall’altra parte della città, dopo aver preso il pasto più economico da un takeaway di cibo messicano, un ragazzo di 25 anni stava ritornando a casa, a due isolati di distanza. Non era ancora buio, ma le strade erano semivuote, e il quartiere non era nei migliori. Normale amministrazione per Kyle De Marco. 

A differenza dei suoi fratelli aveva i capelli castani, ereditati dalla madre, tenuti abbastanza corti e molto disordinati, ma gli occhi erano gli inconfondibili occhi castano chiaro dei De Marco. 

Aveva appena scritto un messaggio a suo fratello per rassicurarlo che stava per mangiare, e mentre aspettava la risposta controllava le ultime notizie. Non riusciva ancora a credere che tante persone avessero ottenuto dei superpoteri, e soprattutto non riusciva a credere che tutti quelli che li avevano ottenuti fossero sulla via del male. Era certo che da qualche parte qualcuno avrebbe iniziato a combattere contro la Lega del Male e tutti i supercattivi minori che stavano uscendo fuori. Il mondo, dopotutto, doveva mantenersi in equilibrio.

Proprio mentre formulava questi pensieri, passando attraverso una scorciatoia poco frequentata, come se si fosse chiamato la sfortuna dall’universo, tre brutti ceffi gli tagliarono la strada.

Se ne accorse solo quando andò a sbattere contro uno di loro, e per poco non cadde a terra.

Alzò la testa pronto a scusarsi, ma impallidì notando gli sguardi truci dei brutti ceffi.

-S_scusate, ero distratto.D_dovrei tornare a casa- cercò di dileguarsi e superarli, ma quello contro cui era andato a sbattere lo prese per le spalle e lo sbatté contro il muro, tirando poi fuori un coltello.

-Per rimediare puoi darci tutto quello che hai, a cominciare dal tuo telefono- quello che probabilmente era il capo gli strappò il telefono dalle mani.

-E credo che ti ruberemo anche la cena- disse un altro, strappandogli il pacchetto dalle mani e controllando cosa ci fosse dentro.

-Non ho nulla. Vi prego, ho bisogno del telefono- cercò di supplicarlo, ma non sembravano intenzionati a cedere alla pietà.

Dopo essere stato cacciato di casa non era riuscito a terminare gli studi, quindi non aveva trovato lavoro da nessuna parte, ma Kyle era bravissimo con i congegni elettronici, e lavorava come programmatore freelance. Il telefono era una delle sue fonti principali di lavoro, insieme al computer. E l’ultima cosa che voleva era chiedere un prestito a suo fratello, che in ogni caso non avrebbe saputo come contattare se gli rubavano il telefono.

Il brutto ceffo che gli aveva rubato la cena, come un bulletto delle scuole medie, iniziò a sgranocchiare il taco che aveva comprato.

Il capo glielo strappò dalle mani e iniziò a mangiarlo mentre controllava il telefono.

Kyle rimase impotente nel vicolo, con il coltello puntato contro.

Sperava solo che quei tre non avessero qualche conto in sospeso con i De Marco, perché altrimenti era già morto.

Purtroppo quello non era il suo giorno fortunato, perché una volta letto qualcosa sul telefono, il capo guardò Kyle con sguardo assassino.

-De Marco…- sussurrò a denti stretti.

-Sono disoccupato per colpa di tuo padre. Mia moglie mi ha lasciato e ha portato con sé i bambini. Ho perso tutto a causa della tua famiglia- strinse i pugni e lo guardò con odio.

-Tecnicamente io non sono più parte della famiglia, e non credo che la separazione sia necessariamente colpa della disoccupazione- borbottò tra sé Kyle. Quello davanti a lui non sembrava il modello di marito e padre ideale. 

-Cosa hai detto?!- lo incalzò lui, puntandogli il coltello dritto sul collo, e facendolo sobbalzare.

-Nulla, nulla! Mi dispiace tanto. Ma io non centro niente con mio padre, mi ha diseredato- cercò di salvarsi in extremis, ma sembrava davvero in una situazione disperata.

-Perché sei un disgustoso frocetto- lo prese in giro il terzo membro, disgustato. Era la prima volta che parlava.

Kyle iniziò a rassegnarsi all’inevitabile.

Nella migliore delle ipotesi lo avrebbero picchiato fino a farlo ospedalizzare, ma era anche piuttosto probabile che nessuno l’avrebbe trovato e sarebbe morto per le ferite, o per il freddo, o mangiato dai cani.

In effetti quel vicolo era circondato dai cani. Kyle ne notò parecchi che iniziavano ad avvicinarsi, lentamente, ma in modo abbastanza innaturale da saltare all’occhio.

-Capo…- anche il tipo che gli aveva fregato la cena sembrò accorgersene, e si rivolse al tipo grande e grosso, che si guardò intorno, e iniziò ad agitarsi.

-Ma da quando in questo vicolo ci sono così tanti cani?- chiese, confuso.

Kyle ne aveva visto qualcuno, ogni tanto. Randagi aggressivi che gli ringhiavano contro quando passava ma che accettavano qualche pezzo di carne come pedaggio per farlo passare, alcuni anche con la rabbia. 

Ma non aveva mai visto una decina di cani tutti insieme, soprattutto così aggressivi e compatti, come se fossero attirati da qualcosa… o controllati da qualcuno.

-Ve lo dirò una sola volta: lasciate subito andare il ragazzo, o ve ne pentirete amaramente!- una voce attirò l’attenzione dei quattro, che si girarono nella direzione dalla quale proveniva.

A Kyle sembrò mancare il respiro, e rimase a bocca aperta.

In fondo al vicolo, minaccioso per quanto glielo permettessero le orecchie da cane e la calzamaglia, c’era un ragazzo mascherato con gli occhi brillanti e circondato dai cani, che abbaiarono tutti nello stesso momento.

-Un supereroe?- chiese il terzo, iniziando ad indietreggiare, spaventato. Finì contro uno dei cani, che gli ringhiò contro, portandolo di riflesso verso il capo.

-E tu chi saresti, l’uomo che sussurrava ai cani?- chiese il boss, ridendo tra sé per niente impressionato, e continuando a premere forte il coltello contro la gola di Kyle, che sentì un dolore e del sangue iniziare a scendere.

Chiuse gli occhi aspettandosi il peggio, ma il peggio non arrivò.

Anzi, sentì qualche urlo e il secondo urlò distintamente un -Toglietemi questo chihuahua dal sedere-

Quando Kyle aprì gli occhi i tre membri stavano scappando inseguiti dai cani, e il supereroe gli si stava avvicinando, porgendogli il telefono che aveva raccolto.

-Stai bene, ragazzo?- chiese, in tono dolce, lasciando del tutto perdere la scena minacciosa di pochi secondi prima.

Kyle era rimasto senza parole, e sentì parecchie farfalle nello stomaco alla vista di quell’immagine stupenda.

Si limitò ad annuire.

-Mi dispiace non essere arrivato prima. Ordinerò a questi due cagnetti di riaccompagnarti a casa- gli assicurò, accarezzando due cani poco distante, uno minaccioso ed enorme, l’altro piccolo e carino.

-G_grazie… signor… ehm… supereroe…- Kyle non sapeva davvero cosa dire. Non si sarebbe mai aspettato, nel corso della sua vita, di venir salvato da un supereroe. Ed era anche un supereroe di bell’aspetto, a dirla tutta.

Dalla pelle color mogano e i ricci scuri, al fisico importante. I suoi occhi buoni erano però ciò che colpiva di più. Ambrati e pieni di calore. E anche vagamente familiari.

Kyle non si rese neanche conto di arrossire, ma era un peperone.

-Puoi chiamarmi Segugio. Puoi stare più tranquillo da ora in poi- lo rassicurò il supereroe, con una pacca sulla spalla.

Kyle quasi cadde, ma gli sorrise riconoscente, e con qualche lacrima di commozione.

-Grazie Segugio, grazie davvero- era monotematico, ma non sapeva come esprimere appieno la sua gratitudine.

Segugio gli fece un occhiolino, poi scomparve nel vicolo, seguito dai cani.

Kyle rimase qualche secondo a fissare il punto da dove era sparito, poi sembrò riprendersi, e si affrettò a correre in casa, per evitare che i brutti ceffi tornassero. 

Lo sapeva! Lo sapeva che i supereroi stavano tornando! Quelli buoni e pieni di intenzioni nobili.

Era felicissimo di essere stato uno dei primi a sperimentarlo.

Doveva assolutamente scriverlo sul suo blog.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Non volevo rendere la scena finale così lunga, ma non ho resistito. Kyle è uno personaggio che adoro un sacco, e si nota.

Sarà un personaggio secondario ricorrente in diverse parti di storia, spero vi piaccia.

Oltre a lui è comparso anche Segugio, e abbiamo un nome del personaggio dello scorso capitolo: Berenice Holler. Chissà cosa sa. È coinvolta con la figura misteriosa o è tutto un equivoco? Continuate a leggere per scoprirlo.

E per scoprire se il trio formato da Robin, Eryn e Blaire funzionerà o se i due fratelli, insieme, combineranno un macello.

Mi dispiace che il capitolo sia così di passaggio, ma il prossimo sarà davvero molto pieno, e ritornerà la lega del male. 

Spero di farlo uscire presto.

E spero che la storia continuerà a piacervi.

Probabilmente il primo arco narrativo durerà 19 o 20 capitoli.

Grazie a tutti quelli che seguono la storia.

Un bacione e alla prossima :-*

   
 
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