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Autore: Aslinn    29/07/2009    3 recensioni
Come nasce la canzone "Julien"? Chi è Julien? E che rapporto ha con i famosi Placebo? Solo un altro scheletro nel variopinto armadio di Brian Molko, o forse di più...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal, Steve Forrest
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Julien 6 Note: Questo capitolo è introspettivo, un punto di chiarimento, anche se ancora non c'è la riflessione sul vero rapporto tra Brian e Julien. Quella arriverà poi. Il testo in corsivo è la narrazione di Julien, come si capirà. Quel pezzo è un po' sciatto, forse, ma spero che questo lo renda più realistico o.ò
ATTENZIONE: Julien è tutto mio, giù le mani dal mio cucciolo! XD Brian Molko invece appartiene solo a sé. I caratteri e le situazioni riportate riguardo a personagi reali (come mr. Molko) sono completamente inventati. Nessuno dei Placebo mi paga per questo, non penso lo farebbero mai. Non è liberamente diffamatorio, non intendo offendere nessuno.
Come sempre, commenti e/o critiche ben accetti!
Buona lettura!

 Capitolo 4: Find a friend in whom you can confide

(Brian)
Le lenzuola erano ancora umide quando gli chiesi un perché. Del suo essere lì nel mio letto, ora che ero lucido, dell’essere in strada, dell’essere solo. Perché era Julien?
Lui mi guardò ferendo se stesso per portare a galla le risposte. Sospirò e raccontò tutto come fosse a lui estraneo.

-Finii per strada una mattina. Era presto, ricordo, molto presto. Vivevo in una cittadina del cazzo come tante, e la gente si alzava sempre agli stessi orari, compiva sempre le stesse azioni, diceva sempre le stesse stronzate. Così nessuno era in giro quando presi lo zaino già pronto da sotto al letto, me lo misi in spalla, scesi le scale di legno e uscii di casa richiudendomi la porta a vetri alle spalle. Il sole era freddo, quella mattina, come tutte, e mi dava le spalle mentre lasciavo la casa dove ero cresciuto, la casa dei miei nonni. Non me ne andai per qualche motivo particolare, semplicemente odiavo quel posto, quella monotonia che ti ammazzava lentamente.
Il paesino era vicino al mare e trovai il pomeriggio stesso una nave sulla quale imbarcarmi. Un peschereccio che stava attraversando la Manica per tornare in patria: l’Inghilterra appunto. Il capitano non mi voleva far salire, neanche a pagarlo in soldi, così lo feci in natura, per tre notti.
A lui faceva piacere, a me non importava. La mia verginità in quel senso l’avevo già persa a quindici anni a una festa. Di quel primo episodio ricordo solo l’odore di alcol, marijuana e sudore, un ragazzo più sballato di me, e il dolore. Ma nient’altro. Non so neanche chi fosse lui.
Alla fine giunsi in Inghilterra, e non avevo un solo soldo. Trovai subito un modo per guadagnarli. Un taxi si fermò poco fuori il porto e il tassista mi guardò torvo. Io gli dissi semplicemente “Non ho soldi, mi puoi aiutare?” Mi fermò in un vicolo dove pagai il viaggio fino al prossimo treno. E lì fino a Londra, con qualche soldo raccattato per strada in quel modo, o rubato in giro.
Qui conobbi la droga. Un ragazzo mi agganciò in un pub, era un tipo davvero incredibile, il tizio più fico che avessi mai visto, di certo più di quei cinquantenni frustrati e della gente morta del paesino francese che mi aveva dato alla vita. L’Inglese lo sapevo bene, grazie a mio nonno che veniva proprio da Londra e aveva insistito per rendermi un bilingue. Stupido patriottismo, anche se devo ammettere che tra chiesa e motti è stata quella l’eredità più importante, l’unica, di quei bigotti.
Insomma, io e questo ragazzo stavo insieme, anche se non proprio come una vera coppia. Quando ci incontravamo, fumavamo e scopavamo tutto il tempo.
Poi un giorno non tornò nel monolocale che mi aveva regalato. E così per un’intera settimana. Andai al pub dove l’avevo incontrato e il barista, un suo amico, mi disse che Jack era morto.
Tornai al mio monolocale, e scoprii che fare marchetta non mi bastava più a mantenermi, anche se nel giro ero diventato anche abbastanza famoso. Mi chiamavano la “puttanella francese”, e molti adoravano il mio accento marcato. Poi ho sempre pensato di avere un bel fisico, e sono superbo, molto.
Comunque, mi presi un lavoro in quel pub, anche se non ero molto regolare e assiduo.
Ed eccomi qui, la storia degli ultimi due anni della mia vita.-

Quella notte lo avevo fissato mentre si alzava nudo e disinvolto per prendere una sigaretta e accendersela, rimanendo poi a fumarla sul bordo del letto. E fissai la sua schiena piegata e liscia, pensando che quel ragazzo non avesse sentimenti. Sembrava un pezzo di ghiaccio mentre raccontava quella storia. E aveva solo diciotto anni.
Ora lo vedo chino a terra tra le lacrime, scosso da fremiti incontrollabili e da ringhi feriti che gli escono strozzati dalla gola.
Mi sbagliavo…

(Julien)
Sento che qualcuno mi fissa, sono allenato a capirlo. Mi volto appena, cercando di riprendere abbastanza forze da riconoscerlo…e lo faccio subito, il mio cervello non ha bisogno di macchinare per ripescare dal marasma di ricordi quel viso e il nome corrispondente: Brian.
Mi passo un palmo sul volto bagnato, cercando di trattenere questa nausea. E mi alzo, con lentezza, infermo sulle gambe traballanti. La crisi d’astinenza è lontana, ma dentro la mia crisi non è mai terminata. Io sto bene, mi convinco. Sto bene, sono solo nato storto, tutto qui. Ma anche con quello bisogna conviverci. Mi sono sempre adattato a tutto, alla vita anche. Forse troppo.
Mi appoggio al muro mentre quel dannato continua a guardarmi.
Lui sa tutto di me…pensa di saperlo, ma non è così. Gli raccontai la storia della mia vita, tutte le cose che avevo distanziato per non sentirmi male. Per non pensare che a venti anni sono solo una merda qualunque che offre il suo culo al primo capitato. E lo sono sempre stato.
Fino a quando posso continuare?
“Julien” mi chiama lui, con fare atono, come se non fosse né un ordine né una richiesta.
Lo guardo e credo di inviargli una scarica d’odio non indifferente. Lo osservo bene: così preciso, perfetto, distinto nella sua coda di cavallo elegantemente annodata e appena scompigliata dalla serata, il suo gilet nero aperto sopra la camicia arrotolata fino alle maniche…E io? A terra, come sempre.

Ho sempre sbagliato nella vita, e tuttavia sono sempre stato coscio dei miei errori, incapace di evitarli o riparare ad essi. C’è un limite per ogni uomo o donna, oltre il quale è impossibile trovare in sé la forza di agire per il Bene. Perché giunti oltre la sottile linea bianca, la propria forza interiore si disgrega al buio della propria ambizione e ingenuità. Diveniamo dei di noi stessi, e ci distruggiamo da soli. Continuo a spingermi oltre quel limite cancellando ogni cosa lasciata dietro. Arriva prima o poi per tutti un muro, il capolinea, che ti costringe a voltarti verso la luce di quegli strascichi di vita…ed essa ti acceca, facendoti lacrimare gli occhi.

Il mio non è pianto, è la luce delle menzogne che ho detto a me stesso.



S.A. (spazio autoreXD):
Ringraziamenti: un grazie particolare a nainai i cui commenti sono chicche incredibili, riesci sempre a farmi sentire bene, grazie di cuore. E grazie anche a fedenow, pure per il commento alla one-shot "Mio fratello è figlio unico", grazie mille cara :3 Per la stessa one-shot grazie anche a blinka per il suo commento^^
A presto, ladys!
  
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